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"Concessioni" alla Rochhetta SPA
by multival Tuesday, Mar. 23, 2004 at 8:54 PM mail:

Perché la Regione ha concesso alla «Rocchetta spa» il permesso di effettuare le ricerche di nuove fonti di approvvigionamento idrico, mentre il Comune di Gualdo Tadino aveva espresso parere negativo in proposito?

Rocchetta spa ha investito 109 miliardi lire per gli stabilimenti e le tecnologie, oltre 250 miliardi in pubblicità. Attualmente sono 122 le persone che lavorano per l'azienda nei due turni quotidiani (compresi gli indiretti, cioè coloro che dipendono da altre ditte), mentre sono circa 150 i lavoratori dell'indotto (trasporti e servizi). L'azienda attualmente preleva dai 15 ai 20 litri di acqua al secondo (come risulta dai dati forniti mensilmente alla Regione) e produce 300 milioni di bottiglie l'anno tra acqua ed elisir (contro i 7 milioni della precedente gestione), con un fatturato annuo di circa 200 miliardi di vecchie lire; è la prima azienda umbra di acque minerali, la quarta a livello nazionale. Nei suoi programmi si prevede il raddoppio degli impianti e del personale, con la prospettiva di diventare la prima società di acque minerali a livello nazionale e di primo piano a livello europeo.

Rocchetta, secondo no alla ricerca

. GUALDO — Perché la Regione ha concesso alla «Rocchetta spa» il permesso di effettuare le ricerche di nuove fonti di approvvigionamento idrico, mentre il Comune di Gualdo Tadino aveva espresso parere negativo in proposito? Le motivazioni di questa concessione del massimo ente istituzionale umbro sono state richieste ufficialmente dall'amministrazione comunale alla Regione dell'Umbria, che, con atto dirigenziale, ha concesso alla rinomata azienda di acque minerali il permesso di cercare nuove falde nelle zone di Le Busche e di Monte Penna. La Giunta comunale, nel documento inviato, ha chiesto che, nel caso in cui il permesso accordato dovesse essere comunque confermato, la ricerca debba essere fatta in collaborazione con l'Università di Perugia: ciò tenendo presente che proprio l'Università, su indicazione del comitato cittadino «Acqua nostra» che ha designato un proprio geologo sul problema specifico, deve verificare le eventuali interferenze tra l'acquedotto pubblico e le fonti di approvvigionamento utilizzate dall'azienda che imbottiglia la pregiata acqua minerale. In Comune si chiarisce comunque che la concessione regionale riguarda esclusivamente le ricerche, non lo sfruttamento vero e proprio delle eventuali ulteriori risorse idriche; sulle quali peraltro d'ora in poi, dal 1 gennaio del 2003, l'ultima parola spetta all'Ato, che gestisce gli acquedotti locali; e che la carenza idrica dell'anno scorso «è stata frutto di cattica organizzazione». Atteggiamento prudente, perciò, quello adottato dal Comune, che ribadisce comunque l'importanza del problema della verifica delle capacità reali del bacino montano. Come a dire che se l'acqua c'è, la concessione di una ricerca non va drammatizzata più di tanto proprio perché non compromette nulla. Precedenti ricerche geologiche davano una potenzialità di 600-700 litri al secondo, di cui 175 utilizzati per l'acquedotto pubblico e 25 da Rocchetta spa. A.C.

la nazione-maggio 2003



Intorno alle acque minerali infatti si muove un giro d´affari di più di 2500 miliardi di euro all´anno.
Gli italiani sono il popolo europeo che consuma più acqua minerale, con 11 miliardi circa di litri di acqua nel 2002, e una media di 160 litri a testa. E il consumo è in costante aumento. Parallelamente all´aumento dei consumi, si assiste anche a altri fenomeni: anche il numero delle marche cresce costantemente [nel 1999 erano 266, mentre nel 2001 si avviavano a superare la quota 280]. Ma le unità produttive continuano a calare: i 1700 milioni di euro del 2001 sono affluiti soprattutto nelle casse delle 5 aziende che controllano da sole il 70% del mercato: Nestlè, Danone, San Benedetto, Uliveto e Rocchetta.

Da dove prendono l´acqua queste aziende? Dal sottosuolo italiano. E qui arriva un altro scandalo. Lo sfruttamento del sottosuolo, anche per quanto riguarda l´acqua, è tuttora regolato da un Regio Decreto del 1927. Che tra le altre cose calcolava il prezzo dovuto allo stato per lo sfruttamento di un bacino non in base ai litri d´acqua presenti, ma alla superficie. Il risultato per le casse dello Stato [o meglio, delle Regioni] è desolante. Per fare qualche esempio, la Ferrarelle paga alla Campania 506 euro all´anno; la San Benedetto all´Abruzzo 555. A confronto appare quasi favolosa la cifra di 21.000 euro che la Sardegna riceve dalle tante piccole aziende che sfruttano le sue fonti. E bisogna ricordare che le Regioni si sobbarcano tutte le spese di controllo e di smaltimento dei rifiuti [a questo proposito, basta ricordare che solo lo smaltimento della plastica delle bottiglie è costato alla Lombardia nel 2001 una cifra tra i 45 e i 50 miliardi].

Che fare? Le Regioni stanno tentando di ottenere qualche soldo in più dai produttori, che dal canto loro si dichiarano dispostissimi a trattare. Ma l´Umbria [l´unica a esserci riuscita] è dovuta passare per una lunga trafila di processi e ricorsi al TAR per ottenere infine la cifra di 1 lira per 1 litro d´acqua.


A tutto questo si aggiunge la campagna di privatizzazione dell´acqua da parte di quasi tutte le Regioni italiane, Emilia Romagna e Toscana in testa.
Ha senso definire da un lato l´acqua bene primario per l´esistenza, ma poi non vegliare sulla sua purezza, e soprattutto darlo in gestione a privati?

Francesca Mattotti
13/1/2003

http://www.buonpernoi.it/ViewDoc.asp?ArticleID=1357

L?industria minerale italiana, che dispone di un ricchissimo e variegato patrimonio sorgivo, ha quindi l'opportunità di una grande crescita grazie anche al business dell'esportazione, che non a caso nel 2002 ha superato per la prima volta la soglia dei 1.000 milioni di litri.

Sul mercato italiano delle acque minerali sono operative circa 180 fonti che imbottigliano oltre 280 diverse marche. Spiccano i grandi gruppi a distribuzione nazionale che concentrano i 3/4 del totale produzione: S.Pellegrino/Nestlè, San Benedetto, Italaquae/Danone, Uliveto/Rocchetta, Spumador, Norda, Sangemini. Alle loro spalle stanno avanzando con decisione diverse imprese multiregionali che ambiscono a diventare anch?esse a dimensione nazionale: Lete/Prata, Fonti di Vinadio, Gaudianello, Traficante, Industrie Togni, Santa Croce. Ma anche le altre numerosissime piccole e medie aziende si mostrano combattive, presidiando specifici segmenti geografici, di canali distributivi o di fasce di prezzo.

Nel frattempo si sta rapidamente affermando anche il giovane mercato delle acque in boccioni destinate a uffici, fabbriche e comunità varie. Questo speciale segmento vale già 110 milioni di litri con 160.000 fontanelle installate. Il quadro competitivo è in forte movimento, ma comincia a delinearsi una chiara leadership intorno a 5 gruppi: DrinkCup/Danone, SEM/BPM, Culligan, Norda/Aquapoint e Nestlè/Powwow.


ACQUE MINERALI / DIETRO I GUDAGNI DELLE MULTINAZIONALI
Affari alla fonte
Per sfruttare le sorgenti, le aziende pagano cifre risibili alle Regioni. Che devono anche curare i controlli sanitari, misurare i terreni in concessione e smaltire la plastica

di Cristina Nadotti




Per digerire, per sentirsi leggeri o per essere "più puliti dentro". In realtà solo per arricchire i produttori. Gli italiani nel 2000 hanno bevuto oltre 9 miliardi di litri di acqua minerale, un record assoluto per l'Unione europea. Un giro di affari da più di 2 mila 500 miliardi di euro all'anno, che sono andati, per la maggior parte, nelle casse di cinque multinazionali.

Nestlé, Danone, San Benedetto, Uliveto e Rocchetta sono i colossi che controllano il mercato italiano. Sfruttano falde e sorgenti che appartengono alla comunità. Per farlo è bastato chiedere una concessione alle Regioni, che di tutto questo giro di miliardi non raccolgono che le briciole. Ferrarelle paga alla Regione Campania 506 euro all'anno, San Benedetto ne versa alla regione Abruzzo 555. In confronto, il totale di 21 mila euro che incassa all'anno la Regione Sardegna da piccole aziende sembra un grande guadagno.

In realtà neanche queste cifre ridicole possono essere considerate guadagni veri e propri. A fronte di entrate tanto esigue, le Regioni devono spendere per eseguire i controlli sanitari, le misurazioni delle superfici da dare in concessione e, soprattutto, smaltire tutta la plastica in cui l'acqua arriva ai consumatori. Di questa situazione ha parlato anche la trasmissione Rai "Report", ma non è servito a molto: c'è stata qualche interrogazione in più nei consigli regionali e in Parlamento, qualche modifica o integrazione alla legge (vecchissima, un decreto regio del 1927) che disciplina l'utilizzo della acque minerali. Risultato: adeguamenti di tariffe che paiono una burla, come quello di una lira al litro stabilito in Umbria.

http://www.lavoce.it/articoli/20020719012.asp

In Lombardia, dove operano la San Pellegrino (controllata Nestlé) e numerose altre aziende, la Regione guadagna poco più di 7 mila 500 euro all'anno. Quando la giunta ha chiesto, oltre al canone di concessione stabilito dal decreto regio del '27, un diritto commisurato al beneficio che ne ricavano, i produttori sono ricorsi al Tar. E meno male che Ettore Fortuna, presidente del ramo di Confindustria che raggruppa i produttori di acque minerali, aveva dichiarato poco tempo prima: «I canoni non sono assolutamente onerosi, da questo punto di vista siamo apertissimi». Come apertissimi i produttori sono stati quando Lombardia, Emilia Romagna e Umbria hanno chiesto un canone più alto, e loro hanno rimpallato la richiesta con l'ipotesi di licenziamento di lavoratori. La Corte costituzionale (sentenza del marzo 2001) ha comunque dato torto ai produttori, e ora si possono chiedere royalty sui litri imbottigliati.

Tutti contenti, strada aperta all'adeguamento di altre Regioni? Neanche per sogno, visto che i dati del maggio 2002 dicono che proprio Sardegna, Sicilia, Campania, Calabria, Basilicata e Puglia, da sempre alle prese con la siccità, sono tra le Regioni che rilasciano più concessioni per lo sfruttamento di acque minerali e ci guadagnano di meno. Né è chiuso il fronte della lotta con i produttori, che per bocca del presidente Fortuna dichiarano: «Abbiamo sempre sostenuto che siamo pronti a pagare quello che la legge ci dirà, ma deve essere una legge nazionale».

Ottenere royalty dai produttori, inoltre, non serve a sistemare una questione che non è solo di carattere economico. A San Giorgio in Bosco, vicino a Padova, dove si pompa dal sottosuolo l'acqua imbottigliata con l'etichetta 'Vera', a 500 metri di distanza dai pozzi i residenti hanno denunciato la comparsa di crepe nei pilastri delle abitazioni e un abbassamento del marciapiede. Come se non bastasse, i pozzi privati del circondario si sono esauriti.

Le informazioni che fornisce il funzionario sardo Marcello Fina non fanno che aumentare le perplessità. In quanto responsabile del settore sfruttamento acque, si astiene addirittura dal rilasciare ai privati concessioni per l'imbottigliamento da sorgenti e fonti non minerali. «Nel settore acque c'è un vero caos», afferma il funzionario. «Ci troviamo a interpretare una miriade di piccoli decreti e modifiche. Ora bolle in pentola qualcosa per il riordino dei canoni, ma far pagare di più non risolverà il problema della qualità reale delle acque prelevate dalle fonti».

Addirittura, per l'ingegner Fina permettere di imbottigliare e vendere l'acqua di fonte equivale a «dare a un privato un permesso può essere un rischio per la gente». Per commercializzare le acque non minerali, infatti, non è necessario avere la certificazione del ministero della Sanità, perciò ci sono in commercio acque molto meno salubri, o del tutto uguali, a quella che sgorga dal rubinetto di casa.

Sull'etichetta di una notissima acqua, ad esempio, c'è scritto che è imbottigliata a norma del "Dlgs 31 del 2001": quello che riguarda «le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile». La legge consente insomma di vendere a caro prezzo dell'acqua che possiamo prendere dal rubinetto o dalla fonte. Non solo. Come sottolinea l'ingegner Fina «le aziende che ottengono una concessione per sfruttare fonti e sorgenti non minerali chiudono l'accesso a sorgenti d'acqua che erano della comunità».

In una Regione dove abbeverare gli animali e irrigare i campi è un problema quotidiano, dove a ogni siccità vengono sborsati milioni di euro per aiutare allevatori e coltivatori in ginocchio, una fonte comune può raggiunta con più difficoltà perché un privato ha ottenuto la concessione per lo sfruttamento.

Lo scrupolo di un funzionario non basta a tutelare il patrimonio della comunità. Servono leggi che invece di considerare l'acqua un giacimento da sfruttare, la proteggano come patrimonio comune da tutelare. Il 2003 sarà l'anno mondiale dell'acqua. I movimenti no global, associazioni internazionali come Attac continueranno la battaglia perché si sottoscriva il Contratto mondiale dell'acqua. Il documento è stato redatto nel settembre 1998 da un Comitato Internazionale presieduto da Mario Soares e dall'italiano Riccardo Petrella. Il problema è che, aumentando la popolazione mondiale, nel 2020 il numero delle persone senza accesso all'acqua potabile aumenterà dal miliardo 400 milioni di adesso a più di 3 miliardi.

Intanto in Italia si va verso la privatizzazione degli acquedotti, in attesa del canone sull'aria pulita.

24.10.2002(l'Espresso)











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piccole pratiche quotidiane
by nobuy Wednesday, Mar. 24, 2004 at 3:19 PM mail:

boicoTTa
roccheTTa

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ESTRAZIONE PERICOLOSA
by Dott.Angelo Gaudenzi Wednesday, Apr. 21, 2004 at 7:54 AM mail: angelo.gaudenzi@tin.it

ESTRAZIONE PERICOLOS...
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http://italy.indymedia.org/news/2002/09/85240_comment.php#125001

Alla Procura della Repubblica di Perugia
(Per Conoscenza) Al Comune di Gualdo Tadino.
Alla Regione Umbria
Al Comando Regionale Carabinieri Umbria.
Al Comando Carbinieri di Gualdo Tadino.

Oggetto : Pubblica Diffida e Denuncia.

In relazione all’articolo pubblicato a pag. 39 del “Corriere dell’Umbria”di oggi giovedì 11 marzo 2004 e riguardante l’estrazione idrica della Rocchetta s.p.a.
Vorrei far notare che non si fa il minimo riferimento alla pericolosità di estrarre grandi quantitativi d’acqua dal sottosuolo(La Rocchetta dichiara di prelevare in media 500.000 metri cubi annui d’acqua ;in pratica l’equivalente di una collina;per forza il terreno in superfice cede molto di più in caso di terremoto!)
Questa pericolosità è documentata da autorevoli opinioni di esperti in campo idrogeologico(vedere allegato) e consiste nell’amplificazione dei fenomeni sismici collegati all’intenso sfruttamento delle acque sotterranee.
Per quanto riguarda i permessi di ricerca che il sig.********(sindaco di Gualdo Tadino) si vanta di aver già”preparato”anche nella zona di Rigali.

Sporgo denuncia per abuso di potere(e per favoreggiamento dovuto a mancata
adozione di cautela normalmente ed obbligatoriamente dettata da un ragionevole indizio sulla concausa umana di un devastante fenomeno naturale )contro il ******** medesimo e contro ogni altro soggetto,(intenzionato ad interferire tramite le menzionate attività di ricerca ed estrazione idrica arrecando danno oltre che alle zone globalmente intese,anche alle proprietà site in Rigali e luoghi limitrofi ,sulle quali ho responsabilità sia possessorie che di custodia )dell’Amministrazione Comunale Gualdese e Regionale Umbra.
A causa del recente terremoto(che ora sappiamo con ragionevole certezza essere stato molto più intenso del solito proprio per lo stress idrogeologico provocato dall’eccessivo sfruttamento della falda acquifera);sto vivendo in una casa semidistrutta da molti anni insieme a due persone ultraottantenni ed invalide.
Pertanto diffido chiunque,Rocchetta compresa(nella persona del Legale Rappresentante p.t. sig.******** *******) dall’ interferire ulteriormente con l’equilibrio idrogeologico del posto in cui viviamo tra numerosissime difficoltà e disagi.
Attribuirò la responsabilità di ogni danno (materiale e morale); personale,familiare,economico e sociale derivante dall’amplificazione delle onde sismiche a chi continuerà ad estrarre acqua indiscriminatamente ed a coloro che lo agevoleranno in qualunque modo.
Mi riservo il diritto di agire in caso di ulteriore inerzia della Magistratura con idonee azioni di legittima difesa commisurate all’offesa attuale e potenziale che stiamo subendo.
Dott.Angelo Gaudenzi.

(Tratto dalla rivista”Attenzione rivista wwf per l’ambiente ed il territorio” n°16 del Giugno 2002)

IL CONSUMO DELLE RISORSE DIFFUSE PROFONDE

di Andrea Dignani

La riflessione sul concetto di consumo delle risorse diffuse profonde abbisogna di alcune premesse di ordine tecnico-formale. In tale riflessione escludiamo, pur essendo presenti in profondità (da svariate centinaia a qualche migliaio di metri dalla superficie terrestre) le risorse minerarie propriamente dette (idrocarburi, metalli, pietre preziose,etc.) classificate da un punto di vista formale secondo quanto prescritto nell'articolo 2, comma 2, del r.d. 29 luglio 1927, n. 1443, tali risorse sono caratterizzate da particolari impatti ambientali soprattutto in fase di prima lavorazione successiva all’estrazione mentre da un punto di vista geologico si caratterizzano dal fatto che generalmente tali stesse risorse sono presenti nello spazio sotterraneo in modo confinato, circoscritto, geometricamente delimitato rispetto a delle formazioni geologiche circostanti.
In tale riflessione escludiamo pure quelle risorse, che pur presenti sulla superficie terrestre in maniera diffusa, sono localizzate in superficie od al più a poca profondità (qualche decina di metri) rispetto alla superficie terrestre: le acque di sorgente ed i materiali lapidei di cava (articolo 2, comma 3, del r.d. 29 luglio 1927, n. 1443: p.es. calcari e ghiaie) coltivati superficialmente.
La riflessione in oggetto riguarderà il consumo di due tipi di risorse diffuse: la prima che possiamo definire formalmente secondo quanto abbiamo descritto per i materiali di cava, in special modo i calcari, ad opera di coltivazioni sotterranee ed ad opera della realizzazione di opere infrastrutturali come tunnel e gallerie, il secondo tipo di risorsa diffusa sono le acque dei complessi ideologici profondi (da svariate centinaia a qualche migliaio di metri dalla superficie terrestre).
Nella recente nuova tipologia di coltivazione di cave in sotterraneo, già sperimentate in alcune regioni del nord d’Italia ed in Toscana, si inserisce, almeno a livello di dibattito, anche la Regione Marche con il proprio Piano Cave, recentemente approvato, nel quale le coltivazioni in sotterraneo di calcari sono previste in una apposita direttiva. Tali opere sono delle grandi cavità o cameroni (p.es. 150 m di altezza x 500 m. di lunghezza x 50 m. di larghezza) affiancati e paralleli tra loro presenti in numero di 3-5 per coltivazione totale. Le ragioni di tale nuovo approccio industriale muovono essenzialmente da due precise esigenze: la prima di ordine economico in quanto tali coltivazioni si caratterizzano per i notevoli quantitativi di materiale estratto (nell’ordine di qualche milione di metri cubi), la seconda di ordine “sociale”, infatti la resistenza da parte dei cittadini all’apertura di nuove cave nasce da una prima valutazione visiva, paesaggistica dell’impatto della stessa cava, nella coltivazione in sotterraneo si rimuoverebbe (si presume) questo primo fattore di resistenza. Gli impatti delle coltivazioni in sotterraneo sono di ordine ambientale e sulla sicurezza degli addetti. Gli impatti ambientali sono principalmente connessi con il sistema di circolazione e di vulnerabilità delle acque profonde, sia in fase di ricarica della falda da parte delle acque superficiali meteoriche che di scioglimento delle nevi, e sia in fase di esposizione delle falda profonda a potenziali eventi di inquinamento. Il problema della esatta definizione di tali impatti consiste, in considerazione della complessità delle circolazioni idriche sotterranee soprattutto in ambienti carsici come quelli calcarei, nel mancato immediato riscontro tra le cause e gli effetti che potrebbero essere rilevati dopo diversi anni. Gli altri principali impatti, riguardanti ora anche la sicurezza degli addetti, sono rappresentati dalla stabilità dei fronti di escavazione, anche in considerazione che tali coltivazioni si realizzerebbero in 10-20 anni di attività, sia per le caratteristiche geomeccaniche dei calcari che a causa degli eventi sismici che caratterizzano una regione come le Marche o comunque tutto l’Appennino.
La seconda tipologia di consumo di risorsa diffusa profonda lapidea come detto, è rappresentata dalla realizzazione di opere infrastrutturali come tunnel e gallerie, queste sono delle opere lineari funzionali per l’attraversamento o l’accesso di complessi montuosi. In queste opere l’impatto maggiore si realizza in fase di realizzazione sia sul sistema idrogeologico che sulla stabilità dei fronti di avanzamento, ma la vera peculiarità di tali opere, che le distinguono dalle cave in sotterraneo, consiste nel fatto la loro localizzazione è principalmente imposta dal progetto complessivo nel quale sono inserite, p.es. il percorso di una autostrada o linea ferroviaria, e non quindi (o comunque non in maniera prioritaria) dalle caratteristiche ambientali del sito. Il caso”esemplare” per questo tipo di impatto è rappresentato dalle gallerie sotto il massiccio del Gran Sasso in Abruzzo, con l’impatto di aver abbattuto la falda idrica dei calcari di qualche centinaio di metri rispetto alla condizioni preesistenti, comunque gli impatti non dovrebbero essere terminati, in quanto a fianco di queste stesse gallerie se ne costruirà addirittura una terza. Nelle Marche si ipotizza di realizzare il raddoppio della linea ferroviaria Ancona Orte in galleria nella Gola della Rossa, anche in questo caso potremmo ipotizzare di affrontare le simili problematiche ambientali di analoghe opere.
Il consumo della risorsa diffusa delle acque dei complessi ideologici profondi (da svariate centinaia a qualche migliaio di metri dalla superficie terrestre) è rappresentato dal prelievo di acque di ottima qualità per scopo commerciali, per le acque minerali per il consumo umano ed acque industriali per l’industria della carta.
Occorre premettere che attualmente non esistono conferme e sicuri riscontri sull’utilizzo commerciale di tali acque, ma da diversi anni la questione è dibattuta almeno all’interno della comunità scientifica anche marchigiana. Le acque profonde sono quelle da considerarsi non influenzate dallo stagionale o decennale ciclo idrologico, se non in minima parte, e devono la propria formazione ad eventi climatici passati come i periodi glaciale e perigraciale del quaternario. Un tale sfruttamento si realizzerebbe solo attraverso la tecnologia di perforazione tipica della ricerca di idrocarburi a qualche migliaio di metri di profondità con il conseguente irreversibile impoverimento della risorsa idrica profonda oltre che l’aumentata vulnerabilità per la nuova esposizione rispetto all’ambiente esterno. In questo caso, possiamo anche aggiungere, serve ricordare lo stato della non evoluta conoscenza dei sistemi idrogeologici profondi sia a livello locale che regionale anche in riferimento all’interazione con i terremoti o quantomeno con le amplificazioni associate alle inevitabili crisi sismiche.
A conclusione di questa discussione si impongono alcune riflessioni: legislative, ambientali e culturali. La legislazione sulla tutela ambientale risulterebbe inadeguata per la salvaguardia degli ambienti profondi, si impone quindi una verifica approfondita e finalizzata ai singoli casi sulla necessità di dotarsi, anche a livello regionale, di normative per questi nuovi casi di impatto. Nel considerare gli impatti ambientali, come precedentemente discusso, risulterà estremamente importante dotarsi di strumenti per la previsione di scenari temporalmente proiettati per la gestione e la correlazione tra cause ed effetti. Dal punto di vista culturale ed etico dobbiamo considerare di consumare risorse non rinnovabili, come le acque profonde, le grotte carsiche, i calcari triassici, di realizzare quindi impatti irreversibili, senza prima aver attuato tutte quelle politiche e strategie di risparmio e tutela delle risorse come l’acqua, il suolo, i materiali inerti, senza valutare in definitiva fino in fondo le responsabilità di operare scelte forti e drastiche anche per le generazioni future.

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Terremoto e dissesti
by ---- Friday, Jul. 14, 2006 at 8:51 AM mail: ----

E che dire del dissesto idrogeologico di Alfi di Fiordimonte?(Macerata)-Che fine ha fatto il piano finanziato dallo Stato?
Da dove proviene l'acqua di Fiordimonte? Ho letto da qualche parte che l'acqua Rocchetta devii in alcune falde del borgo?Chi puo' confermarmelo?

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