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La rabbia di Termini sfila a Roma
by mtms Thursday, Oct. 17, 2002 at 11:18 AM mail: mtms@speedoflife.org

Partono dal Colosseo in millecinquecento ma il corteo si ingrossa man mano che sfila verso montecitorio.

Per certe manifestazioni non è questione di numeri. Ai piedi del Colosseo sono poco più di mille. Al massimo millecinquecento. Però è come se fosse venuta mezza Sicilia. Dodici ore di pullman per venire a Roma e dire quello che ripetono da giorni: Termini Imerese non deve chiudere.

Il viaggio è durato più a lungo del previsto. La carovana di pullman arriva con due ore di ritardo. Ad aspettarla c'è un'auto della polizia municipale. Ironia della sorte, è una Punto. La fanno loro, quella roba lì. Almeno, l'hanno fatta finora. Il futuro, all'improvviso, è diventato incerto.

Gli operai di Termini Imerese hanno cappellini rossi, blu e gialli, e la giacca blu. Gli altri, i lavoratori dell'indotto che rischiano quanto loro (se non di più), sono vestiti ognuno per proprio conto. In pochi minuti si forma il corteo. Hanno l'autorizzazione per arrivare fino a Piazza S. Apostoli. Ma loro vogliono andare sotto Palazzo Chigi. Dove è in programma l'incontro tra Fiat, governo e sindacati.

"O si risolve entro la fine del mese - dice Salvatore, 39 anni, alla Fiat da 15 - oppure noi occupiamo al fabbrica". Subito si forma un capannello: "Abbiamo votato tutti Forza Italia, adesso Berlusconi ci aiuti". Gli operai di Termini Imerese vogliono che lo Stato sia della partita. Vogliono il rilancio dello stabilimento. E non si fidano della General Motors. "Se arrivano gli americani è per tagliare - dicono in coro -, perché vogliono solo l'Alfa". Il marchio Alfa e basta.

Da un capannello all'altro, si scopre che sono tutti più o meno giovani. La maggior parte ha cominciato in Fiat facendo la Panda. La vecchia Cinquecento, e perfino la 126 della SicilFiat non se la ricorda nessuno. Vuol dire che la mobilità lunga in questo caso non servirebbe a un bel niente. Figuriamoci i prepensionamenti. "Il 50% della forza lavoro è sotto i 25 anni di servizio", spiega il delegato della Fiom-Cgil. E poi non è solo questione di 1.900 posti di lavoro. Certe manifestazioni non sono solo questione di numeri.

Nino è dietro lo striscione dell'Icm. Un'azienda dell'indotto: venticinque dipendenti, quasi tutti sotto i quarant'anni. Costruiscono pezzi di fiancata. Unico committente: la Fiat. "Se chiude lo stabilimento andiamo a casa tutti", dice, e spiega che per loro non ci sarebbe nemmeno la cassa integrazione. "L'indotto fallirebbe. Di colpo. Punto e basta". E così i posti di lavoro persi diventerebbero almeno il doppio.

E' un intera economia che rischia il collasso. Anzi, è un intero sistema di vita che ha dato alla Sicilia occidentale la speranza di essere come il resto d'Italia. E' il simbolo di una normalità possibile che rischia di trasformarsi nel sigillo di una nuova esclusione. Quasi tutti quelli che sono saliti a Roma hanno uno o due figli. Tra le mogli, le donne che in queste ore stanno presidiando lo stabilimento di Termini, quelle che lavorano si trovano con il lumicino. E già ora, in mezza provincia di Palermo, tutto è come sospeso. C'è chi aspetta per iscrivere il figlio all'università. Chi ne aspetta uno di figlio, tra un paio di mesi, e dice: "Lo avessi saputo prima..."

In cima al corteo c'è il vicesindaco di Bagheria. Tra Fiat e indotto trecento suoi cittadini vivono grazie a Termini Imerese. "Una volta i siciliani emigravano al Nord - dice Maria Concetta Balistreri - poi finalmente qualcosa è venuto dal Nord a noi". Ma ora le cose rischiano di tornare come prima. Anzi, peggio.

Il fatto è che non ci sono alternative. O la Fiat, oppure da quelle parti non c'è altro. Il turismo? "Ma avete visto lo stabilimento a Termini? - spiega la Balistreri - è proprio sul mare": Sul bel mare della Sicilia. Per la Fiat alla bellezza si poteva rinunciare. Ma se ora anche la Fiat se ne va?

"Se la Fiat se ne va arriva la mafia", dicono un po' tutti. Finora a Termini Imerese cosa nostra non si vista granché. Se ne sta più su - spiegano -, dalle parti di Caccamo. "Ma questa non è una zona industriale - dice un delegato della Fim-Cisl - ed è programmata sulla scorta della presenza dello stabilimento. Se si chiude, resta il deserto". E si sa, la mafia è come i cammelli. Nel deserto si trova benissimo.

Qua e là si vede qualche ragazzina. Ha le occhiaie della nottata in bianco. E' venuta perché suo padre rischia il posto. O suo zio. O suo fratello. E lei? "Io non so bene che cosa mi aspetta, senza la Fiat è difficile per noi immaginare il futuro".

La crisi Fiat dell'anno 2002 è la crisi di un popolo giovane. Che ha paura di restare in mezzo al guado, ma che vuole continuare a fare automobili. "Le Punto che facciamo noi sono le migliori di tutte, lo sa?". L'anno scorso li hanno premiati. Le macchine che escono da Termini Imerese, spiegano, vanno quasi tutte nel mercato estero. "Perché sono fatte meglio".

E allora, di chi è la colpa? Claudio, 40 anni, da 20 alla catena di montaggio, non ha dubbi: "E' la Fiat che ha sbagliato tutto. Dopo la prima Punto doveva cambiare, e non l'ha fatto. E dopo l'ultima crisi, meno grave di questa, doveva abbassare i prezzi, accettare la concorrenza. E non l'ha fatto".

Il corteo si mette in marcia verso Piazza Venezia. Il viaggio lo hanno pagato i comuni della provincia di Palermo. Almeno per oggi le giacche blu non ci rimettono. Claudio si fa i conti in tasca. 1.000 euro al mese. Due figli, e il mutuo per altri quindici anni. Da quando sono stati annunciati i tagli ha scioperato per oltre 40 ore. Se n'è andato già un quarto dello stipendio. Anche per certe manifestazioni, talvolta, è questione di numeri.

***

Hanno paura di finire direttamente nelle mani della mafia. Lo dice uno degli operai della Fiat di Termini Imerese, arrivati a Roma per manifestare contro la possibile chiusura dello stabilimento siciliano. E' uno dei 1500 che, con berretti rossi e giubbotti blu, sono partiti da Termini Imerese ieri sera a bordo di 28 pullman, alla volta di Roma: non sono venuti solo i lavoratori dello stabilimento, ma anche i loro figli, preoccupati per il futuro. In corteo anche il presidente della regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, e il segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti.

Il corteo è partito intorno alle 12:30 dal Colosseo, e ha marciato verso piazza Venezia, diretto a Montecitorio. Momenti di tensione si sono verificati pochi minuti dopo le 13 quando gli operai hanno tentato di entrare in via del Corso dove un cordone di carabinieri bloccava il passaggio in tenuta antisommossa. La folla ha gridato più volte "buffoni" e ha cominciato a spingere. Subito dopo, però, è cominciata una trattativa tra i manifestanti e le forze dell'ordine. Ed è tornata la calma.

Oltre alle bandiere del sindacato e le insegne dei comuni vicino a Termini Imerese, il corteo si è aperto con uno striscione rosso delle tre confederazioni sindacali con il nome dello stabilimento. Poco più indietro uno striscione bianco con la scritta "Berlusconi: ora una risposta ai nostri voti". Tra rullo di tamburi e il suono di centinaia di fischietti gli operai hanno scandito slogan contro la chiusura.

"Tutta l'economia della zona, che non è una zona industriale, è programmata sulla scorta della presenza di questo impianto, la sua chiusura - dice un operaio - significherebbe la fine di tutta l'area, con il pericolo serio di finire nelle mani della mafia".

Ai lavoratori di Termini Imerese, una delegazione dei quali è stata ricevuta in tarda mattinata a palazzo Chigi, si è aggiunta anche tanta gente comune, per testimoniare la propria solidarietà contro un piano di ristrutturazione che lascerebbe a casa più di 8000 lavoratori.

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