giochi di bimbi
Deheisheh camp: gli eroi invisibili. Si esce alla sera in un momento di tregua, i tanks sono appena andati, se ne approfitta per vedere se nel campo si riesce a trovare qualcosa da mangiare e sigarette, forse solo sigarette. L'altro giorno un palestinese ci ha detto un pò di storie, così per parlare, e la cosa che mi ha preso è questa: ".... ci sono due modi per morire in palestina, o il tabacco o perchè ti sparano......". Io fumo molto quindi, ridendo, gli ho detto"... tu hai due possibilità, io una sola certezza, sei fortunato". Girando nel campo alla ricerca di paglie incrociamo un gruppo di ragazzini, ci chiamano, ci giriamo, li salutiamo, bella storia, sono i bimbi che due o tre giorni fa abbiamo intervistato al media center, così per capire che tipo di immaginario avevano, così per stare insieme con le cam, i microfoni, così per fare qualcosa di diverso dalla loro vita di adesso. Si la loro vita, scuole chiuse, gli amici lontani irraggiungibli, ore contingentate per poter stare all'aria aperta e giocare. Adesso voglio vedere, faccio mente locale e cerco di definire la giornata tipo. Al mattino nei vicoli del campo ad aiutare, poi più tardi, li vedo e li sento dalla finestra del media center. Le grida, il battere le mani è l'ora del gioco preferito; adesso arrivano i tank e gli apv israeliani è come giocare a guardie e ladri mi dico, qui loro fanno i ladri e i tank sono le guardie. Li vedo prendere dei sassi lungo la strada principale e mettersi in mezzo attirando i carri che arrivano, qualche grido, molto rumore due sassi tirati che cadono a dieci metri e via di corsa ridendo come pazzi nei vicoli del campo, a nascondersi. E' un gioco lungo, dura ore finisce quando i tek se ne vanno sfiniti, o dopo aver esaurito la scorta di gas, rincorsi da insulti e altro. Loro sono il simbolo di una resistenza gioiosa a questa occupazione, sono la voce del popolo, i più grandi hanno altri problemi: non essere rastrellati, non finire in un campo di concentramento, magari nel deserto del negev, non essere uccisi. Cominci a capire il senso del materiale delle nostre interviste. La cosa che sconvolge è quando tu gli chiedi: "... ehi che cosa vuoi fare da grande, quali sono i tuoi sogni?", di solito ti rispondono, che ne so: il medico, il calciatore, il commerciante di frutta ..and so on.. qui,invece un'unica risposta, un'unico immaginario: il martire. Tu li guardi parli con un altro magari pensi: "va bè adesso questo mi dirà cose diverse...", no la stessa risposta, anche se appartengono a fascie sociali diverse un'unica risposta, anche se sono di sesso diverso un'unica risposta. Ci si guarda negli occhi preoccupati, tesi, non si parla, cerchiamo qualcun'altro, non vogliamo chiudere li la storia, ma ovunque è identica la risposta. Tornando al media center dal campo butto un occhio sui muri delle case, li chiamo i muri dei martiri: ovunque flayer di combattenti palestinesi rappresentati armi in pugno, di qualcuno solo il volto. Sono loro, faccie giovani alcune giovanissime che ormai hanno un posto fisso nella memoria collettiva di questo popolo. Chiudiamo la nostra esperienza profondamente perplessi e cupi come il tempo che si vive qui. Non abbiamo shot o clip di bambini che tirano sassi, questa è l'unica cosa che nessuno ci può chiedere di fare.
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