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Diario. Lettera aperta a Indymedia
by Giacomo Papi Thursday, May. 30, 2002 at 9:33 PM mail: papi@diario.it

Dopo le polemiche provocate dal nostro articolo intitolato "Premiata macelleria Indymedia"

Le polemiche innescate dal mio articolo di mercoledì 15 maggio intitolato Premiata macelleria Indymedia pretendono una risposta. Una risposta che mi auguro servirà a trasformare quello che è stato vissuto come un insulto gratuito, in una discussione più costruttiva. Che spazi dal tema dell'open publishing a quello, più generale delle potenzialità e dei rischi dell'informazione on line. Una discussione necessaria. Prima di entrare nel merito delle critiche che mi sono state rivolte, credo sia giusto scusarsi. Il titolo dell'articolo e l'immagine a esso associata erano volutamente duri e perfino esagerati. Ho scelto di non limare i toni, nonostante mi rendessi conto di quanto fossero violenti, per due motivi: 1 - Per provocare un dibattito che altrimenti sarebbe stato meno acceso. 2 - Per mostrare quanto possa fare male un uso poco equilibrato dell'informazione. Le scuse non esauriscono il problema. Anzi, forse aiutano a chiarirlo meglio. E' impossibile riassumere qui la valanga di reazioni all'articolo postati su Indymedia e su altri siti. E' impossibile riportare tutte le critiche e tutti gli insulti, tutti i ragionamenti e tutti gli argomenti sollevati. Posso limitarmi a discutere quella che, secondo me, è l'obiezione centrale, quella più intelligente e più sensata. Quella da cui derivano tutte le altre discussioni possibili. Molti concordano nel dire che senza parlare di open publishing, cioè del cuore stesso di siti come Indymedia, non si possono avanzare accuse, soprattutto se così radicali. La premessa è vera. Indymedia e molti altri media indipendenti si fondano su un'ideologia dell'informazione nuova, interessante e, per certi versi, rivoluzionaria: offrire a ognuno la possibilità di pubblicare liberamente notizie, fotografie, opinioni, stati d'animo in un processo dell'informazione finalmente libero, orizzontale, non piramidale. Una libertà nella quale ognuno è chiamato a portare il suo contributo e a mettere in discussione, se lo ritiene, quelli offerti dagli altri. Si è scritto: l'open publishing è la spina dorsale di Indymedia. Chi frequenta Indymedia sa perfettamente che tutto ciò che appare sulla colonna di destra (la zona destinata ai liberi contributi) non è materiale redazionale, non è stato verificato, e anzi deve essere sottoposto a un continuo processo di controllo e di smentita da parte degli altri. Sostenere che poiché tutti i frequentatori abituali di Indymedia sanno come usare le informazioni che vengono pubblicate, non solleva Indymedia da nessuna responsabilità. Precisamente perché contraddice l'idea stessa di Internet come mezzo di informazione essenzialmente democratico, la sua essenziale apertura. E lo fa contrapponendo alla libertà di navigazione offerta dalle reti proprio una visione chiusa, da club esclusivo in cui i soci sono ammessi e gli altri si arrangino. Dire: "Chi frequenta Indymedia sa", significa non volere pensare al web come a uno spazio aperto dove chiunque può muoversi, viaggiare liberamente, scaricare quello che vuole e ripubblicarlo dove più gli piace. Una tendenza, quella di concepirsi come club esclusivo, che si nota in molte delle reazioni all'articolo. Un atteggiamento che va certamente letto anche come reazione alle mancanze e alle chiusure di quella che viene chiamata informazione "mainstream", cioè l'informazione offerta dai circuiti tradizionali, ma che non ne sminuisce a mio avviso l'effetto devastante. Chi acquista Libero può stare tranquillo: sa bene che non gli capiterà mai di voltare pagina e di trovarsi a leggere un articolo del manifesto. Chi naviga in rete non ha di queste certezze: con un clic può raggiungere un sito neonazista o leggere informazioni false (e magari le crederà vere, proprio perché ha fiducia nel sito di provenienza). Il fatto è che su Internet non esistono i "propri" lettori, ma soltanto gente che legge. Qualcuno torna ogni giorno, bookmarka il sito in questione, molti altri ci capitano, ogni giorno, per caso. Nessuno è tenuto a sapere quali materiali pubblicati siano degni di nota e quali non lo siano. Fa una certa impressione che questo errore di valutazione venga compiuto proprio da chi più ha riflettuto sulle potenzialità democratiche offerte dalle reti. A questo punto vorrei proporre un altro spunto di discussione, laterale al tema della responsabilità di chi informa sul web, ma comunque importante. Un tema che forse ci permette di fare un passo avanti. Parallelamente alla garanzia di un'assoluta libertà di movimento, Internet provoca anche un effetto contrario. Induce un grado di identificazione maggiore di quello su cui può contare la carta stampata, la televisione e la radio. E questo proprio perché tutti possono partecipare. Non solo nella versione open publishing pura e dura, ma anche attraverso forum moderati e chat. E' un discorso che non vale per tutta la rete, ma per buona parte di essa. Vale per Diario.it e per Indymedia, non vale per Repubblica.it che viene utilizzato - questa la mia impressione - come grande serbatoio di notizie, che non richiede però nessun investimento "affettivo". La questione dell'affidabilità del logo e del marchio (che su Internet si chiama molto più imperialisticamente Dominio) è quindi in questo campo abbastanza decisiva, con buona pace di Naomi Klein. Lasciando da parte i frequentatori casuali, si può dire che per chi quotidianamente legge e interviene su Indymedia (ovvio che la cosa valga per molti altri siti), la testata Indymedia si trasforma in un marchio di garanzia, in una voce di cui ci si può fidare, in un luogo in cui si dice la verità. Si tratta di un risultato su cui nessuno di voi può avere dubbi. Indymedia, dai giorni di Genova in poi, si è trasformata con merito in un punto di riferimento per molte persone che normalmente stanno alla larga dai mezzi di comunicazione tradizionali. Ma se questa è una forza, è una forza che deve essere vissuta anche come responsabilità. L'attacco nasceva proprio dal riconoscimento di quello che Indymedia ha fatto e dalla necessità di preservare questo risultato. Perché è proprio Indymedia a pagare le conseguenze, in termini di credibilità, della sua scelta di ospitare senza nessuna distinzione grafica, né alcun avviso esplicito ai lettori, le foto macellaie su Jenin, il Protocollo dei Savi di Sion o le minacce violente lette alcuni giorni fa. Molti dei messaggi di solidarietà che mi sono giunti provenivano proprio da persone che, dopo un iniziale entusiasmo, avevano deciso di allontanarsi da Indymedia proprio per questo. Il rovescio della medaglia dell'open publishing è qui. Limitarne i danni non sarebbe difficile, basterebbe - come detto - distinguere graficamente quello che è open da quello che non lo è e avvisare i lettori, qualunque lettore, anche quello casuale, che quella zona del sito contiene informazioni che non hanno direttamente a che fare con la linea e il lavoro di chi quel sito l'ha costruito e lo costruisce ogni giorno con il proprio lavoro. Alcuni di voi hanno risposto assicurando che i messaggi razzisti, sessisti etc vengono cancellati. E' una fatica improba e, secondo me, inutile. In questo sì, la rete deve essere libera. Le opinioni sono per definizione qualcosa di cui è individualmente responsabile chi le sostiene. Perfino nel caso in cui siano anonime. Diverso e più pericoloso il caso in cui dalle opinioni si passi alle informazioni, alle notizie, alle cose che dovrebbero essere vere e invece posso non esserlo. Una notizia coinvolge anche e soprattutto le persone di cui si scrive. Non è una differenza da poco. Molte risposte minimizzavano il fatto che le foto fatte passare per scattate a Jenin in realtà erano prive di qualunque verità. Contrapponendo, senza incontrare molte difficoltà nella scelta, alcuni dei mille strafalcioni usciti sulla stampa ufficiale. Non è una risposta. E questo non per una anacronistica difesa della categoria, ma perché un errore non ne autorizza mai un altro (soprattutto se il proprio orgoglio è quello di essere diversi) e in secondo luogo perché l'informazione tradizionale è ancora esposta, e non solo in teoria, a responsabilità civile e penale per ciò che sostiene. E' ben strano che tra tutti i commenti letti nessuno abbia fatto presente che l'open publishing non è tanto la filosofia di alcuni siti, ma il concetto stesso di Internet. Un mezzo di comunicazione che offre a chiunque la possibilità di pubblicare ciò che vuole a costi bassissimi e con pochissima competenza tecnologica. Se questo è vero - ed è vero - l'attenzione a quello che si pubblica diventa, per chi vuole ritagliarsi un ruolo e informare davvero, una questione essenziale. Non si tratta di blindare la rete o di imporre regole difficilmente applicabili come alcune di quelle contenute nella nuova legge sulla stampa. Si tratta di non dimenticarsi mai che in rete, ancora più che sulla carta, le parole e le immagini sono importanti, lasciano il segno, possono diffondersi ed essere credute in pochissimo tempo e con pochissima difficoltà. Si è detto che il mio intervento era guidato dall'idea di un lettore sprovveduto e da educare, assolutamente incapace di distinguere e capire. Rispondo dicendo che non è qui in questione la stupidità o l'ignoranza del pubblico, ma soprattutto il tempo. Pochissimo per quasi tutti. Pochissimo per darsi la pena di verificare ogni notizia letta e ogni email ricevuta. Non si può pensare al pubblico contemporaneamente come una massa di gente reimbesuita dalla televisione e come una folla di volonterosi reporter indipendenti. A meno che non si scelga la strada di parlare soltanto a quelli che già la pensano come noi, rinunciando per principio all'idea di dire la verità, come a Genova, anche a chi normalmente le notizie le viene a sapere da Bruno Vespa. La verità sta nel mezzo. C'è gente stupida e gente intelligente, gente che è in grado e ha voglia di mettere in discussione quello che legge o vede in tv e gente che invece non ne ha né il tempo, né la voglia. Internet diventerà, e in parte è già, un'immensa discarica. E proprio come avviene nelle discariche per chi vive di rifiuti, la possibilità di distinguere a prima vista quello che ha valore nutritivo da quello che è spazzatura, sarà sempre di più una questione di sopravvivenza. Alcuni si faranno convincere, per esempio, dall'assurdo sito di un tal John Clive Ball che pretende di dimostrare l'evidenza fotografica della non esistenza dei campi di sterminio, mostrando soltanto dei disegni infantili. Di fronte a casi come questo, l'unica cosa che possiamo fare (non è questione di indy e mainstream) è avere ben chiaro che quello che pubblichiamo non deve, per quanto possibile, prestarsi a essere frainteso e deve, sempre per quanto possibile, essere vero. Giacomo Papi.

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maddai...
by giacomella Thursday, May. 30, 2002 at 8:52 AM mail:

o ma che la smetti scemo!

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Caro Papi...
by Fantom Thursday, May. 30, 2002 at 9:00 AM mail:

..probabilmente non hai letto il tread precedente in cui qualcuno aveva già postato tutto ciò e al quale abbiamo già dato una risposta. Ti consiglio di farlo.
Voglio inoltre rimarcare l'enorme contraddizione che ti caratterizza ripostando qui un tuo articolo del 26/04/01.
Rileggitelo (soprattutto il doppio virgolettato) e medita.
----------------------------------------
Internet e stampa


Il giro di vite - Re Tentenna legifera su internet
di Giacomo Papi - 26.04.01
(Diario della stampa clandestina - Per gentile concessione di Diario della settimana)

Il popolo lo chiamò "Re Tentenna". Giosue Carducci lo definì "Italo Amleto". E invece Carlo Alberto di Savoia, figlio di Carlo Emanuele I, sesto principe di Carignano, e di Maria Cristina di Sassonia-Curlandia, era uno che le decisioni amava prenderle dopo averci pensato per benino. Lo Statuto Albertino rimase dettato costituzionale fino al 1948, passando indenne attraverso l'Unità d'Italia e il fascismo. Ma la sua creatura più longeva rimane l'Editto sulla stampa, promulgato nel lontano 26 febbraio 1848. Un insieme di leggi (liberali, considerata l'epoca) che hanno accompagnato la storia dell'informazione di questo Paese, e che da oggi regoleranno quanto verrà pubblicato su internet da italici ingegni.
La nuova legge sull'editoria (62/2001), entrata in vigore dal 4 aprile di quest'anno, e approvata quasi per acclamazione dalla Commissione affari costituzionali grazie ai voti di destra, sinistra e centro, sta provocando quintali di e-mail di protesta sul web e un silenzio pressoché tombale da parte della carta stampata. Sulle prime, sembra un atto di buon senso assoluto. La nuova legge definisce infatti "prodotto editoriale" ogni "prodotto realizzato sul supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazione presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico". Afferma cioè che le regole che valgono per l'informazione tradizionale, devono valere anche per il web.

Sembra che a partire da oggi, tutti i siti italiani destinati alla "diffusione di informazioni presso il pubblico" dovranno registrarsi come testate giornalistiche. Chi pubblica un sito dovrà in altre parole dotarsi di un direttore responsabile, iscritto all'Ordine dei giornalisti o all'Albo dei pubblicisti, registrare presso il Tribunale competente la propria esistenza e naturalmente versare le tasse dovute. La legge distingue tra i siti a carattere "periodico", tenuti alla registrazione, e tutti gli altri che hanno l'unico obbligo di indicare ben in vista nome e domicilio del responsabile (non necessariamente iscritto all'Ordine dei giornalisti) e locazione fisica del server.

Si tratta di una distinzione che fa acqua da tutte le parti. Come si fa a definire la periodicità di un sito? Se viene aggiornato una volta al mese ha carattere periodico? Se un giorno vengono messi on line venti articoli e per sei mesi nulla, il sito è periodico o sporadico? Manca poi qualsiasi distinzione sul tipo di notizie fornite. E le vette del ridicolo si sfiorano con mano. Chi per esempio pubblica on line notizie sui campionati mondiali di Subbuteo o sui manga giapponesi, viene di fatto equiparato a testate come Repubblica.it, Il Nuovo.it e perfino Diario.it.
Quando si leggono le sanzioni previste per chi non si mette in regola, la faccenda da ridicola si fa grottesca. L'estensione della definizione di "prodotto editoriale" al web comporta anche l'estensione delle sanzioni: "Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta all'articolo 5 è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 500 mila lire". Il reato, per fortuna "depenalizzato", è quello di "stampa clandestina". Anche per internet varranno, segnalano lettori e navigatori inferociti, le "norme sul sequestro dei giornali e delle altre pubblicazioni" stabilite dal Regio Decreto del 31 maggio 1946 che si rifanno, nell'articolo 1, all'immarcescibile Editto Albertino del 1848.
Il mondo di internet è in subbuglio, ovviamente. Sul sito di InterLex sfilano messaggi di questo tenore: "Sono il webmaster di un sito amatoriale su un mio amico musicista. Devo anch'io procedere a qualche forma di registrazione? Non mi pare il massimo della privacy… magari su La Stampa mi interesserebbe sapere dove abita Marcello Sorgi, tanto per fare un esempio". O ancora: "Avendo due siti amatoriali di modellismo...", "Ho un sito di due pagine che recensisce programmi di computer…". E così via, in una sequenza piuttosto triste e atterrita, di gestori di siti sui pesci rossi e sulle starlette della tv.
Di fronte a tutto ciò, la stampa tradizionale tace ed esulta. Anche perché la nuova legge sull'editoria estende alle pubblicazioni on line i contributi statali previsti per la carta stampata che, per inciso, aumentano sensibilmente. L'esultanza di Paolo Serventi Longhi, segretario della Federazione nazionale della stampa, il sindacato dei giornalisti italiani, appare quanto meno sproporzionata: "Finisce così, almeno in Italia, l'assurda anarchia che consente a chiunque di fare informazione on line senza regole e senza controlli e garantisce al cittadino-utente di avere minimi standard di qualità di tutti i prodotti informativi, per la prima volta anche quelli comunque diffusi su supporto informatico".
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""Involontariamente comico l'accenno ai "minimi standard di qualità i tutti i prodotti informativi", vagamente inquietante l'espressione "l'assurda anarchia", napoleonico il lamento "almeno in Italia". Perché questo è uno dei punti centrali di questa storia: oltre a quello italiano, gli unici Stati che regolamentano internet in modo tanto rigido si chiamano Cina e Malesia.
AGITATORI PERICOLOSI? Anche facendo uno sforzo per essere obbiettivi, è difficile pensare alla rete, nel suo complesso, come a un covo di pericolosi agitatori da tenere sotto controllo. E alla categoria dei giornalisti, sempre presa nel complesso, come a un esercito di eroici difensori della qualità dell'informazione. Anzi, dovrebbe tranquillizzare il pensiero che anche le manifestazioni più disgustose dell'animo umano trovino sul web un luogo di espressione i cui responsabili, se non decidono per la clandestinità (e in questo caso non registreranno la testata) sono comunque facilmente identificabili e rintracciabili. Chi scrive si è iscritto sotto falso nome a una mailing list di neonazisti. E può garantire che quando nella posta del mattino, trova messaggi del negazionista David Irving alla disperata ricerca di denaro, la giornata si annuncia migliore.""
---------------------------------------------------------
Dopo l'ubriacatura da new economy degli anni scorsi, i grandi smobilitano. La realtà è questa. Kataweb ed e-Biscom riducono costi (e tagliano posti), Zivago.com (Feltrinelli-L'Espresso) è in liquidazione. Ricolloca a man bassa anche Athena 2000, ora Beyond, terzo piede telematico del gruppo Fininvest, oltre a Mondadori.com e Jumpy, intestata fino a pochi mesi fa alla signora Miriam Bartolini, alias Veronica Lario, e responsabile di siti come Forza-italia.it, alias Votaberlusconi.it. Nel mondo non va meglio: Napster agonizza, Yahoo perde i pezzi, Amazon non trova di meglio che annunciare "monopattini volanti", Salon si offre in giro. La verità è che con internet, nessun "fornitore di contenuti" ha ancora fatto i soldi. Di fronte a questo stato di cose, l'Italia, armata di cucchiaino, propone di svuotare il mare della comunicazione spontanea, "assurdamente anarchica", di migliaia di siti che sfuggono ai circuiti tradizionali. E al contempo si affida ai vecchi cari contributi statali. E tutto ciò mentre i leader maggiori si abbandonano a proclami post-dannunziani, nel tentativo di cavalcare il web, proprio mentre lo frenano.Mentre Silvio Berlusconi va annunciando le "tre I, internet, inglese e impresa", Francesco Rutelli, in visita al Futurshow di Bologna, fa battute a Walter Vitali, ultimo sindaco comunista della città: "Pensa, Walter, che strano venire proprio a Bologna a dire che il futuro della democrazia dipende dal Pc". E scrosciano applausi.


fonte: http://www.interlex.it/stampa/papi.htm

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Scendi dall'Altare
by PsychoX Thursday, May. 30, 2002 at 9:54 AM mail: x

e ticchete e tacchete
siete un club...
mi sono fermato lì, non vale la pena di leggere altro,
ora dirai che sono un intollerante,
ma i gesucristi dell'indipendentismo giornaloide
sono insopportabili,
posso farti una domanda?
Te la faccio!!!
Come mai tanto interesse, per non usare il termine accanimento, lo ho usato, contro Indy e gli Indyani?
Io ho molta pazienza, quindi aspetterò,
CHE TI FACCIANO CAPOREDATTORE DI LIBERO O IL GIORNALE.
Tanti saluti al garante dell'indipendenza giornalistica.

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dimenticavo...
by Fantom Thursday, May. 30, 2002 at 10:42 AM mail:

consiglio la lettura di un ottimo "saggio sull'informazione planetaria" di Claudio Fracassi (direttore di Avvenimenti) dal titolo "Sotto la notizia niente". Uscì nel '94 con la succitata rivista.
Credo sia ancora possibile reperirlo e trovo che testimoni molto bene "l'attendibilità degli organi d'informazione".

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...
by Barbara Thursday, May. 30, 2002 at 11:40 AM mail:

che palle.
ancora con queste frescacce del "chi legge si fida della testata e quindi pensa che dica la verita'". Questo tipo di assiomi porta a cancellare i Santoro e i Biagi.
Le cose sono due: o e' un lettore occasionale e quindi non si fida, oppure e' un lettore abituale e quindi sa come usare Indy.
Indymedia, a differenza di TUTTI i media mainstream COSTRINGE ad usare la testa, costringe a cercarsi le verifiche, costringe ad andare ad approfondire altrove e a distinguere il grano dal loglio.
Ogni lettore di Indy (e fruitore della Rete, oserei dire) sa fare e fa quello che illustri giornalisti fanno a meno di fare.
Il problema e' che la stampa ufficiale considera ancora i lettori come venti milioni di teste di cazzo.

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chevvuoi?
by rum Thursday, May. 30, 2002 at 11:48 AM mail:

non ho capito che vuoi.....
ti piace l' OP ? bene, collabora e commenta quando vedi delle notizie false.
non ti piace? bene, adoperati per la censura dei siti che fanno informazione su internet, chiedi più polizia, più leggi, più authority.

nel primo caso costruirai, da giornalista, un rapporto con questa comunità; nel secondo sarai un nostro nemico.


ciao

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tsk ! come se sul mainstream non ci fossero i falsi !
by il bodde Thursday, May. 30, 2002 at 12:07 PM mail:

Ma perchè diavolo aprire un dibattito su un post se poi ai telegiornali, sui quotidiani, i settimanali, ecc. vengono continuamente vomitate notizie false ?

Che mi dici del caso di Kabul "liberata" con le donne che si tolgono il burqa e gli uomini che si tagliano la barba ?
Caso che Giulietto Chiesa continua a denunciare ( immagino per cominciare un serio dibattito sul giornalismo di propaganda ), ma sembra che da quell'orecchio i giornalisti non ci sentano...

Per quanto riguarda Indy, ecco un altro possibile suo utilizzo: perchè non aprire un thread sui "sospetti falsi" dei media mainstream ? Poi chiunque potrebbe indagare più a fondo sui casi segnalati e arrivare così all'"assoluzione" o alla "condanna" dell'indagato eccellente di turno.

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sono d'accordo con Barbara 2
by duluz Thursday, May. 30, 2002 at 12:09 PM mail:

sono d'accordo con barbara 2
Giacomo Papi ci prende per dei rincoglioniti televisivi che credono a tutto quello che leggono o che vedono.
Abbiamo bisogno dei saggi che ci tutelino.
Invece noi che abbiamo a cuore la democrazia partecipativa abbiamo, ahi lui, senso critico

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de informazione
by aracne Thursday, May. 30, 2002 at 1:40 PM mail:

qualsiasi tipo di informazione o cronaca dei fatti (che e' ancora piu' preciso )non puo' e non deve essere mai oggettiva.Questo e un aggetttivo che personalmente riferisco solo a Dio e io sono molto scettico sulla sua esistenza.Tutte e dico tutte le informazioni che noi riceviamo sono sempre soggettive e noi non avremmo mai la certezza della loro veridicita' a meno che non facciamo atto di fede o sviluppiamo una grossa coscienza critica.
Il controllo incrociato e' l'unico rimedio ,ma questo presuppone(e non credo che a un giornalista faccia piacere sentirselo dire)una informazione che si dispiega in modo orizzontale senza lettori nè giornalisti,ma dove tutti sono tutto.
Chi rivendica un'informazione pura mi preoccupa perche' attribuisce a se' un qualcosa che ha solo "Dio"

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Le Frottole Tragicomiche di Papi
by stealth Thursday, May. 30, 2002 at 2:25 PM mail:

Cito un precedente risposta a Papi da parte di Fantom, che giustamente si chiede:

"da tutto questo discorso... l'unica cosa logica che si evince è l'eventuale necessità di postare un avviso permanente per i visitatori di questo sito che avverta che le notizie riportate sulla colonna dx non sono state verificate. E allora mi domando (e domando a Papi): per proporre una cosa così semplice c'era bisogno di una provocazione?"

E' una domanda che, per chi segue anche solo per un po' Indymedia, appare subito come puramente retorica.

La risposta e' OVVIAMENTE, *NO*, non ce n'era bisogno!

Non solo perche' le notizie pubblicate sul NewsWire di Indymedia sono, alla fin fine, esattamente come tutte le altre notizie, ossia sono o verificabili e verificate, oppure sono non verificabili e non verificate, proprio come avviene --in fondo-- per le notizie pubblicate su qualsiasi testata.

O per caso Papi crede che tutte le notizie pubblicate su, ad esempio, la Repubblica, siano corrispondenti a verita' incise nel granito? Forse non s'e' accorto dei gatti in barattolo, solo per citare un eclatante caso recente e piuttosto "innocuo"...

E la *prova* che il putiferio sollevato da Papi non puo' essere giustificata come egli pretende sia giustificata in questo suo goffo e prolisso tentativo di cerchiobottismo tardivo, sta negli archivi stessi, PUBBLICI, del Newswire, dove i problemi e le risposte sollevate e ricordate da Papi con tanto scorrer d'inchiostro e sangue, sono stati gia' posti varie volte e da diversi contributori, cosa avvenuta anche negli archivi PUBBLICI delle mailing list di Indymedia.

E allora?

Allora diciamo che quella che Papi chiama risposta non e' in realta' una risposta e non e' ne' verificata, ne' verificabile, e che e' tanto poco convincente da risultare peggiore del silenzio.

Ci piacerebbe che Diaro avesse mailing list PUBBLICHE, con archivi COMPLETI visibili a TUTTI via Web, ove siano visibili a TUTTI, come nel caso di Indymedia, i processi decisionali ed "editoriali".

Forse sarebbe istruttivo ed utile averle per poter conoscere una qualche verita' convincente su come e' nato, davvero, nella mente di Papi e nella redazione di Diario, questo sgangherato attacco ad Indymedia.

Ci piacerebbe, ma dobbiamo accontentarci invece della prolissa "spiegazione" di Papi, il quale, grazie a questa misera vicenda, puo' a buon titolo sperare in un radioso futuro nel desolante panorama del "giornalismo" italiano.

A meno che non punti a posti piu' "in alto", magari dalle parti di Montecitorio: nel qual caso non e' difficile dovremo aspettarci un giorno di poter apporre il titolo di "Onorevole" al "giornalista" Papi.

P.

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Sgomento e raccapriccio
by Zapathustra Thursday, May. 30, 2002 at 9:33 PM mail: zap@kyuzz.org

Per prima cosa, noto con sgomento che si e' ormai diffusa anche a sinistra la moda "ferrarense", davvero nobile e coraggiosa, di attaccare con veemenza i deboli e di giustificare con tutti i mezzi i forti.

Così Papi dedica una copertina di insulti a Indymedia, la testata piu' poveraccia che esista, senza concederle diritto di replica; quindi riprende lui stesso la parola, riserva una sola riga di riassunto alle critiche che gli sono state mosse, e ribadisce novamente la sua posizione, cioe' che il pericolo piu' serio per la democrazia futura risiede nella mancata assunzione di responsabilita' da parte di chi fa open publishing!

Ma insomma! E' pietoso!
Ci vuole tanto a chiedere scusa?

L'open publishing costituisce la sola alternativa "paradigmatica" allo strapotere mediatico del mainstream che ci ha condotti all'era Berlusconi. Le alternative "di sinistra", da Repubblica a Diario, sono solo variazioni sul tema di piccolo cabotaggio, politicamente corrette, forse, ma strutturalmente corrotte. Assomigliano ai tentativi che la sinistra fa, sul piano politico, di rincorrere il neoliberismo sul suo stesso terreno, proponendone una versione "dal volto umano": sono perdenti!!!

Personalmente trovo giusto e sacrosanto che la gente voti Berlusconi, dal momento che almeno la sua e' una proposta forte e coerente. Quella della sinistra invece e' una proposta debole e contraddittoria: neoliberismo per neoliberismo, non vedo perché dovrebbe scegliere quello piu' scamuffo!!!

Allo stesso modo, trovo perfettamente normale, e persino giusto, che la gente si veda Canale5 e si legga Panorama, dato che l'alternativa "di sinistra" è solo uno spettacolo mainstream un po' meno aggressivo e appassionante. Non e' con gli stessi mezzi che faremo cose diverse!

Sarebbe ora che la gente di sinistra come Papi si svegliasse, e invece di prendersela con i piu' deboli, imparasse qualcosa da loro. Sveglia!!! E' ora di ricominciare a sognare!!! Un altro mondo e' possibile!!! E in questo mondo, se Dio vuole, tutti possono scrivere, anche i non giornalisti.

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