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Libertà di informare
by internazionale Monday, Feb. 14, 2005 at 12:25 PM mail:

I rapimenti di Giuliana Sgrena e Florence Aubenas ci ricordano l'importanza di diffondere le notizie dall'Iraq e dai paesi in guerra, scrive Eric Jozsef

È ancora troppo presto per dire con certezza se il rapimento di Giuliana Sgrena e quello il mese prima di Florence Aubenas – l'inviata speciale di Libération in Iraq, sparita insieme al suo interprete Hussein Hanoun al Saadi – sono della stessa natura, se la dinamica degli eventi è identica e se le due donne sono nelle mani dello stesso gruppo di sequestratori.

Giuliana Sgrena è stata rapita mentre usciva dal campus dell'università di Baghdad, dopo aver intervistato alcuni profughi di Falluja. Al momento della sua scomparsa, il 5 gennaio, anche Florence Aubenas aveva intenzione di occuparsi del migliaio di sunniti riuniti nella capitale irachena e fuggiti dalla loro città durante l'attacco americano nel novembre 2004. Ma non si hanno più notizie della giornalista francese. Nessuna rivendicazione più o meno attendibile è stata fatta e nessuno è stato in grado di ricostruire le fasi del suo rapimento. Qualunque analogia tra i due casi è quindi prematura.

Un segno del mondo esterno
Ma una constatazione è comunque possibile: le due inviate del Manifesto e di Libération conoscevano molto bene il terreno ed erano perfettamente consapevoli dei pericoli che correvano. Nonostante ciò non sono sfuggite alla spirale di violenza irachena, che colpisce sempre di più i testimoni dell'informazione. Dall'inizio del conflitto 46 tra giornalisti e loro collaboratori sono stati uccisi in Iraq.

E l'esecuzione in agosto del reporter di Diario, Enzo Baldoni, ricorda che i terroristi non esitano a eliminare anche gli inviati di giornali che hanno preso posizione contro l'intervento militare americano in Iraq.
È la stessa libertà di informazione a essere in gioco. Ma oggi, anche se i giornalisti devono essere più che consapevoli dei rischi che corrono quando vanno nelle zone di guerra, la questione va ben oltre il semplice conflitto iracheno.

Come gli operatori umanitari, anche i giornalisti sono sempre più presi di mira. La mobilitazione per liberare Giuliana Sgrena e Florence Aubenas è quindi essenziale sotto un duplice aspetto. Da un lato, come ha ricordato più di un ex ostaggio, le notizie sulle iniziative di solidarietà possono talvolta arrivare fino ai sequestrati.

Tenuto per tre anni in ostaggio in Libano, il giornalista e scrittore francese Jean-Paul Kauffmann ricordava di recente: “Anche un piccolo gesto può assumere un valore inestimabile. Un gruppo di sequestratori, anche il più isolato, non è mai completamente ermetico. Una boccata d'aria fresca può sempre entrare. Mi ricordo che per più di due anni non ho avuto alcuna notizia dal mondo esterno. Mia moglie Joëlle aveva trasmesso una cinquantina di messaggi alle radio del Medio Oriente. Ebbene, la cinquantunesima volta sono riuscito ad ascoltarne uno! Un giorno i miei carcerieri mi hanno portato una radio, solo per qualche ora. Non so perché. E così ho potuto sentire Joëlle e i miei due figli”.

Ma la mobilitazione e l'esposizione sui mezzi d'informazione dei sequestri deve soprattutto permettere di riaffermare il diritto-dovere all'informazione. Questo mentre i governi tendono a sconsigliare ai giornalisti di andare a indagare nelle zone di guerra. La mobilitazione per la liberazione di Giuliana Sgrena e Florence Aubenas è un'occasione per rifiutare di vedere l'Iraq sprofondare nell'isolamento.
Sarebbe molto pericoloso lasciare Baghdad, e tutti gli altri luoghi del mondo al centro di conflitti, senza testimoni.


Chi è l'autore

Eric Jozsef è corrispondente del quotidiano francese Libération e di quello svizzero Le Temps. Nato nel 1966, è a Roma dal 1992. È stato presidente dell'Associazione della stampa estera

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