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Chi sono gli illuminati
by child Friday, May. 28, 2004 at 5:42 PM mail:

piani segreti dell'amministrazione Bush ria$$unti in poche linee

Chi sono gli illumin...
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Come dice la parola stessa gli Illuminati sono i portatori di luce,quelli che sanno,ma la loro luce è,apparentemente, Lucifero o Satana.Appartengono a tredici delle più ricche famiglie del mondo e sono i personaggi che veramente comandano il mondo da dietro le quinte.Vengono anche definiti la Nobiltà Nera,i Decision Makers,chi fa le regole da seguire per Presidenti e Governi.La loro caratteristica è quella di essere nascosti agli occhi del pubblico.Il loro albero genealogico va indietro migliaia di anni e sono molto attenti a mantenere il loro legame di sangue di generazione in generazione senza interromperla.Il loro potere risiede nell’occulto e nell’economia,uno dei loro motti è:“il denaro crea potere”.Possiedono tutte le Banche Internazionali,il settore petrolifero e tutti i più potenti settori industriali e commerciali;ma soprattutto sono infiltrati nella politica e comandano la maggior parte dei governi e degli organi Sovranazionali primi fra tutti l’ONU ed il Fondo Monetario Internazionale.Un esempio del loro modo di operare è l’elezione del Presidente degli Stati Uniti,chi tra i candidati ha più Sponsor sotto forma di soldi,vince le elezioni perché con questi soldi ha il potere di“distruggere”l’altro candidato.E chi è che sponsorizza il candidato vincente?Ovviamente gli Illuminati attraverso le loro molte organizzazioni di facciata,fanno in modo di finanziare entrambi i candidati,per mantenere il“gioco”vivo anche se loro hanno già deciso chi sarà il vincitore e a questo assicurano più soldi.I loro piani sono sempre lungimiranti,sembra che Bill Clinton sia stato preparato alla missione di Presidente dall’entourage degli Illuminati fin da quando era giovane.Qual è l’obiettivo degli Illuminati?Creare un Unico Governo Mondiale ed un Nuovo Ordine Mondiale.

da "i signori del mondo" - riv. Terzo Millennio 10/1999

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MASSONERIA
by CONTATTI CON L’EVERSIONE NERA Friday, May. 28, 2004 at 5:45 PM mail:

MASSONERIA:una società iniziatica di persone che professano la fraternità(i massoni)e si riconoscono tra loro per mezzo di segni ed emblemi.Si dividono in gruppi chiamati logge.Una leggenda vuole che la Massoneria sia stata originata da Hiram Abiff,architetto di Salomone

MASSONERIA:una società iniziatica di persone che professano la fraternità(i massoni)e si riconoscono tra loro per mezzo di segni ed emblemi.Si dividono in gruppi chiamati logge.Una leggenda vuole che la Massoneria sia stata originata da Hiram Abiff,architetto di Salomone, che già a quei t’empii aveva diviso i suoi operai in "apprendisti", "compagni" e "maestri".

I COLLEGAMENTI CON L’EVERSIONE

CONTATTI CON L’EVERSIONE NERA

Il periodo che corre tra il 1970 e il 1974 registra la proliferazione di movimenti extraparlamentari, la nascita di sempre nuove organizzazioni eversive paramilitari o terroristiche, la moltiplicazione di gravi delitti politici - secondo forme affatto nuove per il Paese - la rinnovata virulenza della malavita comune e delle sue organizzazioni criminali.
Sono questi gli avvenimenti che formano il quadro entro cui si sviluppa quella che venne definita la "strategia della tensione", favorita dalla crisi economica e dalla crescente instabilità del quadro politico.
Quegli anni, oltre ad essere caratterizzati, come abbiamo già visto, dall'intensa opera di politicizzazione della loggia svolta da Licio Gelli, si contraddistinguono anche per i collegamenti che ci è consentito di identificare tra Licio Gelli, la Loggia P2, suoi qualificati esponenti ed il complesso mondo dell'eversione nera.
Dal materiale in possesso della Commissione si trae infatti la ragionata convinzione, condivisa peraltro da organi giudiziari, che la Loggia P2 attraverso il suo capo o suoi esponenti (le cui iniziative non possono considerarsi sempre soltanto a titolo personale) si collega più volte con gruppi ed organizzazioni eversive, incitandoli e favorendoli nei loro propositi criminosi con una azione che mirava ad inserirsi in quelle aree secondo un disegno politico proprio, da non identificare con le finalità, più o meno esplicite, che quelle forze e quei gruppi ponevano al loro operato.
Al fine di procedere ad una lettura politica di queste relazioni e di questi collegamenti è d'uopo individuare entro la vasta mole di materiale documentale - peraltro ampiamente incompleto: né altrimenti poteva essere, in considerazione della vastità dell'argomento - che alla Commissione è pervenuto, alcuni episodi che si ritengono più significativi ai fini della nostra indagine, secondo il
metodo di analisi espresso nell'introduzione al presente lavoro.
Prima tra tali situazioni nelle quali appare sicuramente documentato un coinvolgimento significativo di Licio Gelli e di uomini della loggia, è il cosiddetto golpe Borghese, attuato nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, sotto la spinta degli esponenti oltranzisti del Fronte Nazionale, i quali avevano da ultimo prevalso all'interno dell'organizzazione.
La vicenda ha registrato un lungo e non facile iter processuale, concluso con sentenza passata in giudicato, sul cui esito non è qui il caso di entrare, perché ai fini che a noi interessano quel che più preme è porre l'accento su alcuni aspetti sicuramente documentati che suffragano l'ipotesi prospettata della collusione esistente tra esponenti della loggia con questa situazione eversiva, tale da consentire una valutazione attendibile del rilievo concreto che tali contatti ebbero a rivestire.
E’ così dato rilevare prima di tutto come molti dei personaggi che nel golpe ebbero un ruolo non secondario appartengano alla Loggia P2 o alla massoneria: così infatti troviamo tra gli attori di quella vicenda Vito Miceli, Duilio Fanali, Sandro Saccucci (da più fonti indicato come appartenente alla massoneria) assieme ad altri imputati del golpe quali Lo Vecchio, Casero, De Jorio, che tutti figurano nelle liste di Castiglion Fibocchi. Altre fonti poi riconducono alla massoneria sia Salvatore Drago, accusato di aver disegnato la pianta del Ministero dell'interno, sia il costruttore Remo Orlandini, che l'ispettore Santillo, nella sua terza nota informativa, indica più specificamente come appartenente alla Loggia P2.
Questo primo dato di palese riscontro è suffragato da ulteriori testimonianze, anche documentali, dalle quali si evince come ambienti massonìci si fossero posti in posizione di collateralità o fiancheggiamento con i gruppi che al Borghese facevano capo. Esplicita in questo senso la lettera di Gavino Matta (comunione di Piazza del Gesù) al principe Borghese: "Caro Comandante, debbo comunicarle che la Loggia non intende assecondare la sua iniziativa, essendo per principio fondamentalmente contraria ai metodi violenti. Con la presente, pertanto, vengo autorizzato ad annullare ogni precedente intesa...".
Questi elementi di indubbio riscontro fanno da cornice a situazioni di più puntuale incisività in ordine al ruolo che due personaggi quali Licio Gelli ed il Direttore del SID, Vito Miceli, ebbero a ricoprire durante e dopo il golpe. Come noto, punto cruciale di quella vicenda fu l'inopinato, per gli esecutori, arresto delle operazioni già avviate: Orlandini, stretto collaboratore del Borghese, dirà che non poca fatica gli costò correre ai ripari per fermare quei gruppi che già erano entrati in azione. Lo sconcerto provocato tra i congiurati da quella improvvisa inversione di marcia è del resto ben testimoniato dalla reazione di Sandro Saccucci, che poche settimane dopo ebbe ad esprimere l'auspicio che il responsabile venisse "preso", distinguendo nella vicenda la posizione dei golpisti da quella di "altre piccole manichette, più o meno in divisa". Numerose comunque sono le testimonianze dalle quali si evince la convinzione diffusa tra quanti avevano a vario titolo preso parte all'operazione "che qualcosa non aveva funzionato", o, come affermò Mario Rosa, stretto collaboratore di Borghese "...è la valvola di testa che non ha concorso a quello che doveva concorrere…".
Recentemente alcune deposizioni di appartenenti agli ambienti dell'eversione nera consentono di indirizzare l'attenzione direttamente su Licio Gelli in relazione al contrordine operativo che paralizzò l'azione insurrezionale. Si hanno infatti testimonianze secondo le quali il Venerabile era ritenuto elemento determinante nel contrordine: tale il convincimento di Fabio De Felice, il quale ne fece parte ad un giovane adepto, Paolo Aleandri, che poi provvide a mettere in contatto con Licio Gelli. L'incarico era quello di tenere i contatti tra questi e l'avvocato De Jorio, allora latitante a Montecarlo; e in tale veste l'Aleandri ebbe numerosi incontri con Licio Gelli, che si sarebbe prodigato per "alleggerire" la posizione processuale degli imputati. Le deposizioni dell'Aleandri - che trovano conferma in quelle di altri elementi quali Calore, Sordi, Primicino - hanno il pregio di fornire la prova del contatto diretto tra Licio Gelli e quegli ambienti, aggiungendo un riscontro preciso alle considerazioni generali già espresse.
E’ stato altresì testimoniato che Licio Gelli teneva il contatto con ufficiali dei carabinieri, e certo è che tra i congiurati era diffusa l'opinione che ambienti militari sostenevano o quanto meno tolleravano l'operazione. Certo, il Borghese si esprimeva nel suo proclama con decisione: "Le Forze Armate sono con noi".
A loro volta questi elementi ben si inquadrano nel contesto di una serie di deposizioni dalle quali emerge come la generazione immediatamente successiva a quella direttamente coinvolta nel golpe Borghese vedeva nel Gelli l'espressione di ambienti "che in forma più o meno palese venivano contattati, però non con l'esplicita richiesta di aderire ad un golpe, quanto per avvicinarli a posizioni che implicassero un loro consenso per una svolta autoritaria o comunque per una democrazia forte". Tale almeno l'interpretazione di Fabio De Felice.
Sta di fatto che nell'analisi che questa generazione forniva di quegli eventi si assumeva che un'opera di strumentalizzazione fosse poi stata messa in atto proprio dal Gelli e da coloro che gli erano vicino. Per tali considerazioni venne prospettata persino l'eventualità di eliminare fisicamente il Venerabile della Loggia P2, segno questo che la presenza di Gelli in quegli ambienti aveva assunto un rilievo non secondario, incidendo sulla loro operatività con conseguenze che venivano valutate come deleterie per l'organizzazione.
Accanto alla figura di Licio Gelli, un altro elemento di spicco nell'analisi di questa vicenda è costituito dal generale Vito Miceli, direttore del SID dal 1970 al 1974. In proposito quello che a noi interessa è rilevare come sia accertata l'esistenza di contatti tra il generale Miceli, allora nella sua veste di capo del SIOS, Orlandini e Borghese, contatti da far risalire al 1969, epoca nella quale il
generale entra nella Loggia P2. Tali eventi si accompagnano significativamente alla sua nomina al vertice dei Servizi, che il Gelli si vantò, come sappiamo, di aver favorito e che precede di poco il tentativo insurrezionale guidato dal principe nero.
Contatti aveva altresì il generale Miceli con Lino Salvini, al quale aveva consentito di mettersi in contatto con lui sotto lo pseudonimo di "dottor Firenze".
Questi dati, unitariamente considerati, vanno letti in parallelo con la successiva inerzia del generale nei confronti delle indagini sul Fronte Nazionale, condotte dal reparto D guidato dal generale Maletti. Con questi il Miceli entrò poi in contrasto, avendo richiesto lo scioglimento del nucleo operativo facente capo al capitano La Bruna; e va a tal proposito sottolineata la svalutazione che il direttore del SID faceva dei risultati investigativi raggiunti sul golpe, come non mancò di esternare all'onorevole Andreotti e all'ammiraglio Henke.
Gli elementi conoscitivi indicati, che non esauriscono di certo una situazione oggetto di una contrastata vicenda giudiziaria, debbono essere a questo punto del discorso inquadrati nell'ambito delle considerazioni alle quali siamo pervenuti analizzando il rapporto tra Gelli ed i Servizi segreti.
Il dato relativo all'appartenenza di Licio Gelli a quegli ambienti va considerato alla luce delle successive attività che vedono il Venerabile impegnato a venire in soccorso degli imputati, svolgendo un'azione che si muove significativamente in perfetta sintonia con la documentata inerzia del Direttore del SID. Il minimo che si possa dire è che questi non sembra aver seguito con
particolare accanimento le indagini sul Fronte Nazionale, pur avendo avuto contatti diretti con i suoi massimi dirigenti.
Contatti che peraltro egli aveva giustificato proprio con la necessità di acquisire informazioni, nella sua veste di dirigente di apparati informativi. E’ del pari in tale prospettiva che vanno valutate sia le diffuse convinzioni maturate nell'ambiente golpista sul ruolo di Licio Gellí, quale cerniera di raccordo con gli ambienti militari, che il risentimento maturato per il fallimento dell'operazione.
Come si vede, anche muovendo da questa situazione l’analisi ci conduce alla figura di Licio Gelli, al suo ruolo di elemento intrinseco ai Servizi, come del resto riteneva il De Felice, ma soprattutto alla individuazione della Loggia P2 come struttura nella quale ed attraverso la quale si intrecciano rapporti e si stabiliscono collegamenti la cui ortodossia lascia ampi margini di dubbio, anche
accedendo alla più benevola delle valutazioni.
Elementi di estremo interesse ai nostri fini emergono poi dalla inchiesta condotta dal giudice Tamburino di Padova sul movimento denominato Rosa dei Venti, nel quale troviamo la presenza di uomini iscritti al "Raggruppamento Gelli", secondo quanto affermato dall'ispettore Santillo nelle sue note informative. Venivano in tali documenti considerati come appartenenti all'organizzazione gelliana il generale Ricci, Alberto Ambesi e Francesco Donini. L'inchiesta sulla "Rosa dei Venti" si segnala peraltro alla nostra attenzione per due testimonianze raccolte dal giudice patavino che rivestono per noi un sicuro interesse se poste in relazione ad altri
elementi conoscitivi emersi nel corso del nostro lavoro.
Va ricordato in primo luogo che il giornalista Giorgio Zicari ha testimoniato di aver collaborato con l'Arma dei carabinieri e con i Servizi segreti, entrando in contatto nel 1970 con Carlo Fumagalli e Gaetano Orlando, elementi di spicco del gruppo dei MAR, ed ottenendo da costoro informazioni per i detti apparati investigativi.
Quando nel 1974 lo Zicari venne riservatamente convocato dal giudice Tamburino, gli accadde di ricevere nel giro di poche ore l'invito ad un colloquio con il generale Palumbo nel corso del quale l'alto ufficiale ebbe ad esprimersi nei seguenti termini: "...il tema centrale fu che io non dovevo parlare, che poteva succedermi qualcosa, dei fastidi, che io avevo tutto da perdere dalla vicenda, che i magistrati stavano tentando di sostituirsi allo Stato, riempendo un vuoto di potere, che non si sapeva che cosa il giudice Tamburino volesse cercare, che non ero obbligato a testimoniare...".
Questa iniziativa del generale Palumbo viene a collocarsi in modo preciso a sostegno della già ricordata osservazione del generale Dalla Chiesa sulla collaborazione non particolarmente motivata degli ambienti della divisione Pastrengo nell’azione che il generale conduceva contro il terrorismo. Va altresì rilevato che l'atteggiamento del generale Palumbo riporta alla nostra attenzione il tipo di risposta che l'ammiraglio Casardi, direttore del SID, forniva ai giudici che indagavano sulla strage dell'Italicus quando si rivolsero al Servizio per ottenere notizie su Licio Gelli, ottenendo un rinvio alle notizie apparse sulla stampa.
Sempre nel corso del 1974 il giudice Tamburino raccolse alcuni riferimenti testimoniali sul cosiddetto SID parallelo, il cui procedimento si chiuse infine con la richiesta di archiviazione formulata dal Procuratore della Repubblica di Roma, accolta dal giudice istruttore in data 22 febbraio 1980.
E’ di particolare interesse, nel contesto di tali deposizioni, quanto ebbe a dichiarare il generale Siro Rossetti, uscito nel 1974 dalla Loggia P2 in posizione polemica nei confronti di Licio Gelli.
L'alto ufficiale in ordine al problema dell'esistenza di un'organizzazione parallela ai Servizi affermò: "...la mia esperienza mi consente di affermare che sarebbe assurdo che tutto ciò non esistesse..." ed ancora "...a mio avviso l'organizzazione è tale e talmente vasta da avere capacità operative nel campo politico, militare, della finanza, dell’alta delinquenza organizzata...".
Questa descrizione letta oggi sulla base delle conoscenze acquisite in ordine alla Loggia P2, non può non porsi per noi quale motivo di seria riflessione, soprattutto quando si ponga mente alla sua provenienza da parte di un elemento che conosceva la loggia direttamente dall'interno e che professionalmente si occupava di servizi di informazione.
Passando ad altro argomento di ben più impegnativo rilievo, ricordiamo che i gruppi estremistici toscani compirono parecchi degli attentati (specialmente ai treni) che funestarono l'Italia tra il 1969 e il 1975. Il generale Bittoni (P2), comandante la brigata dei Carabinieri di Firenze, iniziò a svolgere indagini, cercando di dare impulso all'inc ........

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Quante ore avrai dedicato a questa indagine...
by orso arso Friday, May. 28, 2004 at 5:48 PM mail:

Non importa,bello comunque!



http://italy.indymedia.org/news/2003/04/266325_comment.php#266341

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vari articoli dedicati alla 'libera muratoria'
by operaio mobilitato ma per niente 'libero' Friday, May. 28, 2004 at 5:59 PM mail:

L'organizzazione ispirata e guidata da Licio Gelli, denominata Loggia Propaganda Due, nasce e si sviluppa nell'ambito della maggiore comunione massonica esistente in Italia: il Grande Oriente di Italia di Palazzo Giustiniani. Si rende pertanto necessaria una breve disamina della presenza massonica nel nostro paese e delle sue strutture al fine di comprendere e valutare nella sua esatta dimensione il fenomeno della Loggia massonica P2, oggetto di un apposito provvedimento di scioglimento votato dal Parlamento.
La massoneria italiana si compone di due maggiori organizzazioni o "famiglie", comunemente indicate con il sintetico riferimento alla sede storicamente occupata, come di Palazzo Giustiniani e di Piazza del Gesù; questa si configura a sua volta come promanazione della prima a seguito di una scissione intervenuta nel 1908, in ragione di contrasti attinenti l'atteggiamento da assumere
sulla legislazione concernente l'insegnamento religioso nelle scuole.
Accanto a questi due gruppi di rilievo nazionale - la cui consistenza è valutabile tra i 15-20 mila iscritti per Palazzo Giustiniani e tra i 5-10 mila per Piazza del Gesù - sono presenti altri minori gruppi locali con una consistenza valutabile, per ognuno di essi, nell'ordine di alcune centinaia di iscritti.
Prendendo in esame le due organizzazioni principali. va messo in rilievo, ai fini che qui interessano, che il modello strutturale assunto è quello di una distribuzione degli iscritti secondo una scala gerarchica modulata per gradi. Questa scala gerarchica conosce una divisione fondamentale tra Ordine, comprendente i primi tre gradi, e Rito, comprendente i gradi dal quarto al trentatreesimo, talché, mentre tutti coloro che fanno parte del Rito sono necessariamente membri dell'Ordine, non necessariamente vale l'assunto contrario. Trattasi in altri termini di due livelli collegati ma non coincidenti, l'uno sopraordinato all'altro secondo un modello di struttura
verticalizzata che presiede a tutta l'organizzazione massonica, all'interno della quale poi la mobilità degli iscritti nella gerarchia è regolata dalla stretta applicazione del principio di cooptazione che determina ogni passaggio di grado, nonché l'ingresso nell'Ordine e poi nel Rito.
Gli iscritti, a loro volta, sono raggruppati in logge aventi base territoriale; e la domanda di iscrizione ad una loggia è requisito fondamentale per l'ingresso di un "profano" nella massoneria, per cui, in linea di principio, non si può appartenere alla massoneria se non attraverso il momento comunitario della iscrizione ad una loggia. La massoneria di Palazzo Giustiniani con altre "famiglie" contemplava, oltre a tale situazione, la possibilità di accedere all'Ordine per iniziazione operata direttamente dal responsabile supremo - il Gran Maestro - senza pertanto sottostare alla votazione che sancisce l'ingresso dell'iniziando nell'organizzazione. I "fratelli" che venivano iniziati "sul filo della spada" si venivano pertanto a trovare in una posizione particolare ("all'orecchio" del Gran Maestro) sia per non avere una loggia di appartenenza, sia per il carattere riservato della loro iniziazione, intervenuta al di fuori delle ordinarie forme di pubblicità statutariamente previste; essendo pertanto la loro iniziazione nota solo all'organo procedente, il Gran Maestro, tali iscritti venivano designati come "coperti" ed inseriti d'ufficio in una loggia anch’essa "coperta" comprendente, per l'appunto, la lista degli iscritti noti solo al Gran Maestro.
Tale loggia veniva designata come loggia "Propaganda"; ogni loggia poi essendo contrassegnata da un numero oltre che da un nome, la loggia "Propaganda" avrebbe avuto in sorteggio il numero due. Tale almeno è la spiegazione fornita dai responsabili massonici sull'origine di questa denominazione.
Dalla vasta documentazione acquisita dalla Commissione nell'ambito di operazioni di perquisizione e di sequestro di documenti, secondo i poteri attribuiti dalla legge, è emerso che il fenomeno della "copertura" era comune alle altre famiglie ed interessava sia singoli iscritti che intere logge, rivestendo portata più ampia di quanto non rappresentato in questa prima schematica descrizione.
E’ accertato che, sia in sede centrale che in sede periferica, era assai frequente l'uso di denominazioni fittizie per mascherare verso l'esterno, verso il mondo "profano", la presenza di strutture massoniche. Così ad esempio era prassi consueta intitolare a generici Centri studi i contratti dì affitto per i locali necessari all'attività della loggia; ed è dato rilevare come gli statuti di tali organismi non contenessero alcun riferimento alla massoneria e alle attività massoniche nel designare l'oggetto dell'attività dell'ente, salvo poi riscontrare una perfetta identità personale tra gli iscritti al Centro studi ed i membri della loggia. Nella linea del fenomeno descritto si poneva pertanto il Gelli quando intestava le varie sedi successivamente occupate dalla Loggia P2 ad un Centro studi di storia contemporanea che fungeva, anche a fini di corrispondenza tra gli iscritti, da copertura per l'organismo massonico da lui guidato. La tecnica impiegata realizzava una forma di copertura rivolta verso l'esterno, verso il mondo "profano", accanto alla quale deve essere
esaminata una seconda forma di copertura rivolta in tutto od in parte all'interno della stessa organizzazione. Sono stati infatti rinvenuti documenti che fanno riferimento a logge coperte periferiche, ad una loggia coperta nazionale numero uno (presso l'organizzazione di Piazza del Gesù), ad un Capitolo nazionale riservato (presso il Rito Scozzese Antico ed Accettato di
Palazzo Giustiniani).
Sono stati inoltre acquisiti registri di appartenenti a logge (piedilista) nei quali gli iscritti venivano elencati invece che con il proprio nome, con soprannomi o pseudonimi di copertura. La documentazione in possesso della Commissione, ancorché frammentaria, testimonia in modo certo un modus procedendi all'interno delle organizzazioni massoniche improntato a connotazioni di riservatezza volte a salvaguardare le attività degli iscritti, o di alcuni settori, dall'indiscrezione e dall'interessamento non solo degli estranei all'istituzione, ma anche a parte, maggiore o minore, degli stessi affiliati alla comunione. Tale costume di vita associativa è stato dai massimi responsabili della massoneria rivendicato come una forma di riservatezza propria dell'istituzione, motivata dal rinvio ai contenuti esoterici che sarebbero propri della dottrina massonica, nonché dal richiamo a situazioni storiche di persecuzione degli affiliati. Ai fini che interessano nella presente relazione, va posto in rilievo che i fenomeni di copertura indicati erano comunque largamente invalsi nella vita delle varie famiglie massoniche con riferimento al periodo anteriore alla legge di scioglimento della loggia P2 e traevano alimento, oltre che nelle ragioni storiche addotte, largamente superate al presente, nell'assenza di un preciso quadro di riferimento normativo che desse attuazione alla norma costituzionale in materia di libertà di associazione. E’ sintomatico peraltro che, posteriormente all'approvazione della legge di scioglimento della Loggia P2, gli elementi più sensibili della massoneria si siano posti il problema della ortodossia di tali modelli organizzativi, risolvendolo nel senso di alcune modifiche statutarie, con la conseguente soppressione di organismi quali il Capitolo riservato e la Loggia nazionale coperta numero uno, come avvenuto presso la comunione di Piazza del Gesù.
Accanto alla connotazione della riservatezza altra peculiarità dell'organizzazione massonica generalmente considerata, sulla quale soffermare l'indagine, è quella dello spiccato interessamento delle varie comunità massoniche verso le attività del mondo "profano". Se è pur vero che uno dei Iandmarks fondamentali della originaria massoneria inglese, che fungono da pietra miliare per le comunità massoniche di tutto il mondo, contiene il divieto di occuparsi di questioni politiche, una abbondante documentazione in possesso della Commissione dimostra che l'attività delle logge non è volta soltanto allo studio ed all'approfondimento di questioni esoteriche, ma abbraccia un vasto campo di interessi che trovano il loro momento di unificazione nella pratica massonica della solidarietà tra fratelli. La solidarietà esplica la sua funzione per le attività dell'affiliato nel mondo "profano", giungendo sino all'appoggio esplicito per i fratelli candidati, formalizzato in circolari tra gli iscritti, in occasione di consultazioni elettorali. Particolarmente significativo al riguardo è l'esempio di un modello organizzativo verificato presso la comunione di Piazza del Gesù: le camere tecniche professionali. Si tratta di organismi settoriali che, su iniziativa e propulsione del centro, raccolgono gli iscritti in ragione della professione esercitata. Viene pertanto affiancato al modello delle logge, che funzionano su base territoriale ed interprofessionale, un sistema di raggruppamento degli affiliati parallelo alla struttura delle logge ed organizzato su base nazionale, avente quale momento unificativo gli interessi e le attività "profane".
Secondo tale schema troviamo così raggruppati i medici, i professori universitari e i militari, esempio questo degno di particolare attenzione, ove si consideri che la relativa "camera" rivestiva carattere di riservatezza. Va peraltro posto in rilievo che una ragione non ultima della pluralità di famiglie massoniche esistenti va probabilmente ricercata - oltre che in ragioni dì ordine puramente teorico - in una diversa consonanza di opinioni e di interessi in materie estranee alle questioni di esclusivo profilo esoterico. La stessa massoneria d'altronde rivendica a proprio merito l'aver rivestito un ruolo importante in vicende storiche del nostro paese, anche se, purtroppo, osta ad una esatta valutazione di tali affermazioni il carattere di riservatezza della istituzione, di cui si è trattato.
Nasce da questa propensione all'intervento nelle attività "profane" ed in essa trova ragione di esistere, l'istituto tipicamente massonico della "solidarietà" tra gli affiliati, ovvero della mutua assistenza che essi si garantiscono nell'esercizio delle loro attività professionali e comunque delle vicende personali estranee alla vita associativa. La solidarietà tra fratelli rappresenta l'estensione al
di fuori della comunione del vincolo associativo, che viene di tal guisa ad esplicare una efficacia di rilevante portata e nel contempo di difficile valutazione, attesa la riservatezza che gli affiliati mantengono nel mondo "profano" sull'esistenza del rapporto di reciproco affratellamento. La solidarietà massonica sanzionata in forma solenne al momento dell'iniziazione, costituisce infatti un elemento che potrebbe in sé considerarsi non solo legittimo ma perfettamente naturale, poiché appare. logico che individui che dichiarino di condividere i medesimi convincimenti morali ed esistenziali in ordine ai problemi fondamentali dell'uomo si sentano legati da un forte vincolo che per l'appunto viene chiamato "fraterno".
Quello che induce non poche perplessiità nell'osservatore esterno l'accentuata riduzione in termini pratici e concreti di tale affratellamento e la sua coniugazione con un radicato costume di riservatezza. Non è in altri termini la solidarietà in sé e per sé considerata a destare legittime riserve, quanto piuttosto la sua non avvertibilità sociale. Una avvertibilità che tanto più dovrebbe
essere consentita quanto più chi ne è protagonista attribuisce ad essa effetti, di immediato rilievo terreno.
In definitiva e per concludere sembra doversi rilevare il rischio che la solidarietà massonica, quando si traduca in una occulta agevolazione di successi personali, possa rendersi incompatibile con non poche regole della società civile, specie quando tale forma di solidarietà operi all'interno di carriere pubbliche.
Ultima connotazione di ordine generale utile ai nostri fini è la rilevanza dell'aspetto internazionale della massoneria, che si pone come un contesto di organizzazioni nazionali fortemente legate tra di loro secondo due schieramenti, che, per quanto concerne l'Europa, possono identificarsi in una parte a primazia britannica verso la quale è orientata la comunione di Palazzo Giustiniani, ed una parte di orientamento cosiddetto latino egemonizzata dalla massoneria francese, alla quale si ispira la famiglia di Piazza del Gesù. In un più ampio contesto argomentativo si può dire che la massoneria vive sotto l’egida del mondo anglosassone, nell'ambito del quale il primato attribuito agli inglesi per motivi di tradizione è confrontato dalla grande potenza organizzativa della massoneria nord americana.
Ai nostri fini il dato che viene particolarmente in luce è la connessione tra la massoneria statunitense e la comunione di Palazzo Giustiniani. Traccia di questi legami si rinviene nella presenza di tale Frank Gigliotti in momenti particolarmente qualificati nella storia recente della comunione di Palazzo Giustiniani.
L'artefice del primo riconoscimento del Grande Oriente da parte della prestigiosa Circoscrizione del Nord degli USA (il iconoscimento da parte della Gran Loggia Unita di Inghilterra verrà soltanto nel 1982) fu infatti nel 1947 Frank Gigliotti, già agente della Sezione italiana dell'OSS dal 1941 al 1945, e quindi agente della CIA.
Più tardi Gigliotti fu presidente del "Comitato di agitazione" costituitosi negli Stati Uniti per rispondere all'appello lanciato dai fratelli del Grande Oriente impegnati nella contestata opera di riappropriazione della casa massonica di Palazzo Giustiniani confiscata durante il periodo fascista, a seguito dello scioglimento autoritario dell'istituzione. Il compromesso tra il Grande Oriente e lo
Stato italiano, patrocinato dai fratelli americani, fu siglato il 7 luglio 1960. L'atto di transazione fu sottoscritto dal ministro delle finanze Trabucchi e dall'allora Gran Maestro Publio Cortini, e vedeva presenti, al tavolo della firma di una stipula tutta italiana, l'ambasciatore americano, J. Zellerbach, e Frank Giglíotti.
Sempre nel 1960 i fratelli americani intervennero attraverso il Gigliotti nell'operazione di unificazione del Supremo Consiglio della Serenissima Gran Loggia degli ALAM del principe siciliano Giovanni Alliata di Montereale (il cui nome sarà legato alle vicende del golpe Borghese, a quelle della Rosa dei Venti, alle organizzazioni mafiose), poi finito nella Loggia P2, con il Grande Oriente. Sembra che quella dell'unificazione del Grande Oriente con la massoneria di Alliata, di forte accentuazione conservatrice, sia stata la condizione posta da Gigliotti in cambio dell'intervento americano nelle trattative con il Governo italiano concernenti il Palazzo Giustiniani.
L'unificazione comportò l'estensione al Grande Oriente del riconoscimento che aveva già dato alla Serenissima Gran Loggia di Alliata la Circoscrizione Sud degli USA, nonché numerosi elementi di prestigio nell'ambiente massonico. Non solo si deve rilevare, secondo quanto emerge da queste vicende, che il progetto di unificazione della massoneria italiana sembra corrispondere ad interessi non esclusivamente autoctoni, ma risalta altresì alla nostra attenzione la comparsa di Gelli sulla scena quando Gigliotti scompare, secondo una successione di tempi ed una identità di funzioni che non può non colpire significativamente. Si deve infine sottolineare come la denegata giustizia - nella quale sostanzialmente si concretò la mancata restituzione del palazzo confiscato dal fascismo - ebbe l'effetto di rendere la massoneria italiana indebitamente debitrice di quella nord americana.
Nell'ambito del quadro sinora sinteticamente tracciato va vista e studiata l'attività di Licio Gelli e della Loggia Propaganda Due, mirando ad accertare quanto di tale fenomeno sia addebitabile all'impulso organizzativo ed alla intraprendenza personale del Gelli, ed in tal caso con la protezione e l'appoggio di quali organi e di quali personaggi nell'ambito dell'ambiente massonico o eventualmente estranei ad esso. Quanto qui preme riassuntivamente segnalare è che l'organizzazione e l'attività massonica sembrano contrassegnate, ai fini che al nostro studio interessano, dall'adozione di forme di riservatezza, interne come esterne, sia della vita associativa, che dell'appartenenza individuale. Tale riservatezza si appalesa poi come posta a tutela, oltre che dell'attività di indagine esoterica propria dell'istituzione, di attività volte eminentemente ad intervenire in vario modo nella vita extra-associativa degli iscritti, in applicazione della pratica della solidarietà tra fratelli.

I RAPPORTI CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Una trattazione sull'argomento - svolta nel più ampio contesto della disamina dei mezzi di penetrazione impiegati dalla Loggia P2 per l'attuazione dei suoi fini - richiede una preliminare chiarificazione relativa alla mancanza di un piano operativo elaborato dalla loggia medesima con riferimento alla pubblica amministrazione nel suo complesso: si vuol cioè dire che nei documentiprogrammatici acquisiti e segnatamente nel piano di rinascita democratica non si rinvengono enunciazioni di principio o proposte di riforma circa il ruolo che avrebbe dovuto ricoprire l'amministrazione dello Stato. Vi è al riguardo soltanto un accenno quando si auspica, con un
riferimento poco chiaro, una riforma di quel settore dello Stato "fondata sulla teoria dell'atto pubblico non amministrativo"; ed inoltre si formulano generiche indicazioni sulla necessità di tener separata la responsabilità politica da quella amministrativa e di sostituire il sistema del silenzio-rifiuto con quello del silenzio-consenso.
Queste due ultime prospettazioni possono verosimilmente interpretarsi la prima come esigenza di affermazione di una classe di tecnocrati in contrapposizione alla categoria degli esponenti politici - secondo un'idea ricorrente nei documenti della loggia - e la seconda come potenziamento dei diritti e delle facoltà dei privati in confronto alle prerogative della pubblica amministrazione.
Trattasi dunque di formulazioni programmatiche generiche e di segno non univoco, talché è lecito desumerne che ai fini della attuazione del disegno politico della Loggia P2 - e della definizione della sua strategia di intervento - alla pubblica amministrazione non viene sostanzialmente riconosciuto un ruolo particolare, né si delineano ipotetici cambiamenti della struttura, della funzione e dei meccanismi operativi della medesima, contrariamente a quanto risulta documentato per il Parlamento, il Governo, la magistratura e altre istituzioni dello Stato. Vedremo in seguito il valore da attribuire alla proposta di reintrodurre l'ufficio dei segretari generali dei ministeri.
Risulta quindi più interessante e significativo cercare la risposta al quesito che i due termini (Loggia P2 e pubblica amministrazione) sottendono, con l'analisi degli elenchi, per meglio approfondire il collegamento con le singole persone degli iscritti alla loggia appartenenti alla pubblica amministrazione e le ragioni della loro affiliazione, verificando, se ed in che modo, le attività di costoro e gli uffici ricoperti, siano rilevanti ai fini dell'indagine che l'articolo 1 della legge istitutiva ha devoluto a questa Commissione.
Per meglio delimitare il campo dell'analisi strutturale dell'elenco, deve poi chiarirsi che la locuzione "pubblica amministrazione" viene qui intesa nel suo più estensivo significato fino a ricomprendere non solo le amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e gli enti pubblici, ma anche le società gli istituti e le aziende a partecipazione statale e le banche, con la sola esclusione dei ministri e sottosegretari per i quali si valuta come prevalente la qualificazione politica e dei quali si fa perciò menzione in altro luogo della relazione.
Considerando i ministeri, si rileva che quello dell'interno ha un organico di diciannove iscritti tra i quali quattro questori (Palermo, Cagliari, Salerno, Treviso), tre prefetti (Brescia, Pavia, Commissario governativo per la regione veneta), tre vice questori (Trapani, Genova, Arezzo), un ispettore di Pubblica Sicurezza (per il Piemonte e la Valle d'Aosta), un direttore dei servizi di polizia di frontiera, un direttore della squadra mobile di Palermo, tre commissari di Pubblica Sicurezza (Roma, Arezzo, Montevarchi).
Per il Ministero degli Affari Esteri si contano quattro affiliati di cui un ambasciatore a capo della segreteria generale e un direttore della ragioneria centrale; per il Ministero dei Lavori Pubblici e per quello della pubblica istruzione, rispettivamente, quattro e trentaquattro elementi; per il ministero delle Partecipazioni Statali ventuno iscritti così divisi: diciassette dipendenti IRI e quattro dipendenti ENI; il ministero del Tesoro, ivi comprese le banche, può contare un organico di sessantasette unità; del ministero della Sanità si rinvengono tre iscritti, tra cui i primi dirigenti della divisione I (affari generali) e della divisione VI (professioni sanitarie); per il ministero dell'Industria e Commercio risultano affiliati tredici elementi, di cui il vice presidente del CNEN, un direttore generale, l'amministratore delegato dell'INA e il primo dirigente del ruolo di personale dell'energia nucleare NATO a Bruxelles; nel ministero delle Finanze si contano cinquantadue affiliati, mentre per quello di Grazia e Giustizia ve ne sono ventuno (compresi i magistrati).
Seguono poi i ministeri con scarsa rappresentatività di iscritti tra i loro dipendenti, quali quello dell'Agricoltura con uno, quello dei Trasporti con due, quello del Lavoro con uno, quello del Commercio con l'Estero con due (tra cui il direttore della SACE), quello dei Beni Culturali con quattro, quello per il coordinamento della Ricerca Scientifica e Tecnologica con tre (tra cui il direttore del CNR), quello per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno con uno, quello della Marina Mercantile con due, quello per gli Affari Regionali con uno.
Con riferimento agli altri enti o istituti diversi dai ministeri, si rilevano i seguenti dati: l'INPS conta tre iscritti, come pure la Corte dei Conti, mentre l'Avvocatura generale dello Stato e il Consiglio di Stato vantano un iscritto ciascuno. Per la Presidenza della Repubblica si annoverano tre affiliati.
Riepilogando, l'organigramma complessivo della infiltrazione dalla loggia negli apparati pubblici ammonta a ben quattrocentoventidue effettivi, divisi nelle varie amministrazioni e situati ai diversi livelli gerarchici, onde poter garantire la riuscita degli interventi di Galli o di altri affiliati nei settori di rispettiva competenza.
Dagli elementi sopra menzionati emerge dunque una presenza penetrante e capillare di uomini della Loggia P2 in praticamente tutti i settori della pubblica amministrazione, diretta ed indiretta, compresi gli enti a partecipazione statale. Si osserva però come Gelli e la Loggia P2 curassero in modo particolare la penetrazione in alcuni settori maggiormente determinanti per la vita e la politica dello Stato.
Già in altra parte della relazione si è descritta la penetrazione nelle forze armate e nei Servizi segreti e di conseguenza nei ministeri che avevano competenza in questi settori. Così pure va ricordato che nel settore di competenza del ministero delle Finanze, oltre a numerosi e importanti militari, compresi i comandanti della Guardia di Finanza, dei quali si è parlato pure in altra parte della relazione, risultano appartenere alla loggia un numero non irrilevante di funzionari civili.
Restando sempre nel campo dei ministeri che governano l'attività economica e finanziaria dello Stato, un cenno particolare merita la penetrazione nei ministeri del Tesoro e del Commercio con l'Estero.
Emerge che nelle liste della Loggia P2 sono inclusi sia alti dirigenti del ministero del Tesoro, sia importanti personaggi posti in istituti come la SACE e come la Banca d'Italia, che hanno funzioni decisive anche in tema di rapporti finanziari con l'estero, nonché esponenti di numerosa banche pubbliche e private.
Per completare il quadro può essere opportuno ricordare quanto riferiscono Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din e cioè che, quando Gaetano Stammati si presentò candidato ad un seggio senatoriale, Gelli ed Ortolani davano per certa la sua nomina a ministro del Tesoro, cosa che puntualmente avvenne. Inoltre Gelli ed Ortolani gli indicarono quale persona che si occupasse della sua campagna elettorale Giuseppe Battista che era - a dire di Rizzoli - un loro factotum, al quale essi affidarono diversi incarichi importanti. Battista, anch'egli iscritto alla Loggia P2, divenne poi segretario particolare di Stammati, il quale affidò inoltre l'incarico di suo addetto stampa a Luigi Bisignani, anch'egli affiliato alla loggia. Quando poi Stammati - dopo una parentesi al ministero dei Lavori Pubblici - passò al ministero del Commercio con l'Estero, Battista e Bisignani lo seguirono e Stammati aggiunse a loro, con l'incarico per la segreteria tecnica, Lorenzo Davoli, pure figurante nelle elenchi. Davoli - sempre a dire di Rizzoli - fu fatto assumere da Gelli e Ortolani alla società Rizzoli per poi essere distaccato presso Stammati.
Va aggiunto ancora che al Commercio con l'Estero operava anche Ruggero Firrao, allora direttore generale delle valute, che Ortolani e Gelli indicavano - sempre a dire di Rizzoli - come un loro uomo.
Il Firrao figura anche come dirigente della SACE (Società di Assicurazione per i Crediti nell'Esportazione) ed è compreso negli elenchi della Loggia P2.
Non sembra inutile sottolineare come in tal modo Gelli ed Ortolani possano aver conseguito un controllo in un settore chiave dell'amministrazione statale dalla quale passano tutte le operazioni di natura valutaria.
Si ricordi infine che presso il ministero del Commercio con l'Estero funziona pure un Comitato interministeriale composto dai rappresentanti dei ministeri degli Esteri, dell'Industria, della Difesa, delle Finanze e del Commercio con l'Estero, nonché del SISMI (in precedenza del SID) che esercita il controllo sulla vendita delle armi a paesi terzi.
Ad ulteriore conferma dell'interesse che un qualche potere non istituzionale aveva per il ministero del Commercio con l'Estero si può ricordare quanto riferito nella sua audizione in Commissione il 24 gennaio 1984 dall'onorevole Zanone. Nel 1979, in occasione della formazione del primo Governo dell’VIII legislatura, il ministero del Commercio con l'Estero, anziché essere affidato, come sembrava in base agli accordi di Governo, all'onorevole Altissimo, fu assegnato di nuovo a Stammati: Zanone afferma che egli ebbe l'impressione che forti pressioni fossero state esercitate perché si addivenisse ad una soluzione del genere. Riscontriamo tra l'altro che successivamente venne attribuito all'onorevole Enrico Manca, elenchi della Loggia P2.
Le interferenze sul ministero del Commercio con l'Estero da parte di Gelli trovano ulteriore illuminazione dal fatto che copia dei documenti più rilevanti dell'affare ENI-Petromin, ivi compresa la copia di una memoria in proposito redatta personalmente da Stammati, furono rinvenute presso Gelli nella perquisizione del 17 marzo 1981.
L'accenno ai rapporti internazionali induce ad esaminare la penetrante azione della loggia in un altro ministero-chiave, come quello degli Affari Esteri Francesco Malfatti, da lunghi anni segretario generale di quel ministero e quindi in posizione di rilievo centrale e determinante, risulta anch'egli negli elenchi della Loggia P2.
Al di là però di tale iscrizione non possono ignorarsi gli intensi rapporti di Gelli con paesi esteri, in particolare con quelli dell'America latina, rapporti che non potevano non ricevere appoggi e facilitazioni da parte del ministero suindicato, in considerazione della posizione che Gelli raggiunse in tali paesi e delle sue relazioni con alte personalità di Governo e della pubblica amministrazione civile e militare dei paesi stessi: si ricordino in proposito i suoi rapporti con il generale Peron, il generale Massera ed altri per menzionare solo un paese come l'Argentina, di cui Gelli era anche consigliere economico presso l'ambasciata a Roma.
A questo proposito dagli atti della Commissione sembra potersi derivare come da parte degli organi centrali e periferici del ministero degli Esteri sia stata stesa quasi una cortina protettiva nei confronti di Gelli e delle sue attività all'estero. Tra l'altro, allorché il ministero degli Esteri richiese il 6 marzo 1982 alle nostre rappresentanze diplomatiche, su sollecitazione di questa Commissione,
di trasmettere documenti e notizie relativi alla Loggia P2 a Licio Gelli, a Umberto Ortolani e a Francesco Pazienza, l'ambasciata di Buenos Aires, cioè della capitale di un paese dove la presenza di Gelli non poteva essere passata inosservata, rispose in maniera del tutto negativa. Per contro, a parte ogni altra considerazione, da una informativa del SISDE in data 17 febbraio 1982 risulta che
Gelli svolgeva attività economiche e finanziarie in Argentina, oltre che in Brasile, in Uruguay e in Paraguay.
Altro ministero importante nel quale va segnalata una penetrante presenza della Loggia P2 è quello dell'interno. Già si è ricordato come molti questori e commissari di Pubblica Sicurezza, oltre ad ufficiali di Polizia, figuravano iscritti alla loggia. Dagli atti e in particolare dall'audizione del dottor Luongo in Commissione si deriva come Gelli ricevesse una particolare protezione da parte
della questura di Arezzo: Luongo parla in proposito di una "combutta" all'interno della questura; era quella evidentemente una sede particolarmente importante perché vi si trovavano la residenza di Gelli e uno dei centri della sua attività.
Una particolare menzione richiede, ai fini della penetrazione di cui si parla, la figura di Federico Umberto D'Amato, iscritto alla Loggia P2, la cui presenza emerge in tante vicende della vita italiana in questi anni e che figura in rapporti stretti e costanti con molti degli uomini in qualche modo coinvolti nella storia e nell'attività della loggia, da Roberto Calvi a Francesco Pazienza, da Angelo Rizzoli a Mino Pecorelli, oltre che con Licio Gelli.
Informazioni su D'Amato o raccolte dal D'Amato si rinvengono anche presso l'archivio di Gelli di provenienza uruguaiana. Sugli stretti rapporti tra D'Amato e Calvi, fino agli ultimi giorni di vita di quest'ultimo, riferiscono ampiamente i familiari di Calvi.
Gli elementi forniti vanno letti unitamente alla raccomandazione rivolta dal Venerabile Maestro agli affiliati nella già citata "Sintesi delle norme" che delucida sufficientemente il rilievo del proselitismo gelliano: "Al fine di poter conservare la continuità della copertura dei punti di interesse previsti dall'organigramma per i vari settori delle attività pubbliche e private, è necessario che ogni iscritto - prima di un suo eventuale avvicendamento, da qualsiasi causa determinato, nella sfera delle sue competenze - segnali la persona che ritenga più idonea e capace a sostituirlo".
Emerge così dal quadro delineato una attenzione rivolta agli apparati amministrativi che supera qualitativamente la tradizionale infiltrazione massonica, di tipo erratico e non programmata, nella burocrazia statale. Analogamente a quanto riscontrato con riferimento agli apparati militari, ci troviamo di fronte ad un reclutamento che si qualifica, oltre che per il livello al quale si pone, per
la mirata individuazione di alcuni settori chiave, come ad esempio i dicasteri economici.
Estremamente rivelatrice in proposito è l'affermazione esplicita dell'esistenza di un organigramma che prevedeva precisi "punti di interesse", denotando un reclutamento ragionato che mira prima ancora che all'acquisizione di individui all'occupazione di centri di potere amministrativo determinati.
Esempio di questa logica è la penetrazione nel ministero del Commercio con l'Estero, nel ministero del Tesoro e nel ministero degli Affari Esteri, che poneva la Loggia P2 in posizione di assoluto privilegio nella gestione degli affari, molti dei quali comportavano rilevanti manovre finanziarie con l'Estero, secondo l'analisi che verrà svolta nella sezione successiva. Concludendo su questo
argomento, la Commissione rileva che, non tanto e non solo deve costituire motivo di riflessione il dato quantitativo delle affiliazioni, comunque già di per sé allarmante, quanto piuttosto la logica conseguenziale che attraverso di esso si lascia intravedere.

IL MONDO DEGLI AFFARI E DELL'EDITORIA

Un primo approccio per una disamina dei collegamenti e della influenza della P2 nel mondo degli affari va effettuato, tenendo presente, al momento del ritrovamento delle "liste", la elevata consistenza numerica, sessantasette, degli iscritti appartenenti al ministero del Tesoro, a banche e ad ambienti finanziari in senso stretto.
In particolare, per quanto riguarda il ministero del Tesoro (dodici iscritti), l’esame delle funzioni espletate dalle persone che compaiono negli elenchi rinvenuti a Castiglion Fibocchi permette di identificare la natura e l'importanza dei collegamenti instaurati, finalizzati ad assicurare contatti con dirigenti situati in punti chiave della amministrazione, sì da far conseguire al gruppo stabili
agganci con ambienti di rilevante influenza sia nell'ambito nazionale sia, soprattutto, in quello internazionale. Sotto quest'ultimo profilo, in effetti, assume estrema rilevanza l'inclusione nelle liste dì alti dirigenti del ministero del Tesoro e di altri personaggi situati in delicati istituti come la SACE (organismo che dà sostanzialmente sostegno finanziario nell'assicurazione degli interventi commerciali) e come la, Banca d'Italia, aventi funzioni decisive in tema di rapporti finanziari con l'estero.
A completare il quadro concorrevano, inoltre, i contatti emergenti con esponenti di numerose banche pubbliche e private per alcune delle quali le presenze erano particolarmente significative per qualità e rappresentatività, come per la Banca nazionale del lavoro (quattro membri del Consiglio di amministrazione, il direttore generale, tre direttori centrali di cui uno segretario del Consiglio), il Monte dei Paschi di Siena (il Provveditore), la Banca Toscana (il direttore centrale), l'Istituto centrale delle casse rurali ed artigiane (il presidente ed il direttore generale), l'Interbanca (il presidente e due membri del Consiglio), il Banco di Roma (due amministratori delegati e due membri del Consiglio di amministrazione) ed il Banco Ambrosiano (il presidente ed un consigliere di amministrazione).
Le indagini effettuate solo da alcuni degli istituti citati si sono in genere limitate al mero riscontro dell'appartenenza o meno alla Loggia massonica P2 e non hanno consentito di acquisire elementi di rilievo in ordine all'attività svolta da ciascuno dei cennati esponenti ed al segno di interferenza che la loro appartenenza alla loggia può aver rappresentato nella ordinata gestione degli affari.
Solo il Collegio sindacale del Monte dei Paschi di Siena risulta aver condotto una inchiesta attenta e dettagliata per valutare gli effetti dei collegamenti piduisti sull'operatività aziendale. L'inchiesta si è conclusa ponendo in evidenza "casi di possibile trattamento di favore, casi di perdite avute o temute dall’Istituto (frequenti i casi di trasferimento di posizioni a contenzioso con perdite già previste e/o definite)".
L'attività della Commissione appena si è delineato il quadro operativo della Loggia P2 si è quindi concentrata sull'esame del disegno complessivo e sull'azione svolta da alcuni gruppi, non solo finanziari, fin dagli inizi degli anni settanta, collegandosi con le risultanze della Commissione d'inchiesta sul caso, Sindona che ha messo chiaramente in evidenza come gli interventi operati a favore del banchiere siciliano si erano sviluppati nell'ambito di solidarietà ed accordi, che esistevano nel mondo finanziario e bancario tra alcuni esponenti di primo piano e che contribuivano ad agevolare l'attuazione di operazioni speculative, finalizzate ad estendere il potere di determinati gruppi economici.
Quali fossero la matrice, il metodo, l'obiettivo di tali gruppi non appare sempre con chiarezza, ma indubbiamente la loro azione non può essere ristretta ad un fenomeno di mera criminalità economica o ad accordi diretti ad accrescere la ricchezza dei singoli. In effetti "intorno alla mobilitazione in difesa di Sindona accade qualcosa di più di una semplice accanita gestione di interessi da
proteggere magari con l'omertà e l'uso della forza: si rafforza e si espande il potere del sistema P2 che collega ed unifica tanti personaggi operanti in diverse collocazioni"(1).
Il momento più significativo a livello documentale di tali azioni è collegato alla presentazione di affidavit a favore di Sìndona (rilasciati negli ultimi mesi del 1976), quando Gelli ed altri personaggi (Francesco Bellantonio, Carmelo Spagnuolo, Edgardo Sogno, Flavio Orlandi, John Mc Caffery, Stefano Gullo, Philip Guarino, Anna Bonomi) si espongono in modo chiaro e scoperto per effettuare uno sforzo ritenuto decisivo per il salvataggio di Michele Sìndona.
Alcuni dei firmatari, oltre al Bellantonio, sono in termini di intrinseca dimestichezza con Licio Gelli; ciò vale sia per Carmelo Spagnuolo, sia per Philip Guarino che, secondo una corrispondenza in possesso della Commissione, ha con Gelli un rapporto di mutua ed operante amicizia. Appare dagli atti il ruolo centrale assunto da Licio Gelli che è il regista attivo di questa operazione, segno concreto di un non effimero legame tra i due personaggi, che prosegue sino al sequestro di Castiglion Fibocchi nel quale Michele Sindona, come abbiamo visto nel capitolo secondo, gioca un ruolo non secondario.
I contatti ed i legami tra questi ambienti si intrecciano in un contesto che assume, a motivazione delle malversazioni e delle attività economiche fraudolente poste in essere, finalità politiche di ordine più elevato. Così ad esempio le dichiarazioni di John Me Caffery senior (già capo del controspionaggio inglese in Italia e membro dei Consiglio di amministrazione della Banca privata italiana) quando dichiara che esisteva un più nobile collegamento tra i gruppi che "condividevano le sane idee occidentali nel tentativo di opporsi alla diffusione del comunismo in Europa" e di conseguenza erano orientati a favorire l'ascesa di personaggi aventi la medesima ideologia, da situare nei punti chiave dei settori economici per influenzare, per questa via, l'andamento politico generale.
Quando si pensi ai corposi collegamenti tra tali settori ed ambienti di malavita comune a livello internazionale, non si può non rilevare che l'identificazione delle "sane idee occidentali" con questi ambienti risulta quanto meno problematica e che il sistema capitalista occidentale, quando fisiologicamente funzionante, dispone di ben altri strumenti per garantire la propria autonomia.
E’ comunque avendo riguardo a questi ambienti che deve essere vista e spiegata l'ascesa di Sindona e l'azione da questi esplicata per acquisire sia la finanziaria La Centrale sia, unitamente al generale Sory Smith - già capo del gruppo consultivo di assistenza militare USA in Italia - la proprietà del Roine Daily American.
Nella stessa prospettiva va quindi collocato il mutamento operativo che si determinò allor quando il fallimento dell'offerta pubblica di acquisto per il controllo della Bastogi (13.9.1971/8.11.1971) fece emergere una resistenza a queste operazioni di infiltrazione più estesa di quanto fosse stato possibile immaginare e rese necessaria una loro più accurata preparazione. Quando Sindona, in
conseguenza di tali eventi trasferisce la sua attività nei paesi al di là dell'Atlantico, in Italia cresce e si afferma Roberto Calvi, nominato direttore generale del Banco Ambrosiano nel 1971, che ne acquisisce l'eredità, oltre che la tutela condizionante di Gelli e Ortolani.
La nuova strategia prende il via con il trasferimento (1972) della quota di controllo de La Centrale alla Compendium S.A. Holding, finanziaria del Banco Ambrosiano, che nel 1976 muterà nome in Banco Ambrosiano Holding - Lussemburgo. Si viene così a realizzare tra Calvi e Sindona un modulo operativo che, all'estero, era gestito unitamente a Sindona e che in Italia era articolato in
diversi comparti (bancari, assicurativi, finanziari) sempre più complessi ed intrecciati man mano che si accresceva la fiducia in Calvi dei più importanti gruppi economici.
Per quest'ultimo aspetto un ruolo di rilevante importanza è stato svolto da Umberto Ortolani il cui ingresso nella Loggia P2 rappresentò l'acquisizione all'organizzazione di un elemento dotato di una vasta rete di relazioni personali di grande prestigio, sia nel mondo politico che negli ambienti della curia vaticana e di quella competenza nel campo finanziario che si rivelerà necessaria nella
seconda fase di sviluppo delle attività gelliane e della Loggia Propaganda.
In effetti proprio mentre Sindona viene estromesso definitivamente dall'Italia, e poi arrestato, si estende e si rafforza la rete P2 nel settore degli affari e Calvi diventa il principale braccio operativo nel settore finanziario per tutte le necessità previste dai programmi della loggia. Il gruppo Ambrosiano assume così una struttura particolarmente funzionale per far da tramite ad ogni tipo di transazione, articolandosi in Italia ed all'estero in una serie di società bancarie e finanziarie i cui principali affari erano ordinati e seguiti da un univoco centro, ma parcellizzati in diversi segmenti operativi in modo da impedire spesso agli stessi esecutori materiali la percezione del quadro complessivo.
Non è ancora disponibile (e forse non lo sarà mai) una visione completa delle operazioni poste in essere da tale struttura ma possono comunque essere identificate due grandi linee direttrici di intervento che attengono, da un lato, alla necessità di conservare saldamente il controllo dello strumento così predisposto e, dall'altro, all'utilizzo, per ben precisi fini, dello strumento stesso.
Per quanto riguarda il primo aspetto, il dissesto del Banco Ambrosiano ha messo chiaramente in evidenza le coperture, gli accordi, gli interventi effettuati per mantenere e rafforzare le posizioni di comando in questa banca. La rilevante quantità di azioni Ambrosiano risultate in Italia ed all'estero di pertinenza del Banco stesso, è la testimonianza di un'attenta acquisizione che consentiva di spostare dall'Italia all'estero, e viceversa, ingenti disponibilità, mascherando tali movimenti come operazioni di compravendita di titoli per le quali ignoti intermediari fruivano di consistenti provvigioni. L'azione così sviluppata permetteva anche di conseguire l'effetto non
secondario di coinvolgere in traffici illeciti numerosi operatori che, una volta intervenuti a fare da schermo a tali irregolari transazioni, si ponevano nelle condizioni idonee per essere ricattati ed utilizzati.
L'esempio tipico di intrecci di transazioni improntate a tali finalità è costituito dagli interventi effettuati per l'acquisizione della maggioranza delle azioni del Credito Varesino, un istituto di credito che il gruppo Bonomi aveva ceduto parte in Italia a La
Centrale e parte all'estero alla CIMAFIN (società appartenente al gruppo Sindona) che a sua volta le avrebbe poi cedute a finanziarie gestite dalla Banca del Gottardo, controllata dall'Ambrosiano.
Tutte queste operazioni vengono seguite da vicino dalla Loggia P2, poiché presso Gelli viene poi rinvenuta copia dell'accordo stipulato all'estero tra il gruppo Bonomi e la CIMAFIN con la descrizione di tutti i passaggi effettuati tramite apposite società strumento (Zitropo e la Pacchetti), nonché dei collegamenti esistenti fra Calvi e Sindona e dei movimenti finanziari verificatisi nella
circostanza.
In questo contesto i massimi esponenti della loggia, come si evince dalla documentazione rinvenuta a Castiglion Fibocchi, potevano svolgere un ruolo di mediazione tra i diversi interessi e di composizione degli eventuali contrasti (esemplari appaiono i documenti concernenti i patti stipulati tra Calvi, il gruppo Bonomi ed il gruppo Pesenti), indirizzando nel contempo gli interventi finanziari degli operatori che dovevano fornire i mezzi per "permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare della Rizzoli le posizioni chiave necessarie"(2) per il controllo delle formazioni politiche in cui ognuno militava.
L'azione di Gelli ed Ortolani, quindi, di pari passo con il potenziamento della struttura strumentale rappresentata dal gruppo Ambrosiano, acquista connotazioni più precise e, all'estero, favorisce l'espansione di istituzioni finanziarie collegate alla loggia nei paesi del Sudamerica caratterizzati da regimi a spiccato orientamento conservatore, mentre in Italia viene pilotato, con Gelli in posizione centrale, il tentativo di salvataggio di Sindona, evitando peraltro il coinvolgimento in questa operazione della struttura Ambrosiano. Scelta questa che costituisce il segno più evidente di come gli ambienti che gravitano intorno alla loggia, già collegati con il finanziere siciliano, ritenessero la struttura costituita intorno all'Ambrosiano destinata ad altre finalità. In effetti era in pieno sviluppo l'operazione più importante, sia per valenza politica, sia per coinvolgimento di vari gruppi, che la Loggia P2 avesse posto in essere: l'acquisizione e la gestione del gruppo Rizzoli, di cui viene effettuata un'analisi a parte. Il ruolo di Calvi, in tale vicenda, appare infatti fondamentale poiché, a fronte del deteriorarsi della situazione generale e del progressivo ridimensionamento del sostegno creditizio fornito a quel gruppo da altre banche, il gruppo Ambrosiano risulta infine assumere il ruolo di unico ed insostituibile appoggio.
Non vanno peraltro trascurati anche altri interventi con identici fini, anche se di portata minore, che la Loggia P2 pone in essere sia tramite il Banco Ambrosiano, sia tramite altre banche ove alcuni operatori (Genghini, Fabbri, Berlusconi, ecc.), trovano appoggi e finanziamenti al di là di ogni merito creditizio. Molti degli istituti bancari, ai cui vertici risultavano essere personaggi inclusi nelle liste P2, non hanno effettuato in merito opportune indagini, ma l'esistenza di una vasta rete di sostegno creditizio per le operazioni interessanti la loggia risulta provata dalla già citata inchiesta portata a termine dal Collegio sindacale dei Monte dei Paschi di Siena. Ovviamente i cointeressati a questa rete di collegamenti e complicità al momento opportuno dovranno offrire adeguato aiuto, come risulta evidente dai movimenti finanziari che l'ENI (dove alcuni iscritti avevano posizioni di assoluto dominio operativo) effettua a partire dal 1978 tramite la sua struttura estera (Tradinvest, Hidrocarbons, ecc.), per evitare che gli accertamenti ispettivi presso il
Banco Ambrosiano rivelassero gli oscuri e significativi travasi di fondi avvenuti dall'Italia verso l'estero.
Sono dello stesso segno, del resto, i misteriosi passaggi concernenti una parte dei titoli Credito Varesino, a cui abbiamo già accennato, per evidenziare accordi che hanno visto una partecipazione corale di alcuni protagonisti P2. Si fa qui riferimento all'intervento della Bafisud Corporation S.A. di Panama (finanziaria legata al Banco Financeiro Sudamericano di Montevideo, facente capo alla famiglia Ortolani), che acquista, con un finanziamento dell'Ambrosiano Group Commercial, n. 4.500.000 azioni del Credito Varesino di proprietà de La Centrale, consentendole di realizzare 26,6 miliardi di lire ed un'utile di oltre 10 miliardi rispetto all'esborso a suo tempo sostenuto per l'acquisto.
Tutta l'operazione viene effettuata tramite il Banco Ambrosiano in Italia - dove i titoli rimangono in deposito - e quando gli stessi verranno rivenduti (1982) procureranno a misteriosi beneficiari utili all'estero per circa 45 miliardi.
La sostanziale strumentalità del gruppo Ambrosiano risulta infine evidente allorquando Gelli ed Ortolani sono costretti ad abbandonare le scene della finanza italiana: Calvi, eccessivamente compromesso, viene abbandonato dai suoi protettori ed il gruppo è avviato al tracollo.
Nel contesto della nuova tattica adottata dalla Loggia P2 a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, un posto di rilievo occupa l'operazione di infiltrazione e di controllo del gruppo Rizzoli, emblematica delle modalità operative della loggia.In presenza di una impresa che il presidente della Montedison, Eugenio Cefis, aveva coinvolto nell'acquisizione della società editoriale del Corriere della Sera - nel quadro delle lotte di potere sviluppatesi in quegli anni tra diversi gruppi politici ed economici - la Loggia P2 intravede la
possibilità di mettere in atto una operazione che la nuova situazione politica rendeva opportuna e che s'inquadra nelle previsioni del piano di rinascita democratica a proposito della stampa. E' infatti disponibile una struttura da utilizzare per il "coordinamento di tutta la stampa provinciale e locale" ... "in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del paese"; e le condizioni sono ideali in quanto il gruppo Rizzoli:

è gestito come azienda a carattere familiare, con esponenti non sempre all'altezza del loro ruolo imprenditoriale;
risulta proprietario di un quotidiano di grandi tradizioni ma appesantito da una difficile situazione finanziaria;
si trova sotto la morsa dei finanziamenti - tra i quali, di particolare rilievo alcuni concessi dalla Banca Commerciale Italiana alla cui guida era Gaetano Stammati (iscritto alla Loggia P2) - che erano stati necessari per l'acquisto dell'editoriale del Corriere della Sera; acquisto che risultava per certi versi ancora, solo formale in quanto erano saldamente nelle mani dei finanziatori i
pacchetti di controllo delle società figuranti proprietarie della testata.
La P2, quindi, verso la fine del 1975 si serve di Calvi per coinvolgere il gruppo Rizzoli anche in operazioni di sostegno dell'assetto proprietario del Banco Ambrosiano e da quel momento utilizza per le proprie finalità il gruppo editoriale indirizzandone le scelte operative e le iniziative imprenditoriali mediante una manovra di condizionamento finanziario destinata a diventare sempre più soffocante e senza uscita in relazione al crescere dei debiti e dei costi.
Si sviluppano così le operazioni Savoia, Globo Assicurazioni, Rizzoli Finanziaria, Banca Mercantile, Finrex e molte transazioni finanziarie dai risvolti oscuri, in merito alle quali sono in corso indagini, a cura dell'autorità giudiziaria, per accertare i definitivi beneficiari di "premi" e "tangenti" distribuiti, attraverso il gruppo Rizzoli, sotto la regia Gelli ed Ortolani.
Nello stesso tempo vengono effettuati interventi di sostegno o di acquisizione di numerose testate a carattere locale (Il Mattino, Sport Sud, Il Piccolo, L'Eco di Padova, Il Giornale di Sicilia, Alto Adige, L'Adige, Il Lavoro) nell'ambito di un processo di collegamento con il Corriere della Sera, teso a costituire un compatto mezzo di pressione, destinato a raggiungere il maggior numero di lettori
ed influenzare così, in senso moderato e centrista, l'opinione pubblica.
Nel progetto della loggia le imprese Rizzoli assolvono quindi una duplice funzione: da un lato sono utilizzate quali strumenti operativi per fare da sponda ad operazioni finanziarie condotte nell'interesse di affiliati unitamente ad esborsi corruttivi; dall'altro rappresentano il polo aggregativo di un sempre maggior numero di testate che, facendo perno sul Corriere della Sera, si sviluppa con interventi partecipativi in imprese editrici di quotidiani a carattere locale.
I mezzi finanziari per entrambi tali funzioni non mancano, in quanto la rilevante presenza nel mondo delle banche consente di non lesinare gli appoggi per superare ogni problema contingente e per consolidare la posizione di comando all'interno del gruppo Rizzoli.
Un passaggio significativo a tale riguardo è costituito dall'intervento operato nel 1977 per far fronte all'impegno assunto nei confronti del gruppo Agnelli all'atto dell'acquisto del Corriere della Sera, nonché per rimborsare alla Montedison e alla Banca Commerciale Italiana (alla cui guida non erano più rispettivamente Eugenio Cefis e Gaetano Stammati) gran parte dei fondi che a suo tempo erano stati messi a disposizione per la stessa finalità.
La Commissione ha in proposito effettuato una approfondita operazione di polizia giudiziaria, condotta con la collaborazione del nucleo operativo della Guardia di Finanza di Milano, volta ad accertare la reale situazione proprietaria della Rizzoli e la natura della presenza in essa della Loggia P2. E' stata così accertata una convergenza di interventi che, sotto la regia di Gelli e di Ortolani, coinvolgono il banchiere Calvi, le banche dei gruppo Pesenti ed altre istituzioni, per la realizzazione di un meccanismo teso a stabilizzare il completo controllo del gruppo, mantenendo fermo lo schermo costituito dagli esponenti della famiglia Rizzoli.
La struttura estera del Banco Ambrosiano fornisce infatti gli ingenti capitali (11,8 milioni di dollari) necessari per rimborsare una parte dei finanziamenti concessi dalla Banca Commerciale Italiana, mentre in Italia si realizza quel collegamento Banco Ambrosiano-IOR, destinato a fornire alla Rizzoli Editore i fondi per completare l'operazione Corriere della Sera.
Le banche del gruppo Ambrosiano concedono infatti un finanziamento per 22,5 miliardi di lire alla Rizzoli Editore che utilizza i fondi ricevuti per estinguere il predetto debito nei confronti del gruppo Agnelli. Le banche finanziatrici, a fronte del loro intervento, acquisicono in pegno sia il 51 per cento del capitale della "Rizzoli", sia l'intero pacchetto azionario della società (Viburnum S.p.A.) proprietaria di un terzo della "Editoriale del Corriere della Sera S.a.s.".
Nello stesso tempo si realizza l'aumento di capitale della Rizzoli editore S.p.A. con il quale vengono resi disponibili fondi per 20,4 miliardi di lire, utilizzati per rimborsare in gran parte i finanziamenti erogati dal gruppo Ambrosiano.
Giusta la ricostruzione effettuata, a seguito degli accertamenti posti in atto dalla Commissione, tutta l'operazione di aumento di capitale si concretizza:

con fondi provenienti dall'Istituto Opere di Religione (IOR) che utilizza a tal fine disponibilità esistenti a suo nome presso diverse banche;
con l'intestazione meramente formale ad Andrea Rizzoli di tali nuove azioni nel libro soci della Rizzoli Editore S.p.A.; in realtà le azioni stesse erano state già girate a favore dello IOR ed al momento della seconda operazione di ricapitalizzazione della Rizzoli (1981) una delle condizioni previste sarà proprio la lacerazione dei titoli che riportavano le tracce di questo passaggio di proprietà;
con il deposito di tali azioni presso una commissionaria di borsa (Giammei & C. S.p.A. di Roma) avente palesemente funzioni fiduciarie;
con un impegno - formalmente assunto da una banca (Credito Commerciale S.p.A.) appartenente all'epoca al gruppo Pesenti - di trasferire ad appartenenti alla famiglia Rizzoli le, dette azioni al realizzarsi di determinate condizioni. Tra queste le più significative risultavano essere l'impossibilità di procedere a tale trasferimento prima del luglio 1980 e la variabilità del prezzo da corrispondere per il riscatto.
Dalla disamina della complessa articolazione degli accordi viene così in evidenza la funzione meramente di facciata della famiglia Rizzoli che, da un punto di vista regolamentare, viene sancita con la previsione, per ogni decisione assunta nell'ambito del Consiglio di amministrazione della Rizzoli, di un diritto di veto a favore dei consiglieri entrati dopo l'attuazione dell'aumento di capitale. Utilizzando Calvi come supporto bancario e sfruttando bene l'influenza esercitata su Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din, Gelli ed Ortolani (quest'ultimo entra nel 1978 nel consiglio di amministrazione della Rizzoli) cominciano quindi dal 1977 a gestire il
gruppo editoriale.
Per quanto riguarda più specificamente il Corriere della Sera, diventa più stretto il controllo con la nomina a direttore del dottor Di Bella, voluta esplicitamente da Gelli ed Ortolani in sostituzione del dimissionario Ottone. Si sviluppa da questo momento un sottile e continuo condizionamento della linea seguita dal quotidiano come posto in evidenza dal Comitato di redazione e di fabbrica che, attraverso una esamina degli articoli pubblicati in quegli anni, ha sottolineato come possa essere difficilmente contestabile un'influenza esplicata con l'emarginazione di giornalisti scomodi, con servizi agiografici ben mirati e con l'attribuzione di scelti incarichi a persone appartenenti alla loggia.
L'ampia analisi effettuata in proposito dal comitato evidenzia una linea di tendenza che si sviluppa con una pressione continua la quale, pur contrastata sempre dalla professionalità dei giornalisti, riesce spesso ad orientare alcuni servizi per dare spazio a persone di "area" o per lanciare oscuri messaggi o per evitare inchieste approfondite su alcune vicende, come risulterà evidente per i servizi concernenti i paesi sudamericani. In America Latina, del resto, con il sostegno finanziario di Calvi e con l'intervento di Ortolani e di Gelli (quest'ultimo formalmente rappresentante del gruppo Rizzoli presso le autorità governative dei paesi esteri) la Loggia P2 stava estendendo la propria rete d'influenza, acquisendo dal gruppo editoriale Avril, e con l'appoggio dei generali in carica in Argentina, una catena di giornali a larga diffusione.
Per quanto riguarda più specificatamente la linea seguita dal gruppo in ordine alle vicende politiche italiane, l'attenzione va riportata con particolare rilievo al 1979, allorquando uomini della loggia tentano di utilizzare le tangenti connesse con il contratto di fornitura di petrolio tra l'ENI e la Petromin per acquisire adeguati mezzi finanziari destinati a colmare il deficit della gestione del gruppo Rizzoli.
In ordine alla cennata vicenda sono ancora in corso le indagini a cura di una apposita Commissione parlamentare, ma è indubbio che Gelli ed Ortolani erano perfettamente a conoscenza di tutti i risvolti della transazione. A Castiglion Fibocchi è stata infatti rinvenuta copia del contratto stipulato tra l'AGIP e la Petromin, la richiesta avanzata dall'AGIP al ministero del Commercio Estero per ottenere l'autorizzazione a pagare la tangente alla Sophilau, il diario predisposto dal ministro Stammati per puntualizzare fino al 21 agosto 1979 gli sviluppi della vicenda nonché un appunto su tutte le circostanze rilevate, predisposto sotto forma di un articolo da pubblicare. Ortolani, del resto, il 14 luglio 1979 aveva prospettato al segretario amministrativo del PSI, senatore Formica - il quale denunciò il fatto ai ministri competenti - la possibilità di erogazione di fondi, in connessione degli acquisti di petrolio da parte dell'ENI, per interventi nel settore dei mass-media. Segno evidente dell'interessamento della loggia alla vicenda fu poi l'attacco a fondo condotto contro il ministro per le Partecipazioni statali Siro Lombardini, per il quale il Corriere della Sera arrivò a chiedere le dimissioni, con un fondo in prima pagina che si distingueva per la violenza dei toni, oltre che per la richiesta in sé, certo non usuale rispetto alla misurata prudenza propria della testata milanese.
L'insuccesso del tentativo, anche per la ferma opposizione di alcuni esponenti socialisti, determina la ricerca di nuove soluzioni, mentre lo schermo Rizzoli viene utilizzato per patti con altri gruppi (accordo Rizzoli-Caracciolo) o per tentativi di acquisizione di altre testate (giornali del gruppo Monti) con l'intervento di Francesco Cosentino.
Questa situazione induce ad un tentativo impostato alla finalità di allentare la dipendenza del gruppo editoriale da una sola banca che non può fronteggiare, senza pericolosi contraccolpi, oneri così elevati ed evidenti.
Sin dai primi mesi del 1980 Gelli, Ortolani e Tassan Din cominciano quindi a studiare le varie possibilità per reperire nuovi fondi sotto forma di partecipazione al capitale, senza comunque far perdere alla loggia il controllo del gruppo. I vari progetti che vengono via via studiati ruotano sempre, come ampiamente rilevabile dalla documentazione rinvenuta presso Gelli, intorno a questi principi fondamentali e si concretizzano, nel giugno del 1980, per essere formalmente esposti in una "convenzione" firmata da Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din, Roberto Calvi, Umberto Ortolani e Licio Gelli.
E' questo il documento più rappresentativo dell'intera vicenda che consente la identificazione delle finalità del progetto e dei diversi ruoli svolti da ciascuno dei protagonisti. Il documento ritrovato tra le carte di Castiglion Fibocchi consta di otto cartelle, ognuna siglata dai protagonisti dell'operazione. La Commissione, attesa l'importanza, ha verificato tramite apposita perizia, che ha dato esito positivo, l'autenticità delle sigle, riconosciute peraltro anche da Rizzoli e Tassan Din.
Alla base di tutta la costruzione finanziaria viene innanzitutto posta la necessità che solo il più vulnerabile dei rappresentanti di facciata (i componenti della famiglia Rizzoli) partecipi alla fase operativa. Ad Angelo Rizzoli è quindi fatto carico, con adeguato compenso, di concentrare a suo nome tutti i diritti concernenti la parte di azioni dell'azienda capo-gruppo (20 per cento del capitale) che, pur soggetta a vincoli e condizionamenti attuati tramite l'interposizione fittizia di banche estere, figurava ancora di pertinenza della famiglia Rizzoli.
Il successivo passaggio prevede poi la suddivisione del capitale azionario in quattro pacchetti di cui due assorbenti ciascuno il 40 per cento del totale, mentre il residuo capitale era ripartito in altre due quote diseguali (10,2 per cento e 9,8 per cento). Per ognuna delle suddette parti erano stabilite diverse modalità di gestione con l'intervento di Angelo Rizzoli per una di esse (40 per cento) e con
l'interposizione di società-schermo per le altre tre. A questa fase avrebbe forse dovuto far seguito, almeno secondo quanto si può evincere dalla qualifica di intermediarie attribuita alle società schenno, un ulteriore passaggio di azioni incentrato sulla successiva cessione di una parte del capitale (49,8 per cento), mentre la quota di maggioranza (50,2 per cento) rimaneva di pertinenza di una struttura che legava tra loro stabilmente (almeno per dieci anni) sia la quota intestata ad Angelo Rizzoli che il pacchetto di azioni pari al 10,2 per cento del capitale: in questa struttura pertanto la quota del 10,2 per cento veniva ad assumere valore determinante ai fini del controllo della società.
La schematica rappresentazione degli accordi stilati tra gli esponenti della loggia relativamente all'assetto della proprietà del gruppo Rizzoli - articolato su interventi finanziari comportanti in Italia ed all'estero complesse trasformazioni di ragioni creditorie in proprietà azionarie e che prevedevano la erogazione di una "tangente" (in contanti e/o in azioni) pari a lire 180 miliardi – consente comunque di far risaltare la funzione della loggia, che si pone come elemento centrale e determinante per ogni singolo passaggio della operazione.
Non risulta infatti tanto rilevante l'azione svolta dai vari protagonisti, ma si afferma ed emerge piuttosto in tutto il suo ruolo l'Istituzione, così indicata nel documento, in rappresentanza della quale alcuni dei partecipanti firmano il "pattone". E' l'Istituzione la sola arbitra dell'attuazione delle varie fasi operative "tenuto conto delle alte finalità del progetto", è l'Istituzione che sceglie le società intermediarie, è l'Istituzione che, con la interposizione fittizia di apposita società, acquisisce la proprietà della quota cardine, pari al 10,2% del capitale, che domina anche la parte (40%) figurante a nome di Angelo Rizzoli.
Questa vicenda segna forse il punto più alto toccato dalla loggia che ritiene opportuna una adeguata pubblicizzazione del ruolo assunto e dell'importanza raggiunta: ed in questa ottica possono essere valutati i proclami, le valutazioni, agli avvertimenti che Gelli esprime nella intervista rilascia il 5 ottobre 1980 al Corriere della Sera ("Il fascino discreto del potere nascosto") che viene adeguatamente divulgata a cura dei "fratelli" operanti nel settore della carta stampata, suscitando nuove adesioni e qualche preoccupazione.
Da un punto di vista operativo, il progetto delineato procede con l'intervento di Calvi, che dalla struttura estera del Banco Ambrosiano attinge gli strumenti finanziari necessari per la realizzazione di una prima parte

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ancora dati dati
by dò che ci dò ma a ci dò Friday, May. 28, 2004 at 6:03 PM mail:

Gli elementi di conoscenza in ordine agli episodi citati ci conducono a porre il quesito se l'attività di pressione, di intervento e di infiltrazione documentata possa essere inquadrata nell'ambito di normali operazioni di lobbyng, che sarebbe ipocrita non riconoscere ampiamente praticate - anche se nel caso della Loggia Propaganda si palesa il ricorso a mezzi di pressione di particolare incisività - o se invece esse siano riconducibili ad un disegno politico di più vasta portata.
Correttamente argomentando, i problemi a cui dare risposta sono:

se la Loggia Propaganda 2 sia definibile come associazione politica;
in caso di risposta positiva, quali finalità politiche essa poneva al suo operare.
Rispondere a questi interrogativi significa ripercorrere riassuntivamente quanto sinora si è venuto esponendo nelle varie parti della relazione, per rinvenire un filo conduttore che dia a fenomeni e a situazioni spesso in apparenza distanti, se non divergenti, una interpretazione che tendenzialmente ci conduca ad una visione unitaria della Loggia Propaganda 2, delle sue molteplici ramificazioni e della sua multiforme attività.
A tal fine possiamo riprendere la notazioni più volte espresse che emergono dallo studio della vicenda organizzativa e funzionale della Loggia P2, rilevando come, nell’arco del decennio che segna approssimativamente il periodo della sua operatività, essa sembri vivere sostanzialmente due stagioni che, con diverso segno, contraddistinguono la sua struttura, l'ambito dei suoi interessi, le forme di Intervento.
La prima è quella che corre grosso modo dalla fine degli anni Sessanta alla metà degli anni Settanta; nel corso di questa prima fase, la Loggia Propaganda vive sostanzialmente ancora nell'orbita della massoneria di Palazzo Giustiniani, che conserva su di essa, attraverso la Gran Maestranza, una sorta di primazia esercitata in condominio con Licio Gelli. Essa è già certamente qualcosa di diverso dalla tradizionale Loggia P2, ma comunque sempre secondo una linea di continuità ideale ed organizzativa che unisce le due organizzazioni, ben rappresentata dal continuo contrasto tra il Gelli ed il Salvini, questi sempre volto al tentativo di riaffermare il suo
ruolo di suprema guida della famiglia massonica e quindi di tutte le strutture in essa ricomprese.
E’ questa la fase della penetrazione massiccia negli ambienti militari che vede il Gelli, secondo la precedente ricostruzione, dedicare le sue energie al reclutamento di un gran numero di uomini in divisa. Il tenore dei discorsi che ad essi tiene è quello del verbale della riunione del 1971: sono discorsi di segno spiccatamente conservatore che si indirizzano ad una condanna del sistema nel quale le forze politiche da controbilanciare vengono individuate in un'area che si definisce clericocomunista.
La Loggia si caratterizza così ai nostri occhi per una forte connotazione anti-sistema e di conseguenza per una sua accentuazione indirettamente eversiva, che si riflette nelle allusioni ad eventuali soluzioni di tipo autoritario che il Gelli non tralascia di ventilare all'elemento militare, il quale, come abbiamo visto, costituisce se non l'elemento portante, certo una componente essenziale dell'organizzazione. Una testimonianza diretta di questo indirizzo politico ci viene offerta dalla riunione dei generali che si tiene a Villa Wanda nel 1973.
Ma al Gelli, uomo d'ordine che chiede o sembra chiedere esiti politici che portino, all'insegna della conservazione, a situazioni di maggiore stabilità nel Paese, corrisponde in questi anni in modo speculare il Gelli che trama con gli ambienti dell'eversione nera, secondo la ricostruzione offerta nel capitolo apposito, con quegli elementi cioè che coltivano progetti ed attuano iniziative che si
pongono come non ultimo degli elementi destabilizzanti di quel periodo.
Sono questi gli anni del golpismo strisciante (golpe Borghese) e degli attentati dinamitardi che da piazza Fontana in poi accompagnano e segnano una stagione politica contrassegnata dalla ricerca di soluzioni non effimere, dopo la rottura degli equilibri politici e sociali intervenuta alla fine degli anni Sessanta, quando si consumava la prima fase dell'esperimento politico di centrosinistra.
Durante questa fase, conviene da ultimo rilevare, Gelli gode del più assoluto anonimato presso l'opinione pubblica e può agire indisturbato all'ombra dello scudo che gli viene assicurato dalla doppia cintura protettiva, garantita dalla copertura massonica e dalla motivata disattenzione dei Servizi segreti nei suoi confronti.
Questa situazione si evolve in ogni senso verso la metà degli anni Settanta, quando non solo il Gelli sale alla ribalta delle cronache e finisce per essere sottratto definitivamente all'anonimato del quale ha goduto finora, ma alcuni apparati informativi – non collegati ai Servizi segreti - come la Guardia di Finanza e l'Ispettorato contro il terrorismo, nonché i giudici di varie procure (Vigna, Pappalardo, Occorsio) iniziano ad occuparsi del Gelli e della sua Loggia.
Nel 1975 viene verosimilmente redatto, come vedremo, il piano di rinascita democratica che, dal punto di vista operativo piuttosto che da quello ideologico, registra una radicale conversione di rotta, delineando una strategia affatto diversa di occupazione articolata del sistema. Intervengono, poco dopo la sua redazione, le ristrutturazioni della loggia che, attraverso l'operazione di sospensione pilotata dal Gamberini, consentono una definitiva copertura dell'organizzazione che nel contempo è oramai stabilmente entrata sotto la sfera di controllo assoluto del Gelli, al quale il Gran Maestro, definitivo perdente dello scontro, non può che limitarsi a consegnare le tessere di affiliazione in bianco. Di esse, ed in gran numero, il Gelli sembra avere bisogno perché, secondo quanto il piano richiede, questa è la fase del proselitismo massiccio che segna il salto di qualità tra la vecchia Loggia P2 (sia pure ampliata e rivitalizzata) e la nuova struttura di impronta marcatamente gelliana che allinea quell'impressionante schieramento di nomi qualificati che è dato riscontrare negli elenchi di Castiglion Fibocchi.
Nell'ambito di questo nuovo impulso organizzativo diminuisce l'interesse del Gelli per i militari visti come categoria, come denuncia la mirata politica di reclutamento verso il settore che privilegia la qualità sulla quantità degli affiliati in divisa, che vengono presi di mira soprattutto nei massimi vertici.
Per converso questa fase è contrassegnata dal rilievo che assumono le attività di tipo finanziario e dal peso che in questo mutato contesto rivestono figure come quelle di Umberto Ortolani e di Roberto Calvi, stabilmente schierati, verso la metà degli anni Settanta, sotto l'insegna del Venerabile aretino: per concludere, è un periodo questo che vede il declino, nella Loggia P2, dei generali, ai quali subentrano come elemento portante gli uomini di finanza.
E’ questa infatti la fase che vede espandersi l'intreccio di combinazioni affaristiche, che ruotano attorno alla figura di Roberto Calvi e prosperano all'ombra dello stretto sodalizio che lega il Presidente del Banco Ambrosiano alle due figure più eminenti della Loggia P2: Licio Gelli ed Umberto Ortolani. Ma soprattutto è questa la fase che vede l'ingresso del gruppo Rizzoli nella Loggia P2, con la conseguente acquisizione alla sua diretta azione di influenza e di indirizzo del Corriere della Sera.
La fase di sviluppo di questi eventi, infine, cade proprio mentre la vita politica nazionale, dopo le elezioni del 1976, registra quei risultati elettorali e quei cambiamenti di linea politica che condurranno alla politica di solidarietà nazionale.
Non può non colpire in questo breve riepilogo, che deve essere letto riportandosi alla conclusione dei precedenti capitoli, la constatazione di come la vita della Loggia Propaganda corra in parallelo, secondo un mutuo rapporto di scambievole influenza, con le vicende politiche del Paese, ad esse parametrando le stagioni organizzative ed i piani di intervento, con una sintonia tra il dato interno e quello esterno alla Loggia che il Commissario Covatta ha voluto sintetizzare definendo la Loggia P2 una struttura "plastica rispetto al potere".
Non è chi non veda, infatti, come nella storia del suo sviluppo sia dato individuare una prima fase di contatto con gli ambienti militari da un lato e con le fasce estreme dell'eversione nera dall'altro, che caratterizza marcatamente la prima metà degli anni Settanta, quando la provvisorietà delle soluzioni politiche e la ricerca faticosa di più solide maggioranze davano spazio e margine di credibilità politica a quei conati di golpismo strisciante, che solo in seguito si sarà in grado di collocare nella giusta prospettiva, ma che all'epoca non mancarono di esercitare il loro effetto di allarme destabilizzante.
Come del pari ad un effetto destabilizzante miravano eventi clamorosi di tragico segno quali gli attentati, che accreditarono, nella logica della strategia della tensione, la teoria degli opposti estremismi e per alcuni dei quali sappiamo che la Loggia si poneva come retroterra politico e finanziario.
Come abbiamo già osservato, se è certo che Gelli ed ambienti della Loggia P2 hanno tramato con l'eversione nera, sarebbe peraltro giudizio politicamente incauto identificarli con essa, risolvendo così, in modo semplicistico, un più complesso rapporto con fenomeni ed ambienti che appaiono piuttosto strumentalizzati, secondo una accorta strategia di inserimento che punta ad incentivarli, salvo poi a disinnescarlì al momento opportuno.
Traspare piuttosto dalla trama degli eventi un disegno che sollecita iniziative di valore eversivo, puntando al vantaggio politico di eventuali contraccolpi sul sistema, più che ad un reale suo impossessamento nel segno della restaurazione. Solo la pochezza politica di qualche generale di mal apposte ambizioni poteva farsi irretire dalla prospettiva di un governo presieduto da Carmelo
Spagnuolo, quale il Gelli agitava ai sui ospiti con le stellette nella riunione di Villa Wanda.
Fino al 1975 Licio Gelli sembra aver giocato con pari impegno sui due tavoli diversi - ma lo furono poi veramente? o non fu piuttosto una medesima spregiudicata partita che su di essi Gelli, o chi per lui, condusse ? - dell'eversione violenta al sistema e della politica di ordine e di restaurazione, all'ombra dei militari. E’ questa la stagione politica nella quale la Loggia P2 si configura dunque, secondo l'espressione del Commissario Occhetto, come il luogo nel quale passa la convergenza fra le forze dell'eversione ed il "partito d'ordine". Ma la non identificazione di Licio Gelli con l'eversione, l'approssimazione cioè di una lettura del personaggio e del fenomeno che ad esso risale in chiave nera, risalta con netto rilievo quando si consideri l'evoluzione che ci è dato registrare secondo una lettura non schematica degli eventi successivi, quando la strategia della tensione si avvia al tramonto.
Il piano di rinascita democratica segna l'ingresso alla seconda fase, quella della penetrazione nel sistema, che viene aggredito attraverso la ragionata acquisizione di alcuni suoi gangli di funzionamento essenziali. E’ la stagione organizzativa della completa copertura della Loggia e del suo qualificato ampliamento, con le quali i gruppi che si identificano nella loggia accompagnano l'esperimento politico dell'inserimento del partito comunista nella maggioranza di governo.
Se vogliamo apprezzare in pieno la flessibilità dell'operazione e la tempestività dei suoi tempi di attuazione, non possiamo non dare rilievo, a questo punto dell'analisi, al dato emergente dall'istruttoria, ampiamente esposto precedentemente nelle sue modalità operative, sull'ingresso del Corriere della Sera nell'orbita di influenza della Loggia P2; dato questo suffragato, con riscontro puntuale, dal documento che il Comitato di redazione e di fabbrica del giornale ha inviato alla Commissione. In questo lavoro è rinvenibile una ampia e documentata testimonianza della penetrante azione, a livello anche di gestione di notizie minori, che veniva esercitata sul
quotidiano, il cui direttore, Di Bella, era iscritto alla Loggia P2, completando così l'organigramma di controllo della testata. Di fronte a questo rilievo non può non essere posto in luce che il giornale mantenne, durante l'esperimento politico della solidarietà nazionale, un orientamento di sostanziale appoggio alla soluzione politica, di governo e di maggioranza parlamentare, che si veniva enucleando nelle sedi istituzionali. Valga per tutte la testimonianza offerta dall'editorialista politico del quotidiano, Gianfranco Piazzesi, il quale afferma in un suo volume di aver propugnato e difeso nei suoi corsivi tale linea, senza che la direzione avesse mai ad interferire in
senso censorio.
Il sostegno fornito dalla direzione di Di Bella all'operazione guidata dall'onorevole Moro, va peraltro letto alla luce dei dati in nostro possesso sulla compenetrazione tra gruppo Rizzoli e Loggia Propaganda e sul controllo che Gelli poteva esercitare, ed in fatto esercitava, nella sua qualità di garante ultimo di quella situazione proprietaria e gestionale emblematicamente rappresentata dal famoso "pattone".
I dati conoscitivi sul Corriere della Sera si pongono così alla nostra attenzione con tutta la carica del loro ambivalente significato, poiché, se da un lato segnalano alla nostra riflessione il rilievo indubitabile degli interessi politici della Loggia, dall'altro sollecitano un'analisi scevra da ogni schematismo interpretativo, non dismettendo il quale diventa impossibile cogliere il fenomeno nel suo più recondito significato.
Partendo da questa osservazione di metodo, il dato dal quale bisogna prendere le mosse è la constatazione, di indubbio riscontro storico, che le elezioni del 1976 avevano provocato nella situazione politica del Paese un mutamento profondo, costituito dal ruolo inedito che il partito comunista veniva ad assumere, anche per la condizione, posta dal partito socialista, di non far parte di alcuna maggioranza di governo che non includesse, in qualche modo, il partito comunista stesso.
Quanto ci è dato riscontrare, riferendoci ai dati sinora acquisiti, è che l'instaurarsi di questa nuova situazione si accompagna al contemporaneo dispiegarsi di due concorrenti attività:

nel 1977 - prima operazione di ricapitalizzazione del gruppo Rizzoli - viene acquisito alla loggia un primario strumento di formazione dell'opinione pubblica e viene iniziata una vasta operazione di espansione nel settore della stampa quotidiana;
Licio Gelli procede ad una selezionata acquisizione di uomini collocati in ruoli centrali e determinanti della pubblica amministrazione, dei vertici militari nella loro massima espressione, della dirigenza più qualificata del mondo bancario e finanziario.
Non sembra, a questo punto del discorso, un voler forzare l'interpretazione il riconoscere che i fenomeni descritti sono legati da un rapporto di causa ed effetto, e che i dati che abbiamo allineato all'attenzione dell'osservatore si pongono con un rilievo tale, sia per il numero e il peso delle persone coinvolte, sia per la quantità di mezzi impiegati, da non consentire di confinare operazioni di così vasto raggio nell'ambito indefinito della casualità e della coincidenza.
Se vogliamo collegare questi dati al complesso delle considerazioni svolte nel corso di tutto il lavoro, passando da un apprezzamento puramente esterno degli accadimenti ad una lettura che entri nel merito dei contenuti, siamo allora in grado di affermare che fatti ed avvenimenti sembrano invece legarsi tra loro secondo una logica ben precisa.
Posti di fronte alla nuova situazione che si era venuta ad instaurare, Licio Gelli e gli uomini che nella sua loggia e tramite essa si esprimevano - il gruppo che si riconosceva nel piano di rinascita democratica dove si stigmatizzava nel partito comunista la sua capacità di mimetizzazione pseudo-liberale in seno alla nuova società italiana composta di ceti medi - dovette realisticamente
prendere atto della situazione ed approntare le opportune misure di intervento. Nasce così l'operazione di concentrazione di testate che opera programmaticamente nel senso di allineare, Corriere della Sera in testa, un blocco di quotidiani nel quale si riconoscesse la maggioranza di quei ceti medi rivelatisi capaci di così imprevisti scarti elettorali. Ed è in parallelo a questa operazione che si
svolge quella di affiliazione, selettivamente mirata, di tutta una serie di personaggi senza i quali e contro i quali è difficile governare, in ragione del personale peso specifico e della collocazione strategica degli incarichi loro affidati.
Il controllo di queste situazioni-chiave costituisce il rovescio della medaglia, imprescindibile per la comprensione del vero significato del prudente appoggio alla politica di graduale inserimento del partito comunista nell'area di governo, consentito a livello di immagine, ma che gli uomini della Loggia P2 non potevano accettare senza precostituire, nella sostanza, una sorta di meccanismo di garanzia. Il senso reale dell'operazione Corriere della Sera ci appare così come quello di un accorto adeguamento tattico che mimetizza una situazione reale di contenuto affatto diverso, ovvero l'autentico volto della Loggia P2 nella sua seconda fase: un organismo di garanzia e di controllo, articolato a più livelli di efficacia e di incisività rispetto ai processi decisionali che accompagnano l'attività politica.
Quale concreta percezione nelle forze politiche si sia avuta della esistenza di questi fenomeni così collegati - nella loro consistenza e nel loro intrinseco e reciproco significato politico - come essi abbiano interagito con i concreti processi decisionali, quali ulteriori connivenze ad ogni livello ed in ogni settore abbiano registrato per esplicare la loro funzione, questi sono argomenti per i quali non si dispone di elementi sufficienti al fine di più mature conclusioni. Il contributo che si può portare al dibattito delle forze politiche è l'affermazione non controvertibile dell'esistenza di questa struttura legata, in modo funzionale, ad una situazione politica determinata e la verifica che non costituì ostacolo al suo approntamento, né fu presidio sufficiente contro il pericolo che essa rappresentava, la realizzazione dell'accordo di più ampia portata tra le forze democratiche.
Quanto sinora detto costituisce una risposta implicita, ma non equivocabile, al primo dei quesiti dai quali abbiamo preso le mosse, poiché non sembra possa essere ulteriormente messa in discussione la valenza politica della Loggia P2. Abbiamo infatti dimostrato in altro luogo che la storia della loggia può essere ricostruita individuando in essa una coerente logica interna; ora, sulla base delle ultime notazioni, siamo in grado di affermare che questa logica interna corrisponde a sua volta, correndo in parallelo, ad eventi esterni alla loggia: nella specie, gli eventi politici; non ne rimane che concludere che la Loggia P2 è associazione politica nella sua stessa ragione di essere.
Volendo quindi dare risposta al secondo quesito, che nasce di conseguenza, sugli obiettivi politici dell'organizzazione, non è difficile, tirando le fila dei discorso, definire adesso la Loggia P2 come una associazione che non si pone il fine politico di pervenire al governo del sistema, bensì quello di esercitarne il controllo. La ragione politica ed il movente ispiratore della Loggia P2 vanno individuati, alla stregua di questo criterio, non nella conquista politicamente motivata delle sedi istituzionali dalle quali si esercita il governo della vita nazionale, ma nel controllo anonimo e surrettizio di tali sedi, attraverso l'inserimento in alcuni dei processi fondamentali dai quali l'azione dì governo nasce ed attraverso i quali concretamente si dispiega.
Sotto il segno unificante di questo dato interpretativo comprendiamo come Licio Gelli possa ispirare, con pari lucidità e con identica fermezza, sia le forme di eversione violenta ed esterna al sistema - proprie della prima fase - sia la più sottile, ma non meno pericolosa, eversione all'ordine democratico che la Loggia P2 rappresenta nel suo secondo stadio di attuazione. Le due fasi
identificate altro infatti non rappresentano se non le diverse tattiche attraverso le quali attuare una medesima strategia di controllo del sistema, aggredito dall'esterno prima, occupato dall'interno dopo: la prima come la seconda consumando diverse ma non meno perniciose forme di violenza nei confronti delle istituzioni. Un ordine di concetti, questo, che è stato dal Commissario Covatta
incisivamente riassunto con il definire la Loggia P2 un complotto permanente - tale infatti esso è, poiché rappresenta un modo sommerso di fare politica - che si sviluppa e si plasma in funzione dell'evoluzione della situazione politica ufficiale.
Alla luce di queste affermazioni appare allora spiegata l'ambivalenza del dato relativo al Corriere della Sera.
Quale che fosse infatti la linea politica ufficiale mantenuta dal giornale, l'ingerenza della Loggia P2 si manifestava in un sottile tentativo di riallineamento dell'opinione pubblica, che riporta alla mente le tecniche note della persuasione occulta. Valga d'esempio la serie di articoli inquadrati nell'occhiello "Le cose che non vanno" pubblicati non firmati nel periodo precedente la consultazione elettorale del 1979. Scorrendone i titoli sembra di leggere altrettanti capoversi del piano di rinascita democratica(1), dal quale mutuano l'allarmismo pessimista proprio di tanti documenti della loggia, così lontano dalla critica costruttiva che al sistema rivolge chi in esso tuttavia si riconosce.
Il discorso svolto sul Corriere della Sera ci riporta, con evidente analogia all'analisi precedentemente condotta, sull'informativa COMINFORM, per rilevare come in entrambi i casi abbiamo dovuto esercitare uno sforzo interpretativo che andasse al di là delle conclusioni di primo approccio che i dati sembrano offrire. Questo ci sembra uno dei connotati essenziali dell'intera vicenda della
Loggia P2, storia quant'altra mai ricca di ambivalenze e di dati di duplice significato; una storia nella quale apparenza e sostanza dei fenomeni si svelano legate da uno scambievole rapporto di funzionale interdipendenza, una storia nella quale, come ha efficacemente sottolineato il Commissario Mora, assieme ad elementi che avvalorano una tesi, emergono quasi sempre circostanze in grado di giustificare l'antitesi. Il rinvio continuo tra quello che i dati ci sembrano dire a prima vista e quello che in realtà in essi si cela, nasconde la prima ragione delle fortune di questo fenomeno, altrimenti non spiegabile e cela l'insidia principale di un meccanismo che, con sapiente regia, gioca sull'ambiguità, offrendo chiavi di lettura sulle quali innestare, con scontata previsione, inevitabili polemiche il cui unico esito è quello di perdere il significato profondo degli eventi.
Lo sforzo dell'interprete è quindi di non cedere alla tentazione di affrettate conclusioni: noi sappiamo infatti come interpretare questa ambiguità, perché sappiamo che essa rimonta alle scaturigini stesse del personaggio Gelli, a quel suo rapporto con i Servizi segreti che nasce all'inizio degli anni Cinquanta e si perpetua lungo l'arco di sei lustri, secondo una logica di continua mai smentita compromissione reciproca.

NOTE:

Confronta: "La giustizia umiliata", "Due decreti non cancellano le colpe dello Stato", "La scuola rotta", "Bisogno di
pulizia", "Le piaghe della sanità", "La polizia liquefatta"

L'analisi sviluppata nel corso di questo capitolo trova puntuale conferma in due documenti di singolare ed illuminante contenuto: il piano di rinascita democratica ed il memorandum sulla situazione politica in Italia.
L'esame dei due documenti lascia ritenere che la loro redazione materiale sia riconducibile a persona in grado di formulare analisi politiche non prive di finezza interpretativa, nonché dotato di una preparazione giuridica di ordine superiore; trattasi inoltre, e lo testimonia la padronanza di terminologie proprie agli addetti ai lavori, di persona in dimestichezza con gli ambienti parlamentari.
Il piano di rinascita democratica può essere datato, in ragione di riferimenti interni, con sufficiente approssimazione, alla seconda metà del 1975 o agli inizi del 1976. Si tratta certamente di due testi comunque non redatti dal Gelli personalmente, se non altro per la sua carenza di cultura giuridica specifica, ma da lui direttamente ispirati a persona molto vicina.
L'attenzione da rivolgere al piano di rinascita democratica è giustificata dalla considerazione che il documento si pone come il risultato finale di una serie di testi nei quali è consegnata al nostro studio una ideologia che abbiamo già definito di stampo genericamente conservatore, contrassegnata da una propensione di avversione al sistema nel suo complesso e da un superficiale apprezzamento del ruolo dei quadri tecnici in rapporto alla dirigenza politica. Sono queste le osservazioni già sviluppate, analizzando il verbale della riunione di loggia del 1971, rispetto al quale il piano di rinascita democratica si pone come una successiva e più sistematica articolazione.
Altro riferimento documentale al quale riportarsi è il piano elaborato dal gruppo Sogno all'incirca nello stesso torno di tempo.
Va infine ricordato che la terza nota informativa dell'ispettore Santillo denuncia la circolazione nell'ambiente della loggia di un documento del quale si riassumono i punti principali, in modo da consentirci di affermare che il testo in questione era il piano al nostro esame o documento estremamente simile.
I riferimenti formali e sostanziali enunciati ci consentono pertanto di collocare nella giusta prospettiva il piano di rinascita democratica che, rispetto a questi testi, si contraddistingue, secondo una linea di continuità, come la più articolata e consapevole espressione di una somma di opinioni ed idee che costituivano il minimo comune denominatore ideologico dei gruppi che si
esprimevano nella Loggia P2. Come tale il piano non va né sottovalutato, riducendolo a semplice manifesto propagandistico agitato soprattutto a fini di confusione dell'osservatore esterno, né sopravvalutato considerandolo come le immutabili tavole di un organismo che, come sappiamo, "metteva al bando la filosofia". Un documento quindi che deve essere preso in considerazione e studiato per quello che esso realmente vale: ovvero il riepilogo rivelatore degli umori politici di ambienti determinati, la cui qualificata presenza nella vita del Paese deve indurci a non trascurare alcun dettaglio conoscitivo.
In tale prospettiva lo studio del piano di rinascita democratica, sotto il profilo dei contenuti, conferma la filosofia di fondo di stampo conservatore, o meglio predemocratica secondo le parole del Commissario Ruffilli, che ci è nota, concretando in tale direzione un ulteriore stadio di sviluppo quando si consideri la finalizzazione che esso postula del funzionamento della società e delle sue istituzioni al perseguimento dell'obiettivo della massima incentivazione della produzione economica. Traspare infatti dalle righe di questo singolare breviario politico, calata in una prospettiva genericamente tecnocratica, l'immagine chiusa e non priva di grigiore di una società dove si lavora molto e si discute poco.
L'analisi a tal fine svolta nel testo degli istituti politici ed amministrativi viene condotta, con conoscenza di causa, nel dettaglio dei problemi: dalla riforma del pubblico ministero agli interventi sulla stampa, dai regolamenti parlamentari alla politica sindacale, sino alla legislazione antimonopolio ed a quella sull'assetto del territorio, nulla sembra sfuggire all'attenzione dell'anonimo redattore del documento eccezion fatta per i problemi del settore militare, secondo il rilievo prima analizzato.
Il dato di analisi che occorre qui sottolineare è che il piano di rinascita democratica non è un testo astratto dì ingegneria costituzionale, come molti affermano proponendo incauti paragoni, né un documento di intenti che lo possa qualificare come il manifesto della Loggia P2. Esso è piuttosto un piano di azione che, oltre a fissare degli obiettivi, predispone in dettaglio le conseguenti linee di intervento e come tale ne arriva a preventivare perfino il fabbisogno finanziario.
E’ facile constatare infatti che l'analisi in esso effettuata e le terapie predisposte non appaiono astratte ed avulse dal concreto della realtà politica italiana; valga per tutte considerare quanto previsto dal punto D dei n. 3: "dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna ex art.21 della Costituzione". Affermazione questa che offre ampi spunti di meditazione quando si ponga mente alla data della sua formulazione (1975) nonché alla singolare, a dir poco, preveggenza di quanto verificatosi successivamente. Di maggior pregio il riscontro che le operazioni politiche effettuate in danno della Democrazia Cristiana e del Movimento Sociale Italiano, sopra citate in dettaglio, trovano nel testo puntuale e specifica previsione.
Si vuole ancora portare all'attenzione il passaggio del testo in cui possiamo leggere: "Primario obiettivo ed indispensabile presupposto dell'operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l'eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici che non superi (sic) il numero di 30 o 40 unità. Gli uomini che ne fanno parte devono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale".
Non vi è difficoltà a riconoscere nel testo citato, al di là del farisaico riferimento alle virtù degli affilati, una descrizione fedele ed esauriente della Loggia Propaganda, dove non si sa se apprezzare di più l'illuminante riferimento alla eterogeneità dei componenti od il richiamo alla massoneria internazionale. Altra notazione da sottolineare è il tipo di rapporto delineato con il mondo politico, per il quale si avverte l'assoluta indifferenza verso precise scelte di campo, come quando, in altro punto del testo, si ipotizza l'eventualità di avvicinare ("selezionare gli uomini") esponenti di forze politiche diverse, appartenenti ad aree persino opposte. Ma certo una delle
peculiarità del documento è l'approccio asettico e in certo senso neutrale che esso prospetta nei confronti delle forze politiche, viste come uno degli elementi del sistema sui quali influire, di nessuna sposando per altro la causa politica in modo determinato. Rivelatore è in proposito il brano dianzi citato, dove si legge: "uomini... tali da costituire un vero e proprio comitato di garanti
rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano...".
Traspare da queste parole una concezione di subalternità e di strumentalità della politica in genere che costituisce uno dei tanti motivi di riflessione che siamo venuti a sottolineare nel corso del nostro lavoro sulla reale portata del personaggio Gelli e sui possibili suoi punti di riferimento politico e strategico.
Come si può constatare, la ricostruzione sinora condotta dei rapporti politici e dell'azione politica della Loggia P2 trova puntuale riscontro nei contenuti del piano di rinascita democratica e viene pertanto confermata sul versante ideologico oltre che su quello immediatamente operativo. A non dissimile conclusione infatti possiamo pervenire, rispetto a quanto prima enunciato, affermando
che la vera filosofia di fondo, che permea le pagine di questo documento, è quella di un approccio ai problemi della società, finalizzato al controllo e non al governo dei processi politici e sociali. La denuncia inequivocabile di questa concezione politica, sottesa a tutto il documento, sta proprio nel ruolo subalterno che alle forze politiche viene assegnato nel contesto dei progetto sistematico racchiuso nel documento, che a sua volta collima con il miraggio dell'opzione tecnocratica intesa come alternativa a quella politica, secondo una indicazione ricorrente sin dal primo documento in nostro possesso. Un ruolo che abbiamo definito strumentale, secondo un rilievo che ci consente di affermare a tutte lettere come la Loggia P2, secondo quanto il piano di rinascita conferma, non sia in realtà attribuibile a nessun partito politico in quanto tale, né sia essa stessa filiazione del sistema dei partiti. Lungi infatti dal porsi l'obiettivo di correggere le eventuali disfunzioni di tale sistema, essa s'innesta su di esse ed esse mira a coltivare ed incentivare; perfettamente logico appare, in tale distorta prospettiva, che nel piano di rinascita democratica si prospetti la creazione di due nuove formazioni politiche in funzione di contrappeso a quelle esistenti.
Ci si svela, in questi passaggi nei quali si prevede di "selezionare gli uomini" e di intervenire sulle formazioni politiche esistenti, una delle connotazioni principiali del progetto politico della Loggia P2, individuata dal Commissario Occhetto nell'operare attraverso continue mediazioni, che si innestano nelle divisioni del sistema, una continua ricomposizione della classe dirigente.
La logica del controllo, vera chiave di volta interpretativa della storia della Loggia P2, è appunto quella di interagire sulle forze presenti nel sistema, e tra queste e le forze politiche, pedine sulla scacchiera alla pari delle altre, per pervenire al raggiungimento degli obiettivi del piano non con assunzione diretta di responsabilità, ma per via di delega: sono questi i politici ai quali affidare
l'attuazione del piano che l'ignoto redattore qualifica con sinistra e involontaria ironia, "onere".
La logica del controllo contrapposta a quella del governo balza qui in evidenza con tutta la cinica conseguenzialità di una visione politica che tende a situare il potere negli apparati e non nella comunità dei cittadini, politicamente intesa. E’ alla razionalizzazione degli apparati e dei processi produttivi, infatti, non del sistema di rappresentanza della volontà popolare - del quale i partiti sono manifestazione - che il piano sintomaticamente si finalizza con lucida coerenza: una razionalizzazione che appare calata dall'alto - o iniettata dall'esterno? - e che non promana come frutto dei processi politici attraverso i quali una società libera e vitale esprime le proprie tensioni e trova i suoi assetti istituzionali.
Questo è il limite storico del piano di rinascita e dell'esperimento politico della Loggia P2: il vizio d'origine che ne fa una soluzione alla lunga; perdente per una società nella quale la libera dialettica delle diverse scelte politiche costituisce presupposto imprescindibile per la vita delle istituzioni. Ma sarebbe assurdo e pericoloso adagiarsi su tale certezza e non riconoscere che in
quella libera dialettica, o meglio nelle sue possibili disfunzioni, si può celare il punto nevralgico di possibili debolezze sulle quali fenomeni come la Loggia P2 s'innestano e fanno leva per dispiegare, in tal modo, tutta la forza di eversione corruttrice di cui sono potenzialmente capaci.
In questo ordine di idee possiamo allora affermare che la Loggia P2 si contraddistingue per una connotazione politica che ci è dato definire come di sostanziale neutralità, volendo con tale termine individuare in primo luogo la potenzialità del progetto, al di là delle pregiudiziali ideologiche, ad uniformarsi alle situazioni politiche che si determinano nel sistema, quella che il Commissario Padula ha chiamato la versatilità della Loggia P2, ovvero la sua capacità di adattamento. Neutralità che non deve peraltro confondersi con una generica indifferenza verso le vicende politiche che, al contrario, ricevono un diverso grado di attenzione e quindi di tradimento,
secondo quanto ci dimostra l'analisi storica effettuata ed il diverso impegno programmatico ed organizzativo che da essa traspare nelle vicende dell'organismo studiato. Neutralità vuole infine indicare la sostanziale posizione di esteriorità nella quale il sistema viene collocato dal progetto piduista: un sistema che viene prospettato come entità esterna da sottoporre, per l'appunto, a controllo. In questo senso la Loggia P2 attraversa, per usare l'espressione del Commissario Rizzo, il potere politico senza identificarsi mai completamente con esso; stabilisce rapporti e contatti con le forze politiche organizzate in partiti, che il dato delle affiliazioni indica in modo emblematico, ma di certo non esaurisce, però si pone comunque sempre rispetto ad esse, come del resto rispetto alle altre situazioni con cui entra in contatto, in termini di esternità, ovvero di strumentalizzazione.
Un esempio di questo ambiguo rapporto che la Loggia P2 intesse con il potere può essere individuato nella vicenda del Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, nel senso indicato dal Commissario Petruccioli quando ha rilevato come il Gelli che rivolge le sue blandizie al neoeletto Presidente, pervenendo a farsi da questi ricevere, ed il Gelli che si vanta con l'onorevole Craxi di poter condizionare la suprema magistratura della Repubblica, non solo non siano figure in contrasto tra loro ma possano in ipotesi essere considerati due concordanti aspetti di un identico modo di porsi di fronte al potere politico. Una ipotesi questa che la gravità del problema e l'altissima responsabilità che ne viene interessata impongono di prendere in attenta e non preclusiva considerazione.
In armonia con queste considerazioni si pone l'insistente accenno al ruolo dei tecnici, contrapposti dialetticamente ai politici più che ad essi coordinati in funzione di ausilio e collaborazione: è infatti nella rottura dell'equilibrio tra decisione politica ed attuazione tecnica che viene individuato, con modernità di approccio, un cuneo di inserimento per l'attuazione dell'operazione di controllo.
Ponendosi in questa prospettiva esegetica possiamo allora allargare ad un più generale ordine di considerazioni lo spunto interpretativo emerso nel capitolo riservato ai vertici militari, per affermare che una delle idee centrali della operazione piduistica è appunto la riscoperta e l'accentuazione del valore mediatamente politico che gli apparati rivestono al di là ed oltre l'immediata fruibilità meramente tecnica ed esecutiva che di essi sembra avere una diffusa seppur non apertamente professata cultura di governo.
Ancora una volta, per apprezzare il rilievo del progetto piduistico, dobbiamo scendere sul piano dei contenuti, osservando che negli elenchi di Castiglion Fibocchi sotto questo profilo non è tanto l'aspetto quantitativo, il numero degli iscritti, a colpire l'attenzione; non è cioè il fatto che vi si trovino molti direttori generali di ministero, ma il rilievo che ve ne sono alcuni che sono titolari di precise determinate direzioni generali, quali ad esempio il direttore generale del Tesoro e il segretario generale della Farnesina. Sono questi titolari di funzioni sul cui tavolo passa quanto di decisivo e di politicamente significativo interessa un ministero, incarichi il cui peso ed il cui significato possono essere apprezzati solo prendendo a metro di paragone il ruolo del ministro.
Comprendiamo allora perché nel piano di rinascita venga prospettato il reinserimento dei segretari generali nei ministeri, di un istituto amministrativo cioè invalso nell'epoca liberale e poi largamente caduto in disuso, anche per la sua funzione di stabile contraltare amministrativo contrapposto dialetticamente alla provvisorietà dei titolari del dicastero. Il progetto politico piduista mira a ristabilire queste situazioni per garantirsi l'esistenza di una rete permanente ad alto livello nella quale potersi inserire ed esplicare quella funzione di controllo che, come abbiamo già detto, costituisce la chiave di volta di tutta l'operazione: una funzione di controllo messa al riparo della naturale provvisorietà che contrassegna l'evoluzione delle fasi politiche. Ci si mostra ancora una volta, nel dettaglio analitico, la lucidità di un disegno che dà pregio a quel dato di antica conoscenza sulla stabilità degli apparati e sul loro perpetuarsi attraverso diversi regimi.
La individuazione di questa filosofia di condizionamento surrettizio delle strutture non può non indurre ad alcune considerazioni sul pericolo di un distorto rapporto tra il potere politico, che ripete la sua legittimazione dai processi elettivi, e il potere burocratico, in sé autoperpetuantesi: è attraverso le smagliature di tale sistema che possono venire a crearsi i punti di attacco per operazioni che nel loro risultato finale finiscono per porsi come fenomeni sostanzialmente eversivi. E non è chi non veda come un rapporto tra queste due attività di governo, pur diverse per segno ed intensità, che si consumi in situazioni di traumatico impegno che la prima può esercitare sulla seconda al momento della nomina, in quella fase concentrando tutto il suo potere di primazia, può dare spazio ad una debolezza del sistema che sarebbe pernicioso sottovalutare.
Lo studio del fenomeno P2 ci ricorda che l'attività di governo consiste anche in un pedestre rinvio alla quotidianità, nella applicazione vigile allo sviluppo delle cose e degli eventi attraverso il loro apparentemente insignificante dettaglio: quella che, con terminologia a torto superata, veniva chiamata l'arte del buon governo.
In questo senso possiamo affermare che la vicenda della Loggia P2 rappresenta la rivincita degli apparati poiché vale a riportare alla nostra attenzione la constatazione di indubbio rilievo politico che il funzionamento fisiologico di un sistema democratico risiede non solo nella presenza di una opinione pubblica vigile e matura, ma altresì nel corretto funzionamento delle strutture di governo, considerate anche nelle loro ramificazioni operative e nella garanzia che il potere politico assicuri, alla comunità e per conto della comunità, la loro affidabilità.
E’ questa una concezione che, come abbiamo accennato, denota una modernità di impostazione che sarebbe pernicioso sottovalutare, poiché una simile posizione rimarcherebbe una non corretta comprensione del rilievo che, lo sviluppo tecnologico e la molteplicità di compiti che ad uno Stato moderno vengono assegnati, comportano in termini di immediata valenza politica. Lo sviluppo degli apparati, che in un moderno Stato industriale corre in parallelo all'allargamento della base democratica di consenso - secondo un nesso di inscindibile correlazione funzionale, con esso ponendosi in rapporto di consequenzialità - impone alle forze politiche una non effimera ed approfondita rimeditazione del rapporto da instaurare con strutture che, lungi dal rappresentare l'elefantiaca espansione delle articolazioni amministrative elaborate dallo Stato liberale, sono l'indispensabile strumento che consente alla volontà politica dei cittadini, fondamento dello Stato democratico, di tradursi in modelli di libertà e benessere.

Volendo capire le ragioni che sottostanno all'abnorme situazione che abbiamo delineato - anche al fine di evitare l'espressione di sommari giudizi che finirebbero per coinvolgere, con suo ingiusto danno, chi per tali vicende non porta responsabilità alcuna o comunque ha una responsabilità estremamente limitata - è necessario formulare alcune considerazioni finali di ordine generale.
Va in primo luogo dichiarato che il ruolo e le attività di Licio Gelli erano conosciuti, anche se in modo parziale e frammentario, nell'ambito dell'intera comunità massonica, presso la quale il fenomeno Gelli e le sue possibili implicazioni erano in qualche modo note e non pacificamente accettate, poiché è certo che esse costituirono punto di dissenso e di scontro all'interno della famiglia massonica: ne fanno fede la mai sopita lotta condotta dai cosiddetti "massoni democratici", nonché il voto dei Maestri Venerabili che decretarono la demolizione della Loggia P2 nel corso della Gran Loggia di Napoli.
Se dunque si pervenne alla situazione dianzi delineata fu in sostanza soprattutto, come si è dimostrato, grazie all'influenza che Gelli riuscì ad esercitare sui vertici del Grande Oriente. I rapporti non chiari di reciproca dipendenza, se non di ricatto, che egli instaurò con i Gran Maestri e con i loro collaboratori diretti, ampiamente documentati presso la Commissione, offrono un quadro di compromissione degli organi centrali di governo della famiglia massonica giustinianea che ampiamente giustifica e spiega le tormentate vicende ripercorse nelle pagine precedenti.
Sono vicende queste che richiedono un approfondito esame del rapporto tra Licio Gelli e la massoneria, per il quale dobbiamo, come punto di partenza, muovere dalla affermazione, prima ribadita, che la Loggia Propaganda è una loggia massonica inserita a pieno titolo nella comunione massonica di più antica tradizione e di più vasta affiliazione di aderenti. La realtà dei fatti è incontestabilmente quella di un organismo presente nella comunione di appartenenza come entità integrata secondo peculiari prerogative che ad essa venivano riconosciute dagli statuti e dalla pratica stessa di vita dell'associazione: la connotazione della Loggia P2, secondo l'ordinamento massonico, era quella di essere una loggia coperta. Come poi questa copertura sia stata gestita dai dirigenti responsabili, anche in violazione degli statuti dell'associazione, evolvendo verso forme di vera e propria segretezza, questo è argomento che nulla inferisce nel nostro discorso, poiché è palese che quanto viene stabilito nello specifico ordinamento massonico e quanto in esso viene operato, anche in sua violazione, nessuna influenza esplica nell'ambito dell'ordinamento giuridico generale, alle cui sole previsioni normative ci si deve riportare in sede di analisi giuridica e di valutazione politica del problema. A tal fine possiamo affermare che l'adozione di forme di copertura dirette verso l'esterno come verso l'interno della comunione di appartenenza costituisce indubbia connotazione di segretezza ed è soltanto a fini di mera confusione che si può spostare il tema del discorso sulla presunta segretezza o meno della massoneria, poiché se è certo, secondo la pregevole notazione di un autore, che la massoneria non è una associazione segreta, è per altro certo che essa è una associazione con segreti, e uno di questi era la Loggia Propaganda Due.
Appare alla Commissione incontrovertibile secondo l'analisi sinora condotta, che la Loggia P2 era

una loggia massonica,
dotata di segretezza,
ma la posizione di queste due affermazioni non esaurisce il problema ed anzi potrebbe, se ci si arrestasse a questa prima soglia interpretativa, condurre ad una rappresentazione dei fatti monca se non del tutto inesatta.
Bisogna infatti riconoscere che una spiegazione della Loggia P2, risolta tutta in chiave massonica, non spiega il fenomeno nella sua genesi più profonda e nel suo sorprendente sviluppo successivo.
Per rendere esplicita questa affermazione non si può non riconoscere come Licio Gelli appaia, sotto ogni punto di vista, un massone del tutto atipico: egli non si presenta cioè come il naturale ed emblematico esponente di una organizzazione la cui causa ha sposato con convinta adesione, informando le sue azioni, sia pur distorte e censurabili, al fine ultimo della maggior gloria della famiglia; Licio Gelli, in altri termini, non sembra sotto nessun profilo, nella sua contrastata vita massonica, un nuovo Adriano Lemmi, quanto piuttosto un corpo estraneo alla comunione, come iniettato dall'esterno, che con essa stabilisce un rapporto di continua, sorvegliata strumentalizzazione.
Ci soccorre a tal fine il rilievo cui dianzi si accennava, quando notavamo come il procedimento di cooptazione, proprio della massoneria, ebbe a funzionare per Licio Gelli con inaspettata e sorprendente celerità, secondo quanto ci dimostrano due dati a noi provenienti dalla documentazione in nostro possesso.
Il primo è che Licio Gelli ha dovuto subire un periodo di attesa, al suo ingresso in massoneria avvenuto nel 1965, di oltre un anno; il secondo è che una volta entrato nell'istituzione i tempi per l'apprendista Gelli si abbreviano singolarmente, poiché nel 1969 egli ci appare nelle vesti, secondo un documento già citato, di tessitore di una delicata operazione di riunificazione delle varie famiglie massoniche: una operazione di vertice che coinvolge tutta la massoneria italiana. Tra queste due date, sappiamo, corre l'operazione di ascesa nella comunione pilotata dall'Ascarelli e dal Gamberini in favore di un personaggio che, come il primo non manca di sottolineare al secondo in una lettera agli atti, ha a disposizione un folto gruppo di domande di iniziazione "di gente estremamente qualificata".
Ponendo questi dati in parallelo - e coordinandoli con le osservazioni svolte in ordine all'inserimento di Licio Gelli nella Loggia Propaganda, operato subito dopo dal Salvini - non si può non vedere come l'ingresso e l'ascesa di Licio Gelli, massone di fresca data, si svolgano sotto l’egida di una accorta regia che, dopo aver superato le resistenze frapposte all'acquisto di questo nuovo fratello, ne pilota la carriera massonica con tempestivo e felice esito di risultati. E non è chi non veda come il nome che compare come centrale in questa operazione sia quello del Gran Maestro che sarà il vero nume tutelare della vita massonica di Licio Gelli, quel Giordano Gamberini che, come abbiamo ampiamente dimostrato, ritroviamo nella veste di accorto consigliere e di fine stratega in tutte le vicende che vedono il Gelli al centro delle contrastate decisioni della comunione che lo interessano.
Possiamo quindi affermare che tutti gli elementi a nostra disposizione inducono a ritenere come la presenza di Gelli nella comunione di Palazzo Giustiniani appaia come quella di elemento in essa inserito secondo una precisa strategia di infiltrazione, che sembra aver sollevato nel suo momento iniziale non poche perplessità e resistenze nell'organismo ricevente, e che esse vennero superate
probabilmente solo grazie all'interessamento dei vertici dell'istituzione i quali, questo è certo, da quel momento in poi appaiono in intrinseco e non usuale rapporto di solidarietà con il nuovo adepto. Questa infiltrazione inoltre fu preordinata e realizzata secondo il fine specifico di portare Licio Gelli direttamente entro la Loggia Propaganda, instaurando un singolare rapporto di identificazione tra il personaggio e l'organismo, il quale ultimo finì per trasformarsi gradualmente in una entità morfologicamente e funzionalmente affatto diversa e nuova, secondo la ricostruzione, degli eventi proposta.
Quanto detto appare suffragare l'enunciazione dalla quale eravamo partiti, perché il rapporto tra Licio Gelli e la massoneria viene a rovesciarsi in una prospettiva secondo la quale il Venerabile aretino, lungi dal porsi rispetto ad esso in un rapporto di causa ed effetto, come ultimo prodotto di un processo generativo interno di autonomo impulso, assume piuttosto le vesti di elemento indotto, di programmato utilizzatore delle strutture e della immagine pubblicamente conosciuta della comunione, per condurre tramite esse ed al loro riparo quelle operazioni che costituirono l'autentico nucleo di interessi e di attività che la Loggia P2 venne a rappresentare.
Ci troviamo in altri termini di fronte ad un complesso rapporto che non può semplicisticamente ridursi in sommarie attribuzioni di responsabilità, in forme di addebitamento più o meno generalizzate che come tali non rientrano nell'ambito degli interessi di questa Commissione, il cui primo compito è quello di studiare la genesi dei fenomeni e la loro ragione di essere e di svilupparsi, affinché il Parlamento possa su tali basi pronunciare il proprio giudizio ed assumere le eventuali deliberazioni conseguenti. Quello che per la Commissione è di primario interesse sottolineare è che la massoneria di Palazzo Giustiniani è venuta a trovarsi, nel seguito della
vicenda gelliana, nella duplice veste di complice e vittima, essendone inconsapevole la base e conniventi i vertici.
Non v'ha dubbio infatti che la comunione di Palazzo Giustiniani in senso specifico e la massoneria in senso lato abbiano negativamente risentito dell'attenzione, tutta di segno contrario, che su di esse si è venuta a concentrare, ma altrettanto indubbio risulta che l'operazione Gelli, sommatoriamente considerata, abbia in quegli ambienti trovato una sostanziale copertura - per non dire oggettiva complicità - senza la quale essa non avrebbe mai potuto essere, non che realizzata, nemmeno progettata. Quando parliamo di complicità - pur sostanziale che sia - non si vuole peraltro fare riferimento soltanto a quella esplicita dei vertici dell’associazione, peraltro espressione elettiva della base degli associati, ma altresì a quella più generale situazione risolventesi in una pratica di riservatezza, sancita dagli statuti, ma ancor più da una concreta tradizione di radicato costume massonico degli affiliati tutti, che ha costituito l'imprescindibile terreno di coltura per l'innesto dell'operazione. Perché certo è che Licio Gelli non ha inventato la Loggia P2, né per primo ha contrassegnato l'organismo con la caratteristica della segretezza, ed altrettanto certo è che non è stato Gelli ad escogitare la tecnica della copertura, ma l'una e l'altra ha trovato funzionanti e vitali nell'ambito massonico: che poi se ne sia impossessato e ne abbia fatto suo strumento in senso peggiorativo, questo è particolare che ci interessa per comprendere meglio Licio Gelli e non la massoneria.
Il discorso sui rapporti tra Gelli e la massoneria è approdato a conclusioni che si ritengono sufficientemente stabilite e tali da consentire, a chi ne abbia interesse, di trarre le proprie conclusioni.
Sia ciò consentito anche al relatore perché l'argomento e l'occasione sono tali da meritare una qualche considerazione di più ampia portata su un tema che vanta di certo una pubblicistica di non trascurabile impegno e valore, e che ha interessato sinora non solo il nostro ordinamento.
La storia della Loggia P2 ha il pregio, a tal fine, di svelare l'equivoco sul quale stanche polemiche si trascinano intorno alla distinzione tra segretezza e riservatezza. La certa segretezza della loggia, al di là di sofismi cartolari e notarili, trova infatti radice ed al tempo stesso costante e vitale alimento nella riservatezza della comunione intera. Sollevandoci ad un più generale livello di
considerazioni che prescinda dalla soluzione normativa concreta che gli ordinamenti vogliano dare a tale situazione, ci è consentito rilevare, in via di principio, che i due concetti si pongono, pur in teoria ed in pratica diversi, in rapporto di reciproca interazione e funzionalità tali che la segretezza senza riservatezza non ha modo di esistere e la riservatezza, non posta a tutela di una
intima più ristretta segretezza, non ha ragione di essere.
Sono questi argomenti che ci conducono al cuore del problema e che allargano il tema sulla riservatezza massonica ad un più ampio contesto di considerazioni in ordine al ruolo che questa associazione può svolgere legittimamente nell’ambito dell’ordinamento democratico. Chi infatti guardi al contenuto dottrinale proprio di questa forma associativa, il suo conclamato richiamarsi al trinomio di princìpi Libertà – Fratellanza - Uguaglianza (art. 2 delle Costituzioni massoniche), non può non constatare come questo sia verbo al quale mal si appongono forme di culto riservato e quanto piuttosto chieda di essere con orgoglio portato nella società degli uomini, nella quale è messaggio che non può porsi che come fonte di benefiche influenze.
E’ avviso di questa Commissione parlamentare che una terza soluzione non sia data tra i due corni di questo dilemma: o infatti questo, o altro lecito, è il cemento morale della comunione ed allora non v'ha luogo a riservatezza alcuna nel godimento dei diritti garantiti dalla Costituzione repubblicana a tutti i cittadini; o piuttosto la ragione d'essere dell'associazione è di diversa natura
e va allora revocata in dubbio la sua legittimità in questo ordinamento.
Passando, poi, dal piano generale della logica corrente a quello più specifico della logica giuridica, e con riferimento alla normativa sulle associazioni segrete, il dilemma deve porsi in questi diversi termini: o la comunione esclude ogni possibile interferenza con la vita pubblica dalla sua sfera di interessi (come dovrebbe essere in base alle regole originarie), ed allora indulga quanto crede al rito esoterico del segreto, o vuol piuttosto partecipare in toto al divenire della nostra società. Se è vera la seconda alternativa sarà giocoforza che essa rinunci alle coperture, alle iniziazioni sul filo della spada, alle posizioni "all'orecchio". Riti tutti che hanno il fascino dei costumi misteriosi di tempi lontani, ma che l'esperienza ha purtroppo dimostrato essere fertile terreno di cultura per
illeciti di tempi recenti.

Negli elenchi rinvenuti a Castiglion Fibocchi gli iscritti sono ripartiti anche per settori di appartenenza: uno di questi settori è quello delle Forze Armate, nel quale figurano cinquantadue ufficiali dei carabinieri, nove dell'Aeronautica, ventinove della Marina, cinquanta dell'Esercito, trentasette della Guardia di Finanza e sei della Pubblica Sicurezza.
Dall'elenco generale degli iscritti sequestrato, peraltro, il numero complessivo degli ufficiali risulta anche superiore (centonovantacinque) e gli iscritti negli elenchi trovano riscontro, anche se non completo, nelle informative inviate alla Commissione
dal SISMI e dal SISDE.
Il primo dato che occorre mettere in rilievo in proposito è l'elevato grado ricoperto dagli affiliati.
Così, ad esempio, dei cinquantasei ufficiali dei carabinieri, in servizio o a riposo, che figurano negli elenchi, dodici ricoprono il grado di generale ed otto quello di colonnello; così ancora troviamo otto ammiragli, ventidue generali dell'Esercito, cinque generali della Guardia di Finanza nonché quattro generali dell'Aeronautica. Il dato totale, di per sé eloquente, ci dice che su centonovantacinque esponenti del mondo militare, ben novantadue ricoprono il grado di generale o colonnello.
Ancor più significativo, per quanto in seguito si dirà, è soffermarsi sulle funzioni assegnate a molti dei nominativi citati: così l'ammiraglio Torrisi che fu capo di Stato Maggiore della Marina negli anni 1977-1980 e poi della Difesa negli anni 1980-1981, il generale Grassini che diresse il SISDE dal novembre 1977 al luglio 1981, il generale Santovito che diresse il SISMI dal gennaio 1978
all'agosto 1981 e il generale Picchiotti che fu negli anni 1974-1975 vicecomandante generale dell'Arma dei carabinieri e in precedenza comandante la divisione carabinieri di Roma, il generale Palumbo comandante la divisione carabinieri "Pastrengo" di Milano e poi anch'egli vicecomandante generale dell'Arma, il generale Miceli che diresse il SID dal 1970 al 1974, il generale Musumeci che fu segretario generale del SISMI con il generale Santovito, i generali Giudice e Giannini che furono comandanti generali della Guardia di Finanza, rispettivamente negli anni 1974-78 e negli anni 1980-1981.
Come è facile rilevare a prima vista, si delinea una mappa del potere militare più qualificato, con personaggi che hanno spesso assunto un ruolo centrale in vicende di particolare significato nella storia recente del nostro paese, anche in relazione ad avvenimenti di carattere eversivo.
La maggior parte degli ufficiali che figurano negli elenchi sono stati sottoposti ad inchieste disciplinari che hanno portato a delle vere e proprie conclusioni solo per quelli che erano tuttora in servizio, per i quali la sanzione è stata generalmente quella del rimprovero, applicata in poco più di un terzo dei casi. Le pronunce di proscioglimento sono state invece emesse perché non risultava pienamente provata l'appartenenza dell'ufficiale alla Loggia P2, facendo a tal fine soprattutto fondamento sul diniego di appartenenza alla loggia dell'ufficiale interessato. Per un certo numero di ufficiali che non erano più in servizio, pur non applicandosi alcuna sanzione, è stata ritenuta provata l'appartenenza alla loggia. Vi è da rilevare infine che per alcuni ufficiali, anche di grado elevato e che hanno avuto compiti di rilievo nelle Forze Armate, non sono pervenuti alla Commissione i fascicoli relativi.
Per un esame del problema vanno in primo luogo ricordate le dichiarazioni rese da esponenti della massoneria (Siniscalchi, Brilli) circa i massicci reclutamenti di militari operati sulla fine del mandato di Gamberini: secondo le voci ricorrenti in ambito massonico il Gran Maestro aveva proceduto ad iniziare sul filo della spada circa quattrocento militari, all'uopo presentati dal Gelli.
Il dato è probabilmente esagerato, ma è peraltro certo che la prima fase della gestione gelliana della Loggia P2 è contrassegnata da una forte e qualificata presenza di militari: dato questo che non dovrebbe in sé essere considerato particolarmente significativo poiché è ampiamente documentata una tradizionale propensione degli ambienti militari verso istituzioni di tipo massonico.
L'elemento invece al quale va prestata adeguata considerazione e che contraddistingue con carattere di specificità la Loggia P2 ed il suo intervento in questi ambienti è, per contro, quello della spiccata connotazione politica che al complesso di tali affiliazioni veniva attribuita da Licio Gelli, al quale faceva riscontro, secondo gli atti in nostro possesso, l'accettazione da parte degli iscritti di tale impostazione. Ne è esempio la riunione dei generali tenuta a Villa Wanda nel 1973; ed è in proposito da rilevare che i discorsi che in tale occasione si tennero non erano del tutto nuovi, ma anzi possono ritenersi in certa misura abituali se di essi abbiamo almeno un altro significativo esempio documentabile, quale la lettera che, nel 1972, il Gelli inviò agli elementi militari iscritti alla sua loggia – missiva che non sappiamo se diretta a tutta la categoria o solo agli elementi di maggior spicco - nella quale dai discorsi di condanna generalizzata del sistema, che già abbiamo segnalato, si traeva la conclusione che solo una presa di posizione molto precisa poteva
porre fine al generale stato di disfacimento e che tale iniziativa poteva essere assunta soltanto dai militari. Siamo, come si vede, di fronte ad una impostazione politica ben definita che si pone al margine della legalità repubblicana e che non solo non viene dissimulata, ma è oggetto di valutazione e di esame presso alte gerarchie militari. Essa segna certamente un salto di qualità rispetto al tradizionale interessamento massonico per le gerarchie militari, testimoniato tra l'altro, presso la Commissione, dai documenti relativi alla camera tecnico-professionale coperta dei militari, costituita presso la comunione di Piazza del Gesù, dai quali si evince un interessamento a questioni di più ristretto profilo, quali la gestione delle carriere o degli incarichi.
I due riferimenti documentati citati assumono poi piena credibilità quando si consideri come le ventilate ipotesi di soluzioni di tipo autoritario trovano un adeguato e conforme retroterra politico nella ideologia spiccatamente conservatrice - calata in una prospettiva di avversione al sistema nel suo complesso, e come tale sostanzialmente eversiva - consegnata al nostro esame dalla documentazione in possesso della Commissione, più volte citata.
Se indubbia appare quindi la valenza politica che l'intreccio tra ambienti militari e Loggia P2 assumeva nelle prospettive e nei piani di Licio Gelli, un ulteriore approfondimento analitico ci dimostra che tale connotazione politica non rimaneva astretta ad un piano di generica e velleitaria progettazione, ma trovava concreti sbocchi di pratica attuazione. Tale è l’esempio che ci viene fornito dalle vicende relative alla divisione Carabinieri "Pastrengo" di Milano, in ordine alla quale il tenente colonnello Bozzo, che in essa ha prestato servizio, ha testimoniato sulla "presenza di un vero e proprio gruppo di potere al di fuori della gerarchia... che aveva una matrice comune nella provenienza di servizio dalla Toscana".
Il gruppo comprendeva il generale Palumbo, comandante della divisione, il maggiore Antonio Calabrese e il generale Franco Picchiotti, la cui presenza ai vertici dell'Arma ne contraddistinse il "periodo di maggior splendore". Succeduto al Palumbo, il generale Palombi, estraneo al gruppo citato, la gestione di questi venne contrastata con il trasferimento a Milano di due ufficiali, il tenente c

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Commissione di inchiesta sulla strage di Via Fani
by LA POSIZIONE PERSONALE DEGLI ISCRITTI Friday, May. 28, 2004 at 6:07 PM mail:

La Commissione, analogamente a quanto rilevato dalla Commissione di inchiesta sulla strage di Via Fani e sull'uccisione dell'onorevole Moro, non ha potuto non prospettarsi il problema del significato della presenza di numerosi elementi iscritti alla Loggia P2 che rivestivano in quel periodo ed in ordine a quella vicenda posizioni di elevata responsabilità.
Sono questi interrogativi che emergono dalla testimonianza, ad esempio, del sottosegretario Lettieri, che di fronte a quella Commissione ha rilevato come le riunioni al Viminale del Comitato di coordinamento tra le forze dell'ordine vedevano presente intorno allo stesso tavolo una maggioranza di iscritti alla Loggia P2, tra gli organi tecnici di ausilio ai responsabili politici. Dagli appunti del sottosegretario Lettieri risultano infatti presenti a queste riunioni, oltre ai ministri interessati e ai vertici della Polizia e dei Carabinieri, i seguenti affiliati alla Loggia P2: i generali Giudice, Torrisi, Santovito, Grassini, Lo Prete, nonché, ad una di esse, il colonnello Siracusano.
Questa constatazione pone il quesito se l'inadeguatezza degli apparati informativi e di polizia dello Stato, sulla quale si è registrato un ampio consenso tra le forze politiche, abbia avuto a suo fondamento, motivazioni di ordine esclusivamente tecnico, o sia invece da riportare ad altro ordine di considerazioni. Questa problematica non ha trovato nel corso dell'indagine ulteriori riscontri, fatta eccezione per la deposizione del commissario di Pubblica Sicurezza Elio Cioppa, vice del generale Grassini al SISDE, il quale ha confermato la testimonianza resa di fronte al magistrato di aver successivamente ricevuto dal suo superiore, all'epoca del suo arrivo al Servizio, l'incarico di effettuare ricerche nell'ambito dell'ambiente della sinistra, sulla base di informazioni e valutazioni, e tra queste anche valutazioni relative alla vicenda Moro, che il suo superiore aveva recepito direttamente da Licio Gelli con il quale si incontrava saltuariamente, nell'interesse esclusivo del Servizio.
La testimonianza non viene smentita dal generale Grassini il quale, dichiarando di non ricordare l'episodio riferito dal Cioppa, afferma peraltro che, se lo aveva riferito Cioppa – funzionario serio e competente - doveva essere senz'altro vero. Aggiunge che, se aveva ricevuto informazioni da Gelli, ciò era avvenuto non in occasione di una riunione alla quale Gelli era presente, ma in un incontro
fra lui e lo stesso Gelli.
Il problema, sul quale si è soffermato a lungo il Commissario Flamigni, si pone, al di là dei supporti documentali e testimoniali in nostro possesso, nei termini di accertare se un episodio di così tragico e rilevante momento possa essere inquadrato nel contesto dei rapporti che Licio Gelli intratteneva con i suoi affiliati.
Su tale ordine di problemi quello che la Commissione è in grado di affermare, facendo riferimento al patrimonio conoscitivo che le è proprio, è che, mentre si pone come dato sicuro l'interesse attivo e politicamente determinato delle relazioni che Gelli intratteneva con gli ambienti militari della Loggia, come è ampiamente documentato nel corso della presente relazione, per eventi e situazioni
di ben minore portata rispetto a questo tragico evento, per contro, allo stato degli atti, non si hanno sicuri riscontri sul collegamento tra questo livello qualificato di rapporti e la vicenda specifica in esame.
Queste considerazioni relative alla precisa valenza politica che Licio Gelli attribuiva ai rapporti instaurati con quegli ambienti vanno pertanto a porsi in aggiunta alle osservazioni ricordate sulla insufficienza dimostrata dagli apparati e lasciano aperti, in un più ampio contesto, gli interrogativi da più parti sollevati. Interrogativi in ordine ai quali la Commissione non è in grado di fornire
risposte certe ma che peraltro, attesa la delicatezza della materia e il suo preminente rilievo politico, non ritiene, alla luce soprattutto dell'ambiguo rapporto identificato tra Licio Gelli ed i Servizi segreti, di poter sottacere.


L'analisi della struttura associativa che abbiamo sviluppato ci consente di affrontare il problema delle responsabilità degli affiliati in termini corretti, evitando di dare adito a controproducenti polemiche. Partendo infatti dalla distinzione tra fine immediato e fine ultimo della loggia ci sembra naturale concludere che tutti gli affiliati erano responsabili di appartenere ad una associazione che aveva il fine evidente di interagire nella vita del paese in modo surrettizio.
Rispetto al fine ultimo invece, cui tale inquinamento era diretto, si può affermare che la media degli affiliati ne era sostanzialmente non avvertita, per lo meno quanto alla sua concreta effettiva natura di pericolo grave per la società civile. Questa generale esenzione non va peraltro estesa a tutti coloro per i quali è lecito presumere che l'elevato incarico ricoperto (pubblico o privato che fosse), ovvero la natura delicata delle funzioni svolte non consentono errori di valutazione così macroscopici o compromissioni di sorta nell'adempimento del proprio dovere.
Proseguendo nell'analisi del problema va ricordato che, in sede di procedimento disciplinare, alcuni ufficiali hanno addotto a giustificazione della loro adesione l'invito loro rivolto da ufficiali gerarchicamente sopraordinati, i quali avrebbero fatto intendere, più o meno velatamente, che l'ingresso nell'organizzazione costituiva passaggio obbligato per lo sviluppo della carriera. Se è di palese evidenza che un simile comportamento costituisce una aggravante per coloro che hanno esercitato simili forme di pressione, lo spunto in esame si offre ad alcune considerazioni di più ampio respiro.
Il modulo di domanda per l'affiliazione alla Loggia P2 conteneva, oltre alle richieste di informazione che è dato attendersi in consimili occasioni, un'illuminante postilla: "...eventuali ingiustizie subite nel corso della carriera: ...; ...danno conseguente: ... ; ... persone, istituzioni od ambienti a cui si ritiene possano essere attribuiti: ...".
Questi dati ci pongono di fronte all'esemplificazione palese del viziato rapporto associativo che sottostava a questo organismo, al malsano intreccio di interessi che sin dal primo momento il Venerabile Licio Gelli proponeva e gli affiliati accettavano, quale base della mutua collaborazione futura. La sottoscrizione di questa domanda suona a disdoro per tutti coloro che vi hanno apposto la loro firma, perché essi hanno così denunciato la loro sfiducia nell'ordinamento quale fonte di tutela e garanzia dell'individuo, affidandosi a tal fine ad una organizzazione parallela e clandestina.
Soccorre qui naturale il richiamo alle organizzazioni mafiose, già proposto, e alla loro collaudata tecnica di porsi allo stesso tempo come fonte di illegalità e di protezione contro l'illegalità da esse stesse creata, che costituisce il cardine di una sostanziale operazione tentata di avocazione di poteri statuali, nella quale va individuata la maggior ragione di pericolo di tali forme associative
per la collettività. Analogamente la Loggia P2 sperimentava nei confronti di coloro che venivano individuati come elementi utili per l'organizzazione, quando recalcitranti, forme di pressione delle quali sono testimonianza, ad esempio, l'esperienza dell'onorevole Cicchitto, che ha denunciato di essersi iscritto dopo una persistente opera di pressione intimidatoria e le denunce degli ufficiali
subalterni, sopra ricordate.
La valutazione della responsabilità degli iscritti va poi riportata, secondo quanto ha osservato il Commissario Battaglia, al momento di appartenenza alla Loggia P2, distinguendo tra coloro che ad essa appartenevano prima dell'ingresso di Licio Gelli nell'organizzazione e coloro che ad essa hanno aderito durante il periodo della gestione gelliana, con particolare riferimento alla seconda fase caratterizzata dalla sostanziale emancipazione dalle strutture massoniche che funzionavano oramai da semplice copertura formale.
Contrariamente a quanto sostenuto dagli iscritti in sede di esami testimoniali, lo studio delle vicende del rapporto tra la loggia e le istituzioni massoniche che ad essa avevano dato vita, consente di affermare che chi si affiliava alla Loggia P2 intendeva, soprattutto nel secondo periodo di sviluppo, accedere piuttosto che alla massoneria, per l'appunto all'organizzazione guidata da
Licio Gelli.
In questo senso, come abbiamo affermato che Gelli era un massone atipico, così è dato osservare che gli affiliati alla Loggia P2 sono anch'essi massoni atipici tra i quali è dato distinguere una varia articolazione di individui che va da veri e propri massoni ovvero da coloro che accedevano alla massoneria, accettandone per altro le peculiarità organizzative della copertura - ed erano questi coloro che appartengono alla loggia prima dell'arrivo di Licio Gelli – a coloro che entrano nella Loggia P2 sotto l’egida della gestione gelliana e che hanno un rapporto con l'istituzione massonica via via più labile, secondo la rilevata progressiva emancipazione della loggia.
Questa valutazione, che ci si ritiene in dovere di fornire sul comportamento degli iscritti, attiene alla valutazione politica, propria come tale della Commissione ed alla quale la Commissione è doverosamente tenuta, ed in nulla interferisce sulle deliberazioni che verranno prese in proposito dai tribunali civili e militari, i quali sono tenuti, nella loro sovrana prerogativa giudiziaria, ad assumere criteri di giudizio di diversa natura e di diverse conseguenze.
La Commissione, giunta al termine dei suoi lavori, ritiene per altro doveroso affermare, con riferimento all'elemento della posizione personale degli iscritti, che non ci si può sottrarre all'impressione, ricavabile soprattutto dal contesto delle audizioni effettuate, che l'elemento della scarsa affidabilità e la approssimativa deontologia di comportamento di molti affiliati abbiano giocato un ruolo determinante nella creazione del sistema di potere gelliano. In questo senso la storia della Loggia P2 è una storia di uomini sbagliati - una categoria del costume l'ha definita il Commissario Mora – di uomini che non hanno risposto alla fiducia che in loro veniva riposta dalla società. Durante le audizioni la Commissione ha riscontrato atteggiamenti negatori che contestavano emergenze istruttorie suffragate prima ancora che da innegabili riscontri documentali, dalla logica stessa dei fatti ed ha potuto constatare che tale atteggiamento accomunava, con sorprendente identità di tecniche e di forme, uomini che avrebbero dovuto apparire del tutto diversi tra loro per rango occupato nella società. Questo comune porsi di fronte alla Commissione in posizioni di palese reticenza è del resto, vada detto in loro danno, ulteriore conferma dell'ampiezza del fenomeno e della sua eccezionale gravità.
Una precisazione finale è d'obbligo: la peculiarità della struttura associativa e organizzativa della Loggia P2 e la distinzione sulla consapevolezza dei fini - immediati e ultimi - enunciata, comportano la ricostruzione di un modello funzionale che non consente di ritenere ciascun componente partecipe e responsabile di tutte le attività della loggia. Se è vero, infatti, da un lato, che la compromissione degli affiliati con un organismo di accertata illecita natura è complessivamente certa, vero è anche, dall'altro, che tale compromissione varia tra il minimo della consapevolezza del fine immediato (propria della media di base) ed il massimo della
programmazione del fine ultimo eversivo, propria dei vertici.
Di più: il tipo di organizzazione per settori verticali, operanti il più delle volte con il sistema dei compartimenti stagni propri della Loggia P2, fa sì che l'attribuzione alla loggia di determinate attività debba intendersi riferita non già all'intera associazione, sibbene solo al settore competente nella relativa materia (così come, ad esempio, editoria, magistratura, commercio con l'estero, forze
armate, eccetera).
In definitiva e per concludere, ogniqualvolta si voglia risalire a responsabilità personali per attività imputabili alla loggia, occorrerà procedere innanzitutto alla individuazione del "settore" dell'organizzazione competente per materia e quindi all'individuazione dei singoli affiliati che di quel settore facevano parte.


LA DOCUMENTAZIONE ANTERIORE ALL'INFORMATIVA COMINFORM


Per una corretta interpretazione del problema del rapporto instaurato tra Licio Gelli ed i Servizi segreti è imprescindibile prendere le mosse da un analitico e dettagliato esame dei documenti pervenuti ed in particolare dal fascicolo intestato a Licio Gelli, conservato negli archivi dei Servizi di informazione, ed inviato dal SISMI alla Commissione. Questo fascicolo verrà analiticamente studiato al fine di interpretare, nei suoi termini reali, il ruolo svolto dai Servizi segreti nella vicenda della Loggia P2.
Dalla documentazione inviata apprendiamo che i Servizi si sono interessati per la prima volta di Licio Gelli nel 1945, nell'ambito di indagini relative a due agenti nemici che avevano lasciato Pistoia al seguito dei tedeschi. Da questa prima nota informativa apprendiamo che nel corso delle indagini era infatti emerso che nel novembre 1944 un certo Gelli si era presentato alla famiglia di
uno dei due, cercando di scoprire se questa sapesse dove il congiunto fosse riparato. I Servizi raccolsero a questo punto notizie sul Gelli in questione e lo identificarono in Gelli Licio di Ettore e fu Gori Maria, nato il 21-4-1919 a Pistoia. Gelli, che si trovava all'epoca e La Maddalena, fu sottoposto ad interrogatorio presso il Centro di Cagliari.
Nell'occasione raccontò che il 9 settembre 1943 si trovava a Viterbo come tenente dei paracadutisti; venne rastrellato da un reparto tedesco e, posto di fronte all'alternativa di aderire alla Repubblica di Salò o di essere deportato in Germania, optò per la prima soluzione, rientrando a Pistoia come ufficiale di collegamento con le SS presso la Federazione dei Fasci. Stando sempre a quanto
dichiarato da Gelli, egli avrebbe quindi preso contatti con il CLN pistoiese e reso utili servizi ai partigiani. I comandi nazifascisti, venuti a conoscenza di questa sua collaborazione, gli diedero la caccia, istituendo una taglia di lire centomila (100.000) a favore di chi lo avesse catturato. Con l'aiuto del CLN Gelli e la sua famiglia ripararono allora in montagna per rientrare in città soltanto dopo la liberazione, avvenuta nel settembre 1944.
Nell'ottobre del 1944, sempre secondo le sue dichiarazioni, Gelli fu chiamato a collaborare con il Counter Intelligence Corps al seguito della V Armata, vale a dire con il servizio di controspionaggio militare americano, su indicazione del quale si sarebbe recato nell'abitazione dell'agente nemico. I servizi resi gli consentirono nel dicembre del 1944 di recarsi a La Maddalena, munito di un
lasciapassare rilasciatogli in data 12 gennaio 1945 dal Presidente del CNL di Pistoia, Italo Carobbi: una specie di "lettera di raccomandazione" per il CLN di Napoli affinché Gelli fosse aiutato "nel limite delle possibilità, nell'espletamento della concessione del permesso per recarsi in detta località" (La Maddalena).
Già nell'ottobre del 1944 Italo Carobbi, a nome del CLN pistoiese, aveva rilasciato a Gelli una sorta di "carta di libera circolazione". Il rilascio di questo attestato doveva aver suscitato critiche nell'ambito dello stesso CLN pistoiese, tanto che La Voce del Popolo (organo del CLN di Pistoia) dovette uscire il 4 febbraio 1945 con un articolo di chiarimento sulla vicenda. In questo attestato, che Gelli esibì nel corso dell'interrogatorio cui fu sottoposto a Cagliari, si rileva che Gelli, pur essendo stato al servizio dei fascisti e dei tedeschi, si era reso utile in vari modi alla causa dei patrioti pistoiesi.
Egli aveva infatti:

avvisato partigiani che dovevano essere arrestati;
messo a disposizione e guidato personalmente il furgone della Federazione fascista per portare
sei volte consecutive rifornimenti di viveri ed armi alla formazione di Silvano e alle formazioni
di Pippo, dislocate in Val di Lima;
partecipato e reso possibile la liberazione dei prigionieri politici detenuti alla Villa Sbertoli.
La dichiarazione di Carobbi termina con questa frase: "Resta salva la facoltà di esaminare con maggiore cura le attività svolte dal Gelli Licio, onde stabilire definitivamente la sua posizione".
Questo dunque il tenore della prima informativa su Licio Gelli agli atti nei fascicoli dei Servizi.
Gelli fornì in occasione dell'interrogatorio cagliaritano la versione dei fatti a lui più congeniale, ma ammise comunque la sua attività di doppiogiochista e di delatore, e fornì in quell'occasione i nominativi di quelle 56 persone che avevano attivamente collaborato con i tedeschi; la lista che Pecorelli prometteva di rivelare nel successivo numero di O.P., quello che non sarebbe mai uscito.
Le due informative successive (luglio 1945 e gennaio 1946) contengono molte notizie sui trascorsi del Venerabile. Lette in parallelo con le informative contenute nel fascicolo inviato dalla questura di Pistoia, relative agli stessi anni, e con il fascicolo inviato dal Tribunale di Pistoia, ci consentono la seguente ricostruzione.

1936: Gelli si arruola volontario nell'ex M.V.S.N. proveniente dalla G.I.L. Partecipa alla guerra di Spagna.
1940: Si iscrive al Partito nazionale fascista, proveniente dai G.U.F.
1942: E’ chiamato a Cattaro (Jugoslavia) da Alzona, ex federale di Pistoia. Qui diviene uomo di fiducia di Parini, segretario dei fasci italiani all'estero. Resta a Cattaro fino al 25 luglio 1943.
1943: Aderisce alla Repubblica sociale italiana. E’ uno dei primi a costituire a Pistoia il fascio repubblicano. Diviene ufficiale di collegamento con le SS. E’ attivo nel rastrellamento dei prigionieri inglesi e degli antifascisti. Fa arrestare il parroco di San Biagio in Cascheri che a suo dire avrebbe favorito alcuni di essi. Capeggia le squadre per il rastrellamento dei renitenti alla leva; è complice dell'arresto di quattro di essi, poi fucilati nella fortezza di Pistoia.
1944 - 26 giugno: Partecipa, con la formazione partigiana di Silvano Fedi, all'attacco alle carceri giudiziarie di Pistoia, Villa Sbertoli, che consenti la liberazione di 57 detenuti politici e di due ebrei.
1944 - 28 agosto: E’ ucciso il commissario capo di PS presso la questura di Pistoia, Giuseppe Scripilliti, che collaborava con i partigiani. Gli fu teso un agguato proprio mentre stava portando al capo partigiano Silvestro Dolfi un elenco di fascisti repubblicani e di collaboratori dei tedeschi. Gelli fu coinvolto in questo delitto dalle deposizioni rese nel 1947 da Dolfi, al quale il nominativo di Gelli come sicario di Scripilliti era stato fatto da un altro partigiano, Michele Simoni. Il Simoni però, in seguito alle indagini personalmente compiute, modificò in un secondo tempo i suoi convincimenti e ritenne Gelli estraneo al delitto.
1944 – settembre: Dopo la liberazione di Pistoia, Gelli è oggetto di rappresaglie: l'11 novembre è aggredito in piazza San Bartolomeo.
1944 - 2 ottobre: Primo attestato di Carobbi (carta di libertà di circolazione).
1945 - 12 gennaio: Secondo attestato di Carobbi.
1945 - 4 febbraio: Sul settimanale La Voce del Popolo appare un articolo intitolato: "Un chiarimento del CPLN ". Si giustifica il rilascio dell'attestato del 2 ottobre 1944.
1945 – febbraio: Ritornando clandestinamente dalla Sardegna è arrestato nei pressi di Lucca dalla polizia militare alleata.
1945 - 22 marzo: La procura del Re di Pistoia emette nei suoi confronti mandato di cattura per i delitti commessi durante il regime fascista (sequestro di Giuliano Bargiacchi, figlio di un collaboratore dei partigiani).
1945 - 21 aprile: E’ condannato in contumacia dal tribunale di Pistoia a due anni e sei mesi di reclusione per sequestro di persona e furto.
1945 - 11 settembre: in relazione al sequestro Bargiacchi è arrestato a La Maddalena.
1946 - 20 marzo: Sempre per lo stesso episodio ottiene la libertà provvisoria ed è rinviato da La Maddalena a Pistoia.
1946 – 25 marzo: Il procedimento penale presso la corte d'assise straordinaria, provocato da una denuncia del colonnello dell'aeronautica Ferranti Vittorio (a suo dire Gelli avrebbe organizzato rastrellamenti di prigionieri inglesi), è trasmesso, con la richiesta di proscioglimento per insufficienza di prove, alla corte d'appello di Firenze che dispone invece l'istruttoria formale.
1946 – 1° ottobre: In relazione al sequestro Bargiacchi è assolto dalla corte d'appello di Firenze perché il fatto non costituisce reato.
1946 - 30 novembre: Nella cartella biografica intestata a Licio Gelli presso la prefettura di Pistoia leggiamo, nel riquadro riservato alla situazione economica: "Nullatenente. E’ aiutato dai parenti, mentre egli si industria con il piccolo commercio".
1947 - 7 gennaio: E’ iscritto nel Casellario politico centrale del Ministero dell'interno e sottoposto ad "attenta vigilanza".
1947 - 27 gennaio: Il processo penale iniziato a seguito della denuncia di Ferranti si conclude con sentenza assolutoria per amnistia della sezione istruttoria della corte d'appello di Firenze.
1947 - 11 settembre: Ottiene il passaporto per la Francia, Spagna, Svizzera, Belgio ed Olanda.
1948 - 9 luglio. Per quanto concerne la posizione del CPC, la vigilanza è ridotta da "attenta" a "discreta".
1949 - 12 aprile: Il tribunale di Pistoia lo condanna all'ammenda di lire 1.400 per contrabbando e frode dell'IGE. La pena è sospesa.
1950 – 24 marzo: E’ radiato dal CPC.
Questo è dunque il quadro che emerge dalle informative precedenti il settembre 1950.


L'esame dell'operazione di sequestro effettuata presso gli uffici e la residenza di Licio Gelli dalla Guardia di Finanza su ordine dei giudici Turone e Colombo, nell'ambito dell'inchiesta loro affidata sull'affare Sindona, precede logicamente l'analisi del problema relativo alla veridicità delle liste, poiché elementi di sicuro interesse ai nostri fini possono essere tratti dall'esame degli
eventi che precedettero ed accompagnarono il loro ritrovamento.
Ricordiamo in primo luogo che il generale Orazio Giannini, all'epoca comandante generale della Guardia di Finanza, telefonò al colonnello Vincenzo Bianchi che stava effettuando la perquisizione e lo invitò a prestare attenzione a quello che faceva poiché nella lista dei nomi vi erano "tutti i vertici" e che l'operazione avrebbe potuto essere di estremo pregiudizio per il Corpo.
Interrogato poi dalla Commissione, il generale Giannini non ha saputo fornire persuasive spiegazioni circa la sua conoscenza di un'attività di polizia giudiziaria che sappiamo gli organi procedenti avevano cautelato con la massima cura e che il loro operato e la loro integrità ci garantiscono coperta dal più assoluto segreto istruttorio. Il generale Giannini non è stato in grado di spiegare le ragioni che lo indussero a comportarsi nel modo descritto né, particolare ancora più significativo, di rivelare la fonte della sua effettiva conoscenza del contenuto degli elenchi.
Numerose e concordanti risultanze generano poi legittime perplessità sugli antefatti dell'operazione di sequestro degli elenchi di cui si discute e, quindi, sulla sorpresa, in via generale, che essa abbia potuto costituire per Licio Gelli. Testimonianze in questo
senso sono state rese da vari personaggi al corrente delle vicende inerenti alla Loggia P2: tali infatti le dichiarazioni del colonnello Massimo Pugliese al giudice istruttore di Trento, da Placido Magrì, la cui fonte dichiarata fu in proposito Francesco Pazienza, ed infine dall'ingegner Francesco Siniscalchi.
Questi accenni e queste indiscrezioni trovano conferma in un esame analitico dell'operazione e dell'epoca in cui intervenne. Le operazioni di sequestro ordinate dai giudici di Milano si pongono come conclusivo episodio di una vicenda di contorni non chiari, ma di significato generale abbastanza definito.
Il sistema gelliano di potere sembra infatti entrare in crisi alla fine degli anni Settanta, secondo quanto denunciano alcuni avvenimenti che intervengono in quel periodo. Così il processo che Salvini subisce negli Stati Uniti da parte della massoneria americana, motivato proprio in ragione delle sue compromissioni con Gelli; processo, questo, del tutto anomalo, ma che non può non colpire significativamente perché è comunque un dato di fatto che Salvini pone termine anticipatamente al suo mandato, presentando le dimissioni da Gran Maestro, con un gesto invero inusuale per un personaggio che si era dimostrato quanto mai restio a simili passi. Così ancora è nel 1979 che i Servizi segreti consegnano a Pecorelli l'informativa COMINFORM perché questi ne faccia uso: senza anticipare le conclusioni che su questo punto verranno tratte nel capitolo apposito, è questo un atto che non sì può non interpretare come indubbio segno di incrinamento nel rapporto tra Gelli e questo apparato.
Così ancora infine è nel 1979, secondo le testimonianze, che compare presente in Italia Francesco Pazienza, uomo legato ai Servizi segreti in ambienti internazionali, di non ben certa origine; il Pazienza è elemento comunque sicuramente legato ai Servizi segreti italiani, ed in particolare al generale Santovito, e ricopre un ruolo che non si riesce ad interpretare chiaramente se si ponga in termini di vicarietà o successione, consensuale o meno, rispetto a Licio Gelli. In questa prospettiva il Commissario Crucianelli ha sottolineato l'autonomia acquisita dalla Loggia P2, come struttura obiettiva che ha messo in moto meccanismi che prescindevano anche dagli stessi protagonisti soggettivi: tale appunto Francesco Pazienza che vediamo subentrare a Gelli, quasi automaticamente, nei rapporti con Roberto Calvi e con il generale Santovito.
L'elemento connotativo di questa situazione, nella quale il potere del Venerabile sembra patire elementi di disturbo, se non di cedimento, è certamente l'intervista che Licio Gelli rilascia al Corriere della Sera nel 1980, una iniziativa invero sorprendente per un uomo che si era sempre mosso nella riservatezza più assoluta e che in essa aveva trovato una delle armi più efficaci.
L'intervista di Gelli, letta attraverso l'ostentata sicurezza delle dichiarazioni, sembra in realtà un messaggio che il capo della Loggia P2 invia all'esterno come all'interno dell'organizzazione; di quell'organizzazione che aveva cautelato con gli stratagemmi che abbiamo studiato nel precedente capitolo, è ora egli stesso a svelare l'esistenza ed i contenuti, quasi a voler avvertire che il riserbo di cui tutti si erano sino ad allora giovati poteva un giorno, in parte od in tutto, cadere ad opera del suo stesso artefice.
Il quadro dì eventi che abbiamo disegnato fa da cornice alla perquisizione di Castiglion Fibocchi ordinata dai giudici di Milano, titolari dell'inchiesta su Michele Sindona, ai quali l'avviso della pista Gelli, inserito in un ampio contesto istruttorio testimoniale e documentale, era stato fornito da un personaggio notoriamente legato al finanziere siciliano per il quale aveva gestito in Sicilia
l'operazione di finto rapimento. Quale segno sia da attribuire a questa iniziativa nei confronti di Gelli non può essere chiarito, ma certo essa si iscrive nel complesso rapporto Gelli-Sindona, mostrando che la collaborazione tra i due si era seriamente incrinata: l'interrogatorio reso da Miceli Crimi, in data 26 febbraio, ai giudici milanesi, mostra, al termine di una lunga, ostinata reticenza, la chiara volontà di denunciare il Gelli.
Prendendo adesso in esame il materiale sequestrato proveniente alla Commissione come frutto dell'operazione eseguita a Castiglion Fibocchi, un dato sopra ogni altro colpisce l'attenzione dell'osservatore: la constatazione che il nucleo della documentazione avente valore fondamentale ai fini dell'indagine non era contenuto nella cassaforte dell'ufficio, suo naturale luogo di deposito, ma in una valigia. Questa valigia conteneva, oltre ad una lista degli iscritti alla Loggia P2, tutta una serie di documenti che denunciavano in quali attività e di quale rilievo la Loggia era implicata; si noti che qualora infatti la Guardia di Finanza avesse provveduto al sequestro del solo materiale contenuto nella cassaforte - nella quale erano altre copie dei soli elenchi - il dato conosciuto agli investigatori sarebbe stato soltanto quello relativo all'appartenenza ad una Loggia massonica di un certo gruppo di eminenti personalità.
Il materiale contenuto nella valigia ha invece la natura di denunciare al contempo l'esistenza della Loggia, poiché contiene una ulteriore serie di elenchi, nonché la sua valenza politica, per la natura dei documenti a quegli elenchi annessi. Rimane pertanto dimostrato che il blocco di documentazione a noi pervenuta ha una intrinseca reciproca funzionalità, perché la valigia che li conteneva, oggetto invero strano per collocare materiale di tal fatta, aveva un suo autonomo valore di eccezionale significato.
Avendo riguardo a queste considerazioni, l'importanza intrinseca dei documenti contenuti nella valigia, esaminati nella loro reciproca correlazione, porta a ritenere che questo materiale era verosimilmente inserito in un processo di trasferimenti dell'archivio di Licio Gelli, che l'incerta e contrastata ultima fase della vicenda del Venerabile, prima tratteggiata, rende attendibile ed al quale siamo indotti a pensare sia per la costituzione, da far risalire a questo periodo., della cosiddetta Loggia di Montecarlo, intesa da Gelli come alternativa alla localizzazione italiana del centro delle sue attività, sia dall'esistenza di una duplicazione dell'archivio in questione nella residenza uruguayana del Venerabile.
Questa ricostruzione, che non possiamo collocare nell'ambito delle certezze acquisite per l'incompletezza di informazioni su tale ultimo periodo, peraltro riveste certamente connotati di estrema attendibilità. Quel che è fuori dubbio è che comunque essa ci consente di affermare che la documentazione in possesso della Commissione non può che essere presa in attenta e seria considerazione per la primaria constatazione che essa si trovava al centro di un complesso gioco nel quale i protagonisti le attribuivano altissimo valore, e tra essi va ricordato il Comandante generale della Guardia di Finanza, autore del maldestro tentativo di insabbiamento già ricordato.
Le considerazioni esposte sono riferite naturalmente agli attori espliciti di questa vicenda ed ai suoi retroscena, ed in nulla attengono alla integrità ed attendibilità dell'inchiesta giudiziaria e della operazione di sequestro in sé considerata, come si evince se non altro dalle modalità di esecuzione predisposte dall'organo inquirente ed attuate da quello procedente, delle quali è testimonianza eloquente la denuncia che il colonnello Bianchi effettuò dell'indebita ingerenza tentata nei suoi confronti dal superiore gerarchico.

Il complesso di documentazione pervenuto alla Commissione consente di formare un quadro sufficientemente preciso in ordine alle strutture organizzative della Loggia P2.
Il primo dato che emerge a tal fine dai documenti è l'assenza di quel fondamentale momento di vita associativa costituito dall'assemblea degli aderenti all'organizzazione, dalla riunione cioè nella quale i soci dibattono i problemi dell'associazione, tirano i consuntivi dell'attività svolta, programmano la vita futura ed infine procedono alla elezione delle cariche sociali. In una associazione regolarmente costituita e fisiologicamente funzionante, questa complessa attività interviene secondo scadenze prefissate in astratto, sulle quali il vertice non può influire ad arbitrio, ed è sottratta altresì ad un eventuale potere derogatorio dei soci, promanando dallo statuto sociale.
Nulla di tutto questo è dato riscontrare nella Loggia P2. I documenti al nostro studio, non abbondanti ma esaurienti ai nostri fini, e le testimonianze raccolte consentono di affermare che non solo una consimile attività collegiale non ha mai avuto luogo, sia pure in modo episodico, ma che di essa non si è nemmeno mai prospettata l'esigenza o quanto meno contestata la mancanza.
Questa incontrovertibile constatazione può condurre a due diverse soluzioni: ritenere non qualificabile la Loggia P2 come associazione o per converso riconoscerle natura associativa, tale peraltro da essere confinata nella patologia di tale forma di vita di relazione.
La Commissione considera che questa sia la soluzione da accogliere, per una serie di ragioni che possiamo elencare secondo l’ordine seguente.
E’ in primo luogo accertato che la Loggia P2 conosceva momenti assembleari di parziale portata. Sono infatti in possesso della Commissione documenti che testimoniano di riunioni di gruppi di affiliati che per altro non avvenivano secondo una calendarizzazione prefissata, caratteristica tra l'altro di tutte le logge massoniche, quanto piuttosto per impulso episodico del vertice dell'organismo. In secondo luogo è dato di sicuro riscontro la presenza di strutture stabili che garantivano la funzionalità dell'organizzazione in quanto tale, assicurando i contatti tra settori di soci variamente identificati: sono questi i diciassette gruppi costituiti nella seconda fase, ai quali si aggiungeva il gruppo centrale guidato da Gelli. Sotto il profilo strutturale è altresì da rilevare che l'organizzazione aveva un vertice, ovvero un capo riconosciuto come tale dagli affiliati e che questo vertice, modellato secondo una tipologia strettamente personalizzata andava individuato nella figura di Licio Gelli, poiché i riferimenti ad un vertice più allargato, che viene indicato come direttorio, non trovano pratica attuazione secondo i documenti in nostro possesso. Terzo rilievo è che appare acclarato come una conoscenza interpersonale tra i soci, in quanto tali, fosse certamente garantita dalle riunioni di gruppo: è pacifico cioè che gli affiliati entravano in contatto con altri affiliati, riconoscendosi reciprocamente tale qualifica. Il quarto argomento è relativo all'esistenza di un indubbio momento qualificato, particolarmente solennizzato nella iniziazione, attraverso il quale l'affiliato riconosceva di aderire alla associazione accettandola in quanto tale. Va da ultimo sottolineato, con riferimento alla sede, come dato certo, che la loggia in quanto tale ha usufruito sempre di un punto di riferimento stabile in modo continuativo (Via Lucullo, Via Cosenza, Via Condotti, Via Vico, Via Romagnosi). Per altro a tale sede può farsi riferimento nell'ultima fase, solo per la sessantina di iscritti che figurano nel pie’ di lista ufficiale. E’ certo infatti che durante questo periodo, quello di maggior significato e di più grande sviluppo, la gestione amministrativa e contabile venne a trovare il suo punto di riferimento presso la segreteria personale del Gelli, negli uffici personali di Castiglion Fibocchi, mentre il vero centro di attività del Venerabile e della loggia andava localizzato nella suite da questi occupata presso l'Hotel Excelsior, meta assidua di pellegrinaggi di affiliati (e non) secondo le concordi testimonianze. Questa duplice localizzazione della reale sede della loggia ben rappresenta il rapporto di totale predominio che Gelli aveva infine raggiunto nella Loggia Propaganda, anche nei confronti della comunione di Palazzo Giustiniani.
Gli argomenti che abbiamo esposti ci consentono di affermare non solo che la Loggia P2 era oggettivamente costituita come struttura associativa ma che, in quanto tale, essa era soggettivamente considerata dagli aderenti.
Il successivo passaggio è pertanto quello di stabilire secondo quali modalità questa associazione si organizzava relativamente alle peculiarità del tutto singolari del suo concreto operare e delle sue finalità, quali ci vengono mostrate dai documenti.
Riprendendo gli argomenti sopra esposti ci è dato osservare che una connotazione ad essi comune è la settorializzazione dei rapporti tra gli affiliati: non è tanto cioè che manchino del tutto strutture e modelli propri di una associazione normalmente funzionante ad assumere rilievo, quanto piuttosto che essi sono presenti in forme che tendono ad escludere la circolarità delle relazioni intersociali. Così manca l'assemblea generale, ma esistono assemblee di gruppo; così pure è assicurata la conoscenza personale tra gli affiliati, ma è negato al socio il possesso del dato conoscitivo relativo alla totalità degli altri associati: altro elemento questo, si noti, assolutamente caratterizzante una associazione di tipo regolare. Questi rilievi ci consentono di osservare come la
prima manifestazione della patologia associativa della Loggia P2 risieda nella sua struttura, modellata al fine di realizzare una sostanziale parcellizzazione della vita sociale e dei rapporti tra i soci(1).
Tale assunto ci consente di pervenire all'acquisizione di un ulteriore risultato interpretativo di estremo interesse. Non è chi non veda che una struttura parametrata al modello descritto può avere possibilità di concreto funzionamento solo postulando una direzione di vertici che, superando la parzialità delle relazioni sociali ed in sé assumendole, consenta all'organizzazione di estrinsecare i propri contenuti. L'assenza infatti di un fondamentale momento di vita associativa quale l'assemblea, comporta di necessità l'esistenza di un modello funzionale nel quale il vertice provveda a quanto non realizzato dalla base: determinare, cioè, le linee generali di azione della organizzazione.
Tale modello era per l'appunto quello della Loggia P2 nella quale il Venerabile Maestro assumeva configurazione di dominus assoluto dell'associazione, non trovando di fronte a sé alcuna forma dì espressione consorziata della volontà degli affiliati. Come tale Licio Gelli non ripeteva la sua posizione da procedimenti elettivi, dei quali non si ha traccia alcuna, mentre per converso ci è noto
che il Salvini ne decretò, su impulso del Gamberini, l'elevazione al rango di Maestro Venerubile rigidamente elettiva secondo gli statuti massonici.
Lo schema di funzionamento sociale, che abbiamo individuato ci consente di affermare che la Loggia P2 si pone come una associazione di assetto piramidale caratterizzato dall'assenza o dall'estrema labilità dei rapporti orizzontali tra i soci. Ad essa corrisponde l'individuazione, estremamente significativa, di una serie di rapporti verticali instaurati tra la base ed il vertice, tra gli affiliati ed il Gran Maestro, ampiamente documentati, in univoco senso, alla documentazione epistolare e dai riscontri testimoniali.
Questo modello funzionale era del resto esplicitamente portato a conoscenza degli affiliati, secondo quanto si ricava da una lettera circolare dal Gelli inviata ai nuovi iscritti, nella quale è dato leggere: "Colgo l'occasione per ricordarti che per qualsiasi tua necessità dovrai metterti sempre in contatto diretto con me e che nessuno che non sia stato da me esplicitamente autorizzato – della qualcosa ti darò preventiva comunicazione - potrà venire ad importunarti: qualora si dovesse verificare la deprecabile ipotesi che del resto è assai remota, per non dire impossibile - di un tentativo di avvicinamento da parte di persona che si presenti a te facendo il mio nome, sarei grato se tu respingessi decisamente il visitatore e mi dessi immediata notizia dell'accaduto".
Il testo citato offre alla nostra attenzione un duplice dato conoscitivo, perché, oltre alla puntuale descrizione della situazione di verticalizzazione dei rapporti sociali individuata come caratteristica strutturale della Loggia P2, ci conduce alla prospettazione in termini conclusivi del problema della segretezza dell'organizzazione.
La ricostruzione proposta della storia della loggia nell'ambito del Grande Oriente ci ha consentito di affermare che, attraverso il processo di ristrutturazione che intervenne a partire dalla Gran Loggia di Napoli del 1974, la Loggia P2 venne a porsi in una condizione di segretezza non più assimilabile alla riservatezza propria della tradizione massonica e tale da consentirci di definire
l'organizzazione come contrassegnata da una connotazione oggettiva, ovvero strutturale, di segretezza. Quando adesso si considerino le raccomandazioni agli iscritti contenute nella circolare riportata ci si avvede che in seconda analisi esse altro non sono che una modalità attuativa della segretezza della loggia, riportata all'estrinsecarsi delle relazioni sociali. La segretezza della loggia
vale cioè non solo nei confronti dell'esterno, ma permea essa stessa la vita dell'associazione, trovando nella figura del Maestro Venerabile l'elemento esclusivo di contatto tra gli affiliati ovvero l'arbitro ultimo delle relazioni sociali e della loro stessa riconoscibilità nell'ambito della organizzazione.
Quanto all'esterno dell'organizzazione, nei confronti del mondo "profano", la segretezza veniva sanzionata da un documento che fissava le regole di comportamento dei soci. In questo singolare testo, intitolato "Sintesi delle norme", è dato leggere che l'affiliato deve evitare di cadere in situazioni che possano condurlo ad "infrangere - anche se involontariamente - la dura regola del silenzio". Una regola, questa, che l'affiliato accettava sin dal momento del suo ingresso nella loggia, quando, prestando giuramento, si impegnava a non rivelare i segreti dell'iniziazione muratoria.
I riferimenti documentali riportati, richiamati dal Commissario Bellocchio, ci consentono pertanto di affermare conclusivamente, completando il discorso impostato nel primo capitolo, che non solo la Loggia P2 era organizzazione oggettivamente strutturata come segreta, ma che essa, come tale, era soggettivamente riconosciuta ed accettata dagli iscritti.
Dopo aver studiato la struttura dell'associazione, vediamo adesso come essa si ponesse in relazione al perseguimento dei fini associativi, nonché quali fossero la compartecipazione programmatica e la conoscenza reale dei soci in ordine agli scopi ultimi dell'organizzazione alla quale avevano scelto di aderire.
Anticipando qui argomenti e conclusioni che costituiscono lo sviluppo successivo del presente lavoro, possiamo affermare che la Loggia P2 si delinea nettamente alla nostra attenzione come una complessa struttura dedita ad attività di indebita, se non illecita, pressione ed ingerenza sui più delicati ed importanti settori, ai fini sia di arricchimento personale, sia di incremento di potere, tanto personale quanto della loggia(2).
Questa ramificata azione, perturbatrice dell'ordinato svolgimento delle istituzioni e degli apparati, interessava i campi più svariati della vita nazionale: dalla politica all'economia, dall'editoria ai ministeri.
Questa enunciazione consente alla Commissione di affermare, con riferimento alla finalità immediata della Loggia P2, che essa era come tale non solo conosciuta dagli aderenti, ma si poneva come motivo primo della loro adesione alla associazione. Entrare a farvi parte, infatti, altro non denunciava se non la dichiarata e consapevole volontà di concorrere a tale azione perturbatrice per la parte di rispettiva competenza, ad essa apportando il patrimonio personale della propria capacità professionale, delle proprie relazioni e delle influenze esercitabili. In questa prospettiva possiamo affermare che la finalità immediata della Loggia P2 era, come tale, in pari modo
conosciuta da tutti i membri dell'associazione e da tutti, con pari impegno, perseguita, le differenze riscontrabili, rispetto a tale fine concreto, avendo ragione di essere solo per il diverso ruolo da essi membri ricoperto nella società civile.
Possiamo osservare da ultimo che l'identificazione della ragione associativa con questa finalità immediata altro non costituisce se non lo sviluppo del tradizionale concetto di solidarietà massonica, che il Gelli, dando notizia agli iscritti della costituzione dei gruppi, così efficacemente individuava: "...solidarietà che, come sai, rappresenta il trave maestro della nostra Istituzione...".
Notiamo allora che lo specifico apporto gelliano, nel consolidato quadro di vita massonica, risiede nello sviluppo, sino alle estreme conseguenze, di fenomeni prima di lui esistenti: come dalla riservatezza si passa per gradi alla definitiva segretezza, con un compiuto salto di qualità, così dalla tradizionale solidarietà, funzionale ad operazioni di piccolo cabotaggio, si arriva alla dimensione affatto nuova di una operazione generalizzata di interferenza nella vita del Paese. E’ facile allora osservare come i due fenomeni, secondo quanto ci mostra lo studio della vicenda della loggia, corrano in parallelo secondo un legame di intrinseca reciprocità, il primo essendo funzionale alla ambizione di propositi del secondo.
Accanto, o meglio oltre, questo fine immediato la Loggia P2 si poneva un fine mediato o ultimo al quale il primo era subordinato, e che verrà analizzato e studiato nel capitolo concernente il progetto politico della Loggia Propaganda: possiamo già dire, in tale sede, che il fine ultimo della organizzazione risiedeva nel condizionamento politico del sistema.
Il problema che ci poniamo è quello di rilevare quale reale conoscenza vi fosse presso gli affiliati in ordine a tale ultimo fine della Loggia P2, se e con quale grado di intensità fosse in loro presente la percezione che il concorso complessivo delle loro azioni, unificate dal vincolo associativo della loggia, tendeva al perseguimento del fine politico indicato: se cioè essi fossero avvertiti della
subordinazione del fine immediato, da tutti condiviso, al fine ultimo della Loggia P2.
Dall'esame degli atti e della documentazione in nostro possesso non risulta che il concorso della solidarietà tra affiliati pervenisse al riconoscimento esplicito di questo collegamento; questa finalità ultima, peraltro, secondo l'ampia analisi che svolgeremo in seguito, costituisce la connotazione generale del fenomeno piduista, più che come professata dichiarazione intenzionale, in termini di
implicita, sottesa direzione delle azioni della loggia e dei suoi aderenti. A riprova di quanto affermato notiamo che il piano di rinascita democratica, del quale si farà analisi particolareggiata, delinea lucidamente tale strategia, ma ad essa non fa mai esplicito riferimento, come del resto è lecito attendersi attesa la gravità dell'obiettivo.
Tale premessa ci consente di affermare in via induttiva, ma con verosimiglianza di risultato, che la consapevolezza del fine ultimo della loggia non poteva che essere graduata a seconda del ruolo rivestito dagli affiliati e - trattandosi di finalità squisitamente "profana", per restare nella terminologia - non poteva che assumere a metro di paragone il loro ruolo "profano", ovvero gli incarichi e le funzioni da essi ricoperti nella società. In via esemplificativa ci sembra di poter evidenziare che, rispetto a tale ultimo fine, il coinvolgimento del direttore dei Servizi segreti fosse ben diverso da quello di un ufficiale subalterno.
Di pari evidenza risulta che, per quanto invece attiene al fine immediato dell'organizzazione, diversa era la conoscenza delle attività della loggia a seconda dei settori di appartenenza; talché, tenendo anche conto del grado di espansione delle attività, quanto avveniva nel settore editoria coinvolgeva certamente gli appartenenti del gruppo Rizzoli, ma non in pari misura, ad esempio, gli esponenti di vertice del mondo militare i quali, pur essendo a conoscenza della penetrazione nel settore, ricorrevano alla intermediazione del Gelli per i contatti reciproci, secondo quanto dimostrano vari episodi di ingerenza nel Corriere della Sera, gestiti, verosimilmente, dal Trecca.
Possiamo allora concludere che a livello di fini dell'associazione, immediati o ultimi che siano, si riscontra lo stesso fenomeno di parcellizzazione tra i soci rilevato a livello strutturale; conclusione questa che, per la convergenza dei risultati interpretativi, non solo arricchisce il nostro patrimonio conoscitivo, ma attribuisce connotazioni di verosimile attendibilità alla ricostruzione proposta.
Rimane da ultimo da precisare che il modello organizzativo studiato, anche a livello di finalità dell'associazione, presupponeva che il possesso completo della loro conoscenza risalisse soprattutto alla figura che vi fa capo e quindi al Venerabile Maestro, la cui infaticabile attività è testimoniata da tutte le fonti e che risulta ben spiegabile in un contesto associativo così organizzato. La Loggia P2 ci appare allora, in tutta la sua funzionale essenzialità, patologica, certo, rispetto ai modelli normali di associazione, ma assolutamente idonea quale strumento destinato alla gestione di una generale operazione di inserimento nel sistema a fini di condizionamento e controllo. Il modello assunto è stato definito "per cerchi concentrici" dall'onorevole Rognoni e tale espressione ben rappresenta la settorialità di strutture e di relazioni sociali proprie dell'organizzazione.
Non è infine chi non veda come questa tipologia associativa, pur patologica, non sia peraltro del tutto nuova. Il Procuratore generale della Repubblica, nei motivi di appello avverso la sentenza del Giudice istruttore del tribunale di Roma, ha infatti affermato, con riferimento al problema di segretezza, che "sembra quasi di vedere enunciate, per tabulas, le regole del silenzio, omertà e sicurezza a cui si dovevano attenere gli appartenenti ad organizzazioni terroristiche o mafiose o camorristiche".
Analogo riferimento è proposto dalla sentenza del Consiglio Superiore della magistratura. Questi rilievi possono essere allargati ad un più generale contesto interpretativo, poiché ci è dato osservare che da tali organizzazioni, che si muovono nell'illegalítà in forma organizzata, la Loggia P2 mutua quella frammentazione dei rapporti sociali e quella non conoscibilità, nei gradi intermedi, dei fini ultimi dell'organizzazione, che la stessa non liceità di tali fini rende indispensabili connotati strutturali.

NOTE:

"Sintesi delle norme": "Per una maggiore e più assoluta sicurezza non sarà mai indicato il numero degli iscritti che
prestino servizio nello stesso ente, organismo o amministrazione... tutt'al più l'elemento preposto a quel determinato
ente dovrà venire a conoscere i nominativi di circa un cinque per cento degli iscritti a lui sottoposti".
v. "Sintesi delle norme": "...tra i compiti principali dell'ente vi sono sia quello di adoperarsi per far acquisire agli
amici un grado sempre maggiore di autorevolezza e di potere perché, quanta più forza ognuno di essi potrà avere,
tanto maggior potenza ne verrà all'organizzazione stessa, intesa nella sua interezza, sia quello di elargire ai
componenti la massima assistenza possibile".

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Gli opachi poteri della Commissione Trilateral
by Le Monde Diplomatique Friday, May. 28, 2004 at 6:56 PM mail:

I trent’anni di un’istituzione segreta. Di Olivier Boiral da «Le Monde Diplomatique» novembre 2003.

Dirigenti delle multinazionali, governanti dei paesi ricchi e sostenitori del liberismo economico hanno rapidamente compreso che dovevano agire di concerto se volevano imporre la propria visione del mondo. Nel luglio 1973, in mondo allora bipolare, David Rockefeller lancia la Commissione trilaterale, che segnerà il punto di partenza della guerra ideologica moderna. Meno mediatizzata del forum di Davos, la Trilaterale è molto attiva, attraverso una rete di influenze dalle molteplici ramificazioni.
Trent’anni fa, nel luglio 1973, su iniziativa di David Rockefeller, figura di spicco del capitalismo americano, nasceva la Commissione trilaterale. Cenacolo dell’élite politica ed economica internazionale, questo circolo chiusissimo e sempre attivo formato da alti dirigenti ha suscitato, soprattutto ai suoi inizi, molte controversie (1). All’epoca, la Commissione si prefiggeva di diventare un organo privato di concertazione e orientamento della politica internazionale dei paesi della triade (Stati uniti, Europa, Giappone). L’atto costitutivo spiega: «Basata sull’analisi delle più rilevanti questioni con cui si confrontano l’America e il Giappone, la Commissione si sforza di sviluppare proposte pratiche per un’azione congiunta. I membri della Commissione comprendono più di 200 insigni cittadini impegnati in settori diversi e provenienti dalle tre regioni». (2)

La creazione di questa organizzazione opaca in cui a porte chiuse e al riparo da qualsiasi intromissione mediatica si ritrovano fianco a fianco dirigenti di multinazionali, banchieri, uomini politici, esperti di politica internazionale e universitari, coincideva all’epoca con un periodo di incertezza e turbolenza della politica mondiale. La direzione dell’economia internazionale sembrava sfuggire alle élite dei paesi ricchi, le forze di sinistra apparivano potenti, soprattutto in Europa, e la crescente interdipendenza delle questioni economiche chiamava le grandi potenze a una cooperazione più stretta. Rapidamente, la Commissione trilaterale si impone come uno dei principali strumenti di questa concertazione, attenta al tempo stesso a proteggere gli interessi delle multinazionali e a «chiarire» attraverso le proprie analisi le decisioni dei dirigenti politici. (3)

Come i re filosofi della città platonica, che contemplavano il mondo delle idee per infondere la loro trascendente saggezza nella gestione degli affari terrestri, l’élite che si riunisce all’interno di questa istituzione molto poco democratica si adopera nel definire i criteri di un «buon governo» internazionale.
Veicola un ideale platonico di ordine e controllo, assicurato da una classe privilegiata di tecnocrati che mette la propria competenza e la propria esperienza al di sopra delle profane rivendicazioni dei semplici cittadini: «La cittadella trilaterale è un luogo protetto dove la techné è legge – commenta Gilbert Larochelle. E dove sentinelle dalle torri di guardia vegliano e sorvegliano. Ricorrere alla competenza non è affatto un lusso, ma offre la possibilità di mettere la società di fronte a se stessa. Il maggio benessere deriva solo dai migliori che, nella loro ispirata superiorità, elaborano criteri per poi inviarli verso il basso». (4)
All’interno di questa oligarchia della politica internazionale, le cui riunioni annuale si svolgono in varie città della triade, i temi vengono dibattuti in una discrezione che nessun media sembra più voler disturbare. Essi sono oggetto di rapporti annuali (The Trialogue) e di lavori tematici (Triangle Papers) realizzati da équipes di esperti americani, europei e giapponesi scelti molto accuratamente. Questi documenti pubblici, regolarmente pubblicati da circa trent’anni, mostrano l’attenzione che la trilaterale rivolge ai problemi globali che trascendono le sovranità nazionali, come la globalizzazione dei mercati, l’ambiente, la finanza internazionale, la liberalizzazione delle economie, la regionalizzazione degli scambi, i rapporti Est- Ovest (all’inizio), il debito dei paesi poveri.

Contro «gli eccessi della democrazia»
Gli interventi ruotano intorno ad alcune idee fondanti, ampiamente riprese dalla politica. La prima è la necessità di un «nuovo ordine internazionale». Il quadro sarebbe troppo angusto per trattare grandi questioni mondiali la cui «complessità» e «interdipendenza» vengono continuamente riaffermate. Un’analisi del genere giustifica e legittima le attività della Commissione che è sia un osservatorio privilegiato sia il capomastro di questa nuova architettura internazionale.
In tal senso gli attentati dell’11 settembre hanno fornito una nuova occasione di ricordare, durante l’incontro di Washington nell’aprile del 2002, la necessità di un «ordine internazionale» e di una «risposta globale» a cui sono esortati a partecipare i più importanti dirigenti del pianeta sotto l’egidia statunitense. Alla già citata riunione annuale della trilaterale erano presenti Colin Powell (segretario americano) Donald Rumsfeld (segretario alla difesa) Richard Cheney (vicepresidente) e Alan Greenspan (presidente della Federal Reserve). (5)

La seconda idea fondante, che trae origine dalla prima, è il ruolo tutelare della triade, in particolare degli Stati uniti, nella riforma del sistema internazionale. I paesi ricchi sono invitati ad esprimersi con una sola voce e a unire i propri sforzi in una missione destinata a promuovere la «stabilità» del pianeta grazie alla diffusione del modello economico dominante. Le democrazie liberali sono il «centro vitale» dell’economia, della finanza e della tecnologia. Un centro che gli altri paesi dovranno integrare accettando l’ordine che esso si è dato. L’unilateralismo americano sembra tuttavia aver messo a dura prova la coesione dei paesi della triade, i cui dissidenti si esprimono nei dibattiti della Commissione. Nel suo discorso del 6 aprile 2002, durante la già citata riunione, Colin Powell ha quindi difeso la posizione americana sui principali punti di disaccordo con il resto del mondo, ovvero rifiuto di firmare gli accordi di Kyoto, opposizione alla creazione di una Corte penale internazionale, analisi dell’«asse del male», intervento americano in Iraq, appoggio alla politica israeliana, e via dicendo.
L’egemonia delle democrazie liberali rafforza la fede nelle virtù della globalizzazione e della liberalizzazione delle economie espressa dal pensiero della trilaterale. La globalizzazione finanziaria e lo sviluppo degli scambi internazionali sarebbero al servizio del progresso e del miglioramento delle condizioni di vita di un gran numero di persone. Ma esse presuppongono la rimessa in causa delle sovranità nazionali e la soppressione delle misure protezioniste.

Questo credo neoliberista è dunque spesso centro dei dibattiti.
Durante l’incontro annuale dell’aprile 2003 a Seul è stata trattata in particolare la questione dell’integrazione economica dei paesi del Sud-Est asiatico e della partecipazione della Cina alle dinamiche della globalizzazione. Le riunioni dei due anni precedenti avevano dato occasione al direttore generale dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto) Mike Moore di professare devotamente le virtù del libero scambio. Moore, dopo aver ricoperto di improperi il movimento anti-globalizzazione, aveva dichiarato che era «imperativo tenere a mente ancora e sempre quelle prove schiaccianti che dimostrano che il commercio internazionale rafforza la crescita economica». (6)

La tirata del direttore del Wto contro i gruppi che reclamano una globalizzazione diversa – chiamati «e-hippies» - sottolinea la terza caratteristica fondante della trilaterale: l’avversione per i movimenti popolari, che si era espressa nel celebre rapporto della Commissione sul governo delle democrazie redatto da Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki (7). Questo rapporto, del 1975, denunciava gli «eccessi della democrazia», espressi secondo gli autori dalle manifestazioni di contestazione dell’epoca. Manifestazioni che, un po’ come oggi, mettevano in causa la politica estera degli Stati uniti (ruolo della Cia nel golpe cileno, guerra del Vietnam) ed esigevano il riconoscimento di nuovi diritti sociali. Il rapporto provocò all’epoca molti commenti indignati che si scatenarono contro l’amministrazione democratica del presidente James Carter, essendo stato egli stesso un membro della trilaterale (come più tardi il presidente Clinton). (8)
Dall’inizio degli anni ’80, l’attenzione della stampa per questo tipo di istituzioni sembra essersi rivolta più che altro su incontri meno chiusi e soprattutto più divulgabili tramiti i media, come il Forum di Davos. L’importanza delle questioni dibattute nell’ambito della trilaterale e il livello di coloro che in questi ultimi anni hanno partecipato alle sue riunioni sottolineano però la sua persistente influenza. (9)

Note:

(1) Le Monde diplomatique ha dedicato molti articoli all’argomento nel corso degli anni ’70.
(2) Il numero dei «distinti cittadini» ammessi alla Commissione è stato in seguito allargato e oggi comprende più di 300 membri.
(3) Sulle reti di «coloro che decidono» si legga «Tous pouvoirs confundus», Epo, 2003
(4) Gilbert Larochelle, «L’imaginaire technocratique» Montreal, 1990, p.279
(5) I discorsi di questi interventi sono accessibili al sito ufficiale della Commissione: http://www.trilateral.org
(6) Mike Moore, «The Multilateral Trading Regime Is a Force for Good: Defend It, Improbe It». Riunione della Commissione trilaterale del’11 marzo 2001
(7) Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki, «The Crisis of Democracy: Report on the Governability of Democracies to the Trilateral Commission», New York University Press, 1975
(8) Zbigniew Brezinski era stato uno dei grandi architetti di questa organizzazione prima di diventare il principale consigliere del presidente Carter sulle questioni di sicurezza nazionale
(9) David Rockefeller, Georges Berthoin e Takeshi Watanabe (1978) Prefazione a «Task Force Reports»: 9-14, New York University Press, p IX

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"Nessuna pietà per gli arabi!"
by Dov Liour Friday, May. 28, 2004 at 7:00 PM mail:

Rabbino incita allo sterminio dei civili palestinesi: "E' scritto nella Torah".

Dov Liour, Gran Rabbino della colonia Kiriat Arbaa a Hebron viene citato dal giornale Maariv, il 19 maggio 2004: “Durante i combattimenti, all’esercito è permesso operare a danno dei residenti civili innocenti … secondo la legge della Torah israeliana, la compassione è limitata ai soli cittadini e soldati nostri. Questa è la vera morale della Torah di Israele. Non vi è spazio per sentimenti di colpa nei confronti della morale degli infedeli”

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TUTTE PALLE
by Qadosh Knight Saturday, May. 29, 2004 at 9:40 AM mail:

Se volete sapere VERAMENTE TUTTO cliccate qui...

http://www.antiqillum.com/texts/bg/Qadosh/qadosh000.htm

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Ancora lo Pseudo-child in azione?
by Anonimo Sunday, May. 30, 2004 at 5:47 PM mail:

Il post non è stato inviato da me, anche se - debbo dire onestamente - i commenti sono interessanti. Mi ripropongo di leggerli più attentamente la settimana entrante. Li ho salvati. Non so se si tratta dell'ennesimo scherzo del vecchio Pseudo-child con nuova tattica, riprendendo con diversa impostazione quanto sostenevo ne IL POTERE DEGL'ILLUMINATI; oppure se si tratti di un'iniziativa indipendente di un nuovo Pseudo-child. Potrebbe anche essere che una persona senza voler per questo far danno a me si sia firmata così. In quest'ultimo caso lo prego di postare il nome sempre al minuscolo, non per megalomania mia personale, ma per distinguersi da me. Grazie.
Ad ogni modo gli debbo coreggere una cosa. La Nobiltà nera non è l'insieme delle 13 grandi famiglie. Questo chiamasi Gran Consiglio dei Druidi. E poi non dobbiamo credere che costoro siano dei criminali incalliti. Anche se commettono crimini. La Famiglia Kennedy, tanto per rammentare, è una di esse. Proprio ieri ho visto un documentario sugli Astor, dove si ricordava che un capostipite del ramo americano della famiglia, oggi decaduto rispetto a quello anglosassone,aveva condotto sua moglie su una scialuppa in fuga dal Titanic che affondava. Eroicamente stette là ad aspettare la morte, salutando con la mano la donna che si avviava verso la salvezza, non avendo mancato di dirle prima che sarebbe partito anche lui con l'ultima scialuppa.
Prima di tutto i nostri nemici, ovvero i padroni dlle multi, sono nostri fratelli umani e ciò non bisogna mai dimenticarlo. Altrimenti si fa il gioco di coloro che si pongono al servizio del Male, in termini politici del Potere per il potere.
Riguardo la Massoneria, è chiaro che è un'organizzazione ormai pienamente degenerata, ma gl'insegnamenti massoni orginari non erano deviati, erano una via autentica di realizzazione del divino, per quanto limitata alle necessità inferiori proprie del mondo aristocratico-borghese europeo dal XIV-XV secolo in poi.
Saltando a casacci da un commento all'altro, agiungo che non sapevo della doppia struttura del Sid, benchè sapessi della funzione degli agenti coperti.
Interessante quanto riferito sul Commissario Flamigni. Devo leggere con più cura comunque.

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