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La nuova resistenza e la democrazia degli ipocriti
by dal manifesto Friday, Apr. 09, 2004 at 3:21 PM mail:

La nuova resistenza e la democrazia degli ipocriti.

Subito dopo l'occupazione, gli Stati uniti e i suoi alleati - quelli militari e quelli ideologici - parlavano della resistenza irachena come di «elementi stranieri», «terroristi» o «ex seguaci del regime di Saddam». Questa fraseologia ora è divenuta ridondante e i portavoce militari americani si riferiscono alla guerriglia definendola semplicemente «forze anti-irachene», come per suggerire che le truppe americane, inglesi, spagnole, bulgare, ucraine, italiane, giapponesi, sudocreane e polacche rappresentano l'Iraq mentre gli iracheni che resistono all'occupazione sono l'anti-Iraq. Strano mondo. Quando le menzogne utilizzate da Bush, Blair, Aznar e Berlusconi hanno perso ogni credito davanti all'opinione pubblica, ostinandosi a non farsi trovare le armi di distruzione di massa, gli uffici di propaganda di tutti questi paesi e i loro giornalisti favoriti hanno cambiato linea e hanno cominciato a dire: «Bene, forse non ci sono le armi, ma noi ci siamo liberati di un tiranno e abbiamo portato la democrazia in Iraq». Davvero? Democrazia? Pur lasciando da parte le molte migliaia di civili iracheni che sono morti e quelli che vengono uccisi in questi giorni, ogni discorso su una democrazia che abbia un minimo di significato è svanito. Il vecchio ideologo imperiale Samuel Huntington adesso parla del «paradosso democratico». Che animale è mai questo? Quando la democrazia non esprime quel che l'Occidente vuole che esprima, diventa un «paradosso». E per la democrazia capitalista oggi qualsiasi sfida all'ordine economico neo-liberale è un paradosso. Gli iracheni a cui non piace che il loro sistema di salute e d'educazione sia privatizzato, vivono «nel passato». Gli operatori iracheni che disdegnano le corporations entrate nel paese dopo l'occupazione sono «elementi arretrati». Quando gli affaristi stranieri vengono colpiti, gli iracheni di ogni classe (eccetto i collaborazionisti) gioiscono. Le compagnie straniere sono sentite come uno sciame di cavallette che vengono a divorare un paese occupato.

E' ovvio che se in Iraq la democrazia fosse infine consentita, i rappresentanti eletti insisterebbero per la rimozione di tutte le truppe non-irachene, per il controllo iracheno sul petrolio dell'Iraq e forse per un trattato di pace a lungo termine con l'Iran. Niente di tutto ciò si confà agli interessi imperiali. E Henry Kissinger e altri avvoltoi suggeriscono invece la balcanizzazione dell'Iraq. Di qui i discorsi su un'incombente guerra civile. Di qui la provocazione di bombardare i pellegrini a Kerbala (un crimine sconfessato da ogni gruppo in Iraq). Né i religiosi sunniti o sciiti né le forze laiche di origine sunnita o sciita parlano un linguaggio diverso da quello di un Iraq unito contro l'occupazione coloniale. L'ayatollah sciita Sistani si è incontrato con i leader sunniti enfatizzando l'unità del paese e in privato ha insistito che un modello clericale all'iraniana sarebbe un disastro per l'Iraq. Moqtada al-Sadr parla di liberare l'Iraq, non di un Iraq sciita.

Nelle ultime due settimane è divenuto chiaro che con l'eccezione dei leader kurdi, tutto il resto del paese è contro l'occupazione e vuole la sua fine immediata. All'interno dei gruppi religiosi sciiti è ora in corso una lotta aperta per conquistarsi l'appoggio delle masse dell'Iraq meridionale. La decisione delle forze d'occupazione di provocare gli abitanti di Falluja (solo due giorni prima che i quattro mercenari Usa fossero attaccati e brutalmente uccisi c'era stato un assalto dei marines e dei civili erano morti) è chiarissima. Perché mai il giornale di al-Sadr è stato chiuso dagli occupanti? Quando le parole sono proibite, le bombe prendono il loro posto. Quella a cui stiamo assistendo in Iraq è la logica di un'occupazione coloniale. Ascoltate le campane che suonano a Falluja e Bassora. In Italia esse suonano per quei giornalisti liberali o liberali «di sinistra» che denunciano la resistenza come «terrorista» quando soldati d'occupazione italiani finiscono sotto tiro. Ci vengono a dire che loro sono là per scopi «umanitari». Bene, adesso la maschera è saltata e il leader eletto dal popolo italiano ha detto che gli italiani in Iraq combatteranno per Bush e moriranno per Bush e uccideranno per l'Impero. E in una situazione come questa i Ds non hanno votato no ai crediti di guerra in parlamento. Contro la guerra ma non per la fine dell'occupazione? Il tentativo disperato di accreditarsi come un partito di centro, li spinge a destra dei socialisti spagnoli. Felicissimi di battere Sergio Cofferati e toglierlo di mezzo, ma riluttanti a sfidare seriamente il coinvolgimento di Berlusconi nella guerra. E poi i leader Ds si meravigliano se dei manifestanti contro la guerra esprimono la loro rabbia e la loro delusione.

Nel frattempo l'Iraq e i suoi abitanti continuano a soffrire. Il poeta Sinan Anton di recente ha letto a Baghdad una poesia che evoca l'atmosfera che si respira:

«L'Eufrate

è una lunga processione

Le città ne accarezzano le rive mentre le palme piangono».

La decisione di al-Sadr e dei suoi seguaci di unirsi alla resistenza ha spinto centinaia di migliaia di persone nelle strade e rappresenta una nuova sfida agli occupanti. E' inutile che gli occidentali versino lacrime ipocrite per l'Iraq o lamentino che la resistenza irachena non abbia gli alti standard del liberalismo occidentale. Di quale resistenza parlano? Quando una occupazione è ripugnante, la resistenza non può essere dolce, se non in un film hollywoodiano o in una commedia all'italiana. E se i partiti religiosi dominano nel sud dell'Iraq ciò è in parte dovuto al fatto che gli Stati uniti e la Gran Bretagna hanno appoggiato alcuni di loro negli ultimi dodici anni.

La soluzione, per molti del centro-sinistra, è di passare il controllo del paese alle Nazioni unite. Fu così già nel 1924 quando gli inglesi governavano l'Iraq attraverso un mandato della Lega delle nazioni, che essi stessi avevano imposto. Gli Stati uniti potrebbero facilmente ottenere un analogo mandato dal Consiglio di sicurezza e così sperare di poter mantenere le loro basi militari nel paese per altri vent'anni. Ma che cosa accadrà se questa soluzione diretta a perpetuare nel tempo il controllo pretendendo di far credere al mondo che i nativi hanno il controllo del loro paese, non dovesse funzionare? Si tornerebbe di nuovo ai bombardamenti e ai danni collaterali (le vite dei civili importano poco all'Occidente come abbiamo visto in Iraq e in Afghanistan)? Sì, potrebbe dire un buon liberale, ma forse che l'Onu non è meglio degli Usa? Non dipende da chi controlla e decide quel che le Nazioni unite fanno? E chi sarà a decidere?

Per i cittadini dei paesi i cui governi e leader hanno appoggiato la guerra, la priorità deve essere il castigo dei guerrafondai, sull'esempio degli spagnoli. Se Aznar sarà seguito nel Valhalla da Berlusconi, Blair e Bush sarà una vittoria importante. E allora noi dovremo montare una campagna perché i loro successori la facciano finita con l'occupazione. L'uso puro e semplice delle Nazioni unite potrebbe rivelarsi un pretesto per salvare la faccia. Nient'altro.


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