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[Puglia]VELENO NEI CAMPI
by tese Wednesday, Nov. 05, 2003 at 11:57 AM mail:

8-09-2003-VELENO NEI CAMPI, SEQUESTRATO IL GRANO DEL PANE DI ALTAMURA Puglia, la Procura indaga su 300 ettari dell’Altopiano delle Murge. Trovate sostanze cancerogene 40 volte oltre i limiti. Nella zona si produce il pane di Altamura. Le aree forse usate come discariche illegali o concimate con il compost dei rifiuti

(Bari) - Cromo, piombo, arsenico, metalli pesanti cancerogeni che superano anche di quaranta volte il limite massimo previsto dalla legge hanno inquinato, forse irreversibilmente, migliaia di ettari dell'altopiano carsico delle Murge e, ieri, hanno portato al sequestro, disposto dalla Procura di Bari, di 300 ettari di terreni coltivati a grano duro.
Un'area che dal '98 dovrebbe essere Parco nazionale, anzi il primo parco rurale italiano. Una zona che produce quel grano da cui si fa un pane speciale, il pane di Altamura, che ha da poco ottenuto dall'Unione europea il marchio dop, il più prestigioso riconoscimento di tipicità.
Un territorio che negli anni è stato abbondantemente sfigurato, grazie anche ai finanziamenti pubblici europei e regionali, dallo «spietramento» - la riduzione in polvere delle rocce millenarie della pseudosteppa mediterranea, che è la Murgia, in aridi «terreni» coltivabili -, e che tuttavia ha resistito finché ha potuto con la sua flora, la sua fauna, i suoi pascoli.
Adesso, anche i superstiti sessantamila ettari a cui dopo tagli e ritagli è stato ridotto il Parco, non ce la fanno più. Come il Falco grillaio e il Lanario, i rapaci che Federico II di Svevia addestrava alla caccia, che non riconoscono più i luoghi come il proprio habitat naturale e stanno scomparendo.
Adesso, si «scopre» che persino i terreni a coltivazione biologica sono stati «concimati» con ogni porcheria possibile, che sotto le rocce carsiche le falde di acqua (potabile) non sono mai state così a rischio - e in alcuni casi sono irrimediabilmente compromesse - e che già quattro anni fa la facoltà di Veterinaria dell’università di Bari rilevò valori di cromo nel latte della Murgia quattro volte superiori ai limiti consentiti dalla legge.
Ieri, l'ultimo capitolo di questa lunga storia. La Procura di Bari, in seguito a una denuncia delle sezioni locali di Wwf, Legambiente, Torre di Nebbia, Coldiretti e Confederazione agricoltori, ha aperto un'inchiesta per disastro ambientale e ha sequestrato circa 300 ettari di terreno (due ettari sono addirittura di proprietà del Comune di Altamura) in due zone diverse. La denuncia risale a due mesi fa ed è dettagliata: tra Altamura, Ruvo e Gravina di Puglia vengono indicate le aree in cui l'olezzo è insopportabile e dove, nonostante il «lavoro» degli aratri, sono ancora visibili fanghi tossici smaltiti direttamente sul suolo e rifiuti d'ogni genere.
I risultati delle prime analisi vanno al di là di ogni pessimistica aspettativa. Nei casi più gravi, in un chilo di terra vengono trovati più di 5.000 microgrammi di cromo (il limite massimo è di 170 microgrammi) e 1.148 di zinco (limite massimo, 150). E’ subito evidente che si tratta di terreni usati come discariche illegali, forse dietro pagamento di qualche centinaio di milioni di lire ad agricoltori senza scrupoli. Ma emerge anche un'altra ipotesi inquietante. In alcuni fondi sarebbero stati utilizzati, come concimi, non meglio identificati prodotti di sintesi chimica che vanno sotto il nome di «compost».
Prodotti che, secondo l'accusa, sarebbero stati forniti da un'azienda, la Tersan Puglia, negli anni scorsi coinvolta in altri procedimenti giudiziari legati allo smaltimento dei rifiuti. Una «macchia» che successivamente non impedisce alla medesima azienda di ottenere, attraverso una società collegata, finanziamenti pubblici e autorizzazioni necessarie (dalla Provincia) a costruire un mega impianto di compostaggio da 800 tonnellate al giorno (di cui, 500 di fanghi) addirittura su un'area qualificata come Zona di protezione speciale. Mentre l'anno prima, nello stesso posto, a un'altra società, la Lastrabi, era stata negata un'autorizzazione analoga.
La Tersan si chiama fuori da ogni responsabilità e dice: «La Murgia è inquinata, è vero, ma non da noi. Anzi, noi nel 1994 denunciammo lo smaltimento abusivo di fanghi». Insomma, l'unica certezza, condivisa da tutti, è che la situazione è gravissima. Ed ecco che vengono allertati i laboratori di analisi di diverse Asl, si teme un disastro nella catena alimentare - l'erba dei pascoli, il latte di pecore e mucche, i formaggi, l'acqua -, viene anche sequestrata una partita di cento quintali di grano, i sindaci di Gravina di Puglia e Altamura firmano ordinanze che vietano il pascolo e la coltivazione nel raggio di cinquecento metri dal confine (provvisorio) delle aree contaminate, mentre da più parti si chiede un'indagine epidemiologica sull'escalation sospetta dei casi di tumore negli ultimi quindici anni.
Cose già viste, purtroppo, anche altrove. Allora cos'è che rende questa vicenda particolarmente intricata e angosciante? Un fatto molto semplice: tutto ciò che sta accadendo era stato già detto e scritto tre anni fa. Non soltanto su questo giornale, ma anche in atti giudiziari.
Per la precisione, in una causa per danni avviata dalla Lipu (la Lega per la protezione degli uccelli) contro la Regione Puglia. Quella è stata la prima volta che in Italia a un'associazione ambientalista si è riconosciuta la possibilità di citare per danni un ente pubblico in seguito a uno scempio ambientale. Sulla base del principio che «l'ambiente va garantito come diritto fondamentale della persona umana», il presidente della Lipu in Puglia, Luigi Campanale, instaura un giudizio davanti al giudice civile e accusa la Regione di «malagestione» della Murgia, dall'estinzione delle specie protette all'inquinamento del suolo e delle falde acquifere.
Sono seguiti tre anni di silenzio e di mancati controlli, quando invece si poteva conoscere tutto, o quasi, già da allora. Certo, quella causa per danno pubblico ambientale ora è in dirittura d'arrivo e forse tra qualche mese il giudice del Tribunale civile di Bari, Giuseppe Rana, pronuncerà la sua sentenza. Ma non si può tacere la circostanza che Rana non abbia fatto eseguire una perizia che fosse una su quei terreni e quelle falde, che adesso invece il magistrato penale deve affannarsi a far periziare da squadre di consulenti. Insomma, è accaduto che una causa per danno pubblico ambientale abbia ottenuto minori accertamenti di un incidente stradale.
I tre anni di silenzio sulla causa mossa alla Regione Puglia e sull'assenza di controlli, sopralluoghi e perizie hanno riguardato anche Parlamento, consigli regionale e provinciale, e consigli comunali (eccetto Ruvo e Andria, fra i tredici Comuni del Parco della Murgia), dove non c'è traccia di un'interrogazione, una domanda, un singulto. Ma all'improvviso, ecco che parlano tutti, a tutti i livelli, e si rimpallano le responsabilità l'un l'altro. Il «governatore» pugliese Raffaele Fitto (centrodestra) accusa il presidente della Provincia Marcello Vernola (centrosinistra) di aver concesso autorizzazioni con troppa leggerezza e Vernola rimprovera a Fitto di non far nulla nonostante il suo ruolo di commissario straordinario all'emergenza ambientale.
Non c'è che dire, hanno ragione entrambi. Ma non sono soli. Con loro, una nutrita pattuglia, che potremmo definire di «professionisti dell'ambientalismo», disseminati un po' in tutti i partiti, che prima non vede e non sa, e poi si astiene o vota a favore (come gli assessori provinciali Nicola Occhiofino, di Rifondazione, e l’ex deputato verde Vito Leccese) per la costruzione in zona protetta del mega impianto di compostaggio e infine, ora che il cromo e il piombo gli sono arrivati in casa, esce coraggiosamente a combatterli.
Corriere della sera, 6 settembre 2003


MURGIA, VELENI E RISCHI PER TUTTI

Allarme per i fanghi inquinanti scaricati in questi anni sull'altipiano.
Timori per i nostri prodotti alimentari
Il sindaco Porcari: «la Puglia si adoperi per controlli più efficaci»

MATERA – L'emergenza non è mica tanto lontana da noi. Anzi è praticamente a ridosso del nostro territorio. La Murgia dei veleni, in agro di Altamura e Gravina, è una nuova «bomba» che ci riguarda.
Pare che le analisi effettuate in quelle aree abbiano rilevato che i fanghi scaricati da anni, a cielo aperto o nelle cave, contengano veleni chimici trenta volte superiori ai limiti consentiti. Non c'è l'ufficialità dei dati, ma se fosse confermato sarebbe una grossa tegola sulle nostre teste. Così, mentre alcuni vicini comuni pugliesi, e con loro Matera, si stavano attrezzando per opporsi al piano nazionale che vuole la Murgia quale zona per lo smaltimento di scorie radioattive di provenienza nazionale e non solo, un altro grattacapo è già pronto per assillarci.
La carovana di protesta contro le scorie radioattive, appena all'inizio di agosto, ha sostato a Laterza, Ginosa, Castellaneta marina e Metaponto per dire no ai rifiuti nucleari sulla terra murgiana. Ed il sindaco di Matera, Michele Porcari, ha aderito immediatamente alla battaglia contro il progetto di un sito nucleare tra Puglia e Basilicata.
Ma oggi l'incubo si chiama piombo, rame, cromo e stagno superiori ai limiti sull'Alta Murgia. Sarebbe il responso delle verifiche dei laboratori delle Aziende sanitarie pugliesi sui campioni prelevati proprio dove i campi di grano si estendono oltre l'occhio umano e sono rigogliose le coltivazioni dei cardoncelli. Paure che riguardano anche i prodotti biologici, un altro fiore all'occhiello dell'agricoltura delle nostre regioni.
Pensate se si dovesse mettere in dubbio il grano che serve per il pane. Sarebbe un disastro per l'economia, che su questo prodotto basa le fortune locali. E parte della farina pugliese serve anche per produrre il pane di Matera.
Un bel guaio se si scoprisse che è «avvelenato», peggio ancora di quello di Chernobyl, anche se tra qualche giorno sarà avviato un progetto pilota che coinvolge nove panificatori cittadini e tre della provincia nell'ottica di un protocollo d'intesa per il marchio Igp (Indicazione geografica protetta).
A rischio il marchio del pane di Altamura e a ruota anche quello di Matera e altri prodotti doc? Il sindaco di Matera, al quale abbiamo girato queste nuove perplessità, frena su questi possibili sviluppi, ma non rinuncia certo a qualche rilievo sulla nuova vicenda che in Puglia fa oramai parlare tutti i giorni. Per Michele Porcari «potrebbe essere anche questa la conferma di una concezione che vuole l'area murgiana un po' trascurata dal punto di vista dei controlli.
Anche questa vicenda naturalmente ci preoccupa. Con la creazione del Parco, noi abbiamo fatto di sicuro un passo importante per una vigilanza più attenta dell'area. Sarebbe opportuno che altrettanto facesse la Puglia per iniziare a mettere dei paletti di protezione». I riflessi sui prodotti e in particolare sul pane.
«Forse stiamo correndo un po' troppo. Attendiamo il quadro ufficiale delle verifiche e poi vedremo che cosa emerge. Subito dopo occorre comunque attivarsi per frenare questa sorta di ecomafia che sembrerebbe esistere e contemporaneamente bisogna monitorare adeguatamente i siti dove avverrebbe lo smaltimento».
Come procede invece la vicenda delle scorie nucleari sulla Murgia. «Stiamo cercando di spiegare che vogliamo farne volentieri a meno. Dopo aver impostato strategie economiche e politiche sulla valorizzazione del territorio e sui prodotti biologici, sarebbe veramente una beffa vedere compromesso tutto. Speriamo anzi che questo nuovo elemento dei fanghi velenosi ci consenta quanto meno di poter dire: scusate, ma abbiamo già dato, altri rifiuti non li vogliamo».
La gazzetta del mezzogiorno, 6 settembre 2003


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