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Peppino Impastato e Carlo Giuliani
by collettivo anticapitalista Palermo Tuesday, May. 14, 2002 at 8:17 PM mail:

Testo del documento letto stasera a Cinisi, durante il dibattito con la madre di Carlo Giuliani e Giovanni Impastato, fratello di Peppino

Quelle di Peppino Impastato e di Carlo Giuliani sembrerebbero due figure lontane, due percorsi politici e di vita così diversi, due momenti storici così distanti da rendere improponibile un accostamento, ma pensiamo che entrambi rappresentino la natura profonda di una stessa lotta, della nostra lotta, un paradigmatico esempio delle reazioni che il potere ha quando teme di vacillare e uno strumento per la memoria contro ogni revisionismo e ogni indebita appropriazione. ricordare Pepppino ci aiuta a interpretare la realtà, a trovare risposte, a costruire lotte e ad affrontare i problemi della nostra terra.
Oggi come allora in tutta la Sicilia il potere mafioso non è messo in discussione, allora si negava l'esistenza stessa di un'organizzazione criminale internazionale, profondamente radicata in Sicilia, dal nome "Cosa Nostra", oggi la mafia, come veniva già urlato a squarciagola negli anni settanta dallo stesso Peppino, è evidentemente garante di equilibri economici e sociali dell'intero paese, ed è detentrice del controllo di diversi settori dello Stato (come la stessa indagine in passato ha dimostrato).
Mettere in discussione la mafia, mettere in luce i suoi interessi e quindi le sue "amicizie" vuol dire mettere in discussione un intero sistema, e questo non era e non è consentito. L'unica strada garantita è quella di chi accetta le barbarie e si muove all'interno di questo sistema, utilizzandone il linguaggio, gli strumenti, le strutture e adottandone le finalità, per cui il motto è: "facciamo in modo che tutto cambi perché tutto resti com'è".
Peppino, con i pochi mezzi a disposizione, in un piccolo paese della provincia di Palermo, ha deciso di non accettare il sistema mafioso clientelare che vigeva in città come dentro la sua stessa famiglia, ha preferito percorrere una strada vietata, mettersi al fianco degli sfruttati, di coloro che subiscono, impotenti, l'arroganza dei padroni. Ha combattuto la mafia stando dalla parte dei contadini che lottavano contro l'esproprio delle loro terre per l'ampliamento di un aereoporto funzionale, anche, al traffico di armi ed eroina da e per gli USA. Ha agito al fianco di tanti ragazzi costruendo momenti di aggregazione e di lotta, strappando molti giovani alla disperazione e all'emarginazione sociale. Ha informato, comunicando messaggi diversi, parlando chiaramente del potere mafioso, indicando in precisi momenti e luoghi la concentrazione dell'interesse mafioso. Peppino si è scontrato con il potere forte, identificando un centro, qualcuno contro cui scagliarsi, qualcosa di concreto, ha dato nome, cognome e facce a questa entità, rivelando gli intrighi e i collegamenti anche a livello internazionale, gettando luce sulla primordiale globalizzazione mafiosa.
Oggi la globalizzazione mafiosa è ad uno stato avanzato, ma non solo nei traffici ben organizzati ed estesi alimentati dalle continue guerre volute dai produttori di armi (Usa, Israele, Italia... ), quanto nelle strutture di governo internazionali (WTO, G8, FMI, BM) controllate dal capitale sopranazionale anonimo, e nel modello geopolitico mondiale, protetto dal gendarme armato Usa. Questo stesso potere che usa deterrenza, ricatti, strozzinaggi e feroci punizioni a livello planetario non è riformabile e, come diceva Peppino, si perpetua anche grazie alla nostra indifferenza.

Chi denuncia tutto ciò e lotta contro tutto questo si inserisce sulla stessa strada che aveva intrapreso Peppino.
Chi voleva urlare contro questo potere è sceso in piazza a luglio contro il G8...Carlo era lì.


CARLO GIULIANI E' UNO DI NOI
POTEVA ESSERE CHIUNQUE DI NOI E QUESTO DEVE ESSERE CHIARO.
Un ragazzo come tanti che il 20 luglio 2001 era in strada a Genova per contestare i padroni del mondo e come tanti ha visto e affrontato la violenza che lo Stato abbatte contro chi non si adegua. Si è scagliato e scontrato, spezzandosi, contro il potere forte mafioso internazionale, identificandolo, dandogli un nome e una forma, scoprendo i suoi traffici e i meccanismi di sfruttamento.
Per questo è morto. Per questo l'hanno ammazzato.
Con la sua morte hanno voluto spaventarci, hanno voluto farci male, far tornare tanti di noi con un segno indelebile, che sia monito di lunga memoria per tutta una generazione. Per questo hanno sparato decine di volte sulla folla, hanno lanciato blindati ad alta velocità sui manifestanti, hanno rotto ossa e spaccato teste, ridotto i compagni in stato di coma per alcuni giorni, usato gas CS (vietato dalla convenzione di ginevra perché arma chimica) provocando malattie respiratorie croniche a centinaia di manifestanti. Noi siamo convinti che in piazza Alimonda Carlo si sia reso conto della situazione di pericolo, abbia visto la pistola che un carabiniere puntava già da tempo sulla folla e abbia deciso di agire e di difendere se stesso e gli altri manifestanti dalla violenza che subivano già da quattro ore.

QUESTO CI INSEGNA CHE DI FRONTE ALLA SOSPENSIONE DI QUALSIASI DIRITTO LA RISPOSTA CHE LOR SIGNORI SI DEVONO ATTENDERE NON E' LA FUGA MA LA RESISTENZA!
Carlo resisteva e lo hanno ucciso, e adesso lo vogliono uccidere un'altra volta e rincarare la dose di terrore per tutti quelli che hanno deciso di alzare la testa.
A nostro avviso l'omicidio di Carlo è, a torto, in via di archiviazione dall'ordine e dall'opinione pubblica come un omicidio causato da una "giustificabile reazione armata". E se per Peppino una parte di giustizia è stata finalmente fatta dopo quasi 24 anni é stato grazie all'impegno di chi durante tutto questo tempo ha deciso di non accettare la versione ufficiale preconfezionata dalle istituzioni ma si è battuto affinché la verità saltasse fuori e ancora si batte percheé chi ha depistato paghi.
Abbiamo deciso di parlare di Carlo in un evento che ricorda Peppino per le profonde affinità che crediamo esistano fra di loro. Peppino e Carlo hanno deciso di agire in prima persona perché hanno capito che in questa società "mali sociali" ed istituzioni sono troppo spesso due facce della stessa medaglia. Peppino e Carlo hanno deciso di agire in prima persona proprio perché demandare ad altri ed in particolare demandare agli apparati istituzionali la loro lotta avrebbe significato arrendersi, e questo non volersi arrendere è costato loro la vita.
Sono stati uccisi perché la loro morte fosse da esempio per quanti come loro avevano o avrebbero potuto scegliere la strada più pericolosa: quella che devia dal percorso già segnato dell'omologazione, quella di chi è disposto a lottare contro tutte le ingiustizie che colpiscono gli strati più emarginati della società, e che gli indifferenti accettano passivamente. Grazie a questa loro capacità di essere protagonisti del cambiamento sociale non è stato difficile giustificarne la morte. è stato facile denigrarli: terrorista, teppista, drogato, emarginato, disadattato o provocatore, nella terminologia medioborghese c'era sicuramente il termine che meglio si addiceva a loro, l'etichetta che non solo non faceva pesare più di tanto la morte di un ragazzo ma portava qualcuno a dire che in fondo "...se l'era meritato". Non ci stupisce se ancora oggi c'è chi sostiene che: "forse Peppino avrebbe fatto meglio a studiare" o che "Carlo non avrebbe dovuto attaccare la camionetta con un estintore", come non ci stupisce sapere che queste stesse persone avevano subito creduto alla montatura sulla morte di Peppino e oggi credono a quelle sulla morte di Carlo giustificando la repressione delle forze dell'ordine a Genova.
I loro assassini sono facilmente identificabili, è facile identificare il nemico contro cui si sono battuti, ma non è altrettanto facile identificare il nemico che li ha colpiti alle spalle: l'indifferenza.
Per questo motivo abbiamo deciso di parlare di Carlo in questa occasione, perché siamo convinti che oggi Peppino avrebbe fatto lo stesso, perché noi abbiamo appreso gran parte delle notizie sulla morte di Carlo da organi di informazione indipendenti quali Indymedia, così com'era indipendente Radio Aut.
Parliamo di Carlo in onore e in continuità con il lavoro che Peppino aveva coraggiosamente intrapreso perché cercare di diffondere la verità è il modo migliore per rendere omaggio ad entrambi. Peppino e Carlo non sono, infatti, solo due esempi, due storie da riprendere per sostenere le nostre tesi politiche ma sono innanzitutto due compagni con cui abbiamo un debito: la verità sulla loro storia, sul loro assassinio.
Noi non ci aspettiamo nulla da una giustizia che lascia impuniti gli autori delle stragi, che trova nelle lungaggini burocratiche la sabbia per sotterrare ogni procedimento a carico di chi detiene il potere o lo esercita macchiandosi dei crimini più efferati. Hanno detto molte, troppe infamità per distruggere Peppino prima e Carlo poi: la figura di Peppino è stata definitivamente riabilitata solo dopo essere stata ammorbidita con un po' di buonismo. Spetta a noi trasmettere le qualità di un RIVOLUZIONARIO SICILIANO che si è battuto senza accettare nessun compromesso per quello in cui credeva, scontrandosi anche con i vertici del PCI. Allo stesso modo spetta a noi impedire che scrivano una verità falsa su Carlo e la sua morte, omettendo le prove, negando fino all'evidenza quelli che non sono stati "casi isolati di pura violenza" ma frutti di una strategia ben organizzata.
Fra pochi giorni la procura di Genova deciderà se archiviare l'indagine sull'omicidio di Carlo per "legittima difesa" da parte dei carabinieri che dicono abbia sparato, o rinviarlo a giudizio quando ancora sono molti i punti oscuri di questa vicenda: dall'identità del carabiniere che realmente ha sparato, al numero di proiettili esplosi, alla distanza dalla camionetta dei CC cui si trovava Carlo al momento degli spari.
Dalla consapevolezza della realtà in cui viviamo e dei suoi meccanismi possiamo trovare la strada verso l'emancipazione e la sconfitta dello sfruttamento.
Dalla repressione che segue ad ogni lotta segue la nostra "incompatibilità" e non possiamo che sentirci antagonisti in un percorso che attraversa Peppino, Carlo e tutti noi, forse "nuddu 'mmiscatu ccu' nenti" ma sicuramente persone che hanno scelto di stare in prima linea convinte che delegare significa sancire la propria sconfitta.
DA LORO ABBIAMO IMPARATO A NON ARRENDERCI; COME LORO, GIORNO DOPO GIORNO, IMPARIAMO A LOTTARE.

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