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Gli anarchici intercettati: ecco i colloqui
by corriere Friday, May. 27, 2005 at 9:16 AM mail:

«La gente non capisce che è stato attaccato un tribunale, non è una persona... Poi brucia 'na sede... un po' di nero sulla vetrata....»

ROMA—Il giudice che l’ha fatto arrestare non mostra dubbi quando scrive che uno degli arrestati di ieri stava preparando un attentato, appena 15 giorni fa. Gli agenti della Digos l’hanno seguito mentre in compagnia di altre due persone, un uomo e una donna, camminava nei pressi di caserme e scuole di polizia. Uno dei tre, il più giovane, è entrato in un negozio di termoidraulica chiedendo se avevano «un potenziometro, munito di timer e di conta litri». Per il giudice è il materiale «necessario per la costruzione di un ordigno esplosivo secondo le indicazioni fornite nei documenti trovati in possesso degli indagati».
L’uomo e la donna pedinati sono stati arrestati anche dal giudice di Bologna per partecipazione all’associazione sovversiva che avrebbe messo a segno diversi attentati dinamitardi, dalla pentola esplosiva contro la polizia al pacco bomba inviato a casa di Romano Prodi nel dicembre 2003. I processi diranno se sono provate o meno le accuse mosse a questo gruppo di giovani o giovanissimi che compongono la galassia «anarco- insurrezionalista», che nei discorsi intercettati da poliziotti e carabinieri mostrano di non considerarsi affatto dei terroristi.
Anzi, sostengono che il terrorismo è tutt’altra cosa. In un colloquio carpito dalle microspie un anno fa, XXX XXX dice a XXX XXX: «La paura del terrorismo islamico a che serve? A giustificà la presenza di un macello di sbirri e a giustificà il fatto che arrestano tutti gli immigrati che ci stanno... ». E prosegue, riferendosi a un attentato al tribunale di Viterbo di cui ora sono accusati loro stessi: «La gente non si rende conto che comunque è stato attaccato un tribunale, non è stata ammazzata una persona per strada che non c’entrava un cazzo...». La donna però ribatte: «Guarda che pe’ la gente comune attaccà un tribunale con una bomba non è una cosa da tutti i giorni... O fà saltà delle dita a un carabiniere non è come andà a rubare dentro a un supermercato... ».
Sempre un anno fa XXX XXX e XXX XXX — l’uomo e la donna pedinati intorno alle caserme — commentavano un attentato appena commesso a Cagliari contro una sede di Forza Italia, per il quale erano stati arrestati tre militanti di un centro sociale anarchico. Il colloquio è stato intercettato nell’ambito dell’indagine bolognese, e XXX dice: «Poi, brucia ’na sede... cioè, gli hanno messo il coso là... ha preso un po’ di nero la vetrata... l’ho visto in tv; cioè, non è che si riesce sempre a ottenere...». Risponde la XXX: «No, però l’obiettivo è rompere... E poi ognuno fa quello che vuole!»: E XXX: «Si, però l’azione diretta è l’azione diretta... Cioè, secondo me l’importante è che le cose continuino a succedere ».
Giorni dopo, sempre parlando con XXX, XXX si sofferma su altro: «Se fai cascare un traliccio... pensa che deve fare... Dopo il botto che fa la dinamite ci sta il traliccio che cade... cioè, deve fare un cazzo di... immaginati di... trenta quaranta metri». Un altro brano della stessa conversazione riguarda gli attentati con due esplosioni successive, per ingannare le forze dell’ordine. «Di solito gli sbirri se lo aspettano — dice XXX —... come è successo pure a Genova...; c’è una tecnica che si usa da una vita, quella... della trappola. Cioè, tu ne metti due di cose, una prima, gli sbirri arrivano, e poi un’altra grossa per accoppare gli sbirri...». Parole che da sole non costituiscono la prova di nulla, ma offrono degli spaccati di vite antagoniste, vissute tra la militanza estremista e i problemi di tutti i giorni.
Come quello del posto di lavoro fisso, di cui XXX parla sempre con XXX: «Per trovare lavoro la faccia nella merda ce la devi mettere. Allora mi chiedo se ha pure senso tutti i casini che ho fatto io... Che devo fare poi, come XXX che a quarant’anni mi metto a raccogliere le fragole? Ti dico la verità, se devo andare in Danimarca a raccogliere le fragole io svaligio una banca... Mi farò quattro anni, tre anni... però almeno c’ho provato ». Ma il principale argomento resta l’attività politica, per la quale mettono in conto pure la «repressione » cui sanno di poter andare incontro. «Quanti compagni sono stati arrestati? — chiede XXX XXX a XXX —. È una cosa che succede in continuazione... È successo a compagni e amici che ci sono vicino.
Succede a noi che siamo indagati e quindi siamo colpiti e possiamo, cioè, incazzarci, o comunque riportare, far sentire ancora di più quello che pensiamo... Teniamo in conto che pensandola in questo modo ci hanno sempre rotto i coglioni, ma non sarà questo che comunque ci cambia... Lo continueranno a fare, e noi continuiamo a fare quello che facciamo, a pensare quello che pensiamo. E lo ripetiamo a tutti urlando, anche facendo un corteo».
27 maggio 2005

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