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Casarini: "Basta con le ipocrisie siamo condannati alla violenza" (piuttosto int
by da repubblica Friday, Oct. 31, 2003 at 10:41 AM mail:

Il leader dei Disobbedienti interviene nella polemica aperta dall'intervista di Repubblica a Sergio Segio.

ROMA - Il più noto dei Disobbedienti d'Italia, Luca Casarini, ha trentasei anni. Ne aveva dodici quando, nella sua città, Padova, veniva istruito il processo "7 Aprile". A diciotto nuotava nell'acqua di Autonomia operaia. A trenta aveva la tuta bianca e scopriva Seattle e il Wto. Dice: "Quel Segio lì è l'è proprio un mona...".

Lei ha almeno il buon cuore di non dargli dello "stronzo", "pezzo di sbirro", "infame", "killer" come fanno i suoi compagni da un paio di giorni.
"Che sia un assassino non l'ho mica deciso io. Lo ha deciso lui vent'anni fa. E se permette non credo basti una vita a ripagare un'altra vita che si è tolta. Soprattutto poi se si decide di trascorrere la vita non in silenzio, come sarebbe opportuno, ma a dare lezioni, come sembra voglia fare lui".

Segio vi ha posto un problema politico. La risposta è la violenza vuota di un insulto.
"Ma nossignore. Non abbiamo certo paura a rispondere nel merito. Solo che Segio non sa di che cosa parla".

Parla di un album di famiglia che verosimilmente conosce. Vi invita a tenere alta la guardia e aprire un dibattito al vostro interno che impedisca il ripetersi di errori tragici.
"Segio parla del suo di album. Non del nostro. Per tirare un filo tra il presente e il passato, viene scomodata una categoria politica della sinistra del novecento che non ci appartiene, la "presa del potere", che in questo Paese significa anche "al governo a tutti i costi". L'esperienza politica del Movimento non solo è estranea a questa categoria, ma non la pratica. Chi ha ucciso Biagi e D'Antona è un nostro nemico, anche per l'uso che ne viene fatto".

Perché non dice "gli assassini politici di Biagi e D'Antona", ma "chi ha ucciso Biagi e D'Antona"?
"Perché le sfumature hanno un senso. Noi riteniamo che in Italia non esista nessun fenomeno sociale o politico di lotta o propaganda armata. A questi omicidi ognuno dia l'aggettivo che vuole, ma non scomodi queste categorie".

Non sarà che vi è difficile sciogliere l'altro nodo politico di questo dibattito che è quello della rinuncia incondizionata alla "violenza politica"?
"Questo della cultura della violenza politica che percorrerebbe il Movimento, lasciando aperta la porta al reclutamento della propaganda armata è un luogo comune e un'ipocrisia".

E' un'ipocrisia perché il Movimento rinuncia o ha deciso di rinunciare alla "violenza"?
"Niente affatto. La violenza non è un connotato del Movimento. E' un connotato del nostro vivere quotidiano. E' un dato immanente. La violenza c'è, esiste. E chi finge di non vederla è un ipocrita. Se nel mondo esistesse una giustizia sociale, non avremmo violenza. Ma le cose non stanno così. Se lo Stato non esercitasse violenza per reprimere il dissenso e il conflitto sociale, non otterrebbe violenza in cambio".

Dunque, nessuna rinuncia alla violenza.
"No, semplicemente io non sono un ipocrita. I nostri avversari ritengono che valga l'equazione conflitto sociale uguale violenza. Noi rispondiamo che non solo non intendiamo dichiarare morto il conflitto ma che, al contrario, intendiamo moltiplicarne i luoghi. Non a caso parliamo di disobbedienza sociale. Un concetto che il ministro Pisanu declina in "illegalità diffusa".
Se questo significa dirsi violenti, siamo violenti. Meglio: siamo condannati alla violenza da una condizione sociale e politica di violenza. E non sfuggirà come il termine possa essere piegato ad usi politici strumentali contro il Movimento, magari da qualche "non violento" che vota per la guerra".

Non le sfuggirà neppure l'estrema ambiguità del suo distinguo. E che in questa ambiguità c'è spazio per un cortocircuito con la propaganda o la lotta armata. O no?
"Francamente non vedo l'ambiguità".

Un conto è contestare la riforma del mercato del lavoro incatenandosi di fronte a un'agenzia di lavoro interinale, un conto fracassarne le vetrine. Un conto è sdraiarsi in piazza, un conto presentarsi con scudi di plexiglass, caschi e mazze.
"In Italia, e non solo, non esiste il pacifismo di cui lei parla. E non è affatto vero che dalle vetrine si passa alla P38".

Bisogna stare alle buone intenzioni dei singoli?
"No. Bisogna stare al senso di quel che facciamo. Delle parole che pronunciamo. E liberarsi dello strabismo di cui è afflitto Segio e quelli come lui: da D'Alema a Pisanu. Sono loro che fanno parte dell'album di famiglia, non noi. Sono D'Alema e Pisanu che praticano la tesi ottocentesca della presa del potere. E' D'Alema che dimostra doppiezza comunista nel partecipare alle marce per la pace, salvo poi portare il Paese in guerra in Kosovo. Non è questo un gesto di violenza politica?".

D'Alema e Pisanu sono espressione di una democrazia e utilizzano strumenti della democrazia.
"Quale democrazia? La democrazia di chi? La loro forse. Non la nostra".

Vuole negare che viviamo in una democrazia?
"Quale? Quella degli agenti della "Diaz" o quella del Ros dei carabinieri di Ganzer con la cocaina? Segio dovrebbe riflettere su questo e non tirare la giacca a nessuno, tantomeno al Movimento e ai sindacati di base".

E' un fatto che i percorsi politici di chi in queste ore viene arrestato indicano una matrice politica di chi è cresciuto nei sindacati di base e ha frequentato l'area dell'antagonismo.
"Non mi interessano le biografie personali e non hanno nessuna importanza. L'importante è quello che alla fine risulta dalle cose che uno fa. Non a caso, in questa polemica non ci vogliamo entrare se non per "tirare noi la giacca" ai sinceri democratici, ai sindacalisti della cosiddetta lotta al terrorismo, a Bertinotti, a tutti".

E perché?
"I sinceri garantisti dovrebbero preoccuparsi dei diritti di chi viene arrestato e si proclama innocente o estraneo. La Cgil dovrebbe ricordare le tragedie che con il Pci di allora provocarono la delazione e inquisizione di massa. Bertinotti non dovrebbe giocare con il politichese quando parla di violenza e non violenza riferendosi al conflitto sociale".

Però, fino a ieri, con Cgil e Bertinotti sfilavate insieme in piazza.
"Continueremo a farlo finché sarà possibile. Ma siamo diversi. Noi diamo più importanza a etica e principi che a una tornata elettorale. Lei sta parlando al telefono con una persona che non è seduta né in una sede di partito o di sindacato, né nella hall di un Holiday Inn. Ma in una casa occupata di Marghera. Quel che diciamo noi lo pratichiamo. L'album di famiglia se lo tengano. E' tutta roba loro...".


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