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Da Rio a Johannesburg: La decade della Globalizzazione
by Corpwatch.org Saturday, Aug. 24, 2002 at 4:10 PM mail:

Da Earthsummit.biz: Lo scippo dello sviluppo sostenibile da parte delle multinazionali, Kenny Bruno e Joshua Karliner, Food first & CorpWatch, 2002

Articolo originale: http://www.corpwatch.org/campaigns/PCD.jsp?articleid=3190



Da Rio a Johannesburg: La decade della Globalizzazione


I governi del mondo, davanti ad un pianeta che si sta deteriorando, stanno facendo un ultimo sforzo per salvare la terra. I paesi industrializzati del nord e i paesi in via di sviluppo del sud si arrancano per raggiungere un accordo globale che unisca la tutela dell'ambiente con la riduzione della povertà. Ma un gruppo di compagnie globali sostengono di avere le risposte pronte alle sventure del pianeta e suggeriscono di redefinire lo "sviluppo sostenibile" con un'attenzione al "profitto, alle persone e al pianeta". George Bush, il presidente degli Stati Uniti, sostiene l'attacco di queste compagnie. Stiamo parlando del 1992 o del 2002? A voi la scelta.

Il summit di Rio del 1992 rappresentò una grande speranza per il futuro dell'ambiente e dei miliardi di persone che vivono in questo piccolo pianeta. Raccolti fra la miseria e la ricchezza di Rio, più di cento capi di stato firmarono una serie di accordi che formarono quella che fu definita come "l'ultima occasione di salvare la terra".

Il primo summit mondiale fu mirato a proteggere l'ambiente del pianeta e a migliorare la qualità della vita per dei suoi abitanti più poveri. I membri del summit raggiunsero accordi sul clima e la biodiversità, accordi che avrebbero stabilito il quadro di riferimento obbligato per combattere alcune delle minacce più serie per l'ambiente. Oltre a ciò, il testo centinaia di pagine noto come Agenda 21 stabilì una serie di linee guida che sarebbero servite come strumenti utili ai movimenti ambientalisti locali per fare pressioni sui governi su temi chiave come la lotta alla deforestazione, la difesa dei diritti dei popoli indigeni, la prevenzione e la gestione dei rifiuti tossici.
I leaders mondiali, i diplomatici delle Nazioni Unite, le ong e, in parte, l'opinione pubblica uscirono dal primo earth summit in Brasile con una conoscenza più profonda dei nessi fra le due crisi gemelle dello sviluppo e dell'ambiente. Il risultato: un piano d'azione che delineava come risolvere i problemi. Dieci anni dopo, dato che i progressi erano stati minimi, si rendeva necessario un secondo earth summit.

Il summit mondiale sullo sviluppo sostenibile (WSSD) a Johannesburg, in Sud Africa, doveva essere sia una valutazione del primo summit, sia un tentativo di ricostruire tenendo conto dello spirito di Rio. Sfortunatamente, i governi che negoziarono il secondo summit avevano un compito difficile; si trovavano ad affrontare la dura realtà che in dieci anni da Rio l'equilibrio ecologico globale si era deteriorato e la povertà mondiale era aumentata. In questo contesto, la cosiddetta soluzione dello "sviluppo sostenibile" languiva ai margini di un contesto politico internazionale dominato da forze anti-ecologiste.
E mentre sempre un uomo di nome George Bush occupava la casa bianca, il clima politico nel quale era nato il WSSD era diventato totalmente differente da quello che esisteva al tempo del primo earth summit dieci anni prima. In un quadro composto di guerra, terrorismo, una seria recessione globale, una marea di bancarotte societarie e con il governo degli Stati Uniti che si ritirava a destra e a manca dai trattati internazionali, il summit di Johannesburg si trovò ad agire in un contesto molto differente da quello di Rio.
Nei dieci anni fra i due summit, la globalizzazione delle multinazionali si era anche consolidata attraverso la creazione del WTO. A causa del mutamento del clima politico, buona parte del testo del WSSD finì per essere un passo indietro da Agenda 21, sminuendo la sostanza degli accordi originali del primo summit mondiale. Quando gli organizzatori arrivarono al quarto e ultimo incontro preparatorio a Bali, molti attivisti iniziarono a chiedersi se il mondo non sarebbe stato migliore senza il vertice di Johannesburg.

Il fantasma di Rio.

In aggiunta a questo clima politico già difficile, il fantasma del primo summit mondiale minacciava il WSSD. La maggior parte dello spirito di Rio era già stata uccisa nella stessa Rio, quando i negoziati storpiarono l'idea di "sviluppo sostenibile" quasi fino a farla diventare irriconoscibile. L'idea di unire "ambiente" e "sviluppo" aveva i suoi benefici in termini teorici, ma, alla fine, l'incapacità del summit di definire i termini esatti di questa unione e la schiacciante influenza delle multinazionali avevano corrotto il concetto originale. Lo sviluppo sostenibile era stato definito originariamente come il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni presenti, senza togliere alle generazioni future la possibilità di soddisfare i loro bisogni. Però, a Rio, non si era definito quali fossero questi "bisogni", ed il modello che vedeva gli individui e le compagnie più ricche consumare in maniera sovrabbondante era stato lasciato inalterato.
Inoltre, nonostante le proteste di molte ong presenti ai negoziati di Rio, i documenti finali del primo summit mondiale dichiararono che mercati globali aperti e liberi erano prerequisiti fondamentali per ottenere uno "sviluppo sostenibile" - in quei documenti, "sviluppo sostenibile" era praticamente identificato con "creazione di ricchezza". Con questa filosofia in prima linea, salvare l'ambiente ed eliminare la povertà diventavano compatibili - sulla carta - con la globalizzazione delle multinazionali. In realtà, la globalizzazione aveva solo esacerbato i travagli ambientali del mondo. Quando si sono trovati davanti alla palese contraddizione fra mercati globali e sostenibilità, i negoziatori hanno chiuso gli occhi a Rio, e li chiuderanno ancora a Johannesburg.
Il primo summit mondiale non è riuscito neanche a sfidare il potere delle multinazionali in maniera significativa. Tutto ciò nonostante il fatto che stava diventando sempre più chiaro che fronteggiare il potere delle multinazionali e cambiarne il comportamento dovesse essere in cima all'agenda internazionale. Dal 1992 erano emerse diverse prove che mostravano quanto le multinazionali fossero alla radice dei maggiori problemi dell'ambiente e dello sviluppo. Un rapporto del centro delle Nazioni Unite sulle compagnie transnazionali documenta che le compagnie multinazionali hanno prodotto più della metà dei gas serra emessi dal settore industriale con l'impatto più pesante sul riscaldamento globale.
Le compagnie transnazionali controllano anche l'80% su scala mondiale della terra coltivata per l'esportazione e dominano la produzione di quasi tutti i maggiori prodotti tossici. Solo venti compagnie controllano il 90% di vendita di pesticidi. Le compagnie globali della pesca solcano i mari con le loro flotte industriali ad alta tecnologia che contribuiscono a una crisi in cui il 70% dello stock di pesce mondiale è stato o sfruttato completamente o ipertassato, in declino o in via di essere ricreato.
E mentre un numero di fattori contribuiscono alla rapida deforestazione sia nelle zone tropicali che in quelle temperate, le transnazionali del legname hanno giocato un ruolo decisivo, dato che la produzione di legname è aumentata del 50% dal 1965 al 1990.
Queste compagnie hanno sempre sostenuto che loro soddisfano solo i bisogni dei governi e dei consumatori. Ed è vero che i governi e i consumatori sono complici del consumo irresponsabile di combustibili fossili e di altri beni nocivi all'ambiente. Ma le compagnie globali non sono dei semplici osservatori. Sono anche produttori e consumatori di questi beni. Sono loro che scelgono le tecnologie e i prodotti da sviluppare, e utilizzano il loro potere politico per prevenire determinate innovazioni tecnologiche e per proteggere economicamente le loro industrie. Influenzano e addirittura comprano l'opinione pubblica e la comunità scientifica con strategie di marketing e di pubbliche relazioni. Senza sottovalutare il ruolo del consumatore individuale e delle piccole aziende, le compagnie globali stanno al cuore dell'insostenibilità delle nostre economie.
Così, a Rio i governi permisero alla grande industria di evitare un quadro legale obbligatorio sulle loro attività, optando per un approccio volontaristico allo sviluppo sostenibile. Alcune delle compagnie maggiormente inquinanti ebbero un accesso speciale al processo della negoziazione del summit, stabilendo una linea di collaborazione fra le nazioni unite e le multinazionali che da quel momento è andata aumentando. A Rio Greenpeace, il third world network ed altre organizzazioni avvisarono che la pesante influenza del mondo degli affari sul summit avrebbe portato ad una "parziale privatizzazione delle nazioni unite" e alla "globalizzazione del greenwash". Sfortunatamente, la previsione si sarebbe avverata.

Le Nazioni Unite a favore degli interessi del mondo degli affari?

Nei dieci anni fra i due summit, le nazioni unite non hanno accresciuto la loro dedizione non tenere sotto disciplina compagnie distruttrici dal punto di vista economico, sociale e dell'ambiente. Le Nazioni Unite si sono invece dedicate, come soluzione, a costruire accordi di partenariato con le compagnie globali e ad appogiarne l'autodisciplina. Questa relazione tra le Nazioni Unite e le multinazionali è avvenuta esattamente nel momento in cui il ruolo delle compagnie globali nella distruzione dell'ambiente è diventato via via più chiaro e, grazie alla globalizzazione, anche più profondo rispetto a quanto poteva essere nel 1992.
Per esempio, nel 1999 i più importanti gruppi ecologisti degli stati uniti calcolavano che solo 122 compagnie erano responsabili dell' 80% delle emissioni globali di diossido di carbonio, e solo cinque compagnie petrolifere producevano tanto greggio da contribuire al 10% delle emissioni globali di carbonio. Nell'anno 2002, la fusione di Chevron e Texaco aveva ridotto questo numero a solo quattro compagnie, tre delle quali partner delle nazioni unite.
Ciò nonostante, l'ONU è ancora la sola istituzione globale ad essere un potenziale controaltare al WTO e al regime delle compagnie private. La sua visione riflette l'aspirazione di molti, dato che pone valori fondamentali come i diritti umani, i diritti dei lavoratori e l'ambiente prima del profitto: Questo è particolarmente vero in special modo nel caso di una serie di trattati ambientali internazionali, due dei quali, quello sul clima e quello sua biodiveristà erano emersi sin dal summit di Rio.

La globalizzazione delle multinazionali dopo Rio.

La decade fra i due summit è stata disastrosa per le due cause dello sviluppo socialmente equo ed ambientalmente sostenibile. Se visto nel contesto degli eventi mondiali degli anni 90 e dell'inizio del secolo, il processo del summit è stato, pubblicità a parte, solo una nota a piè di pagina nella strategia dominante delle multinazionali.
Precedentemente al primo summit, c'era stato un grosso dibattito - ottimista e idealista - riguardo al modo di costruire un mondo post guerra fredda che promuovesse la sostenibilità ambientale e la governance democratica. Sfortunatamente, la fine della guerra fredda non ha fatto strada alla nascita di quella "era verde" per la quale molti a Rio avevano lavorato. Piuttosto, ha marcato l'inizio di un processo di globalizzazione nel quale le compagnie transnazionali hanno lavorato strettamente con le nazioni più potenti del mondo per mettere in atto un sistema internazionale di governance che valorizza il mercantilismo, i diritti delle aziende e la "libertà" commerciale prima dell'ambiente, dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, della salute umana e della giustizia.
Il decennio post Rio verrà ricordato nella storia come il momento in cui questa nuova forma di governance globale, basata sugli interessi del capitalismo globale, è stata istituzionalizzata. Questa nuova architettura è impersonata dal NAFTA, che entrò in vigore nel 1994, e dalla nascita del WTO, stabilita nel 1995 alla fine dell'Uruguay Round. Mentre gli accordi di Rio si proponevano di proteggere la natura, le regole del WTO e del NAFTA davano alle compagnie transnazionali un accesso privilegiato alle risorse naturali, ed allo stesso tempo indebolivano l'abilità dei governi di proteggere queste risorse o di legiferare in favore del riciclaggio, della protezione dei mammiferi marini e dell'aria pulita.
I negoziati per il WTO e il NAFTA erano già in corso durante la preparazione al vertice di Rio nel 1991 e nel 1992. Questi negoziati gettarono un'ombra su Rio, mentre gli stati uniti e i governi europei, rispondendo a forti pressioni da parte della camera di commercio internazionale, furono molto attenti nell'assicurarsi che Agenda 21 e altri documenti venissero resi compatibili con queste nuove regole di libero mercato e che i documenti del summit mondiale venissero resi spuntati. Il summit e la sua visione di sviluppo equo e sostenibile non sarebbero diventati una forza di opposizione ai nuovi, estremamente potenti, interamente rafforzati regimi di libero mercato.
Da allora, il WTO ha usato i suoi rafforzati poteri di sanzioni economiche e il suo anti democratico sistema segreto di regolazione delle controversie per subordinare l'ambiente, i diritti del lavoro e i diritti umani ai nuovi "diritti" delle compagnie di commerciare e investire liberamente intorno al mondo. Così, il WTO ha emarginato le deboli argomentazioni ambientaliste avanzate a Rio e ha dissipato l'energia che il summit mondiale aveva ispirato. L'impeto schiacciante della globalizzazione delle multinazionali e la potenza dei regimi di libero scambio hanno reso difficile ai partecipanti al secondo summit mondiale il compito di rianimare il senso di speranza e ottimismo presente dieci anni prima.
In un certo senso, la storia degli anni '90 è riassunta dalla frase "Marrakech batte Rio" (Marrakech è la città in cui si concluse l'Uruguay Round del GATT e nacque il WTO).In altre parole, l'ONU fu messa da parte, e il WTO divenne l'istituzione intergovernativa più potente del mondo. La crescita dell'istituto del " un dollaro, un voto" su "un paese, un voto" aveva rispecchiato e rinforzato una crescita nel potere degli usa nel post guerra fredda, un periodo in cui il disprezzo degli usa per l'ONU era ancora forte.

Il colore dei soldi: le politiche ambientaliste globali dopo Rio.

Il bisogno fondamentale di cambiare radicalmente i modelli di produzione e consumo nel nord - un concetto centrale nel summit di Rio - è stato ignorato per tutto il decennio passato. Per esempio, negli Stati Uniti, invece di ridurre il consumo, il cui quattro per cento della popolazione mondiale inghiotte un enorme 25% delle risorse del pianeta, le aziende automobilistiche hanno prodotto più macchine sportive, che emettono maggiori quantità di gas serra dentro l'atmosfera.
Allo stesso tempo, molte di queste multinazionali si sono ipocritamente vendute come "cittadini verdi" nelle loro campagne pubblicitarie e di relazioni pubbliche. Dare buone notizie sull'ambiente divenne di moda, e queste compagnie cercarono di darci queste buone notizie, tanto ardentemente attese. Sfortunatamente, non c'era nessuna garanzia per poter credere a queste buone notizie. C'erano stati dei passi avanti ma, al livello globale, erano molti di più i passi indietro.
Portare brutte notizie è un rischio professionale degli ambientalisti, ed è un ruolo di cui facilmente il pubblico si stanca. Ciò nonostante, è un fatto che, nel decennio fra i due summit, la distruzione dell'ambiente in buona parte del mondo si è accelerata. Le foreste sono andate scomparendo, le risorse ittiche sono diminuite, e i deserti hanno divorato sempre più terreno agricolo. L'inquinamento, potenzialmente rischioso, dell'agricoltura biologica ha contaminato i raccolti, ed è diventato sempre più difficile rifornirsi di acqua pulita. Dal momento che gli anni novanta sono stati il decennio più caldo nella storia, la minaccia di un cambiamento globale climatico si è fatta sempre più grande sull'orizzonte, puntando ad un futuro di crescita del livello dei mari e di devastazione di intere popolazioni costiere, portando a forti e frequenti tempesti, carestie, inondazioni e malattie.
Il programma delle nazioni unite per l'ambiente (UNEP) conferma che lo "stato del pianeta sta peggiorando". Questa agenzia attribuisce anche delle responsabilità all'industria, dato che afferma che "c'è un divario sempre maggiore fra gli sforzi dell'industria di ridurre il loro impatto sull'ambiente ed il peggioramento dello stato del pianeta."
I dieci anni fra i due summit hanno anche mostrato che, nonostante la loro eco-retorica, per la maggior parte delle compagnie il verde non è altro che il colore dei soldi. Il greenwash - la strategia attuata da compagnie socialmente e ambientalmente distruttive di preservare ed espandere i loro mercati proponendosi come amici dell'ambiente e leaders nella lotta contro la povertà - è diventato oramai una procedura standard per la maggior parte delle compagnie che viaggiano sul carro della globalizzazione.
Il greenwash è dappertutto. E' più visibile quando si confronta l'impatto ambientale di una compagnie con la retorica delle sue campagne pubblicitarie, ma è anche significativo in termini di politica internazionale. Molte compagnie che stanno dietro ad accordi ecologicamente e socialmente distruttivi (come il WTO) pretendono di essere paladini dello sviluppo sostenibile. Lo pretendevano nel primo summit e ancora dieci anni dopo, a Johannesburg.

Enron e il Summit.

Quando si esaminano le prove - che molte compagnie che pubblicizzano il loro impegno sociale ed ambientale continuano ad espandere e a svilupparsi in settori che stanno alla base dei problemi ambientali cui i summit dovrebbero porre freno - diventa ovvio che non si può lasciare la questione in mano a misure lasciate all'arbitrio delle singole compagnie.
Allo stesso modo, quando si considera che nei dieci anni del dopo Rio le compagnie multinazionali hanno resistito con successo alla maggior parte delle sfide che gli sono state poste contro, e che hanno mantenuto pratiche insostenibili nei settori dell'energia, della chimica, dell'agricoltura, del minerario, della tecnologia e dei trasporti, diventa imperativo che le misure da adottare si facciano più forti.
Infine, quando si prende in considerazione il crollo della Enron e tutte le sue conseguenze (inclusi gli altri scandali finanziari), diventa ovvio che la strategia dell'autoregolamentazione è sbagliata.
Una delle principali lezioni dello scandalo Enron è stata che quando sono lasciate a sé stesse, almeno alcune compagnie tenderanno ad avere un comportamento irresponsabile. La Enron si avvantaggiò delle dinamiche di deregolamentazione della globalizzazione per premere per una grande quantità di accordi nazionali ed internazionali fatti su misura per lei. Come risultato, la compagnia finì per collassare, con grandi danni per milioni di impiegati, consumatori e investitori. Se lo vediamo alla luce dell'esperienza della Enron, l'ambientalismo delle multinazionali al primo summit - basato sul principio dell'autoregolamentazione e della volontarietà - non suona altro che vuota retorica. Il caso Enron rende chiaro che l'idea dell'autoregolamentazione delle compagnie è palesemente assurda - siano esse Enron, Chevron-Texaco, Nike, Rio Tinto o Novartis. Alla luce del crollo della Enron, sembra quasi un diversivo che centinaia di compagnie sostengano nove principi. L'ONU deve essere il principale sponsor per una fondamentale riforma dell'economia globale costruendo meccanismi per garantire la responsabilità delle multinazionali.

Il movimento di Seattle.

Il summit di Johannesburg ha coincide con tendenze quali la globalizzazione delle grosse compagnie, il deterioramento dell'ambiente, la crescita della povertà e il maggior coinvolgimento delle Nazioni Unite con il settore privato. Diventa ovvia una domanda: Può l'ONU allo stesso tempo attaccare alla radice i problemi ambientali e fronteggiare le pratiche delle multinazionali e allo stesso tempo incrementare la collaborazione con queste compagnie?
In molte forme, il movimento mondiale che sfida la globalizzazione delle multinazionali ha risposta con un forte "NO!". Cresciuto per tutti gli anni '90, questo movimento internazionale è emerso con forza a Seattle, nel 1999, quando 50000 persone scesero in piazza per manifestare, per lo più pacificamente, contro il vertice del WTO. Il movimento di Seattle fu seguito da proteste di massa a Praga, Washington, Quebec, Chang Mai, Davos, Porto Alegre, Genova e da molte altre parti.
Il messaggio suona chiaro: il "libero mercato" e la globalizzazione, così come impersonificati dal WTO, da NAFTA, dalla Banca Mondiale e dalle politiche del FMI e dalle pratiche di investimento delle compagnie indeboliscono la democrazia, le economie locali, la sostenibilità ecologica, i diritti umani e i diritti dei lavoratori. La voce e il messaggio del movimento, che è stato amplificato da sempre più personaggi anche del mainstream, si trova diametralmente opposta al mantra del summit ispirato sempre più dalle multinazionali, che afferma che l'apertura dei mercati sia un prerequisito per lo sviluppo sostenibile. Invece, ha iniziato a sviluppare una visione alternativa che è riassunta nello slogan "un altro mondo è possibile".
Parte di questa visione sostiene che l'ONU dovrebbe cambiare il suo approccio verso le multinazionali. Invece di proporre un modello basato sulla responsabilità volontaria delle compagnie, questo nuovo movimento chiede che l'ONU diventi il promotore di un modello di regolamentazione obbligatoria del comportamento delle multinazionali. Un tale quadro potrebbe obbligare le compagnie ad essere responsabili. In questo modo, l'ONU potrebbe iniziare ad assumere un ruolo di controaltare alla globalizzazione delle multinazionali. Potrebbe promuovere in un modo più efficace la tutela dell'ambiente, del lavoro e dei diritti umani. Potrebbe aiutare a costruire una reale sicurezza globale.
Condizione per cui l'ONU possa ottenere tutto questo è che vengano sconfitte molte resistenze politiche, comprese quelle che vengono da alcuni degli stati membri più potenti. La sfida, già grande, diventerà impossibile, a meno che non si inverta il legame fra l'ONU e le multinazionali.



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Titolo Autore Data
sviluppo insostenibile andrea Sunday, Sep. 01, 2002 at 12:24 PM
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