Indymedia Italia


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http://italy.indymedia.org/news/2005/04/776737.php Invia anche i commenti.

[NO BORDER]_Brothers
by not-in-my-name Tuesday, Apr. 19, 2005 at 9:59 PM mail:

[“Todo cambia”, solo per chi vive male tra mille inquietudini e difficoltà, che gli causa la miseria prodotta da questo sistema, sembra non possa cambiare mai niente]

[NO BORDER]_Brothers...
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• Little resume of a radical and alternative 2 April:
http://italy.indymedia.org/news/2005/04/764490.php
http://italy.indymedia.org/news/2005/04/764802.php
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http://italy.indymedia.org/news/2005/04/766027.php

• and in memory of:

IAN CAZACU, operaio rumeno emigrato in Italia, bruciato vivo con una bottiglia di benzina dal datore di lavoro cui aveva chiesto di essere regolarizzato.
(L’assassino, un imprenditore di Gallarate, venne condannato per omicidio; l’appello confermò la condanna. La vedova, Nicoleta Cazacu, qualche tempo dopo chiese un permesso di soggiorno per le due figlie studentesse, 19 e 21 anni. Ma la legge in questi casi richiede la disponibilità di 100 euri al giorno; le ragazze Cazacu, figlie di un onesto operaio e non di un boss mafioso, non hanno tanto denaro. Permesso negato. Neanche alla signora Cazacu è stato dato un permesso di soggiorno definitivo: solo uno provvisorio rinnovato di anno in anno. Non le è stato versato neanche il risarcimento deciso dai magistrati. Alla fine, la Cassazione ha annullato la condanna dell’assassino: rifare tutto il processo daccapo. La vedova e le figlie cercheranno di sopravvivere fino al giorno della sentenza, che a questo punto non arriverà prima di altri tre o quattro anni; e saranno sole. Gli avvocati compagni che un tempo difendevano cause come queste (Pecorella del “Soccorso rosso”, per esempio) ormai hanno di meglio da fare. Forse ci sarà un’intervista da qualche parte: e sarà tutto. In Italia, Ian Cazacu credeva di trovare una lavoro onesto. Sua moglie, semplicemente un po’ di giustizia. È andata male a tutt’e due.),

CHEIKH SARR, l'extracomunitario morto per salvare un bagnante italiano
(http://italy.peacelink.org/sociale/articles/art_6483.html)


----} WE DON’T FORGET!


CPT - Giovanardi (Udc): «Ne faremo altri» Ma il Friuli dice no
(di Lauca Fazio, da “Il Manifesto” del 16 settembre 2004)

Il ministro Carlo Giovanardi ha voluto mettere il suo bel mattoncino sull'escalation penale in corso per il controllo dei migranti. «Il governo - ha detto - punta a realizzare nuovi centri di permanenza temporanea per gli immigrati clandestini, ma occorre spesso superare gli ostacoli delle amministrazioni comunali che non li vogliono sul loro territorio». Il ministro è un po' contrariato, perché se tutti fossero come suo fratello gemello, Daniele Giovanardi, che gestisce allegramente il centro di detenzione di Modena grazie a un contributo statale di 1 milione di euro all'anno, ogni regione italiana potrebbe avere la sua prigione per stranieri in attesa di espulsione. Invece no. Le attuali strutture, ha precisato il ministro, «hanno una capacità ricettiva di 3000 persone», ma questo non basta. Ecco perché, oltre a fare l'elenco dei cantieri aperti - Ragusa, Foggia, Bari, Gradisca d'Isonzo, Trapani - Giovanardi ha anche minacciato che intanto «prosegue la ricerca di nuove aree dove costruire strutture al fine di ampliarne la capienza complessiva». Si è detto anche sicuro di riuscire a vincere «l'egoismo» dei politici locali che non vogliono nuove prigioni. «Sono amministrazioni di tutti i colori politici a comportarsi così - ha ammesso - e noi faremo ogni sforzo per completare i centri in via di costruzione e per realizzarne degli altri che possano far fronte a questa emergenza».
Proprio l'altro giorno, il ministro Pisanu, in missione in Friuli, ha toccato con mano «l'egoismo» dei politici locali. Come il presidente (ulivista) del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy, che si ostina a non apprezzare quel muro di cemento armato alto quattro metri nel verde della campagna di Gradisca d'Isonzo. «Il muro della vergogna», per le associazioni antirazziste che stanno cercando di impedirne la costruzione. Solo Paolo Cento ieri si è scagliato, senza se e senza ma, contro l'idea di seminare carceri ovunque. «I cpt introdotti dalla legge Turco-Napolitano e peggiorati dalla Bossi-Fini - ha precisato - devono essere chiusi».

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«Il business delle Misericordie sulla gestione dei CPT in Italia»
(fonte: http://www.meltingpot.org/articolo5110.html)

La Confraternita della Misericordia – organizzazione di volontariato di secondo livello – gestisce diversi centri di permanenza temporanea:

 CPT Agrigento, “Contrada S. Benedetto”
 CPT Modena “La Marmora”
 CPT Lampedusa
 CPT Bologna, via Mattei

Dal 1° aprile la gestione del CPT di Bologna in via Mattei passa dalla Croce Rossa alla Misericordia di Modena, diventando l'unica organizzazione dei due centri di detenzione nella Regione Emilia Romagna. Un businnes miliardario, in mano a Daniele Giovanardi (responsabile del pronto soccorso del Policlinico nonché fratello gemello di Carlo, ministro per i Rapporti con il Parlamento).
Per la gestione del CPT di Modena si è svolta una gara d'appalto a cui hanno concorso Caritas, Croce Rossa e Misericordia, che vinse l'appalto. Voci fondate riportano che durante la gara di appalto, nel 2002, Daniele Giovanardi era presidente della Croce Rossa ma visto che l'appalto fu vinto dalla Misericordia passò al comando della confraternita diventando presidente della sezione locale.

Alcuni numeri
La Misericordia di Modena ha vinto l’appalto per il CPT di Bologna giocando al ribasso attraverso una politica dei tagli di generale razionalizzazione delle spese, tagliando il numero dei dipendenti (da 40 a 30), riducendo l'assistenza sanitaria a 8 ore invece delle 24 su 24 come doveva garantire dalla Croce Rossa. Se la situazione era grave possiamo immaginare che in futuro sarà ancora peggio…
Secondo il Rapporto di Medici Senza Frontiere (dati del 2003) il CPT di Bologna riceveva - fino alla gestione della Cri - 80 euro al giorno per persona; quello di Modena 75 euro al giorno per ogni immigrato.
Considerato che 70 euro è il costo del pernottamento di mezza pensione in un albergo di buon livello, con servizi a dir poco superiori, non si capisce come si possano spendere queste cifre per tenere delle persone recluse nelle condizioni descritte dal rapporto di Medici Senza Frontiere.
Il Cpt di Modena è costato più di undici milioni di euro, costruito ex novo e inaugurato nel novembre del 2002. Il contributo statale per gestirlo corrisponde ad 1 milione di euro all'anno!
Giovanardi sui centri di detenzione nella puntata di Report del 18 aprile 2004 ha dichiarato “al Cpt non ci vanno i clandestini. Al Cpt ci vanno persone che hanno fatto i delitti recidivanti, escono magari dalla galera quella tradizionale, spacciatori, prostitute, ladri abituali. Cioè non viene preso il povero clandestino, il filippino o la persona di colore perché non ha il permesso. Questo mai!”
E non è tutto. Sempre nell’intervista dichiara che “Noi non abbiamo una sede e questi soldini da qualche parte bisogna trovarli! Io come presidente della Misericordia ho l'obbligo morale di fornirgli un'ambulanza di servizio, che adesso costa intorno ai 140 milioni, un'ambulanza, ahimè! Allora credo che un'impresa moderna si debba garantire anche in qualche modo un introito. La storia del Cpt alla fine ci porta un utile per cui la prossima ambulanza sarà pagata in parte dal Cpt. A me questa sembra una cosa bellissima...”

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CITTADINI DI CONFINE
(di Sandro Mezzadra, da Il Manifesto del 2 aprile 2005)

Da Lubiana a Malaga, da Manchester a Salonicco, da Ragusa a Rotterdam, in più di cento città europee si manifesta oggi per la libertà dei migranti. È un piccolo miracolo: nata nelle discussioni che si sono svolte nello scorso ottobre a Londra, in occasione del Forum sociale europeo, la proposta di una seconda giornata europea di mobilitazione sui temi delle migrazioni (dopo quella del 31 gennaio 2004) ha via via raccolto l'adesione di decine di gruppi e di reti, nonostante non si possa certo dire che sia stata fatta propria dalle grandi organizzazioni che pure a Londra erano presenti. Eppure la giornata di oggi riveste un'importanza fondamentale, che va ben al di là di ogni interpretazione delle migrazioni come questione «settoriale». Vale la pena di segnalarne sinteticamente almeno due ragioni.

In primo luogo, le iniziative di oggi si pongono direttamente sul terreno europeo. In questione non è certo un'adesione supina all'Europa del trattato costituzionale. Nella contestazione radicale di un istituto chiave delle politiche migratorie europee - i centri di detenzione amministrativa - la mobilitazione di oggi trova anzi uno dei suoi motivi unificanti. Più in generale, i centri di detenzione sono contestati, oltre che per lo scandalo che la loro mera esistenza rappresenta, in quanto simboli di un insieme di processi che stanno disegnando il profilo materiale della cittadinanza europea in formazione, attraversata e divisa da molteplici confini. Al tempo stesso, tuttavia, è proprio il movimento sociale dei migranti a indicare quotidianamente come lo Stato nazionale sia ormai un contenitore troppo angusto non solo per i capitali, ma anche per le pratiche che si vogliono antagoniste. L'Europa disegnata dai movimenti migratori è certo diversa da quella di Schengen e di Maastricht: è nondimeno lo spazio politico immediato su cui quei movimenti sfidano a misurare la propria immaginazione politica e le proprie proposte chiunque si impegni per la costruzione di alternative all'esistente.

La libertà di movimento dei migranti, la parola d'ordine delle mobilitazioni di oggi, non ha in questo senso nulla di retorico. Più che indicare una rivendicazione, si propone di definire l'orizzonte al cui interno si iscrivono già ora le pratiche e le lotte quotidiane dei migranti in tutta Europa: pratiche e lotte che proprio sul terreno strategico della mobilità si dispongono, ponendo in evidenza l'intensità delle tensioni e degli scontri che su di esso si determinano. I processi che stanno oggi ridefinendo la figura della cittadinanza e il «mercato del lavoro» hanno tutti al centro il controllo selettivo della mobilità, lo scatenamento di alcune sue forme, l'«imbrigliamento» o la radicale negazione di altre. È un terreno che non è ancora stato apprezzato fino in fondo dai movimenti (per non parlare delle forze politiche e sindacali che a essi si dichiarano prossime), troppo spesso irretiti in una critica del neoliberismo che rischia, essa sì, di risultare meramente retorica.

Sta qui la seconda ragione dell'importanza «generale» della mobilitazione di oggi. Assumendo la mobilità come terreno di conflitto, su cui si gioca oggi la ridefinizione delle figure del dominio e dello sfruttamento ma su cui si scaricano anche bisogni, desideri e pratiche soggettive che possono nutrire una reinvenzione dei concetti di libertà e di uguaglianza, essa pone una sfida che non riguarda solo i migranti. È la stessa composizione del lavoro vivo, sono le forme stesse della cooperazione produttiva a essere innervate da un insieme di conflitti che hanno al proprio centro il controllo della mobilità. Per questo, come sembrano aver compreso le reti europee che hanno puntato sulla costruzione di un nesso forte tra la mobilitazione di oggi e la costruzione della Euromayday 2005, il confronto con le istanze e con le lotte del lavoro migrante è uno dei presupposti ineludibili per poter affrontare in modo finalmente non subalterno problemi come quelli della flessibilità e della precarietà.

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