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VIA le ong dall'IRAQ! - no al "Militariato"
by by - Pino Tripodi Sunday, Sep. 12, 2004 at 4:42 PM mail:

La guerra permanente non consente più a nessuno di essere dentro e contro.

vi giro una interessante riflessione di Pino Tripodi,
per allargare la discussione e trovare una via d'uscita
che non implichi i diktat del governo e l'imbarazzo che ci viviamo...


Il militariato e l’Iraq

 

Il rapimento di Simona Pari e Simona Torretta, per la cui liberazione occorre fare tutto ciò che è possibile e necessario, ripresenta con forza e con urgenza due problemi di grande importanza etica e politica: 1) che funzione hanno le ong in particolare nei teatri di guerra?; 2) è giusto, è utile, è necessario che continuino ad operare laddove eserciti del proprio Paese intervengono come forze d’occupazione?

Credo che su ambedue le questioni occorra dare risposte risolute e perentorie. Già dalla presenza militare italiana in Kosovo si percepiva che stava avvenendo qualcosa di terribile e impensabile fino a poco tempo prima, si stava cioè creando un’area d’indistinzione tra intervento militare e altrettanta massiva presenza del volontariato internazionale. Onde non ingenerare inutili confusione, è meglio chiarire che quest’area d’indistinzione non riguardava tanto la percezione soggettiva (il soldato che si confonde con il volontario e viceversa ), ma ineriva la situazione di fatto, ovvero la compresenza, e il cofinanziamento diretto o indiretto, sia delle missioni di guerra, sia delle missioni di pace da parte dei governi. Tali indistinzione, compresenza e cofinanziamento dei governi che hanno scelto l’avventura bellica non è più un fattore occasionale, ma si presenta in termini di pura strategia politico-militare. Per essere ancora più perentori: l’intervento in Afghanistan e ancor più in Iraq non è stato solo di carattere militare. La strategia che le forze d’occupazione hanno seguito è stata una strategia di militariato, ovvero di contemperamento dell’intervento militare con quello civile, pacifico, volontario. La coestensività di pace e guerra, di compresenza di militari e di volontari nei teatri di guerra, è stata e rimane la condizione fondamentale della guerra permanente praticata da Bush e soci. Per essere ancora più chiari: senza l’intervento massivo di ong e di organizzazioni volontarie di diversa natura, l’intervento militare sarebbe improponibile. Per quanto assurdo possa sembrare, la presenza di migliaia di uomini e di donne che prestano la loro vita con il legittimo convincimento di operare per la pace o per lenire gli effetti dei conflitti, è diventata una condizione fondamentale della guerra contemporanea. Grazie alla loro presenza, i governi occupanti possono presentare le proprie avventure militari come guerre umanitarie. Per quanto, dunque, il ruolo soggettivo delle ong e di singoli volontari possa essere e nella gran parte dei casi sia determinato dalla volontà di contribuire alla pace, le strategie della guerra contemporanea lo pongono accanto, non importa se contro, l’intervento militare. La guerra permanente non consente più a nessuno di essere dentro e contro.

Sull’utilità del proprio intervento in teatri di guerra molte ong riflettono da tempo e non sono isolati i casi di chi rifiuta di parteciparvi per almeno uno dei motivi di cui sopra. Credo sia ora per tutti di rompere gli indugi. La presenza nei teatri di guerra dove intervengono truppe d’occupazione del proprio Paese non solo è inutile, ma è anche dannosa; è una delle condizioni fondamentali per la continuazione dell’intervento militare. Per ottenere che le truppe italiane si ritirino dall’Iraq, una delle precondizioni politico-militari è che le ong, anziché potenziare la propria presenza come in molti richiedono, abbandonino al più presto quel martoriato Paese.

Solo così non assisteremo impotenti all’uso militare che senza più argine alcuno vien fatto, per ricatto o per terrore, per rapina o per denaro, dei civili volontari.

 

Pino Tripodi

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