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[Ddl Droga] Testo audizione in senato
by Black_Cat da fuoriluogo.it Monday, Feb. 21, 2005 at 6:56 PM mail:

Audizione presso la 12 commissione del Senato sui disegni di legge di modifica della normativa sugli stupefacenti Giovedì 20 gennaio ‘05

Nota di Grazia Zuffa (psicologa, professoressa a contratto di Psicologia delle tossicodipendenze presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Firenze, direttrice del mensile Fuoriluogo)

Questa nota si soffermerà solo sul disegno di legge di iniziativa governativa, su alcuni punti specifici: 1)la riclassificazione della canapa nella tabella I; 2) l’inasprimento delle previsioni penali e delle sanzioni per il consumo
Nell’insieme i due indirizzi vanno a incidere soprattutto sui consumi giovanili.

La riclassificazione della canapa

Tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000, c’è stato un nuovo fiorire di revisioni della letteratura scientifica sulla canapa. Cito sinteticamente:

In Gran Bretagna, il già citato rapporto della Camera dei Lord sulla marijuana ad uso terapeutico, nel 1998. Il documento utilizza ampiamente lo studio dell’anno precedente della British Medical Association (Therapeutic uses of cannabis, 1997), quello del National Institute of Health degli Stati Uniti (Report on the Medical Uses of Marijuana, agosto 1997) e della American Medical Association, (Medical Marijuana, dicembre 1997).
In Francia, il rapporto Roques, prodotto da una commissione di esperti guidata dal farmacologo, membro dell’Accademia delle Scienze, Bernard Roques ( La dangerosité des drogues, 1999). Le quaranta pagine del capitolo X sono dedicate alla trattazione della canapa.
Ancora in Gran Bretagna, nel marzo 2002, l’Advisory Council on the Misuse of Drugs, l’organismo di consulenza scientifico del governo, invia la sua relazione conclusiva allo Home Secretary(The Classification of Cannabis under the Misuse of Drugs Act 1971, 2002):
questi, nell’ottobre 2002, aveva richiesto all’ACMD di riconsiderare la collocazione della canapa nelle tabelle previste dalla legislazione antidroga, alla luce delle più recenti evidenze scientifiche
Nello stesso anno esce il Cannabis 2002 Report. L’ampio documento, di oltre 120 pagine, è il risultato di una originale iniziativa di cooperazione internazionale: è stato redatto da una Task Force di scienziati, nominati dai Ministri della Sanità di Olanda, Germania, Svizzera e Belgio. Successivamente, anche la Francia si unisce all’iniziativa
In Canada, nel settembre 2002, si conclude il lavoro del comitato di indagine del Senato sulle droghe illegali, presieduto dal Senatore Pierre Claude Nolin (Cannabis: our position for a Canadian Public Policy, 2002). Il rapporto Nolin si compone di oltre mille pagine, tanto che il comitato ha pubblicato anche una edizione ridotta ( Summary Report) di 54 pagine. Nell’esame della letteratura scientifica, la commissione del Senato si avvale, tra l’altro, della messe di recenti pubblicazioni di organismi, quali il rapporto dell’istituto nazionale francese per la sanità e la ricerca medica (INSERM), (Cannabis. Quels effects sur le comportement et la santée?, 2001), e quello dello Institute Of Medicine (Marijuana as Medicine, The Science beyond controversy, 2000).

Come si vede, molti di questi rapporti sono stati sollecitati dai governi per avere indicazioni in merito a modifiche legislative. Tutti questi documenti convergono nell’affermare che la canapa è una sostanza meno rischiosa di molte altre sostanze psicoattive (non solo di eroina, cocaina ed ecstasy, ma anche di alcol, tabacco, barbiturici).
In particolare, rimando alla lettura del Rapporto Roques, non solo per l’indiscutibile autorevolezza del professore Bernard Roques, ma anche perché, come si è detto, il documento comprende una classificazione di tutte le sostanze psicotrope, legali e illegali. Nelle conclusioni generali, il rapporto individua i raggruppamenti, distinti per ordine decrescente di pericolosità: “Il primo comprende l’eroina, la cocaina e l’alcol, il secondo gli psicostimolanti, gli allucinogeni, il tabacco, le benzodiazepine; e, più indietro, la canapa (Roques, pp.296-7).
Le indicazioni, pressoché univoche di queste revisioni, suggeriscono modifiche normative, in merito alla classificazione della canapa, esattamente opposte a quelle contenute nel disegno di legge governativo.
Ad esempio, il rapporto dell’ACMD (Advisory Council on the Misuse of Drugs), propone di declassificare la canapa, spostandola da una tabella con sostanze a maggior rischio ad una tabella contenente sostanze a minor rischio. Si badi bene: già allora la canapa non era classificata nella classe A, insieme agli oppiacei, bensì nella classe B (una categoria intermedia, insieme alle amfetamine e ai barbiturici).Lo ACMD propone di spostarla dalla classe B alla C (insieme alle benzodiazepine e agli ormoni della crescita) (E’ sulla base di queste indicazioni scientifiche che il parlamento britannico ha definitivamente approvato la declassificazione della canapa nel novembre 2003, sostanzialmente depenalizzando e desanzionando il consumo di canapa).
Vorrei citare un passaggio del documento, che adduce interessanti ragioni di sanità pubblica per declassificare la canapa: “La continua giustapposizione della canapa alle droghe più pericolose della classe B suggerisce erroneamente (e pericolosamente) che gli effetti dannosi siano equivalenti. Ciò può portare i consumatori di canapa, che non hanno avuto effetti dannosi dal loro consumo, a credere che anche le altre sostanze della classe B siano altrettanto sicure” (ACMD report, p.12).
E’ evidente la preoccupazione dell’organismo scientifico britannico per la salute della popolazione giovanile, visto l’aumento della prevalenza di droghe come ecstasy e amfetamine. In altri termini, l’uso di droghe è considerato un comportamento a rischio, dunque il primo interesse della collettività è di ridurre il rischio, cercando di non accomunare impropriamente i rischi, bensì al contrario di distinguerli, informando correttamente i giovani e responsabilizzandoli. Le preoccupazioni di ordine morale cedono il passo a quelle di tutela della salute.
Peraltro, l’importanza di una corretta informazione rivolta ai giovani è un dato acquisito nella letteratura psicologica in merito. Infatti il cosiddetto “scare approach”, non solo mette in moto i meccanismi di difesa, di negazione in particolare, ma scredita anche, agli occhi dei giovani, la fonte da cui proviene (le istituzioni preposte alla salute pubblica, e il mondo adulto più in generale).
Ancora qualche osservazione in merito ad alcune questioni sollevate nelle audizioni.
La prima riguarda il presunto aumento della percentuale di THC nella canapa acquistata sul mercato illegale. La questione è già affrontata in molte delle revisioni succitate, come ad esempio nel rapporto canadese, ridimensionando notevolmente l’allarme. Lo studio più recente è quello dell’EMCDDA (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction), ossia l’Osservatorio Europeo di Lisbona. Nella sua relazione annuale sull’evoluzione del fenomeno droga nell’Unione Europea per il 2004, sono riportate le conclusioni in merito. E’ vero che si registra un aumento della potenza del THC nelle coltivazioni “indoor” in Europa, ma la maggior parte della canapa in circolazione proviene dalle coltivazioni illegali al di fuori dell’Europa (per la gran parte dal Nord Africa). Perciò “se si tiene conto della quota di mercato dei vari prodotti a base di cannabis, in realtà la potenza è rimasta relativamente stabile al 6/8%, con l’unica eccezione dei Paesi Bassi, dove la coltivazione indoor rappresenta oltre la metà della cannabis consumata”. E ancora: “Le affermazioni comparse sui mass media, secondo cui la potenza della cannabis sarebbe aumentata di 10 volte o più negli ultimi decenni, non sono supportate da alcun dato, né negli Usa , né in Europa”.(Annual Report 2004, p.115).
La seconda osservazione riguarda il parere del Consiglio Superiore di Sanità in merito alla canapa, emanato da quell’organismo nel settembre 2003, su richiesta del ministro della Salute. Nel dispositivo, il documento giunge alla conclusione che “la canapa non deve considerarsi una droga leggera e che il suo consumo non rappresenta un’abitudine priva di rischi per la salute”. E’ difficile discutere nel merito un’affermazione così generica, soprattutto perché non si fa riferimento ai rischi di altre sostanze. Va però osservato che gli altri rapporti succitati sono revisioni della letteratura scientifica, redatti dopo aver passato in rassegna centinaia e centinaia di studi; mentre il parere del Consiglio Superiore di Sanità non è supportato da alcuna revisione della letteratura scientifica, se si eccettua uno scritto di due pagine che riporta in bibliografia 6 articoli tratti da riviste mediche.

Le conseguenze dell’inasprimento punitivo

La legge sottende l’idea che la punizione costituisca un deterrente all’uso, e nello stesso tempo che i consumatori, caduti nella rete penale e sanzionatoria, possano essere poi avviati a terapie in comunità, magari ad uno stadio precoce del consumo.
Circa il valore deterrente della legge penale, sappiamo che è sempre esistito un vivace dibattito in merito. Tuttavia, nel campo delle droghe, siamo oggi in possesso di una vasta messe di dati epidemiologici che possono illuminare su questo assunto. Basta leggere il rapporto annuale 2003 dell’EMCDDA, quando paragona la prevalenza lifetime dell’uso di canapa e cocaina in Europa e negli USA. Noi sappiamo che la legge e l’azione repressiva antidroga sono di gran lunga più dure negli Stati Uniti rispetto a qualsiasi paese europeo, se si pensa che la maggioranza dei detenuti americani sono imprigionati per reati di droga, e, di questi, la maggioranza è detenuta per consumo di canapa. Afferma il documento: “Il consumo life time di canapa e il consumo recente (almeno una volta nell’ultimo anno) sono più alti negli Stati Uniti che in qualsiasi paese europeo; è più alto anche il consumo di cocaina” (Annual Report 2003, p.16).
Inoltre recenti studi in ambito psicologico indicano che mantenere una “struttura di vita” integrata socialmente, costituisce un fattore di protezione, sia per evitare il rischio di un incremento dei consumi, sia per i consumatori problematici che hanno il problema di diminuire i consumi e possibilmente passare all’astinenza. (Vedi ad esempio gli studi che cercano di saggiare il ruolo delle circostanze ambientali, definite come “circostanze di vita”, favorevoli e sfavorevoli, sul processo di remissione sia per l’alcol che per droghe illegali. Cfr. J.A.Tucker, D.M.Donovan, G.A. Marlatt (1999), Changing Addictive Behavior, Bridging Clinical and Public Health Strategies, New York).
In altri termini, per la gran parte dei giovani che consumano droghe occasionalmente, magari meno rischiose come la canapa, ( e senza che il consumo sia il fulcro della loro vita), che hanno una soddisfacente rete di relazioni sociali e affettive (nella scuola, nella rete amicale etc.), la previsione di misure punitive che tendano a restringere il campo delle esperienze di vita “normale” è assolutamente controproducente. Allo stesso modo, sarebbe controindicato un percorso di comunità, insieme ai consumatori fortemente problematici. Basti pensare ai tanti studi sui consumi giovanili, che mostrano l’importanza di mantenere amicizie anche coi gruppi di non consumatori, come fattore protettivo di moderazione dei consumi. In altri termini, il consumo di droga va circoscritto il più possibile nell’ambito delle varie esperienze di vita, e non dilatato ed enfatizzato con lo stigma del “drogato”(deviante) o del “tossicodipendente”(malato).
Non solo. Per delineare strategie efficaci di sanità pubblica, occorre guardare ai dati epidemiologici. Consultando ancora il rapporto annuale dell’EMCDDA, vediamo che per l’uso corrente di canapa, la prevalenza più alta si registra nelle classi di età prima dei 25 anni. Dopo i 25 anni già comincia a declinare, e al di sopra dei 40 anni è poco comune. La ragione sta nel mutamento dello stile di vita, poiché il consumo di canapa è associato perlopiù ai contesti ricreazionali. Anche per l’ecstasy e per gli stimolanti, la prevalenza più elevata si ha dai 18 ai 24 anni, poi comincia a declinare. La grande maggioranza di questi consumatori non ha problemi di dipendenza, dunque il primo obiettivo è di ridurre i rischi in questa fase delimitata della vita. I servizi dovrebbero perciò mirare a fornire informazione e supporto, cercando di intercettare quella limitata parte di consumatori che possono evolvere verso modelli di consumo intensivi, in grado di insidiare la struttura di vita.
Infine, penso che il legislatore debba trarre suggerimenti dalle esperienze sviluppate dai servizi negli ultimi dieci anni. Il disegno di legge governativo prefigura un sistema dei servizi, disegnato sul modello degli anni ’80, coi servizi pubblici da un lato, e le comunità del privato sociale dall’altro, spesso in contrapposizione. Quanto all’inasprimento punitivo, questo è coerente con la teoria della remissione detta del “toccare il fondo” (le esperienze negative possono essere un’occasione favorevole per il tossicodipendente per la “ristrutturazione cognitiva” della propria problematica in direzione del cambiamento). Ma la teoria del “toccare il fondo” è anch’essa datata agli anni ’80.
Negli anni ’90 si è invece sviluppato un sistema differenziato di servizi e programmi per venire incontro ai particolari bisogni dei singoli utenti. Oggi, molte associazioni del privato sociale gestiscono, insieme alle comunità, anche programmi sul territorio, a volte con sostegno farmacologico, quasi sempre con interventi di inserimento lavorativo. Si è così creata una strategia di “rete”, integrata fra pubblico e privato, e fra diverse “soglie” di servizi. L’obiettivo della rete è di mantenere, o ricostruire, l’integrazione sociale del consumatore.
Peraltro, il trend europeo va in questa direzione: distinguere fra le diverse droghe rispetto ai differenti rischi, distinguere fra i differenti modelli di consumo, più o meno rischiosi, diversificare l’offerta di servizi, alleggerire l’impatto penale. Sia le ragioni della ricerca che quelle dell’esperienza sul campo confortano questi indirizzi, dunque non c’è alcuna valida ragione perché l’Italia debba distaccarsi dalle tendenze europee.

Fonte:
http://www.fuoriluogo.it/speciali/guerraitaliana/audizione_zuffa.htm

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