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IL DIRITTO ALLA PRIVATEZZA DEI DETENUTI
by ilcronista.org Friday, Aug. 26, 2005 at 11:50 PM mail:

il cronista.org diretto da Gian Carlo Scotuzzi ET SI OMNES EGO NON 25 agosto 2005 - giovedì IL DIRITTO ALLA PRIVATEZZA DEI DETENUTI La pubblica gogna dell’anno 2005 di Pì Mosca

il cronista.org
diretto da Gian Carlo Scotuzzi

ET SI OMNES EGO NON
25 agosto 2005 - giovedì
IL DIRITTO ALLA PRIVATEZZA DEI DETENUTI
La pubblica gogna dell’anno 2005

di Pì Mosca


L’incompetenza professionale denunciata da Ersilia Bragantini a proposito del giornalista della Repubblica (articolo sotto), mi stimola questa riflessione.
Circa un paio di anni fa un governo fantoccio del Sudamerica catturò un capo guerrigliero, lo vestì con un pigiama a rigoni bianchi e neri e lo chiuse in una gabbia da bestie. Collocò la gabbia in uno spazio pubblico, esponendo il detenuto ai giornalisti, ai fotografi, ai cineoperatori e alla morbosa curiosità di ogni altro visitatore. La trovata fece la gioia della stampa spazzatura, che pubblicò le foto del “mostro” e ne trasmise il filmato. Piacque al popolino guardone e degenere, la cui brama di disgrazie altrui, un tempo appagata da roghi di streghe e pubbliche impiccagioni, oggi si pasce di fotografie sui giornali e di immagini televisive. Piacque meno ai cittadini responsabili ed etici, che stigmatizzarono la barbara pena inflitta al detenuto. Barbara, disumana e illegale, dal momento che nessun codice penale al mondo (nemmeno il codice delle repubbliche delle banane del Sudamerica) prevede l’esibizione pubblica del reo e la sua esposizione al pubblico dileggio. Questa pena era contemplata dalle grida medievali (che l’applicavano, per esempio, con la gogna), ma ora, appunto, non più.
Tornando in Italia: dove sta scritto che un detenuto, (legalmente) chiuso in gabbia, debba essere esposto alla curiosità di un giornalista?
Eppure è quanto è successo a Guglielmo Gatti. Ieri se ne stava a Canton Mombello (il carcere di Brescia), indiziato dell’omicidio degli zii. All’improvviso la porta della sua cella si apre e il secondino fa entrare un deputato. E fin qui nulla da obiettare, anzi. È giusto che i deputati abbiano il sacrosanto diritto di verificare le condizioni dei cittadini più esposti agli abusi, quali sono appunto i detenuti. E siamo grati al parlamentare dei Verdi, Natale Ripamonti, di considerare questo diritto un dovere, e dunque di girare per carceri.
Ma ecco che, accanto a Ripamonti, Gatti si trova davanti anche il giornalista di Repubblica. Da persona squisita e civile, Gatti ha fatto buon viso a cattiva sorte. Al suo posto, io il giornalista l’avrei quantomeno mandato a cagare e forse anche preso a calci in culo, ma sono un ringhioso mastino della mia privatezza. Gatti no: pur essendo schivo e riservato, al punto da non aver risposto per tre volte alle domande dei magistrati, al giornalista risponde. Nonostante domande sceme del tipo: «Come sta?». Quesito irritante nella sua ovvietà, giacché è notorio che, chiusi in isolamento, senza giornali né tivù, con sul gobbo l’imputazione di aver macellato gli zii, si sta da Dio.
Ma, ecco il punto: un giornalista non ha alcun diritto di entrare in carcere. Né esiste autorità carceraria che possa concederglielo. Allora com’è entrato? Semplice: con l’inganno. Siccome la legge consente a ogni parlamentare di andare in carcere accompagnato da un esperto di sua scelta, l’onorevole Ripamonti ha spacciato il giornalista come proprio consulente esperto. Non che i carcerieri siano tonti e l’abbiano bevuta: è che un parlamentare è libero di ritenere che un giornalista sia esperto di carceri e di portarlo con sé. Così è sicuro di farsi pubblicità. ©

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