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Campo di Deheishe, Betlemme
by IMC Italy Saturday, Sep. 07, 2002 at 11:36 PM mail:

Torno da Al Khader dove i carri armati hanno preso posizione proprio nel centro del villaggio, in prossimità della moschea. Vi invio questo messaggio dal campo di Deheishe a Betlemme.

L'elettricità è ora qui tagliata per decisione delle autorità, il che potrebbe essere il segnale di un possibile attacco contro alcuni edifici all'interno o vicino al campo. Naturalmente ricevo e vi trasmetto queste informazioni con il ragionevole dubbio che conviene mantenere dato che la situazione si presta a interpretazioni differenti e mutevoli. Forse non succederà nulla, ma i carri armati non sono molto lontani e gli F16 fanno frequenti passaggi: intimidazione o ricognizioni, non mi azzardo a scegliere! Qui l'atmosfera è evidentemente "tesa", ognuno resta in attesa del rumore che annuncerà l'attacco degli F16. È un'attesa che comporta anche una dimensione di "liberazione". Non credo di esagerare scrivendo che la maggior parte degli abitanti del campo si augurano questo attacco tanto il clima generale qui è diventato un "clima di guerra aperta". Ieri sera migliaia di persone del campo hanno assistito dai tetti ai bombardamenti di Betlemme, gli F16 tiravano i loro missili poco prima di arrivare sopra il campo e si percepiva molto bene il momento del tiro. Evidentemente c'è anche la paura, percepibile soprattutto tra i più piccoli che alternano pianti nervosi a fanfaronate: si possono preparare delle molotov durante il giorno e ci si può angosciare di notte, quando gli aerei senza piloti cominciano a far la ronda sopra le teste, precedendo l'arrivo degli Apache e degli F16. Al di là di una testimonianza rapida su questi istanti di attesa, vi voglio dire quanto rapidamente qui in Palestina la situazione è cambiata. Non so ancora se bisogna parlare "soltanto" di accelerazione degli eventi o se è più giusto parlare di una nuova "tappa qualitativa" nello scontro. Ciò che colpisce innanzi tutto è la generalizzazione nel tempo e nello spazio di eventi che prima si sgranavano un po' ogni giorno: un attentato qui, un bombardamento là, una penetrazione rapida nella zona A da un'altra parte, ecc. Da una settimana l'incatenamento e la simultaneità delle azioni modificano radicalmente la percezione che la gente ha della realtà e del futuro. Qualche cosa è scattato con l'entrata dell'esercito nei campi, le "risposte" palestinesi di sabato e di domenica sembrano aver liberato una collera e un'esasperazione troppo a lungo trattenute: qui più nessuno si interroga sull'opportunità o la giustezza di azioni armati qualunque esse siano, "loro uccidono e attaccano, risponderemo a ogni loro colpo". La disperazione è profonda, nessuno propone la minima alternativa a questo passaggio da un'occupazione militare dei territori che permetteva l'esercizio di un terrorismo di stato e che suscitava atti di resistenza isolati, a una guerra aperta e proclamata (vedi dichiarazioni di Sharon, tra le altre): esito a scriverlo ma i Palestinesi non si pongono più il problema di vincere o di costruire strategie a questo fine. Non si aspettano più nulla, da nessuno, non si fanno illusioni sul rapporto fra le forze ma contrariamente a ciò che mi sembrava esistere ancora poco tempo fa, questo sentimento non sfocia più né in nuova attesa né nell'espressione di un'ennesima delusione: l'ora dello scontro aperto è arrivata e mi sembra che più nulla fermerà il corso degli eventi. La determinazione dei giovani dei campi è impressionante, l'adesione verso coloro che hanno osato e compiuto azioni audaci e omicide è totale: ma questa volta non attraverso la pubblicazione e l'attacchinaggio delle foto dei martiri, ma attraverso la proclamazione di massa di azioni simili e, credetemi, non sono fanfaronate o propositi esaltati durante i funerali. Ecco, non so dove porta tutto ciò politicamente, ma so che andiamo verso un'accumulazione di tragedie umane paragonata alla quale la situazione di prima parrà presto come relativamente tranquilla. Che nessuno si faccia più illusioni, la situazione non è giunta al suo parossismo, è ancora lontana da ciò. Secondo ogni verosimiglianza, l'esercito moltiplicherà gli attacchi che saranno di portata sempre più omicida. Da questa mattina sappiamo anche che un "terrorismo privato" (l'attentato in una scuola palestinese di Gerusalemme Est) si svilupperà accanto a quello di stato israeliano. Tutti gli ingredienti della tragedia ormai sono pronti. I Palestinesi sanno che non hanno più nulla da aspettarsi né più nulla da perdere. Sì, la vita, direte voi. Errore! Sotto lo stivale dell'occupazione israeliana e con la complicità dei governi delle potenze capaci di pesare sul corso degli eventi non fanno che sopravvivere da decine di anni. La vita continua, nelle strade dei campi si fanno le compere e si discute, i bambini giocano, a calcio e sempre più alla guerra. La vita continua ma questa sera ha, più che mai, un gusto di guerra e di morte. E-mail di Akel Rachid del 6.03.2002 (tradotto dal francese)

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