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Contratto, diritti, democrazia, lavoro. Duecentomila operai a Roma
by dall'unità Friday, Nov. 07, 2003 at 2:54 PM mail:

Contratto, diritti, democrazia, lavoro. Duecentomila operai a Roma.

«Siamo oltre duecentomila», a San Giovanni, la Fiom dà l'annuncio della partecipazione alla grande manifestazione nazionale dei metalmeccanici. Tre cortei che hanno sfilato per le vie di Roma raccogliendo la protesta operaia di tutta Italia, da Termini Imerese a Mirafiori. «Non ci prenderanno per stanchezza», dice il segretario generale della Fiom Claudio Rinaldini. «Siamo qui perchè paghiamo in euro e ci pagano in lire, anzi in centesimi con gli accordi separati, perchè ci vogliono togliere tutti i diritti anche con la legge 30». Il camioncino bianco della Fiom di Reggio Emilia alterna il comizio registrato di una voce femminile e il rhytm'n blues di B.B. King. Dietro trascina una ruota dentata fatta in polistirolo che gira. Sulla ruota sono piantate tante bandierine con nomi di aziende: Marelli, Officine...«Sono tutte le aziende dove siamo riusciti a strappare i precontratti», spiega un sindacalista.

Quando a San Giovanni sale sul palco Giovanna Marini e intona «Bella ciao», a cantare - pugni chiusi e sguardi fieri - sono in molti. Intanto, si susseguono gli interventi di chi racconta storie di licenziamenti in tronco, o di assoluta precarietà. E a marcare la stabilita alleanza tra il movimento no-global e lo storico sindacato degli operai sono le parole - in diretta da Baghdad - di Gino Strada. «In un paese civile, i lavoratori non dovrebbero essere costretti a fare sciopero per difendere i loro diritti. Ma, evidentemente l'Italia non è un paese civile. E molti si dimenticano quello che dice la Costituzione "è una Repubblica fondata sul lavoro"», dice. E ribadisce l'importanza della battaglia per la pace, e per la democrazia.

Sono tanti gli operai che hanno sfilato a Roma. Almeno duecentomila, afferma il segretario organizzativo dei metalmeccanici della Cgil, Tito Magni. Sono tanti gli operai, ma soprattutto sono decisi. La linea della Fiom - no agli accordi separati, sì ai precontratti con condizioni migliorative, maggiori poteri alle rappresentanze di fabbrica, no al precariato - è non solo condivisa, ma radicata, vissuta come riscatto. «Questa volta non subiamo, non chiniamo la testa, questa volta no»: è la frase più ripetuta. La dicono a bassa voce, gli operai, come un pensiero che viene da molto, molto profondo.

Nel corteo che si è snodato da piazzale dei Partigiani c'era anche un gruppetto di Cobas con scope di saggina e cartelli: "Spaziamo via Berlusconi". Ma erano pochi.

Il corteo di Ostiense, il più grosso. Alle 10,30 deve ancora arrivare un treno dall'Emilia, bloccato a Orte per un guasto al locomotore, e la coda lo aspetta mentre la testa è già quasi in cima a viale Aventino. È cosparso di bandiere rosse della Fiom ma c'è anche chi porta la bandiera della pace, magari avvolgendocisi come fosse un mantello. Da lontano si nota in particolare il camion di Bologna, sormontato da palloncini rossi. Qualche sparuta insegna della vecchia Flne, la federazione dei lavoratori dell'energia, destinata a sparire con il prossimo congresso della Cgil. Una o due bandiere cubane. Molti invece hanno costruito cartelli fatti a mano sul cartoncino bristol contro il governo, striscioni colorati con disegni tipo murales.

Le donne dei lavoratori di Termini Imerese sfilano dietro il loro "storico" striscione di plastica bianca, quello che con cui per giorni le ha accompagnate nei presidi davanti a Palazzo Chigi durante i giorni più duri contro la chiusura dello stabilimento Fiat, i giorni e le notti in cui i mariti, in Sicilia, picchettavano la fabbrica. «La situazione ora è che i lavoratori sono tornati in fabbrica - spiega una di loro - , ma hanno dovuto accettare il ricatto di un aumento del 20 per cento dei ritmi. E gli anziani vengono messi in mobilità perchè non ce la fanno». «Siamo qui per questo, e per il contratto», finisce.

Nel corteo dell'Ostiense non ci sono personaggi politici o sindacalisti nazionali. È invece quello di piazza Esedra che ha un sussulto quando, all'inizio di via Cavour, appare la fragile figura di Pietro Ingrao, che a passi piccoli piccoli, sorretto a braccetto da un'amica, si unisce al corteo. La gente si avvicina all'anziano leader comunista, lo circonda battendo le mani, tutti gridano "Pietro, Pietro", le donne - e non solo loro - piangono a vite tagliata. Nel corteo di piazza Esedra confluiscono i lavoratori del Lazio, che - dice il segretario regionale - hanno aderito in modo eccezionale alla manifestazione e allo sciopero di otto ore. Ci sono anche altri leader: Diliberto del Pdci, Agnoletto del Social Forum, Bertinotti e molti altri deputati di Rifondazione. Pochi, pochissimi i giovani dei centri sociali. Gianni Rinaldini, il capo dei metalmeccanici della Fiom, in testa al corteo parla della manifestazione e una un aggettivo che evoca la forza: «imponente». Imponente, come una brande barriera umana. «Ora Federmeccanica e Confindustria devono riflettere sull'errore che hanno fatto e di cui si sono accorti perchè se metti a lato la grande organizzazione della Fiom poi non ti devi lamentare delle conseguenze», dice camminando il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani.


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