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La guerra asimmetrica continuerà a lungo.
by mazzetta Friday, Jul. 08, 2005 at 4:16 PM mail:

L'altissima professionalità ed il grado di controllo che esprimono i centri di potere che la promuovono, ne garantiscono la perpetuazione nei prossimi decenni. L'accettazione dello scenario di guerra come normalità del vivere è ormai assoluta.

Ancora non sappiamo quante siano le vittime dell’attentato di Londra, l’ennesima scossa alle mandrie assopite e lobotomizzate nel falso benessere occidentale, ma la reazione generale è quanto di più scontato ci si potesse attendere.
Prima di tutto è evidente il calo della tensione alla partecipazione all’evento; la ripetizione ne uccide l’eccezionalità, l’enormità del 9/11 riduce l’impatto, in termini dimensionali, degli attacchi successivi sulle opinioni pubbliche.
Londra, per quel che riguarda la comunicazione, è un deja vu, anche se non per questo meno tragico.

La guerra è sempre tragica, e anche se ce la mettono tutta per farci vivere guerre poco sensibili dalle masse, la realtà sul terreno non cambia, è quella di una guerra. Una guerra, che chiamano asimmetrica, in riferimento ai mezzi a disposizione dei due schieramenti.
Il problema grosso, che non si pone con le guerre simmetriche, è prima di tutto di capire tra chi si svolgano queste guerre asimmetriche.
In questo nuovo millennio, come sempre, le guerre vengono decise, e provocate dalle elites, e in seguito combattute e vissute da chi ha la sfortuna di esserci.

Esattamente come sempre; come fu per la seconda guerra mondiale, provocata dalla crescita esponenziale del potere della Germania (che combinata alla presenza del Fuhrer fece disastri), favorita dai capitali di quegli americani che poi dovranno intervenire, “per la democrazia”, in difesa del loro spazio vitale buttandosi nella Seconda Guerra Mondiale.

Lo spazio vitale, questa ormai antica definizione è in realtà l’oggetto segreto di ogni guerra, la natura dell’uomo, e ancora di più del leader, è quella di acquisirne quanto più possibile; l’avidità è un potente motore umano.
Non molti anni fa, per la centesima volta, seguendo una ricetta scolpita nel marmo a Washington, gli americani dettero il via libera al Pakistan per organizzare e sostenere i talebani, favorendo ed armando la jihad contro i sovietici. Tutto questo accadeva mentre le elites arabe ed occidentali andavano a letto insieme, con i ricchi jihadisti che festeggiavano le vittorie in battaglia al Ritz con gli omoni della Cia, nani e ballerine, pare un sacco di ballerine.

Le elites arabe hanno quasi tutte grossi problemi interni, e li trattano come insegnano gli americani, alla cilena o giù di lì. Addestrare i servizi di sicurezza di certi paesi arabi equivaleva, per gli agenti dei servizi americani ed occidentali in genere, ad una vincita al lotto; scortarli in visita nelle metropoli americane, una pacchia. Un discorso che vale in tutto e per tutto anche per i servizi di sicurezza degli altri volenterosi paesi alleati.
Poi successe che alcuni cattivi arabi, per anni addestrati appositamente, provassero ad applicare quanto imparato per mettersi in proprio, e cominciassero minacciare le elites del Golfo e anche un po’ più in là. Niente che potesse piacere ai tutori di quello splendido equilibrio che arricchiva tutti (loro).

I talebani e la jihad riuscirono dove non erano riusciti i mujaheddin, armati di missili Stinger da Washington (pensate se adesso Russia, Cina o altri li fornissero all’opposizione afgana), erano i tempi nei quali finanziavano anche Saddam Hussein spingendolo alla guerra all’Iran, paese nel quale un’impertinente rivoluzione popolare aveva rovesciato la dittatura imposta dagli stessi americani, ed in seguito era finita sotto il ferreo controllo khomeinista.
Mujaheddin però incapaci di controllare il paese dopo i dieci anni di presenza sovietica, che dovettero lasciare il passo ai talebani. Nel mentre Saddam Hussein pensò bene di risarcirsi con il Kuwait, non valutando che il bastone di Washington non ammette disordini nel cortile del petrolio, mal gliene incolse.

Dopo 17 anni dall’invasione sovietica i talebani presero il potere nel 1996 e lo mantennero fino a che gli americani non si arrabbiarono sul serio. L’Afghanistan è davvero un paese difficile, nell’ultimo secolo quasi tutte le successioni sono avvenute per morte cruenta del leader in carica; in Afghanistan non ci sono elites, ma un sacco di tribù che da secoli esistono perché sparano, tribù appunto. La cappa talebana, una mandria allevata nell’ignoranza più cieca dai pakistani, non preoccupava nessuno nel mondo, anche se devastava il paese. L’Afghanistan però non era certo qualcosa che potesse accontentare i combattenti jihadisti giunti da ogni dove e spesso reclutati come piccoli eserciti privati da facoltosi arabi, o sponsorizzati dai propri governi, ben lieti di allontanarli con il placet degli americani; l’indottrinamento utile per gli afgani non ebbe lo stesso effetto sui più sofisticati e moderni cugini delle brigate internazionali che si sono avvicendate nel paese, per oltre un decennio.
La miseria afgana non poteva certo soddisfare i desideri dei giovani sognatori che combattevano per l’utopia panislamica contro l’occupante senza dio; anche perché molti di loro nelle posizioni di comando, avevano studi di rango e patrimoni imponenti alle spalle, ed avevano assaggiato ben altre esperienze e visto ben altri mondi.

La naturale conseguenza fu un aumento, di ritorno, della pressione sulle elites al potere dal Golfo fino all’Atlantico, che si trovarono in casa molti elementi addestrati alla sovversione e alla lotta armata; un progetto che per anni aveva trovato solo entusiasti sostenitori in Occidente. A questa pressione gli Stati Uniti risposero sostenendo i compagni di affari, un riflesso scontato, e divennero essi stessi nemici giurati dei ribelli; senza gli Stati Uniti quasi tutti i governi mediorientali sarebbero molto diversi, una evidenza che non poteva sfuggire ai rivoltosi.

Da circa dieci anni i ribelli della jihad internazionale mettono a frutto l’addestramento fornito dagli istruttori pachistani, e combattono la guerra asimmetrica. Una guerra che perde la nozione del fronte (non esiste in Iraq, ne altrove) e che viene combattuta da poche pedine arruolate dalle elites in mezzo alle mandrie lobotomizzate.

Una guerra che da oltre trent’anni vede le elites arabe in prima fila, ansiose di comprare armi e “sicurezza” da Washington pagandola con soldi del petrolio, si vendono i loro paesi per mantenersi al potere, naturalissimo; l’Arabia saudita, che ha pagato cash l’intervento in liberazione del Kuwait, è da anni il principale protagonista di questa guerra accanto all’amministrazione americana, il contributo inglese e degli altri alleati, in proporzione, è ridicolo. Molto di più fanno gli stati che reinvestono i proventi petroliferi nei titoli statunitensi. Petrolio, che quando finirà lascerà a secco i portafogli degli oppressori, al verde i popoli che lo possedevano, i quali in cambio dell’enorme ricchezza custodita sotto i loro piedi avranno avuto decenni di guerra e dittatura.

Questo dato in Occidente non raggiunge le opinioni pubbliche, è una verità che non sarebbe apprezzata ad Oriente e che azzererebbe la falsa immagine di uno scontro di civiltà in Occidente, la scarsa enfasi che lo circonda è più che giustificata; ostacola la costruzione di quel “noi” e di quel “loro” fondamentali perché vi possa essere guerra.

La guerra asimmetrica ha uno svantaggio occulto non indifferente. Apre la strada ad ogni immaginabile malversazione e schifezza. Una guerra tradizionale implica l’impegno della collettività tutta, che in quelle occasioni non bada a spese, ma che uccide chi sottragga risorse allo sforzo bellico per i propri interessi. Una guerra asimmetrica moderna porta conseguenze del tutto opposte.
Il consenso basato sul patriottismo è assai meno diffuso che in una guerra tradizionale, più difficile da ottenere quando si combatte contro un nemico infinitamente più debole militarmente.

Israele fino a che è stato in pericolo ha potuto contare su una granitica unità d’intenti e sul consenso internazionale, quando si è trovato di fronte solo i palestinesi armati di pietre davanti ai propri tank ha scontato un risveglio del dubbio nella mandria; anche qui gioca la qualità della mandria, in Israele per controllarla si è quindi ricorso all’immissione di capi meno svegli, allevati alla sovietica, e all’impiego della sirena religiosa.
Così accade nella società americana in guerra, l’amministrazione inietta immigrati e sfrutta la religione per controllare i voti; quello che non cambia, è che anche nella guerra asimmetrica serve il controllo dei media, il disfattismo è sempre una brutta bestia. Il controllo dei media in questo caso serve, incidentalmente, anche a coprire i grandi furti ai quali si abbandona tutto il sottobosco di “collaboratori di guerra” delle elites, che in queste occasioni si prendono mano libera, sicuri che nessuno eccepirà.

Mentre a Londra le elites erano riunite per decidere del destino delle mandrie, il gruppo di scostumati jihadisti ha pensato bene di rovinare la festa, tirando qualche bomba in mezzo ai bovini ipnotizzati dai ritmi della vita moderna.
Non è credibile che sperassero di aprire una crepa nelle convinzioni dei bovini, quanto piuttosto che volessero segnare un colpo simbolico di alto valore. La concomitanza con il G8 era ghiotta.
Sapevano di poter contare sul fatto che gli otto scherzi della storia riuniti in Scozia, contano molto di più di otto milioni di Mr. & Mrs Brown, e mentre le guardie a cavallo di Sua Maestà rincorrevano nelle Highlands scozzesi i bovini più maleducati, accorsi a muggire il loro disappunto, hanno avuto buon gioco a segnare nella porta vuota della subway londinese.

Eppure lo sanno tutti che i no-global non hanno ricevuto l’addestramento standard offerto agli “amici dell’America” ™. Non sono pericolosi. Come viceversa sapevano benissimo che l’occasione era ottima per i nemici di guerra; quelli si indubbiamente pericolosi; considerazioni banali che, pur messe nere su bianco nei mesi scorsi, non hanno fatto deflettere dall’obbligo di schierare la massima potenza attorno agli otto.

Una dato da tenere a mente, i leader del mondo “civile” non possono muoversi senza essere scortati dai loro eserciti, non per proteggersi dal terrore islamico, ma dalla rabbia di coloro per i quali dicono di combattere.
Un colpevole errore strategico, quello della security britannica, almeno dal punto di vista dei capi di bestiame rimasti coinvolti nel bombardamento e di quelli loro vicini. Un insignificante dettaglio per gli altri, nella guerra asimmetrica l’esercito nemico è composto di terroristi, quindi vili a prescindere. Una circostanza, evidentemente sottovalutata, ancora colpevolmente. Nessi da non indagare, anche per non mettere in discussione le truffe miliardarie con le quali ci vendono e impongono sicurezze impossibili.

Il punto di vista che ci propongono i nostri cari leader è comunque opinabile, ed è messo in discussione da molti attorno al globo; non si può certo dire che sia stato un paese islamico ad aver attaccato per primo gli Stati Uniti, o l’Europa, come non si può dire che siano mai esistite forze islamiche che hanno aggredito la Russia dalla Cecenia; invasa e martirizzata dagli stessi russi ben prima che apparisse anche l’ombra di una mezzaluna.
Non si può certo dire, se pensiamo che praticare il terrorismo voglia dire colpire la popolazione civile per seminare il terrore, che le decine di migliaia di morti civili prodotte da operazioni come Shock and Awe, l’occupazione afgana e quella irachena, e ancora prima la guerra all’Iran, alla Cecenia, all’Afghanistan (stato sovrano, per gli amanti della non-ingerenza in nome del “sono affari interni”), alla Bosnia; possano essere confrontate con i colpi poco più che simbolici che i jihadisti hanno messo a segno a casa del nemico e dei suoi alleati; o esserne considerate una conseguenza.

Non sono certo stati i fanatici islamici a riempire l’area mediorientale di conflitti, e neppure sono guidati dal fanatismo islamico i dittatori che da decenni la governano sostenuti dai civilizzatori.

Non è chiaramente uno scontro di civiltà, ma uno scontro di potere senza altre eccezioni. Uno scontro grazie al quale, e in nome della guerra a quattro cialtroni, le elites comprimono drasticamente le libertà civili e si sfogano con i bovini meno disposti ad accettare il governo dei rancheros; plasmano le regole alle loro convenienze e rapinano impunite, devastano intere nazioni e regioni e continenti, animati dalla naturale quanto sfrenata avidità umana, per quanto può esserlo quando è privata di limiti.

Il ventunesimo secolo è il secolo delle guerre asimmetriche, le guerre condotte dalle elites in nome proprio, contro altre elites. Una situazione che ci riporta indietro di 100 anni, uno schema che la storia ha già dimostrato insostenibile, che spesso porta alle rivolte bovine e al bagno di sangue. Una guerra tra bande nascosta dietro nobili fini, il cui prezzo ricade solamente sull’inconsapevole bestiame. Una situazione evidentemente insostenibile, che comporta danni economici, ma soprattutto sociali, incalcolabili, ancora più gravi della somma delle morti che provoca.

Questo non-detto provoca reazioni asimmetriche, se ogni infrazione dell’umanità da parte dei sicari dei rancheros volenterosi, porta linfa alla Jihad, non così gli attacchi all’Europa spostano consensi a sostegno della war on terror; che al contrario espone sempre di più la sua natura ingannevole alle mandrie. A questo si aggiunge l’evidenza che sia stata abbracciata con entusiasmo dai più sanguinari leader mondiali, un fatto incontrovertibile che la dice lunga sulla reale natura di quanto succede.
Una violenta discussione a mano armata tra un potere che vuole imporre il proprio disegno mercantilista e colonialista e un’opposizione radicalizzata da decenni di angherie, che ha pagato con il sangue (moltissimo), il proprio dissenso.

Satelliti contro cavalli, missili guidati dallo spazio contro esplosivo portato a mano fino all’obbiettivo, centinaia di migliaia di techno-guerrieri contro qualche migliaio di guerriglieri; miliardi di dollari di spesa imposti alle economie coloniali, contro il costo di una Panda per la strage di Atocha.
Sono le mandrie vicine ai ribelli, che riequilibrano il conto, con uno spaventoso tributo di sangue. Le elites non pagano mai, anche Saddam viene tenuto in caldo, potrebbe servire ancora.

Le mandrie “civilizzate”, troppo quiete, quando scoppiano i petardi nei loro recinti sbandano; allora ogni singolo capo sente il bisogno di dare il suo fondamentale contributo alla fissazione dell’evento nella cronaca. Il fiume di opinioni prodotto dagli esponenti parlanti delle mandrie, e poi riversato dalle tv sul resto del bestiame è davvero illuminante, e rende la dimensione della lontananza delle masse dalla comprensione dei processi storici. A tenerle ben lontane dalla realtà pensano i cowboy comunicattivi ( dai tre significati in questo caso), pastori che deviano la storia sparando assurdità sul carattere anticristiano dei ribelli, o parlando di nichilismo dell’Islam; fantasie sfrenate quanto interessate.

Troppo banale osservare che dichiarare guerra comporterebbe, di per sé, accettarne le conseguenze;

troppo stradetto far notare che la risposta alla guerra non può che essere altra guerra. Troppo banale considerare che ogni guerra è sempre stata combattuta contro i “barbari”, gli “incivili” o gli “inumani” dal più forte, mai contro gli “oppressi” o contro portatori di qualità morali almeno equivalenti. Per fare la guerra occorre fare il nemico, nemico che una volta benedetto nella sua esistenza mediatica dovrebbe provocare la solidarietà tra le mandrie e le elites civilizzatrici.

Troppo scontato ricordare ai nostri cari leader che lo sforzo civilizzatore potrebbe essere profuso, con minor spesa e modi molto più gentili, per civilizzare le nostre lande e portare il bestiame all’umanità.

Piangiamo le vittime di Londra, povere bestie come quelle di Falluja, come quelle africane, innumerabili, o quelle di Aceh; bestie che sono carne della nostra carne di bestie, troppo stupide per capire le ragioni e i giochi dei mandriani; impotenti e incapaci di reagire almeno fino a quando la mandria, ormai troppo ferita, non si scuoterà allo scoccare di un brivido epocale.
Un fenomeno che periodicamente si manifesta nella storia, lo “stampede” tanto temuto dall’iconografia mandriana, la rivoluzione delle bestie, l’esplosione degli istinti, la ribellione al comando; a determinare se sarà una rivoluzione dolce o cruenta saranno, ancora una volta, i mandriani e le loro storie.

L’attuale sfrontatezza e bugiarda arroganza dei leader non depone a favore di manifestazioni lente e molto pacifiche, dietro al muro di gomma che separa le loro azioni dalla realtà, si accumulano tensioni e crack finanziari davvero imponenti e devastanti.

Le mandrie, prima o poi, saranno raggiunte dalla realtà, e la loro disillusione sarà grande e pericolosa, l’aver legittimato ogni sorta di violenza potrebbe rivelarsi pericolosamente diseducativo, e costare tantissimo ai cari leader.
A oggi la guerra continua, e militarmente è già persa, visto che le previsioni più ottimistiche parlano di 10/12 anni per stabilizzare alcune situazioni, magari con una dittatura; i cari leader sanno benissimo che sono guerre che non possono essere vinte, nessuno è mai riuscito a soggiogare a lungo interi popoli esercitando la violenza, ma loro non combattono per vincere le guerre o per la civiltà. Sanno benissimo che i popoli uniti sono invincibili, la loro vera guerra è quella contro le unità popolari, contro l’esistenza di comunità unite attorno a valori condivisi che trascendano il denaro e l’interesse egoistico; comunità capaci di assicurarsi i servigi dei leader senza consegnare loro ciecamente i propri destini. Comunità nelle quali i leader possono circolare in bicicletta senza scorta tra la gente, e non muoversi come i ridicoli comandanti in capo di un esercito di vacche.





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