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13 luglio Kussufin Road
by Operazione Colomba-Berretti Bianchi Monday, Jul. 15, 2002 at 7:27 AM mail: colomba@eudoramail.com

13 luglio Kussufin Road

13 luglio Kussufin Road (di Maurizio)
Alla fine della Kussufin road alcune torrette dell IDF difendono la by pass road ad est del semaforo di Abu Holi. A ridosso del muro prefabbricato e del filo spinato che separano le torrette dal territorio palestinese sorgono una mezza dozzina di casette dal tetto di eternit, tanto vicine alle torrette israeliane che i soldati possono guardare dentro alle case dei palestinesi a occhio nudo. Da ogni finestra della casa si vede una diversa torretta, tutte a meno di dieci metri dalla casa. La famiglia che abita le casette sulle dune a ridosso del filo spinato è felice di vederci e subito ci mostra i fori degli ultimi proiettili che i soldati annoiati hanno sparato dentro una delle loro case, solo per intimidirli, costringendoli a muoversi a carponi nelle stanze. Uno degli uomini della famiglia è laureato in pedagogia, mentre la sorella si laurea in lingua inglese durante le prossime tre settimane, il primo esame sarà di poesia e lei presenterà uno studio su T.S.Elliot.

Sono nata qui, alla fine della Kussufin road ventidue anni fa, anche i miei fratelli sono nati qui. Mia madre e nata a Khan Younis nel 1948 ed e venuta ad abitare qui dopo essersi sposata. Qui ha dato alla vita sei fratelli e sei sorelle, ma oggi vivono in queste case solo quattro dei miei fratelli ed io e la mia sorella minore viviamo con i nostri genitori. In tutto siamo in trentasei, compresi i figli dei miei fratelli. Mio padre ci voleva portare in un altra casa, ma non possiamo starci molto a lungo, e quindi non ne vale la pena. Non c’è modo di andarcene da qui e non c’è nessuno che può aiutarci, se abbandonassimo le nostre case non sapremmo dove andare, non c e una soluzione alla nostra condizione, dobbiamo per forza restare in questo posto fino alla morte. Hanno costruito le torrette quando hanno finito la by pass road che permette ai coloni di andare negli insediamenti, sono più di dieci anni ormai, e da allora che viviamo cosi, ma dall’inizio dell’intifadah i soldati si sono fatti più pericolosi, prima non venivano nelle nostre case a minacciarci e non ci sparavano come fanno dall‘ottobre del 2.000. Noi non possiamo dormire come tutti gli altri perché ci aspettiamo che arrivino in qualsiasi momento. Vengono in silenzio e bussano improvvisamente alle nostre porte. Vengono una volta la settimana nel cuore della notte, aprono la porta ed entrano in casa. A volte impediscono ai bambini impauriti di andare in bagno e quando voglio andare io, vorrebbero venire con me, ma io mi rifiuto e non gli permetto di seguirmi nel bagno a vedere che faccio. Il soldato mi intende ma non dice nulla, resta in silenzio. I bambini hanno paura e mia madre inizia ad urlare quando i soldati tentano di toccarmi, io ho paura, ma non lo permetto, e loro mi dicono brutte parole. Mia madre mi dice sempre di mettere brutti vestiti per non attrarli, perché sono tutti soldati molto giovani, non ci sono vecchi fra di loro. Tutti i soldati israeliani sono nostri nemici, nessuno di loro e buono, e fanno di tutto per mostrarsi nemici. Io studio inglese, e il mese scorso stavo preparando un esame, sono all’ultimo anno di università e nelle prossime settimane ho diversi esami da superare per ottenere la laurea in lingua inglese. Ma durante la notte arrivano i soldati e io perdo la concentrazione e non riesco più a studiare perché ho paura di ciò che possono farmi, non ho paura dei loro fucili o della loro forza, ma di ciò che potrebbero farmi ... Quando sono andata all’esame ho spiegato la mia situazione al professore, ma lui mi ha detto che viviamo tutti in cattive condizioni. Io ho provato a insistere chiedendogli di venire a vedere dove vivo, ma lui non e venuto, aveva paura, perché nessuno vive cosi vicino ai soldati come noi, e nessuno vuole credermi quando lo racconto. Di notte non possiamo aprire le finestre anche se fa molto caldo, perché loro ce lo hanno proibito, e poi potrebbero guardare dentro, ormai penso che possano vedere dentro anche con le finestre chiuse. A volte mio padre non vuole aprire la porta ai soldati e allora mia madre si arrabbia perché non va bene che vada lei ad aprire, lei e una donna. Ma se non apriamo la porta i soldati sparano dalla finestra e mia madre soffre di reumatismi e quando sparano dentro le nostre camere non può muoversi a carponi come facciamo noi. Se qualcuno di noi si ammala e ha un urgenza di notte, non possiamo andare all‘ospedale e l’ambulanza non può venire fino a qui. E non potremmo neppure chiamarla per telefono perché ci hanno sequestrato il telefono mobile di mio fratello e ci hanno proibito di avere il telefono. Non possiamo uscire quando è buio, a causa del coprifuoco e nessuno può venire da noi. - Siamo molto stanchi di vivere cosi. Tre mesi fa sono entrati in una casa laggiù e l’hanno riempita di esplosivi, prima di demolirla, poi sono tornati con i carri armati, e molti soldati erano nascosti dietro il muro per difendere il lavoro del bulldozer. Uno dei miei fratelli si e messo davanti al bulldozer per cercare di fermarlo, per impedire che distruggessero tutto, ma alla fine hanno fatto esplodere la casa e ci sono passati sopra, spianando tutto con il bulldozer, hanno distrutto anche tutte le nostre piante di ulivo. Grazie a Dio mio fratello e ancora vivo. Una volta sono entrati con i cani, erano pastori tedeschi, hanno annusato dappertutto, i bambini avevano paura, mentre i cani annusavano anche i nostri piatti nella cucina, e dopo abbiamo dovuto lavare tutto, perché i cani sono sporchi e puzzano. Una sera ero seduta sulla soglia di casa a lavare i piatti, loro mi hanno vista con la telecamera, quella sul traliccio, cosi sono venuti e mi hanno chiesto se aspettavo un terrorista, ma io stavo solo lavando i piatti e non aspettavo nessuno. Ho avuto paura che volessero uccidermi, ma hanno visto i piatti e mi hanno creduto. Possono farci tutto quello che vogliono in nome della loro sicurezza, anche se noi non facciamo nulla di male, non tiriamo sassi e tanto meno spariamo, altrimenti ci hanno avvisato che vengono e demoliscono immediatamente tutte le nostre case senza alcun preavviso. Ci osservano tutto il tempo con quella telecamera sul traliccio, la vedi che ci sta osservando? Se qualche straniero viene a trovarci, allora vengono e vogliono sapere tutto, chi e, perché e venuto e che cosa fa. No, con voi e diverso voi non siete palestinesi.

Sentiamo ordini gridati dentro un megafono, poi un carro armato solleva un nugolo di sabbia, probabilmente stanno facendo il cambio della guardia, arriva il turno di notte.

Questo bambino e molto piccolo, e il figlio di mio fratello, la prima parola che ha pronunciato dopo essere nato non e stata babbo o mamma, ma e stata (tak) sparo. Quando vede i soldati ha sempre molta paura e chiama mamma, mamma. Alcuni psicologi stranieri inviati dalle nazioni unite sono venuti per parlare con i nostri bambini, ma non hanno potuto trovare nessuna soluzione. Quando se ne sono andati, dopo cinque mesi, erano più depressi di noi. Non c’è speranza per noi, non c’è futuro.

La notte passa, accompagnata da esplosioni e raffiche lontane, verso ovest. Qui invece regna il silenzio, il muezzin non può cantare alle quattro del mattino, come in ogni altro posto della striscia di Gaza, perfino i galli sembrano essere introversi su queste dune di sabbia alla fine della Kussufin road.

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