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Messaggio ai boliviani:”La democrazia è in pericolo”.
by j.p. collettivo traduttori Thursday, Oct. 16, 2003 at 12:32 AM mail:

Messaggio ai boliviani:”La democrazia è in pericolo”. Evo Morales Ayma*

Il 13 ottobre, la direzione del MAS (Movimento per il socialismo), la principale formazione politica d'opposizione, si è riunita a Cochabamba, la terza città dello Stato, e si è schierata esigendo che il Presidente Gonzal Sanschez de Lozada rassegnasse le dimissioni dal proprio incarico (qui sotto si può leggere la dichiarazione di Evo Morales Ayma, dirigente di MAS).

Fino ad allora, il MAS aveva partecipato alla mobilitazione, ma non aveva ancora espresso questa rivendicazione. Quest’ultima rivendicazione era stata posta dalla Centrale operaia boliviana (COB) dopo tre settimane, dopo che i militari avevano duramente represso contadini a Warista.
La direzione regionale della COB di El Alto (la città che si trova sull’altopiano che si trova a strapiombo su La Paz) ha fatto di questa rivendicazione un elemento centrale del proprio programma immediato. Questa rivendicazione la si ritrova in tutti i reportage della stampa che non è asservita: "Rovesciare questo miliardario [Sanchez de Losada] che governa il Paese più povero dell’America Latina; questo miliardario che parla perfettamente l’inglese, male il casigliano e per nulla l’aymara e a lingua quechua, ossia le lingue degli autoctoni e dei poveri".

Evo Morales dichiara che, lunedì 13 ottobre, saranno organizzati blocchi stradali a Cochabamba e nella regione di Chapare (nel centro della Bolivia). Egli aggiunge : "Vedremo se i militari arriveranno a reprimere in tutte le zone del Paese " (La Razon, 14 ottobre 2003). Con questa iniziativa, Evo Morales risponde a delle forti critiche da parte dei settori maggiormente impegnati nella mobilitazione. Dalla fine del pomeriggio del 13 ottobre, ci sono state delle manifestazioni imponenti a Cochabamba. Nella regione di Chapare le strade sono bloccate..
Il mattino di martedì 14 ottobre, le città di La Paz e di El Alto vengono occupate dall’esercito. Tutti i punti strategici delle città vengono messi sotto la sorveglianza dei tanks. L’esercito è mobilizzato e vengono richiamati contingenti dai quattro angoli del Paese, e inviati nella regione di La Paz e di El Alto.
Regna una fragile tregua. "E’ la tregua prima della battaglia finale" sostiene un osservatore esperto della vita socio-politica boliviana, Alvaro Garcia.Egli sostiene che: sia che Sanchez Lozada dia le dimissioni, sia che non le dia ci sarà il massacro.
Lunedì 13 ottobre a La Paz e dintorni, i militari hanno ucciso 26 manifestanti. I feriti si contano a centinaia. Dal 9 all’11 ottobre, l’esercito ha ucciso 28 persone nella città di El Alto. Come ha sostenuto, con triste rabbia, un giornalista: "A quattromila metri d’altezza, la vita non vale nulla".Da lunedì sera le radio scandiscono i nomi delle vittime.
Da venerdì 10 ottobre è scaturito "un sollevamento di pietre e del bitume"(sollevazione popolare dei minatori) da parte di questa moltitudine di 1,5 milioni di abitanti che formano le città di El Alto e La Paz. Dopo 48 ore di scontri contro l’esercito e la polizia nei vari quartieri di El Alto, il moto d’insurrezione popolare si è esteso a La Paz. Il "pauperiatat" de El Alto, lunedì 13 ottobre, si è organizzate per recarsi a La Paz. L’autostrada di 12 km che collega l’aeroporto, situato sull’altopiano presso El Alto, con La Paz (un investimento della Banca mondiale) è sotto sorveglianza dell’esercito. Nonostante ciò i quartieri di La Paz, si sono sollevati uno dopo l’altro.

Il dirigente della Centrale operaia regionale di El Alto, Roberto de la Cruz, dichiara: "Il paese si solleva per sconfiggere questo assassino [Sanchez de Lozada] e per recuperare il gas ed il petrolio per i cittadini boliviani". Da circa 11 ore i manifestanti di El Alto discendono su La Paz. Verso mezzogiorno i quartieri del nord dell’est e dell’ovest di La Paz sono nelle mani della popolazione che si è ribellata.Il presidente s’è rifugiato nel sud della capitale, ossia la zona più bassa che è un quartiere residenziale.Il Palazzo del Governo che domina la celebre “ Place Murillo” è vuoto.E’ circondato dalle truppe.
Decine di migliaia di manifestanti avanzano verso il Palazzo del Governo e reclamano le dimissioni del Presidente massacratore. Un grido risuona spesso: "Morire invece di vivere da schiavi". All’interno della polizia, che a febbraio ha subito violenti attacchi contro i salari, appaiono oscillazioni e dubbi. Dentro l’esercito la situazione è differente ed il governo punta su di lui, secondo la tradizione.
La mobilitazione è così vigorosa che appaiono delle fratture nel governo. Il vice-presidente Carlos Mesa, proprietario di un grande gruppo di comunicazione, ha rotto col Presidente, per evidenziare il proprio disaccordo riguardo il massacro di El Alto. Lui ha tentato soprattutto di distanziarsi nel caso in cui si faccia sentire il bisogno di un’alternativa alla classe dominante. Il ministro dello sviluppo economico, Jorge Torres, membro del MIR (Movimento della Sinistra Rivoluzionari - voir notes), ha presentato le proprie dimissioni.
Gonzalo Sanchez Losada mantiene una posizione rigida. Egli ha dichiarato: "Non è possibile sostituire una democrazia con una dittatura sindacale". Il dirigente della Fédération paysanne, Felipe Quispe, che dispone di grande prestigio presso i contadini aymaras, replica da El Alto: "In nome della democrazia, egli [il presidente]sta assassinando ed uccidendo la popolazione. Noi non possiamo aspettare, bisogna insorgere".
Gli USA fanno conoscere la propria posizione. Alla fine della giornata, il Dipartimento di Stato americano pubblica un comunicato all’interno del quale sostiene : "La comunità internazionale(sic)e gli Stati Uniti non vogliono tollerare alcuna interruzione (sic) dell’ordine costituzionale e non riconosceranno alcun regime che sia il risultato di un processo antidemocratico".Questo segnale può essere messo in relazione con l’adesione riaffermata da Jaime Paz Zamora, leader del MIR, social-democratica, a Sanchez de Losada.
Dalla fine della giornata del 13 ottobre si è sviluppata la controffensiva dell’esercito.I morti e i feriti diventano più numerosi. Uomini, donne e bambini si ritirano con un certo ordine, all’interno dei propri quartieri. E l’esercito occupa i punti nevralgiici della capitale.
Allo stesso tempo, il "sollevamento delle pietre e del bitume"ha confermato il proprio carattere nazionale. Lo sciopero generale è proseguito, il 13 e 14 ottobre, nelle cinque più grandi città dipartimentali della Bolivia: La Paz, El Alto, Cochabamba, Potosi et Oruro. Le differenze regionali della mobilitazione rimangono debolissime.Come spiega Felipe Quispe, dalla clandestinità: "E’ una battaglia di lungo respiro".Questo sollevamento popolare va a segnare la congiuntura politica in America Latina”. CAU, 14 octobre 2003.
Dichiarazione di Evo Morales
Qual’è quel sistema politico in cui solamente sette persone decidono tutto quello che loro stesse vogliono, in nome di tutta la Bolivia? Gonzalo Sanchez de Lozada, l’ambasciatore degli Stati Uniti [David N. Greenlee2], Carlos Sanchez Berzain, i fratelli Reyes Villla, Jaime Paz Zamora, e Oscar Eid Franco.
E’ questa la democrazia per la quale noi moriamo e i nostri fratelli hanno sacrificato la vita? Una democrazia trasformata e ridotta grazie al peso di una struttura di potere che manipola e mette sotto i piedi i nostri diritti.
Non esiste altra soluzione, sembra, se non essere i servitori di questa struttura di potere : i parlamentari che si sono ripartiti cinicamente, anche nelle zone che noi governiamo, i posti del sistema giudiziario?
Dove esistono ancora le possibilità di un Raduno Nazionale, dopo aver fatto manbassa, senza vergogna, sul Tribunale Costituzionale e sulla Difesa del Popolo?
Quale Costituzione è garantita e quali diritti dell’Uomo sono protetti se le istituzione che dovrebbero vigilare sono occupate dal potere insolente di sette persone che monopolizzano le decisioni e l’indirizzo del sistema politico?
Costruire la democrazia !
Quattro settimane di mobilitazione, con più di 30 morti e 100 feriti, si sono sviluppate nelle strade e dentro il parlamento, domandano, esigono, reclamano, urlano: costruiamo la democrazia! Edifichiamo una comunità politica! Puliamo e rendiamo trasparente il sistema delle decisioni politiche!Ascoltiamo la società civile e coinvolgiamola nella presa di decisioni per dare legittimità alla nostra Costituzione! Ripensiamo i nostri progetti e il nostro stesso Paese! Dotiamoci di un progetto nazionale, d’un progetto per il futuro che sia per noi e per i nostri figli! Recuperiamo e difendiamo il gas!
Il governo e la casta dei potenti hanno orecchie che non sentono, occhi che non vedono. Razzismo, discorsi che manipolano a piacimento la Costituzione, aggressioni e proiettili, omicidi dei nostri fratelli: ecco il loro modo di fare.
Noi non tratteremo con degli assassini. E’ chiaro. Dehors Goni [le président]. Queste sono le nostre parole d’ordine e quelle del nostro popolo.
La casta dirigente punta sulla nostra stanchezza, su una perdita delle
nostre energie. Noi non ci fermeremo; e ciò fino a quando non avremo inflitto sconfitta all’AntiPatria. A questa casta, né la popolazione, né il paese gli importano; soli contano gli affari! Non cerca accordi ed ha chiuso
ogni possibilità di arrivarvi. Non governa; e ciò non lo interessa!

Non ha attenzione e si attacca soltanto ciò che la sostiene: la forza delle armi, la manipolazione delle leggi e l'appoggio dell'ambasciata degli Stati Uniti. Non esiste già più un governo, la democrazia è quasi morta. E siamo sull'orlo della sua sepoltura definitiva..
Ciò che i dominatori vogliono: battere la democrazia, ucciderla e seppellirla per sempre. E ciò grazie alla messa in atto di un regime poliziesco e repressivo con una maschera di legalità. Le loro opzioni sono: la poltrona di potere, un autogolpe, la repressione selettiva.
Salvare la democrazia e il Paese.
Compatrioti, non accettiamo che i nostri diritti e le nostre libertà siano liquidati per sempre. Non accettiamo che ci rubino la democrazia ed il progetto politico che
stiamo costruendo nella via, sui viali e sulle strade.
Non permettiamo che i detentori del potere politico si impongano secondo il loro buon volere.
Esigiamo di uscire da questa crisi politica: una nuova presidenza e un'assemblea costituente, di seguito!
Soltanto così potremo aprire un periodo transitorio allo scopo di ritrovare, difendere e ricostruire la democrazia ed il paese.

Fuori la cricca degli autocrati. Goni fuori, ora!

Viva la Bolivia

Evo Morales è un dirigente storico del movimento dei « cocaleros Il est à la tête du MAS (Mouvement vers le socialisme).
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