Dopo due anni durante i quali la Prefettura ha impedito, alle associazioni che si occupano di immigrazione, di proseguire l'attività di monitoraggio dei centri di permanenza temporanea, siamo rientrati nel centro di via Corelli.
Sabato 16 novembre, infatti, nel corso del presidio organizzato davanti al centro di detenzione, una delegazione di 3 disobbedienti milanesi, tra i quali il consigliere comunale Daniele Farina, è riuscita ad ottenere il permesso di varcare la soglia che divide il territorio abitato dei cittadini italiani dal limbo in cui vengono “parcheggiate” le non-persone, i migranti clandestini privi di ogni diritto.
“Entrati e lasciate le carte d’identità ai poliziotti, veniamo letteralmente scortati all’interno del centro: diverso, più grazioso, rispetto al passato. Migliorato, ma soltanto nell’aspetto: niente filo spinato, niente più lamiere…ora si erge un ridente casottino, con qualche alberello qua e là. Ma le sbarre…quelle rimangono. Il personale della Croce Rossa, da bravo padrone di casa, ci riceve e ci accompagna direttamente -niente visite ai dormitori, al refettorio, all'ambulatorio medico- in un claustrofobico stanzino: tentiamo di aprire la finestra…i vetri opachi…la maniglia spezzata…niente aria. Le “guardie” crocerossine ci presentano due ospiti del centro, un uomo senegalese ed una donna moldava. Riusciamo ad ottenere il permesso di parlare con loro da soli.
Irina, questo il nome della donna, ci investe di racconti e informazioni. Inizia col dire che donne e uomini sono divisi in due ali differenti del centro. Le donne sono attualmente 26, due sembrano essere uscite da poco; non sa per quale destinazione. L’inconsapevolezza rispetto al momento dell’uscita e alla destinazione appare come una costante del luogo: alle domande relative a questi due punti la donna sostiene che polizia e croce rossa non danno mai risposte. Si sa che solitamente la destinazione, una volta che gli ospiti vengono portati fuori dal centro sui cellulari della polizia, è il carcere o la frontiera; ma è dato saperlo solo ad uscita avvenuta. Questo vissuto di assoluta aleatorietà e incertezza rispetto al proprio futuro accompagna ogni giorno gli uomini e le donne rinchiuse in questo luogo. Irina insiste sulla qualità del cibo, a tal punto scadente da costringere spesso gli ospiti al digiuno. Le giornate trascorrono nella noia; non c’è nulla da fare. La donna racconta di come, per ammazzare il tempo, le persone si siano ingegnate nella creazione di giochi. Anche la televisione è resa inservibile in quanto più reti vengono proiettate contemporaneamente sullo schermo; riquadri talmente piccoli e confusionari da impedirne la visione. Le uniche persone esterne, a parte i parenti negli orari di visita, con le quali gli ospiti hanno la possibilità di parlare sono i volontari della croce rossa. Irina quindi racconta di alcune vicende significative. Due donne russe si recano in aereoporto con regolare biglietto per tornare nel loro paese d’origine, vengono quindi avvicinate da poliziotti in borghese con la scusa di una sigaretta, quindi prese e portate in Corelli. Una ragazza giovane, in Italia con il permesso di soggiorno per studio, va in questura per il rinnovo e da lì viene immediatamente portata al centro. Esce dopo due settimane di permanenza. Non si sa con quale destinazione. C’è anche chi ha pagato tanti soldi ad un avvocato del lavoro e si è visto strappare il contratto di lavoro sotto il naso dalla polizia. La donna ci comunica anche che tanti vorrebbero tornare al loro paese d’origine, ma non riescono ad ottenere che gli venga accordato il permesso per la mancanza dei documenti. Gibril, l’uomo senegalese, è molto agitato; continua a ripetere ossessivamente che lui non dovrebbe trovarsi in un centro di detenzione. Ci racconta velocemente la sua storia: in Italia da 13 anni, lavora regolarmente come operaio ed è in possesso di carta d’identità italiana e di codice fiscale. Qualche mese fa, in seguito ad una denuncia per furto, la polizia gli ritira il passaporto; quando si reca in questura per ritirarlo, viene deportato in Corelli. Ora è rinchiuso qui da quasi due mesi, senza soldi, assistito da un avvocato (consigliato da qualcuno interno al centro...) che si rifiuta di portare avanti la causa se prima non gli viene saldata la parcella, senza sapere quando potrà uscire e soprattutto dove verrà portato. Gibril dice di avere paura che la polizia irrompa di notte nella sua stanza e lo trascini via, come già è successo una volta un mese fa: i poliziotti lo hanno letteralmente deportato in aereoporto e caricato su un aereo, ma sembra che i passeggeri, in seguito alle sue urla disperate, si siano alzati in piedi impedendo così all’aereo di decollare. La paura è aumentata anche in seguito ad un fatto di cui è stato testimone quattro giorni fa (episodio confermato anche da Irina): la polizia ha “picchiato, legato e fatto un’iniezione” ad uomo sudamericano, prima di caricarlo su un cellulare e portarlo fuori dal centro.
[...continua...
lunedì 25 novembre Gibril telefona al Leoncavallo; in preda alla disperazione, ci prega di raggiungerlo velocemente in Corelli: durante il pomeriggio la polizia ha tentato ancora una volta di deportarlo, ma questa volta sono intervenuti alcuni ospiti albanesi che hanno minacciato di darsi fuoco e di far scattare la rivolta il se la polizia avesse tentato di portarlo via. La situazione si è calmata (o meglio è stata brutalmente sedata), ma lui ha ancora paura. Ci precipitiamo verso il centro, ma all’entrata di questo chi ci blocca non è un poliziotto, ma il responsabile della sicurezza della croce rossa: senza permesso della prefettura, non si può entrare in questa “struttura del Ministero degli Interni”. L’unico modo per incontrare Gibril è che lui richieda formalmente al prefetto di incontrarci come amici durante l’orario di visita. Ci viene assicurato che il personale interno della croce rossa aiuterà Gibril a compilare i moduli e ad avviare la procedura (“noi siamo qui apposta per dare appoggio agli ospiti, per aiutarli...”); quando rientriamo al Leoncavallo Gibril telefona dicendo che i crocerossini si sono rifiutati di aiutarlo, prendendolo in giro sul fatto che “non incontrerà mai i suoi amici”.]
|