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Principio del Paese d'origine
by da Attac Italia Sunday, Oct. 02, 2005 at 6:19 PM mail:

Il principio del Paese d'origine (art. 16) Allo scopo di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi, il progetto rinuncia a una pratica consolidata nella costruzione europea, quella dell'armonizzazione, assurta quasi a principio fondatore. Per comprendere questo cambiamento radicale, occorre avere presente l'importanza dell'ingresso dei nuovi dieci stati membri, le cui legislazioni fiscali, sociali e ambientali sono quelle proprie dello "Stato minimo". L'armonizzazione non risponde più necessariamente all'interesse delle imprese private e, dal momento che ciò ora serve, viene sostituita dal "principio del Paese d'origine". Secondo questo principio, un fornitore di servizi è sottoposto alla legge del Paese in cui ha sede l'impresa, e non a quella del Paese dove fornisce il servizio. Ci si trova di fronte a un vero e proprio incitamento legale a spostarsi verso i Paesi dove le normative fiscali, sociali e ambientali sono più permissive, con il risultato che il nuovo principio, una volta diventato norma europea, eserciterà una forte pressione sui Paesi i cui standard fiscali, sociali e ambientali proteggono di più l'interesse generale. Con il "principio del Paese d'origine", la Direttiva viola l'art. 50 del Trattato istitutivo della Comunità europea, secondo cui «il fornitore di servizi può esercitare a titolo temporaneo la sua attività nel Paese in cui fornisce la prestazione alle stesse condizioni che questo Paese pratica alle imprese nazionali». La regola del "Paese d'origine" diventerà pertanto una facile scappatoia per le imprese erogatrici di servizi.
- Regimi di autorizzazione (artt. da 9 a 15) Per facilitare la libertà di insediamento, gli Stati dovranno limitare le condizioni poste all'autorizzazione di insediamento di un'attività di servizio. Queste condizioni dovranno essere non discriminatorie, obiettivamente giustificate da ragioni imperative di interesse generale, adeguate a tali ragioni, precise e non equivoche, obiettive e rese pubbliche in anticipo. Nel caso in cui i poteri pubblici non rispettino queste condizioni, il fornitore privato di servizi potrà ricorrere in giudizio. Gli Stati non potranno più: esigere la nazionalità del Paese di insediamento da parte del fornitore, del suo personale, dei detentori del capitale sociale, dei membri degli organi di gestione e di sorveglianza; esigere la residenza nel territorio del Paese di insediamento da parte delle stesse persone; subordinare l'autorizzazione all'insediamento all'esistenza di un bisogno economico o alla domanda di mercato; subordinare l'autorizzazione alla valutazione degli effetti economici attuali o potenziali dell'attività prevista; subordinare l'autorizzazione all'armonizzazione dell'attività; obbligare il fornitore a costituire o partecipare a una garanzia finanziaria o a sottoscrivere un'assicurazione presso un altro fornitore o organismo esistente sul territorio in cui egli opera; obbligare il fornitore a essere stato iscritto a un registro o ad aver esercitato quell'attività per un periodo minimo di tempo. Gli Stati dovranno modificare le proprie legislazioni per eliminare ogni caratteristica considerata "discriminatoria" nelle condizioni sotto specificate, in modo da giustificarne la ragion d'essere e per provare che tali esigenze non vanno oltre quanto necessario a raggiungere l'obiettivo: limiti quantitativi o territoriali basati sulla popolazione o su una distanza geografica minima; obbligo di costituirsi sotto una forma giuridica particolare; esigenze legate alla detenzione di capitale: obbligo di disporre di un capitale minimo per certe attività o avere una qualifica personale particolare per detenere il capitale sociale o gestire certe società; imposizione di un numero minimo di dipendenti; tariffe obbligatorie (minima e massima) che il prestatore deve rispettare; divieti e obblighi in materia di vendita a perdere e di saldi; obbligo da parte del fornitore di dare accesso a servizi forniti da altri; obbligo da parte del fornitore di servizi di fornire, insieme al suo, altri servizi specifici. Sarà la Commissione europea, di cui si conosce la "devozione" verso le imprese private, a verificare che la legislazione degli Stati membri si adegui alle nuove disposizioni. Questo progetto sottrae ai poteri pubblici qualsiasi diritto di indirizzare l'organizzazione dell'attività economica del proprio Paese.
- 3. La sanità (art. 23) La Direttiva non prevede norme particolari per nessun settore dei servizi, tranne che per le cure sanitarie. Se un fornitore di cure sanitarie dello Stato A vuole stabilirsi nello Stato B, quest'ultimo non può subordinare l'autorizzazione dell'insediamento alla presa in carico delle cure sanitarie da parte del forniture di cure dello Stato A sulla base del sistema di sicurezza sociale dello Stato B (quello dove egli si vuole stabilirsi). Un fornitore di cure che si stabilisca in un Paese, non è quindi tenuto a rispettare il sistema di sicurezza sociale del Paese ospite. Ci si trova in presenza della volontà deliberata da parte della Commissione europea di togliere agli Stati il potere di decidere della loro politica sanitaria. Così facendo, la Direttiva viola il principio di sussidiarietà previsto dall'art. 152-5 del Trattato secondo cui «nella sanità pubblica l'azione della Comunità rispetta pienamente la responsabilità degli Stati membri quanto a organizzazione ed erogazione di servizi sanitari e cure mediche».
- 4. L'armonizzazione commerciale (art. 29) La Commissione riscopre le virtù dell'armonizzazione quando si tratta di decidere l'abrogazione di una norma etica: l'interdizione della pubblicità commerciale per le professioni regolamentate, che viene considerata "desueta e sproporzionata" (IP/04/37 del 13 gennaio 2004). L'abrogazione deve permettere per esempio ai medici o agli architetti per esempio di entrare pienamente nella competitività commerciale e fare uso delle regole della concorrenza a scapito delle riserve che impone loro la deontologia.

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