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Uranio il punto sulla sitauzione nel dopo-Mandelli
by IMC Italy Saturday, Aug. 24, 2002 at 11:39 AM mail:

Tratto dal sito Peace link

La Commissione Mandelli ha mandato, come è noto, completamente assolto "l'imputato uranio". Del resto era prevedibile perché si è trattato di una "commissione di parte" nominata dal responsabile della vicenda dell'uranio, cioè il Ministero della Difesa. La Commissione invece doveva essere una commissione "super partes" eventualmente nominata dal Parlamento o, quanto meno, dal Ministero della Sanità visto che era in questione un problema medico.
Ovviamente assai poco legittimato appare il lavoro di questa Commissione che è giunta alla stupefacente conclusione che dove c'è uranio c'è salute. Infatti la media dei tumori nelle località contaminate dall'uranio è inferiore a quella della media nazionale, almeno per ciò che riguarda i militari. In sostanza le località colpite dall'uranio diventano località privilegiate per la salute.
Ma come è stato raggiunto questo strabiliante risultato? Il primo passo è stato quello di prendere in considerazione solo 28 casi tra quelli segnalati, il cui numero non è conosciuto esattamente ma è da ritenersi di almeno 60 (qualcuno afferma che siano addirittura un centinaio). Peraltro i casi segnalati sono solo una parte di quelli prevedibilmente esistenti perché molto persone colpite non si sono chieste se la loro patologia poteva dipendere da contaminazione da uranio e non erano al corrente di quanto accaduto, altri non hanno voluto che si conoscesse il loro nome. Sono stati arbitrariamente esclusi casi di malattie che pure hanno inciso sulla salute delle persone e che sono costate, a loro e alle loro famiglie, somme rilevanti per le cure. Ad esempio per un alpino a Feltre i commilitoni hanno dovuto fare una colletta di 6 milioni perché potesse fare sollecitamente la chemioterapia. E questo alpino, non avendo fatto conoscere il suo nome (ma solo le sue iniziali) non è nell'elenco nei casi contemplati dalla Commissione Mandelli.
Il secondo passo è stato quello di elevare in modo improprio il numero delle presenze da mettere in conto come "popolazione militare" potenzialmente contaminata nella zona dei Balcani (zona che comprende anche paesi come l'Albania e la Macedonia dove non vi sono stati bombardamenti all'uranio) mentre viene esclusa la Somalia, zona nella quale invece le armi sono state usate.
Il terzo passo è stato quello di stabilire in modo arbitrario una "media nazionale" dei colpiti dalle patologie tumorali, anche se questa media non esiste perché esistono solo pochissimi registri dei tumori (ne sono stati presi in considerazione 9) che riguardano quindi una piccolissima parte del territorio nazionale.

In sostanza:
1) Si è ridotto arbitrariamente il numero dei casi da prendere in considerazione.
2) Si è aumentato arbitrariamente il numero delle presenze considerando tra l'altro come presenze significative anche quelle di coloro che sono stati un solo giorno nelle aree prese in considerazione.
3) Si è assunto arbitrariamente un numero medio di tumori su scala nazionale.
4) Si sono arbitrariamente associate sotto la denominazione di Balcani aree che hanno visto i nostri militari soggetti a rischi diversi. In Albania e Macedonia non vi sono stati rischi, in Kossovo, almeno dopo i primi 5 mesi, i militari hanno operato adottando (si spera) le norme di protezione emanate il 22.11.99. E quindi stati soggetti a rischi limitati, in Bosnia i nostri militari hanno operato senza alcuna norma di protezione e quindi con rischi più elevati (come del resto in Somalia). La Somalia è stata addirittura esclusa dai conteggi. Inoltre, mentre per la Somalia e la. Bosnia era passato un tempo sufficiente perché potessero svilupparsi determinate patologie, cosi non era il caso del Kossovo perché i tempi erano troppo brevi perchè si potessero riscontrare, ad eccezione di alcuni casi, delle patologie.

Per i suddetti motivi il rapporto ha una scarsissima validità e una elementare prudenza avrebbe dovuto consigliare di non rendere noti dei risultati che tra l'altro portano alla delegittimazione di quanto stabilito nelle norme di sicurezza sopra citate impartite dal comando della Brigata Multilaterale Ovest (nonché dalle norme impartite dalla Folgore in data 8 maggio 2000).
Queste norme infatti stabiliscono che il personale, proprio per i presupposti rischi da contaminazione da uranio impoverito, debbono adottare, in presenza di aree contaminate, delle misure specifiche. Devono infatti indossare delle tute impermeabili che debbono poter essere lavate dopo ogni esposizione possibile all'uranio, debbono indossare guanti a perdere e maschere a perdere. Qualora vigessero le conclusioni della Commissione Mandelli tutte queste misure non avrebbero più senso e si esporrebbe il personale ovviamente a dei rischi.

E' importante notare come il presupposto di queste norme di sicurezza sia l'ipotesi di un legame diretto tra possibile contaminazione e possibili patologie manifestatesi nel personale.
In merito alla questione un esposto denuncia è stato presentato alla magistratura militare. Un esposto da (ritenersi però generico) sembra sia stato presentato dai Codacom alla Procura di Roma.

Il Ministro della Difesa non ha accolto la richiesta avanzata dall'Ana-Vafaf in relazione a quanto disposto dalla legge 241/90) di far partecipare degli esperti, da essa designati, ai lavori della Commissione Mandelli e su questo è possibile un ricorso al TAR del Lazio.

Altre questioni che si pongono sono le seguenti:

a) Risarcimento delle vittime.
I risultati, sia pure altamente discutibili, della Commissione Mandelli (la quale esclude un nesso tra contaminazione da uranio e malattie) rendono ancor più difficile la problematica dei risarcimenti e della causa di servizio. Si sa già che per i tumori sono state sollevate sempre delle gravi riserve circa il legame sopra citato. Basti pensare, nell'ambito civile, alla vicenda Enichem di Mestre.
Tuttavia nel caso dell'uranio le succitate norme di precauzione, nonché i documenti USA riguardanti le misure protettiva in Somalia, provano che dovevano essere contemplati dei rischi da contaminazione da uranio e quindi dei legami tra le possibili patologie e gli effetti dell'uranio. I casi sono due: o non si riteneva che esistesse un nesso tra contaminazione e patologie e allora non dovevano essere emanate delle norme ed adottati dei provvedimenti protettivi, oppure i rischi esistevano e giustificavano l'adozione delle norme e quindi il nesso tra l'uranio e le patologie.

b) Mancata informazione ai nostri reparti di norme di protezione.
Si è sostenuto che i nostri comandi non sapevano nulla prima del 20 dicembre 2000 quando la NATO, in risposta ad una richiesta del Ministero della Difesa, ha affermato che in Bosnia erano state usate armi all'uranio. Sarà la magistratura a dover accertare se questo è vero o meno in quanto "per quello che concerne la Bosnia, i raid aerei degli aerei A 10 erano perfettamente conosciuti al comandante italiano della base di Aviano. Per ogni raid il pilota del velivolo deve informare il comando circa la missione compiuta e, per quanto riguarda l'uso delle armi, deve comunicare il numero dei proiettili sparati (tra cui quelli all'uranio)".
Il totale di 11.000 proiettili è stato ricavato infatti dalla somma dei proiettili utilizzati in ogni raid. Quindi durante le operazioni in Bosnia il Comando di Aviano era certamente al corrente delle armi che erano state usate ed è altamente auspicabile che il Comando non si sia tenuto per sè questi dati e che li abbia invece comunicati, come suo preciso dovere, ai comandi superiori.
Sta di fatto che i nostri reparti sono stati inviati in zone colpite da armi all'uranio durante tutta la campagna di Bosnia e nei primi 5 mesi nel Kossovo (così come in Somalia) senza che venissero messe in atto provvedimenti di protezione.

c) Presenza di uranio nei depositi e nei poligoni italiani.
Due interrogazioni parlamentari, una dei deputati Rizzi e Ballaman e una del senatore Russo Spena hanno sollevato il problema della possibile presenza di armi all'uranio (nonché di armi chimiche) nel deposito delle Casermette presso Cecina. Si fa cenno anche alla possibilità che armi di queste genere possano essere state portate nei poligoni di Nettuno e Monte Romano. Il Ministro della Difesa ha invece negato quanto sopra. La magistratura dovrebbe accertare la verità. Va tenuto presente che purtroppo anche in riferimento alla Bosnia il Ministero ha costantemente negato, come sopra accennato, che fossero state impiegato armi all'uranio. Ma la verità era tutt'altra.
Comunque il problema di fondo resta il problema della messa al bando delle armi all'uranio. A questo proposito vanno ricordate le norme del diritto internazionale che vietano l'inquinamento ambientale, inquinamento che è stato riscontrato nei Balcani da una commissione Internazionale.
E' in questo contesto che vanno sviluppate le altre problematiche accennate dei risarcimenti, dell'impiego di uranio in Bosnia e in Somalia (problema che comporta la estensione delle indagini in questa area), la problematica dell'acquisto del lotto di armi inviato in Somalia e acquistato da Israele " paese per il quale esisteva un divieto di commercio di armi perché paese in guerra" e infine la problematica dell'uso e della sperimentazione delle armi all'uranio nei nostri poligoni, con particolare riferimento a Nettuno e Monte Romano (ma il problema sussiste anche per altri poligoni come Salto di Quirra, Teulada, Altamura, Dandolo, ecc.) e infine della conservazione di queste armi in depositi delle Forze Armate.

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