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The Davos After
by mazzetta Friday, Mar. 11, 2005 at 8:37 AM mail:

Se guardiamo questo 2005 con l’occhio da comuni abitanti del pianeta, non possiamo che dirci sconcertati e un ancor di più sfiduciati; sentimenti forti, ma che non riescono a raggiungere l’intensità dei timori irrisolti dall’agenda mondiale.

The Davos After...
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Con l’attenzione polarizzata dalla questione mediorientale e dalla guerra in Iraq facciamo fatica a cogliere il senso e la dimensione dell’incessante cambiamento degli scenari mondiali, negli equilibri internazionali come nell’evoluzione della salute del pianeta e nelle condizioni di vita dei suoi abitanti.

La salute del pianeta, condizione senza la quale qualsiasi altro tema diventa assolutamente secondaria, è in inarrestabile peggioramento. Mancando un panorama di dati aggiornato non è possibile quantificare il livello d’infezione di madre terra, ma tutto inclina a considerare i peggiori scenari.

I dati sul clima ci parlano di una estremizzazione dei fenomeni atmosferici, dicendoci che nelle migliori ipotesi ci annunciano l’aumento dei fenomeni atmosferici estremi, in quelle intermedie migrazioni bibliche e in quelle peggiori il rischio dell’estinzione o più realisticamente della corruzione delle specie animali e del loro patrimonio genetico.

Il quadro resta quello delineato dai principali studi che hanno portato le assise internazionali a produrre documenti come il protocollo di Kyoto, o altre decine di accordi fondati sul presupposto ormai universalmente accettato che qualcosa di urgente vada fatto. Come è noto la genesi e l’efficacia questi provvedimenti vengono sempre ostacolate dagli attori economici, che non amano limitazioni alle possibilità di sfruttamento delle risorse; purtroppo ad oggi occorre dire che questi interventi sono riusciti a frustrare qualunque tentativo migliorativo con tanto successo da consegnarci una situazione molto peggiore di quella di dieci anni fa.

Tanto rumore si è fatto sul protocollo di Kyoto, che nell’anno della sua entrata in vigore possiamo tranquillamente affermare come questo abbia confermato la sua assurda ed imbarazzante inefficacia. nel momento stesso in cui ha visto la luce. Un pezzo di carta, che impone limiti che dovrebbero portare alla riduzione delle emissioni in atmosfera, quantificata solo in un quinto di quella che sarebbe imposta dagli studi che hanno generato gli accordi stessi (il 6% contro il 30%).

Un pezzo di carta firmato da numerosi stati, ma non dai maggiori inquinatori.
Un pezzo di carta che ben pochi dei firmatari dimostrano di volere potere rispettare. Un pezzo di carta con obblighi facilmente aggirabili comprando licenza d’inquinamento con una mancia ai paesi per i quali l’inquinamento è un lusso.
Un pezzo di carta bruciato da un modello di sviluppo focalizzato sulla massimizzazione del profitto individuale, che travolge qualunque resistenza dichiarata nel diritto a tutela degli interessi comuni o del bene pubblico.

Il neoliberismo trionfante a Davos è pero, quasi paradossalmente, molto meno saldo, anche se quest’anno ha festeggiato apparentemente soddisfatto, e si è dimostrato capace di assumere i temi altermondisti come propri e di manipolarne la narrazione; capace di presentarsi come il solutore dei disastri che provoca attraverso la promozione dell’elemosina di qualche artista e di qualche detentore di fortune immense.

Davos quest’anno è stata una rappresentazione tesa a disinnescare la critica assumendola come propria preoccupazione, una farsa veicolata in tutto il mondo dai media controllati dagli stessi ammessi al blindatissimo Olimpo svizzero. Una pietosa messa in scena, attraverso l’esibizione ostentata della carità di singoli ultra fortunati come soluzione dei mali del mondo. La vecchissima ed abusata retorica della società che arricchendo, troverebbe nella compassione spontanea degli avidi, la compensazione sufficiente ai danni provocati dalla verticalizzazione nella distribuzione delle ricchezze degli ultimi anni. Se c’è un successo sicuro dell’imperante neoliberismo in salsa amatriciana, è quello registrato nella creazione di legioni di poveri, sacrificati non già all’allargamento della diffusione del benessere, ma a superprofitti garantiti dall’assenza di regole, o dalla parallela creazione di rendite ingiuste.

I nuovi poveri lavorano, avere un lavoro non significa più fuggire la povertà, ma esservi condannato. Questo mentre la creazione di centinaia di milioni di nuovi consumatori in Asia sta provocando una terribile pressione agli equilibri ecologici del pianeta. Gli ultimi otto anni di sviluppo della Cina e dell’Est asiatico hanno chiesto un aumento del consumo delle risorse, imponente quanto preoccupante. Il miglioramento dei processi produttivi non compensa assolutamente l’aumento della domanda planetaria.

La questione è lampante se si osserva il mercato energetico e la sua evoluzione. Il mercato degli idrocarburi spicca prezzi mai raggiunti, i volumi trattati sono sempre più in aumento. Sono tornate in auge le compagnie statali, alcune delle quali hanno rotto consuetudini decennali e tessono reti politiche in aperta concorrenza con quelle private. Le compagnie americane, pur sostenute dalla diplomazia a mano armata di Bush, non hanno potuto impedire a cinesi ed indiani di affacciarsi sul mercato.

Il “Mr Oil” della Cina del ventunesimo secolo è un personaggio venerato dai governi dei paesi produttori, La Cina ha ormai contratti imponenti con la maggior parte dei paesi produttori. In questa congiuntura gli intermediari di questi traffici lucrano rendite di posizione inaudite nel silenzio generale; a riprova il bilancio dell’Eni o una sbirciatina ai prezzi dei carburanti nel nostro paese; qui come altrove i consumatori finali sono taglieggiati dagli importatori senza ombra di dubbio; nel silenzio dei media untissimi. Per sfuggire alla morsa petrolifera si rinnova la corsa al nucleare, ma se la tecnologia di recente introduzione, detta a –letto di sfere di grafite- (che ricava energia da moduli nei quali l’uranio è isolato in migliaia di palle di grafite)., rende fisicamente impossibile la reazione a catena e quindi annulla l’incubo della perdita di controllo sul nucleo, non risolve per nulla il problema dello smaltimento delle scorie.

Un problema, quello delle scorie, che nella sua accezione più generale, non riserva miglior sorte a tutto il resto dei rifiuti prodotti da tante brulicanti attività. Da segnalare è come ormai si sia perfezionato ed assestato un modello di scambio perverso, per il quale al primo mondo affluiscono le materie prime, che dopo essere state digerite tornano al termine del loro ciclo vitale nei paesi poveri; sotto forma di rifiuti tossici.

In parallelo, l’aumento della domanda di materie prime, determina un aumento esponenziale dei tentativi e delle possibilità di sfruttamento selvaggio; spesso realizzati in complicità con entità non democratiche che detengono il controllo militare delle area concupite. Allo stesso modo la pressione di una domanda in esplosione, ne rafforza le possibilità di successo. Aumenta il potere corruttivo degli speculatori verso organizzazioni immature, e anche la redditività implicita di queste attività; organizzazioni che così viziate non riescono ad evolvere in senso democratico, e danno vita a regimi o a lotte infinite; un gap originario che stronca qualsiasi ipotesi utopistica di nation building nei cosiddetti – stati falliti -, o caduti, e moltiplica la forza del neocolonialismo economico; Una dinamica che conserva, come in vitro, decine di linee di frattura delle comunità umane, pronte ad essere eccitate dal primo che ne abbia l’interesse e le capacità.

Mentre il neoliberismo celebra sé stesso, una rete di accordi internazionali poco pubblicizzati, ci rivela che probabilmente gli equilibri stanno cambiando molto più di quanto appaia dalla superficie dell’analisi, e con un senso ed un segno molto diversi. Se gli Stati Uniti restano l’assoluta autorità militare e politica del pianeta, il sistema economico mondiale si sta emancipando dal controllo americano e anglosassone.

Al sorgere della Cina e dell’Euro, il Dollaro appare in deciso declino; l’America del Sud sembra rifiutare per la prima volta, e compattamente, l’esagerata ingerenza americana, e gli Stati Uniti sembrano in generale tenuti alla larga da tutti quanti non apprezzano lo stile aggressivo e carico di pretese verso le altre nazioni, dell’amministrazione Bush.

Il grosso problema è rappresentato dal fatto che tutto questo non mette assolutamente in discussione il modello di sviluppo generale, ma dirotta semplicemente le risorse, anche se a una platea più vasta di accedenti al benessere. Tradotto significa che i paesi incapaci di difendere il proprio interesse pubblico, vengono comunque depredati nella complice indifferenza di tutti. Il cambio dello stile cinese nei rapporti internazionali è sconcertante, quanto rivelatore, nel senso citato, del totale allineamento del governo cinese al modello di sviluppo liberista.

La Cina ha completamente cambiato cifra diplomatica. I miliardari cinesi sono esattamente come quelli europei o americani; i diplomatici cinesi dimenticano completamente qualsiasi accenno politico e viaggiano comprando e facendo accordi. L’incrollabile muro della superiorità sciovinista cinese è lasciato a deperire, crepe sempre più grandi lo hanno dissolto fino a permettere di porgere per la prima volta le scuse ai vicini giapponesi, nell’occasione dello sconfinamento di un sottomarino.

Solo su Taiwan, che è territorio cinese senza discussioni, la Cina si dice disposta ad una proiezione militare, intanto vende più armi di quante non compri e accetta le regole del mercato senza battere ciglio, né contestarne alcuna. Affari, i cinesi fanno affari come li hanno fatti gli altri, negli anni del boom sono riusciti ad esempio a deforestare il Sud-Est asiatico; tanto che ora un’azienda cinese gode di un boom in borsa perchè, si occupa di rimboschimento: milioni di alberi uguali al posto di foreste ricche di legnami pregiatissimi e di una biodiversità irripetibile, razziati per far mobili per soddisfare i novelli consumisti.

Come gli Stati Uniti i cinesi hanno una politica interna prettamente isolazionista, non accettano ingerenze esterne nei loro affari interni e scoraggiano per quanto possibile la diffusione e la crescita della critica interna con ottimi risultati. Con ben 58.000 episodi di rivolta all’autorità nell’ultimo anno, in Cina non esiste ancora alcuna critica al sistema, le rivolte sono sempre su temi locali o petizioni di categoria, non esiste un’organizzazione o un’opposizione realmente nazionali; l’unico tema unificante è la lotta alla corruzione, ovviamente tra i principali nemici denunciati anche dalla dirigenza politica.

Nella pratica si deportano i contadini per favorire le speculazioni edilizie, aumentano il numero dei poveri e delle tensioni sociali in un quadro che comunque offre imponenti risultati positivi. Episodi resi possibili, anche qui, da un aumento vertiginoso della diffusione della corruzione Solo dalla lotta alla diffusione del transgenico viene qualche segnale realmente confortante: i principali prodotti industriali si sono mostrati, dopo anni di osservazioni, più cari ed incapaci di assicurare i vantaggi promessi; in India si sono rivelati sette volte più costosi delle sementi tradizionali, è ne è stata vietata la commercializzazione.

Dall’India e dal Sud America vengono le iniziative politiche più incisive a tutela dei beni comuni, o dell’interesse pubblico. Le prime dichiarazioni di principio, da molto tempo a questa parte, che indicano come la libertà di commercio non possa giustificare lesioni ai diritti universali, un passo fondamentale è stato il nuovo accordo delle nazioni asiatiche sulla commercializzazione del tabacco, che ha fatto stracci dei “diritti” al libero commercio invocati dai big del tabacco in nome della salute pubblica. I temi dell’altermondismo diventano strumenti attraverso i quali le entità nazionali, come anche alcune più complesse comunità di stati, esercitano la difesa delle proprie comunità dall’avidità senza frontiere.

In fondo ad una catena di cambiamenti tutti negativi, troviamo il timido l’ingresso di nuovi paesi nel ruolo di donatori. La prime storiche contribuzioni indiane e cinesi al welfare mondiale, incapaci peraltro di compensare il crollo verticale delle risorse destinate all’aiuto e al soccorso, al quale si è assistito negli ultimi anni. Una inversione di verso che riguarda anche i flussi migratori del capitale intellettuale, attirato da istituti di eccellenza mondiale anche nelle discipline economiche.

Le somme destinate al soccorso delle popolazioni colpite dai conflitti armati, catastrofi e carestie sono da anni sempre più esigue. L’Occidente, tradizionale pilastro si ritrae; il nostro paese taglia qualche migliaio di miliardi poi si specchia nel generoso Sanremo che dona una scuola ai moribondi. Calano gli investimenti sull’istruzione e si diffonde un vago messianesimo tra le popolazioni più incolte. In generale i tassi d’istruzione sono peggiorati in tutto il mondo rispetto al 1990, tranne le eccezioni già citate.

Gli Stati Uniti ormai spendono per il sociale e donano sempre meno, spesso ponendo condizioni assurde, perfettamente in linea con uno stile che riesce ad essere interventista in politica estera ed isolazionista in politica interna. Politica interna controllata attraverso l’appoggio ai culti religiosi e la gestione dei flussi migratori. Si diffondono culti smaccatamente mercantili che spacciano visioni apodittiche del mondo e organizzano i fedeli/consumatori in pacchetti elettorali pronti e ciechi.

In questa atmosfera di diffuso arretramento nella collaborazione internazionale, sulle macerie delle devastazioni provocate dalle direttive del FMI e dalla Banca Mondiale, gli obiettivi per il 2015 del “Millennium Goal”, un programma mondiale di aggressione all’arretratezza e alla miseria firmato in gran pompa, , sono ormai un traguardo inavvicinabile giunti appena ad un terzo del programma.

Il fatto che in origine questi obiettivi fossero considerati modesti e miseri, ci restituisce la misura del fallimento e dell’arretramento brutale di questo tipo di collaborazioni internazionali. La mercificazione liberista ha travolto completamente argini una volta ritenuti sicuri, quali il monopolio pubblico della violenza, e la dimensione trascendente della spiritualità religiosa. La negatività del permissivismo assoluto concesso agli scambi economici, si ritrova manifesta nell’esistenza degli eserciti privati quotati in borsa, accanto alle religioni.

Di nuovo e di più, assistiamo al triste e nefasto fondersi dell’esercizio del potere temporale con quello spirituale, ma ancora di più allo svilupparsi di un rapporto sempre più stretto e non mediato tra il potere economico e politici, signori dei media, religiosi e militari disponibili sul mercato “on demand”.

Il potere reale, quello che si ritrova attorno alle concentrazioni di denaro e agli individui beneficiati dalle politiche neoliberiste, può agevolemente assicurarsi i servizi del potere politico, di quello mediatico, di quello religioso e ultimamente anche di quello militare; creando scenari nei quali si giocano partite che passano al di sopra di qualsiasi controllo democratico o popolare. Partite nelle quali, sempre più spesso, poteri dalla natura diversissima e dagli scopi a prima vista inconciliabili, si accordano in traffici impuniti, quanto a prima vista criminali, al fine di ottenere denaro, cioè il potere allo stato puro, e la magica, assoluta, impunità che esso concede; rendendo possibile anche a buffi personaggi comprarsi le leggi e le assoluzioni dalle blande pene riservate alle società per azioni.

Mentre il denaro celebra il suo trionfo, ricresce la consapevolezza dell’importanza della tutela dell’interesse pubblico, ma ci ritroviamo ormai tristemente a dover difendere l’acqua come bene universale primario. Nei paesi dalle economie piegate dalla perversa distribuzione delle ricchezze, o devastati dalle speculazioni, sembra montare l’intolleranza contro un quadro inaccettabile alle grandi maggioranze impoverite, sempre più ostaggio di monopoli e speculazioni moralmente e logicamente intollerabili. Anche la mercificazione del lavoro è ormai assoluta ed incontrastata, non ha più nulla di ragionato secondo interessi condivisi, la contrattazione, quando esiste, passa solo attraverso il brutale esercizio dei rapporti di forza. Non è come dire che una volta toccato il fondo, non ci resti necessariamente che risalire.

Non c’è un fondo, e l’inerzia di questa somma di errori ed orrori non si corregge facilmente, occorrono svolte reali, evidenti ed inevitabilmente storiche, all’altezza dei pericoli e dei disastri sotto gli occhi di tutti; e in questo momento quasi tutto pare andare nella direzione opposta.

mazzetta
redazione@reporterassociati.org

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