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Roma melting pot. Cinquantamila migranti in corteo
by dall'unità Sunday, Dec. 05, 2004 at 10:06 PM mail:

Roma melting pot. Cinquantamila migranti in corteo.

«Piove ma non si piange, la Bossi-Fini ci fa piangere ma non si piange, no, no, non si piange». Il dj da strada lascia il suo italiano dalle o chiuse e prosegue il suo rap in inglese, un rap che parla di peace and love sulle note di Bob Marley e il parterre balza, canta, balla, scivola lungo via Cavour quasi di fretta. Qualcuno soffia bolle di sapone e tutto sembra leggero. Cinquantamila persone che, più che sfilare, corrono per le strade di Roma seguendo i quattro quarti degli Alfa Blondie, gruppo della Costa d’Avorio che ha scalato le top ten europee o i successi del rai algerino.
Marocchini, bengalesi, senegalesi, nigeriani, palestinesi, rumeni e per la prima volta anche tanti cinesi. La Chinatown romana di piazza Vittorio è presente in massa. Hanno una musica loro, fatta di campanelli e piatti d’ottone, come bonzi tibetani e portano stretti striscioni con elaborati ideogrammi di carta colorata e una magra, ma precisa, traduzione in italiano: “Rinnovo subito”. Persino loro, il popolo-formica da un miliardo e più di esseri umani, si sono stufati delle file ai commissariati per i permessi di soggiorno, delle burocrazie e del tempo perso, della mancanza di diritti.
Italiani non ce ne sono moltissimi. È una manifestazione di migranti. Sono loro a portare le bandiere dell’Arci, dei Cobas, di Rifondazione o del Comitato 3 febbraio. E li portano più come drappi colorati e mantelli, come ornamenti da manifestazione, parte di un tutto indistinto che prescinde dalla differenza dei simboli. I loro slogan sono semplici: «Permesso di soggiorno subito», «Rinnovo subito» «basta Cpt» . Sul camion del “comitato di lotta per la casa” romano – quello delle occupazioni in via del Porto fluviale - si legge: «Per la libertà di vivere, il diritto all’abitare, non smettere di baccajare». I metalmeccanici cingalesi di Brescia invece esibiscono un elegante striscione rosa con la scritta bilingue: «Stranieri uniti». Mentre le delegazioni rumena e albanese esibiscono cartelli plastificati con lo stemma nazionale, quello rumeno nello stamma con leoni rampanti ha inserito la cartina della Romania e quella dell’Italia, divise in regioni: piccola lezione di geografia.
Al lato del corteo un ragazzo e una ragazza tendono un enorme striscione con un disegno di un muro spaccato e la scritta “Smantelliamoli tutti, no ai Cpt”. È un lavoro fatto da tre amici di Reggio Calabria. «Sono entrato in uno di questi centri – spiega Francesco Svelo, 42 anni, avvocato – grazie a una collaborazione con una radio privata e ho raccontato alla mia compagna e al mio amico le condizioni incivili in cui trattiamo questa gente, indegne di un paese civile». Poi la radio privata ha deciso di non rinnovare il contratto di collaborazione a Francesco, «hanno detto che facevo corrispondenze troppo di parte, di una parte che non faceva piacere alla giunta di centrodestra, credo», racconta lui. Ma non si sono lasciati andare, lui e la sua compagna hanno due progetti: una istallazione-monumento ai migranti morti in mare per conto dei padri comboniani e una radio web interamente autoprodotta.
Più avanti, all’altezza di Santa Maria Maggiore, colpisce uno striscione invece veramente piccolo, quasi uno straccetto, tenuto da una quindicina di uomini di pelle scura, alti e allampanati, le facce segnate da solchi profondi, gli sguardi vacui. La scritta sembra cirillico ma dice “Hurria- onlus”. Cos’è? Gli uomini alti non rispondono, disorientati, si fanno invece avanti spuntate dal nulla tre ragazze sui vent’anni. «Siamo un’associazione senza fini di lucro di Caltanissetta – dice Roberta, 22 anni – siamo nate dalle lotte di quest’estate con la Cap Anamur e ci occupiamo di rifugiati politici». Roberta ha deciso di occuparsene a tempo pieno, fa servizio civile. Cerca di dare assistenza o almeno delle informazioni a quanti, usciti dal cpt di Pian del Lago vengono «sbattuti fuori e costretti a vivere con 17 euro ogni 15 giorni». Quelli che fanno richiesta di asilo possono aspettare anche un anno e mezzo o due che la commissione deliberi e nel frattempo si spostano per cercare un lavoro, magari vanno a Nord, a Milano, Bergamo, Varese ma devono tornare a prendere questi pochi spiccioli che con cui lo Stato vorrebbe garantirgli una sopravvivenza. «750 euro in due anni, e questo perchè non abbiamo una legge sul diritto d’asilo e perchè non l’abbiamo? – si domanda Roberta – perchè così si incrementa il lavoro nero». Il Sud è anche fatto di persone come Roberta o come Francesco, che non si rassegnano. Capaci di tenere il passo con il popolo dei migranti, un popolo che va di fretta e che non ha tempo di piangere o di avere paura.

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