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il mandato d'arresto europeo
by babi Thursday, Nov. 21, 2002 at 12:34 PM mail:

Il mandato d'arresto europeo e la nuova infrazione di terrorismo La criminalizzazione delle politiche non allineate

Il mandato d'arresto europeo e la nuova infrazione di terrorismo

Una nuova tappa è stata raggiunta con l'imminente introduzione del mandato d'arresto europeo che abolisce, all'interno del territorio dell'Unione, l'istituto delle estradizioni con la relativa normativa giuridico-politica, i trattati e gli accordi internazionali, nonché l'intera impalcatura delle garanzie e tutele per la persona inquisita o condannata. Il progetto, presentato dalla commissione europea, verrà adottato dal consiglio dei ministri dell'Unione europea nel prossimo dicembre 2001. Il mutuo riconoscimento delle sentenze e degli atti di giustizia, accompagnata dal progetto di riformulazione estensiva a scala occidentale dell'infrazione di terrorismo7, dà luogo alla creazione di uno spazio giudiziario europeo privo dei necessari fondamenti giuridico-costituzionali. Il modello anglo-sassone del Common Law (assenza di costituzione scritta e civiltà giuridica fondata sulla tradizione, usi e costumi) è di fatto l'ispiratore di questo edificio giuridico senza un ordinamento costituzionale preventivo e unificato. Il peggio di ogni tradizione riassume la sintesi di questa area giudiziaria che, esentata dalla presenza dei vincoli di una norma costituzionale superiore, propria della tradizione del Civil Law, fa anche a meno dei "pesi e contrappesi" che pure ispirano la tradizione anglo-sassone. Se l'Europa finanziaria e monetaria, lo spazio di libero scambio e circolazione dei capitali e delle merci, s'ispirano ad una ferrea dottrina neoliberale, l'Europa giudiziaria fa strame invece della stesso formalismo predicato dalla scuola giuridica liberale preferendole la tradizione dello Stato di diritto autoritario, che ben conosciamo in Italia attraverso l'eredità della codificazione fascista e soprattutto grazie al ventennio emergenzialista, figlio del sostanzialismo giuridico della sinistra (quello della "via giudiziaria al socialismo" divenuta più tardi "via giudiziaria alla eliminazione dell'avversario parlamentare").

Gli estensori dei due testi non nascondono affatto le loro intenzioni allorché suggeriscono, nero su bianco, che tra i comportamenti illeciti perseguibili "potrebbero rientrare, tra l'altro, gli atti di violenza urbana"8. Appare chiaro come negli obiettivi di questo nuovo arsenale giuridico si vogliano far entrare a pieno titolo le azioni e le pratiche di buona parte dei nuovi movimenti che si sono manifestati a Seattle, Praga, Göteborg e Genova.

Tra i comportamenti illeciti (riassunti in 13 punti) qualificati ora come azioni di terrorismo segnaliamo:

f) "l'occupazione abusiva o il danneggiamento di infrastrutture statali e pubbliche, mezzi di trasporto pubblico, luoghi pubblici e beni". Reato passibile d'una pena di reclusione di anni 5. I CSOA (Centri sociali occupati e autogestiti) sono avvertiti, salvo nel frattempo aver regolato il contratto d'affitto o di compra-vendita col legittimo proprietario. Sono avvertiti anche tutti quei movimenti sociali che nel corso delle loro azioni possono aver avuto l'idea d'occupare il proprio posto di lavoro, o una stazione ferroviaria o la pista di un aeroporto, per non parlare, infine, delle autogestioni scolastiche;

i) "l'intralcio o l'interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse fondamentali". Tutti gli eventuali scioperi "irregolari" nel settore potrebbero inquadrarsi agevolmente come delle azioni di terrorismo. La triplice, e soprattutto i Cobas sono avvertiti, non foss'altro perché la pena di reclusione erogabile sale fino ad un massimo di anni 10;

j) "gli attentati mediante manomissione dei sistemi di informazione". I compagni virtualisti, le reti informatiche di movimento, gli hacker, sono messi in mora. Niente più manifestazioni digitali, cortei di mail, assalti a siti con bombardamenti o invio di virus stile I love you. Finiti gli scherzi, ragazzi! Pena il rischio di anni 5 di reclusione;

Questa "fatwa" capitalista lanciata contro ogni attacco portato alla proprietà, ai beni - mobili e immobili - e ai mezzi di produzione - materiali e immateriali - mostra come, l'infrazione di tipo terrorista costituisca oramai una violazione dell'essenza stessa dell'etica del capitale, valore supremo da difendere in sé. Non è tanto "l'intensità di violenza" o la volontà di nuocere all'integrità della persona umana, come recitavano alcuni testi in passato9, che oggi viene presa di mira, quanto il pregiudizio portato contro la proprietà, i mezzi di produzione, la valorizzazione, che senza più alcun velo d'ipocrisia, è ora esplicitamente sanzionato come crimine assoluto.

L'estensione a dismisura della nozione di terrorismo (concetto insolubile, categoria aporetica divenuta un operatore ideologico abusato, aporia giuridica, parola pattumiera, vera e propria stigmate), è ripresa in modo particolare dal Terrorism Act10, varato nel Regno Unito nel gennaio 2000. Provvedimento che definisce il terrorismo come un'azione o una minaccia d'azione mirata a "influire sul governo o a intimidire la popolazione o una parte di essa"... o ancora come "l'azione o la minaccia d'azione compiuta allo scopo di promuovere una causa politica, religiosa o ideologica". Si tratta della definizione più estesa che esista attualmente nella legislazione mondiale.

Qualcuno ha ricordato11 (fornendo una paradossale interpretazione garantista d'un testo ben lontano da quei principi) come sia necessario, per incappare in questo nuovo tipo d'infrazione, la presenza non solo dell'elemento materiale (l'atto illecito) ma anche la compresenza dell'elemento intenzionale (la volontà illecita). In altre parole, non è sufficiente occupare, per esempio, un posto di lavoro perché venga commesso una infrazione di tipo terrorista; occorre che questa occupazione sia inquadrata all'interno di una esplicita volontà di sovvertire, sabotare o semplicemente colpire l'ordine costituito, le istituzioni e il governo.

Ma la volontà, quand'essa non risulta oggettivata da prova scritta o registrata, è oggetto d'interpretazione, materia di scandaglio per il lettino dello psicanalista. Una volontà può essere "attribuita", i margini dell'arbitrio poliziesco e giudiziario sono molto larghi in questo senso. Un tale dispositivo giudiziario, applicato ad ambienti e comportamenti che per definizione si collocano ai margini del lecito e dell'illecito, percorrendo i confini della norma costituita, può causare notevoli danni alle libertà pubbliche e della persona. Ed in ogni caso, è il diritto stesso alla critica, oltre ché la possibilità concreta d'esercitare materialmente opposizione, insubordinazione, refrattarietà, che viene preso di mira e si trova criminalizzato da questa formulazione.

Queste nuove regole sono già state recepite nelle settimane scorse dalle legislazioni d'alcuni paesi europei. Francia, Italia, Germania, Spagna, hanno integrato il loro già ricchissimo arsenale giuridico antiterrorista. L'Italia s'è dotata, attraverso un decreto legge, d'una ulteriore qualificazione del reato d'associazione sovversiva che porta a sette il numero dei reati associativi inclusi nel codice penale. Una proliferazione che fa dell'originario codice Rocco un manuale di liberalità con le sue sole tre qualificazioni: "associazione per delinquere", rivolta ai reati di diritto comune che gli inglesi definiscono, dopo l'emergere del conflitto nord irlandese, "crimini decenti e ordinari"; "associazione sovversiva" e "banda armata", infrazioni di natura politica che in molti paesi rilevano del diritto speciale e d'eccezione. Ad esse, col sommarsi delle emergenze, che s'aprono senza mai conoscere chiusura per cui ad infrazioni la cui natura storico-sociale è ciclica (insurrezioni, moti, disordini) corrisponde una sanzione normativa perenne tale da rendere endemicamente artificiali questo tipo di fenomeni, s'aggiungono stratificandosi: "l'associazione sovversiva con finalità di terrorismo"; "l'associazione per delinquere di stampo mafioso"; la figura anomala del "concorso esterno all'associazione per delinquere di stampo mafioso" e ultima arrivata "l'associazione sovversiva con finalità di terrorismo internazionale".

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La criminalizzazione delle politiche non allineate

Gli estensori del testo della Proposta di DECISIONE QUADRO DEL CONSIGLIO sulla lotta contro il terrorismo spiegano che:

"I diritti sanciti dalla legge lesi da questo tipo di reato non sono gli stessi diritti lesi dai reati comuni dal momento che le motivazioni dell'autore del reato sono diverse; ciò anche se i reati terroristici possono generalmente essere equiparati, per i loro effetti pratici, ai reati comuni e, pertanto, altri diritti sanciti dalla legge sono ugualmente lesi. Infatti, di solito le azioni terroristiche attentano all'integrità fisica o psichica di individui o gruppi, ai loro beni o alla loro libertà, allo stesso modo dei reati comuni, ma vanno oltre in quanto minano le strutture di cui sopra. Pertanto, i reati terroristici sono diversi dai reati comuni e ledono diritti diversi. È quindi opportuno prevedere elementi costitutivi e sanzioni diverse e specifiche per reati di tale gravità".

Ad essere sanzionato è il momento intenzionale. Non l'atto illecito in sé, che trova già una sua configurazione criminale prevista dalle infrazioni di diritto comune, ma le motivazioni. Le giustificazioni ideologiche costituiscono l'elemento volitivo. La tipologia politica, culturale o religiosa, è dunque l'elemento specificamente punito nell'infrazione di terrorismo. Un quid, un sovrappiù etichettato come ipercriminale. Questa confessione piena e aperta, sans vergogne, testimonia della svolta radicale intrapresa dagli ordinamenti giudiziari dei sistemi politici retti da forme di governo rappresentativo.

Il riconoscimento della politicità dei reati emerse in modo particolare nel corso dell'800, quando la nozione moderna di delitto politico venne costruendosi essenzialmente attorno ai problemi sollevati dalle procedure d'estradizione, alla ricerca dei fondamenti giuridici che ne giustificassero l'eventuale divieto, alla concessione di aministie e indulti. Era l'epoca dei movimenti nazional-borghesi. Criteri di classe e interessi geopolitici portarono la Realpolitik dei singoli Stati ad affinare degli strumenti giuridici che offrissero una definizione dell'infrazione politica che non agisse contro l'imputato. La "qualità politica" nobilitava e attenuava la portata "criminale" di delitti commessi da membri delle classi dominanti in piena epoca di moti costituzionali, repubblicani e nazionali. Una sostanziale discriminazione classista permetteva di demarcare con maggiore facilità questo tipo di infrazioni da quelle considerate di diritto comune poiché esse non includevano ancora le classi pericolose. Col tempo però la nozione di delitto politico finì di fatto per essere estesa anche alla conflittualità politica e sociale, alla dialettica antagonista tra Stato liberale e movimento operaio.

L'immunità concessa da un paese, un impero, un regno era sempre esistita come un corollario della sovranità (il nemico del mio nemico era mio amico, in ogni caso era mio interesse tutelarne l'incolumità e offrirgli protezione. Dante, Leonardo, Machiavelli, Hobbes, Foscolo, Hugo.... hanno dovuto trovare rifugio nel corso della loro vita). Mancava però un edificio giuridico che ne regolasse e ne giustificasse i fondamenti. Esso si sviluppa con il moltiplicarsi degli Stati nazionali, lo svilupparsi delle relazioni diplomatiche e la nascita d'uno spazio interstatale che dà luogo a regolazioni giuridiche internazionali. L'infrazione politica, forma di illegalità positiva, è partecipe di quello jus publicum europeum che regola prima il conflitto sovranazionale tra borghesie e ceti nobili e poi tra borghesie stesse.

Le successive vicissitudini dei singoli Stati, a seconda delle fasi di conflittualità interna ed esterna, hanno condotto gli ordinamenti giuridici nazionali a recepire in modo alterno la nozione di politicità:

- Da parte degli ordinamenti democratico-liberali vi è stato un tradizionale atteggiamento di misconoscimento della politicità e conseguente sua ipercriminalizzazione (vedi le leggi antianarchiche di fine Ottocento con la creazione in Francia del reato d'association de malfaiteurs). Memori dell'alone positivo che aveva accompagnato i momenti illegali delle lotte politiche liberali, i "liberali" - una volta pervenuti a controllare l'ideologia dominante e divenuti interpreti del potere costituito - hanno preferito ricorrere all'espediente della depoliticizzazione dei comportamenti politici per delegittimare e sanzionare il nemico interno;

- Gli ordinamenti a carattere autoritario hanno optato per il riconoscimento chiaro e l'ipersanzione esplicita della natura politica, intesa come inimicizia, del nemico interno.

L'attuale processo di giudiziarizzazione estrema, unito alla guerra-mondo, sta invertendo la rotta che negli ultimi decenni aveva condotto ad una progressiva depoliticizzazione dei reati, e al contrario s'accresce la loro etichettatura politica negativa attraverso l'impiego pervasivo della stigmate terrorista. Una tendenza che rinvia alla predominanza della categoria dell'inimicus su quella dell'hostis, già osservata da alcune scuole di pensiero attente al fenomeno della criminalizzazione dell'avversario politico.

In questo nuovo contesto di rinnovata guerra civile mondiale, vari fenomeni subiscono rapide accelerazioni, mutamenti d'intensità e bruschi cambiamenti. Per esempio, la progressiva sterilizzazione dell'istituto della estradizione in corso da anni, non è più sufficiente. Occorre oramai la sua definitiva abolizione in larghe zone continentali.

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