sentenza di condanna per il poliziotto
LA SENTENZA: TOMMASO LEONE COLPEVOLE DI OMICIDIO VOLONTARIO. IL PM AVEVA CHIESTO 16 ANNI
Colpevole di omicidio volontario. Per Tommaso Leone, il poliziotto che nella notte tra il 20 e il 21 luglio scorso esplose un colpo con la pistola d’ordinanza contro il 17enne Mario Castellano, uccidendolo, è il giorno del giudizio: dieci anni di reclusione, recita il verdetto che giunge dopo quasi tre ore di camera di consiglio. Si conclude così - davanti a un imputato che osserva in silenzio, dietro le sbarre, la lettura della sentenza - il rito abbreviato, primo atto della vicenda giudiziaria che fa calare il sipario su una tragedia dalle molte facce: innanzitutto quella di un ragazzo di soli 17 anni - colpevole solo di non essersi fermato all’alt intimato da una pattuglia - al quale un colpo di pistola ha strappato la vita; quella di una famiglia che ancora oggi, a nove mesi di distanza dalla tragica notte di mezza estate, non riesce a darsi conforto. Ma anche quella di un giovane che aveva sognato di vestire una divisa, male interpretando il ruolo che lo Stato gli chiedeva di svolgere. Dieci anni di reclusione, pena da scontare in carcere. Interdizione perpetua dai pubblici uffici e risarcimento in via provvisionale di 200 milioni alla famiglia della vittima. La sentenza viene letta dal giudice per l’udienza preliminare Alfonso Barbarano, al termine di una giornata intensa. Tocca al pubblico ministero Michele Del Prete, rappresentare la posizione della Procura. Sedici anni di reclusione, chiede il magistrato. «Si sarebbe potuto arrestare quel ragazzo per resistenza, forse anche per lesioni; d’altronde il primo a conoscere l’indirizzo di Mario Castellano era proprio l’agente Tommaso Leone. E invece si decise di fermare il ragazzo in modo diverso. Leone sapeva benissimo che da quel gesto sarebbe potuta derivare la morte di Castellano». Per questo il Pm esclude sia l’omicidio preterintenzionale che quello colposo. Ma c’è di più. «Leone - incalza il sostituto - da esperto di armi quale era, sapeva benissimo che da quel gesto poteva scaturire almeno il ferimento di Mario». Poi la parola passa alle parti civili. Sono interventi intensi, a tratti drammatici quelli dei rappresentanti della famiglia Castellano. L’avvocato Gaetano Montefusco - per il gemello di Mario, Lorenzo - dice senza mezzi termini che «Tommaso Leone è colpevole, ma colpevole è anche il ministero dal quale l’agente dipendeva, perché pur conoscendo bene il curriculum del poliziotto lo ha lasciato a bordo di una volante, mentre avrebbe dovuto trasferirlo in un ufficio»; e Sebastiano Fusco - che rappresenta i genitori della vittima - definisce «agghiacciante» il delitto e ricostruisce i momenti più delicati delle indagini, «non prive di depistaggi e false testimonianze». Infine tocca ai difensori di Leone, gli avvocati Alfredo Mormando e Vincenzo Patalano. Sono arringhe vibranti, le loro, che controbattono, punto per punto, l’impianto accusatorio. Non ci saranno, invece, le dichiarazioni spontanee che Tommaso Leone aveva, in avvio di udienza, lasciato intendere di voler fare. Niente. Dalla sua bocca, neanche in questa circostanza, uscirà una sola parola di resipiscenza, un solo gesto che accenni a una scusa o sottintenda una richiesta di perdono alla famiglia del ragazzo morto. Ma ora che Mario non c’è più, ora che Tommaso resta in cella e due famiglie - ciascuna per il proprio dolore - piangono l’assenza dei loro figli, quella notte del 21 luglio sembra lontanissima. Il verdetto degli uomini non riporterà certo Mario all’affetto dei suoi. Ma suona come un monito severo nei confronti di quanti interpretano il ruolo delicatissimo che è proprio dei tutori dell’ordine oltrepassando il confine della legge.
25 aprile 2001: IL COMMENTO DELLA MAMMA DI MARIO CASTELLANO Ha atteso il verdetto a casa, lontano dall’aula dove Tommaso Leone veniva processato: «Perché vedere l’assassino di tuo figlio è sempre come una coltellata al cuore», dice Patrizia Castellano, la madre di Mario. Dopo il verdetto, la donna non ha voglia di gioire né di perdonare. La notizia della decisione del giudice le è stata comunicata dagli avvocati che hanno assistito la famiglia in giudizio, Gaetano Montefusco e Sebastiano Fusco. «Contenta per la condanna? - dice Patrizia - non scherziamo. Mario è morto, e certo non lo faranno tornare a casa dieci, cinque o anche cento anni di reclusione. Sono soddisfatta comunque di come è andato il processo. Altre volte gli omicidi restano senza colpevole. Invece devo ringraziare il testimone. E soprattutto il giudice, che è stato veramente molto obiettivo». La sera di Agnano è umida, in casa Castellano si parla a voce bassa. Il ricordo di quanto accaduto quella notte tormenta ancora i parenti del diciassettenne che sognava di entrare nel mondo dello spettacolo. Per ricordare Mario ora c’è anche un sito internet, http\:web.tiscalinet.it\castellanomario. «Voglio ripetere che non c’era alcun posto di blocco - dice la madre - quel poliziotto conosceva mio figlio e la sua famiglia. Avrebbe potuto reagire in qualsiasi modo, non certo puntando un’arma contro un ragazzino inerme, un adolescente come tanti». Le parole di Patrizia non aprono spiragli per l’agente che quella sera ha distrutto anche la propria esistenza, oltre a quella di Mario: «Perdonare no, quello mai - sottolinea - Un uomo si uccide una volta sola, e io sono morta da quando hanno ammazzato mio figlio. E poi, colpirlo in quel modo, alle spalle. Sì, lo so che errare è umano. E so anche che si può uccidere. Ma quando c’è un’offesa, quando ci si deve difendere da una minaccia. Ma Mario era disarmato, e non aveva minacciato nessuno. In questi dieci anni, quell’uomo deve pensare a ciò che ha fatto. Se lo farà, si renderà conto che gli anni che gli sono stati inflitti sono pochi».
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