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[CA 22-10-03] Ennesimo scandalo giudiziario e sociale
by Osservatorio femminile sulla repressione Wednesday, Nov. 24, 2004 at 1:20 AM mail:

Riflessione sullo scandalo giudiziario dei fatti del 22 ottobre 2003 e sulla sentenza di condanna per Luisa, Massimo e Matteo. Sul senso di poter organizzare una campagna di controinformazione sui fatti del 22 ottobre 2003 e del processo, in vista (e non solo) del prossimo in appello; provare a riflettere su una manifestazione regionale a Cagliari contro la repressione. Perché la vostra condanna è la nostra condanna, la nostra determinazione è la libertà per tutti.

[CA 22-10-03] Ennesi...
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Per chi come me ha partecipato al corteo il 22 ottobre 2003 e ha seguito il processo contro Luisa, Massimo e Matteo è chiarissimo il fatto che la sentenza di condanna emessa dal giudice Casula nei loro confronti è stata dettata esclusivamente da una decisione politica perché è falso ciò che sostiene la polizia sulla circostanza di quella giornata e le testimonianze dell’accusa hanno dimostrato l’inconsistenza e l’infondatezza del processo stesso. Ma il giudice Casula non ha avuto il coraggio di prendere un decisione obiettiva rispetto alla documentazione e alle testimonianze che aveva a disposizione se non quella di mettersi d’accordo con il Pubblico Ministero Porcu accogliendo le sue le sue richieste passivamente.

Infatti come ha già raccontato qualcun’ altro il giudice Casula non ha neanche fatto la finta di allontanarsi dall’aula per riflettere in camera consiliare rimanendo seduto ed emettendo la sentenza in pochi minuti come se volesse con questo atto dimostrativo sottolineare il suo ruolo di marionetta o di ambasciatore portatore di un messaggio che va aldilà della semplice condanna ma che segue la volontà e le direttive del Ministro Pisanu che trovano conferma nelle parole del vicecapo della polizia Giuseppe Procaccini nel "Giornale di Sardegna" del 31 Ottobre 2004 : "Gli anarchici dell'isola? Li colpiremo tutti. E duramente."

Fin qui non ci sono grandi novità o niente che ci possa stupire se si considera l’atmosfera repressiva e pesante che si vive in tutt’Italia nei confronti dell’area anarchica da diversi anni o per chi come me non ha mai creduto nella giustizia dei tribunali.

Sta di fatto che per la prima volta a Cagliari dopo più o meno vent’anni durante un volantinaggio la polizia decide di caricare a freddo un ristretto gruppo di persone così come dopo tanti anni questo è il primo processo politico che con la condanna per Luisa, Massimo e Matteo esprime in realtà un avvertimento per tutti i compagni anarchici ma non solo.

Quello che mi fa riflette è il ruolo sempre più funzionale che la Piazza sta assumendo all’interno della logica repressiva.

Ormai, sempre più spesso la criminalizzazione nei confronti di quelli che esprimono il loro dissenso contro questo governo avviene nelle Piazze dove cresce la tensione voluta il più delle volte dalla polizia che provoca continuamente scontri con cariche a freddo trovandoci impreparati e colpendo persone già conosciute, come è successo anche a Cagliari. Si utilizzano queste occasioni per regolare “i conti” non avendo evidentemente altre scusanti per rinchiudere i compagni dietro il silenzio delle sbarre. Ma non illudiamoci che il problema sia solo quello degli anarchici perché in Piazza quest’anno come ben sappiamo la repressione ha colpito anche i lavoratori in lotta di Melfi a Milano e per ricordare solo l’ultimo episodio di violenza basta pensare alla manifestazione del 20 novembre 2004 per la chiusura dell’allevamento Morini.

Sembra quasi che per giustificare le indagini, i teoremi, le perquisizioni, le spese per il controllo continuo nei nostri confronti con microspie, telecamere, pedinamenti e così via debbano trovare disperatamente un pretesto che confermi la veridicità di questo presunto allarmismo e pericolosità degli anarchici. Non voglio togliere dignità all’operato e all’impegno dei compagni e spero che nessuno si senta offeso da queste considerazioni ma d'altronde non credo neanche che nessuno veda confermata la propria incisività politica e sociale esclusivamente nelle piazze o nello scontro con la polizia.

Se poi pensiamo in quale contesto tutto questo sta accadendo sotto i nostri occhi e sono sufficienti pochi esempi: dall’ ordine ben preciso da parte del ministro degli interni di far chiudere in tutt’Italia i centri sociali perché ricettacoli dei terroristi alla legge fascista Bossi-Fini sull’immigrazione con la proposta anche di rinchiudere per tre anni in galera chiunque arrivi in Italia clandestinamente, dalla legge anti-imbrattamento che prevede gli arresti domiciliari alla sconvolgente attuale “riforma” del codice militare che prevede la galera per i giornalisti che raccontano la guerra, ai pestaggi violenti in questura per chi viene preso durante un semplice attacchinaggio agli arresti avvenuti a Napoli dei sindacalisti SLL, dal nuovo cervellone che si chiama Enigma prodotto dalla Telecom per le intercettazioni telefoniche, sms alle torture nascoste dentro le carceri; tutto questo descrive già una situazione grave, preoccupante e molto inquietante.

Purtroppo questa visione dei fatti mette in evidenza una realtà ancora più grave e cioè che in Italia non è più possibile in nessun ambito politico e sociale pensare, dire, riflettere o proporre cose diverse da quelle imposte dal governo.

Il limite politico che si deve superare è l’atteggiamento di chi oggi riduce un problema collettivo di fronte all’ondata repressiva a dei singoli fatti specifici o gruppi di persone ma anche a singoli individui cadendo nella trappola della colpevolizzazione individuale che giustificherebbe la reazione di questo Stato nei loro confronti senza considerare l’ingiustizia di fondo di questo sistema.

Con questo non si vuole negare la necessità di un confronto critico o di un dibattito interno tra le varie realtà antagoniste o la rinuncia ai propri distinguo individuali sulla teoria e la prassi politica ma nello stesso tempo non è più possibile rimanere estranei di fronte a dei fatti che parlano chiaro e che riguardano dei meccanismi al di fuori di noi e che nel complesso vorrebbero vederci tutti muti e passivi.

Non è possibile accettare o addirittura riconoscersi nella visione semplicistica della realtà del movimento descritta dal ministro Pisanu che riduce tutto nella dicotomia tra buoni e cattivi riducendo il movimento fondamentalmente in tre categorie: i disobbedienti a volte esagerati vedi gli espropri proletari, il Social Forum notoriamente pacifista e gli anarchici che professano la violenza o a volte la mettono anche in pratica.

La realtà del movimento è fortunatamente molto più complessa ma in ogni caso a parte le divergenze si sta abbattendo su di essa l’ombra nera della repressione.

I fatti del 22 ottobre 2003 rientrano in questa logica e anche per questo devo dire con rammarico che erano presenti al processo un centinaio di persone ma potevamo essere molti di più, penso che in questo momento sia importante essere solidali e presenti nei confronti di chi viene colpito per mantenere la lucidità, l’attenzione ma soprattutto per capire che cosa sta succedendo a noi e agli altri; anche perché se è vero che l’autorità ci colpisce quotidianamente singolarmente noi dobbiamo dare possibilmente insieme una risposta decisa e chiara.

Sicuramente non sarà una campagna di controinformazione sui fatti avvenuti o una manifestazione contro la repressione a inceppare questa macchina infernale ma potrebbe essere l’inizio per dare una prima risposta a questo processo, per trovare una linea comune rispetto a chi attualmente tenta di reprimerci, potrebbe essere anche un’occasione per contarci e per stare vicino a chi attualmente per primo sta pagando il prezzo per la libertà di pensiero.

La vostra condanna è la nostra condanna, la nostra determinazione è la libertà per tutti.

Osservatorio femminile sulla repressione

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