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PARLIAMO UN PO' DI FOIBE
by morfeo Friday, Nov. 29, 2002 at 10:37 AM mail:

o ne devono parlare solo LORO?


RACCOLTA DIFFERENZIATA SULLE FOIBE

http://www.cronologia.it/mondo38v.htm
http://www.intermarx.com/ossto/foibe.html
http://www.intermarx.com/ossto/revis2.html
http://www.kwlibri.kataweb.it/storia/storia_010702.shtml
http://www.foibe.net

in più aggiungo:
http://www.romacivica.net/anpiroma/DOSSIER/Dossier1a8.htm
(Non ne estraggo niente, andatelo a vedere)



L’HO PROMESSO E LO FACCIO (ti ricordi, Beartien?)
È importante cercare le verità storiche anche e soprattutto su eventi che sono diventati “simbolici”.
Quello delle foibe (che mi tocca molto da persona di estrema sinistra ma figlio di profughi d’Istria in parte partigiani slavi in parte italiani antifascisti ma comunque perseguitati alla fine sia dai nazisti che dai titini) è un punto che è diventato tabù per la sinistra e occasione di strumentalizzazioni per l’estrema destra. Quindi più che di verità storica possibile si parla soprattutto di confrontare fonti e voci.
Quindi ho fatto il solito giochino “shakin’the tree” cercando però di evitare la miriade di siti dichiaratamente fascisti o similtali che raccontano solo la loro versione. Ho cercato più possibile fonti teoricamente neutre. Anche se mi sembra di capire che la Cernigoi e Oliva abbiano un taglio “ da sinistra” e Scotti uno “di centro” mentre l’ultimo tratto da foibe.net. è pesantemente da destra ma l’ho messo perché non si dichiara di parte e comunque per completezza di visioni. Mi piacerebbe postare un articolo del novembre 1994 di “Storia e Dossier” sulle foibe ma me lo dovrò ricopiare tutto e quindi passerà un po’ di tempo (non l’ho trovato in rete).
Contro tutte le visioni pregiudiziali, una volta per tutte, e in risposta ai fascisti che dicono che siamo capaci solo di Parlare dei massacri che “ci fanno comodo”.
Morfeo

PS Di tutto quello che segue non cambio una virgola se non per un minimo di editing.


Claudia Cernigoi, Operazione foibe a Trieste, Edizioni Kappa Vu, Udine 1997

-Operazione foibe a Trieste.
-Come si crea una mistificazione storica:
-dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo.

E' questo il titolo del libro di Claudia Cernigoi. L'autrice (che è giornalista pubblicista dal 1981, ha collaborato alle prime radio libere triestine ed oggi dirige il periodico "La nuova alabarda") ha deciso di indagare sulle "foibe" per dare una mano a mettere la parola fine alle speculazioni politiche su questo argomento. Il libro è edito dalle Edizioni Kappa Vu, per la collana I Quaderni del Picchio (Udine, luglio 1997); il prezzo di copertina è di lire 22mila.

Un altro libro sulle foibe? Certamente, perché in questo libro si affronta il problema da un'angolazione del tutto diversa da come si è finora parlato di foibe: innanzitutto valutando cosa c'é stato "prima" (storicamente parlando); analizzando poi come si sono svolti i fatti "durante" ed infine cosa è successo "dopo", ovvero come la propaganda reazionaria è riuscita a costruire il "caso foibe".
"Prima" delle foibe ci sono stati vent'anni di fascismo, violenze, snazionalizzazioni forzate, repressione feroce per gli oppositori del regime, una guerra d'aggressione che coinvolse anche popolazioni civili che furono sterminate e deportate: di questo si parla nel capitolo "A Trieste la storia non inizia il 1. maggio 1945", di questo e delle varie formazioni armate che operarono nella zona e furono poi "vittime" delle "deportazioni". Si parla qui anche dell'orrendo fenomeno del collaborazionismo dei "civili" coi nazifascisti, fenomeno non ancora sufficientemente analizzato dagli storici locali.
Come si sono svolti i fatti "durante"? Ovvero: facciamo finalmente quella che viene definita, con un'espressione orribile, la "contabilità degli infoibati", cosa che finora nessuno storico ha voluto fare, vuoi per un malinteso senso di rispetto per i morti, vuoi per mero rifiuto di fare chiarezza sulla questione. Ma se vogliamo rispettare i morti dobbiamo fare chiarezza storica sulla loro morte, ed è anche per rispetto dovuto ai vivi che si deve dire chi è morto, e come, e perché è stato ucciso, che cosa ha realmente fatto in vita; perché gli innocenti sono innocenti, però i criminali di guerra non lo sono, e queste sono cose che vanno dette. Contabilità dei morti, dunque: e al di là delle roboanti cifre sparate da vari pseudo-storici, in questo libro si dimostra che dall'attuale provincia di Trieste nei fatidici "40 giorni" sono scomparse 517 persone, suddivise in queste categorie: Guardia di Finanza: 112; Militari di formazioni varie: 151; Polizia (compresi membri delle SS): 149; civili (compresi collaborazionisti e spie di vario tipo): 105. Con queste cifre non si può quindi parlare di genocidio, né di pulizia etnica, e neppure di violenza politica finalizzata alla conquista del potere.
Infine in questo libro si delinea la manovra propagandistica che ha portato a creare la "mitologia della foiba": dai libelli nazisti sulle foibe istriane apparsi gi à alla fine del '43, ai documenti creati dai servizi segreti della X Mas (1) e diffusi durante la guerra, ai testi mistificanti di Bartoli, Papo, Pirina, fino alla recente inchiesta sulle foibe istriane condotta dal P.M. romano Pititto.
Un capitolo particolare è dedicato alla cosiddetta "foiba" di Basovizza, monumento nazionale, che è in realtà il pozzo di una vecchia miniera abbandonata. Documenti alla mano, a noi non risulta che dentro quel pozzo vi siano salme di infoibati, né i 300 metri cubi incisi sulla lapide fino all'anno scorso, né tantomeno i 500 metri cubi che sono comparsi sulla lapide solo un paio di mesi fa: per questo, per fare chiarezza storica e politica una volta per tutte, chiediamo che si apra il pozzo e si verifichi che cosa c'é dentro. Una volta verificato questo si potrà decidere se e perché andare ad inginocchiarsi sulla "foiba", e in onore di chi.

a cura della Redazione de "La Nuova Alabarda"
direttore responsabile Claudia Cernigoi, C.P. 57 - Trieste Fax 040-577316



(1) La "Decima Mas" era quel corpo della marina militare dell'Italia fascista prima, e della RSI poi, che fu riciclato dagli angloamericani nel '45/'46 in funzione anticomunista e costituì il nucleo originario della più nota struttura "Gladio" (il gladio era il simbolo della X Mas). Il suo capo, Junio Valerio Borghese, ha svolto un ruolo attivo nella politica italiana "dietro le quinte" fino agli anni '70, quando scoppiò il caso del progettato golpe che porta il suo nome.



la prefazione di Sandi Volk

Credo che il lavoro di Claudia Cernigoi sia una specie di lezione per la categoria di persone che si occupano professionalmente di storia, alla quale appartengo, che tanto scarsa prova di sé hanno dato nell'affrontare la questione delle foibe. Mentre infatti paleo e neo revisionisti e fascisti, largamente finanziati da privati e da istituzioni pubbliche , inviano i loro libercoli propagandistici a magistrati e scuole, dove poi vengono invitati - per ignoranza o peggio - atener lezione sul "genocidio di italiani nella Venezia Giulia", gli storici professionisti "democratici" (salvo rare e perciò ancor più apprezzabili eccezioni, che peraltro non trovano spazio sugli stessi media che ne offrono in abbondanza a Pirina & Co.) non si degnano di affrontare seriamente la questione per metter fine alle strumentalizzazioni, ma si dedicano, nel migliore dei casi, a girare intorno all'argomento e a dotte riflessioni su giornali e TV, che generalmente giungono a una conclusione comune: quanto fossero cattivi i comunisti, e gli "slavocomunisti" in particolare, e come le masse combinino orrori quando si muovono per modificare a proprio favore equilibri sociali ormai insopportabili. E nel fare tutto questo si danno sostanzialmente per buone cifre e tesi presentate dai revisionisti, limitandosi a formulare ipotesi sulle motivazioni dei presunti "massacri".
Ma come biasimare gli storici "democratici", se poi a scatenare l'ultima campagna propagandistica sulle foibe a livello nazionale è stata la "sinistra democratica" ora al governo! Essi in realtà non fanno che adeguarsi (con maggiore o minore convinzione) al clima della "pacificazione nazionale" (che partendo dalla comprensione per i fascisti arriva a farne dei martiri dell'"italianità"), finalizzata al ricompattamento politico della borghesia italiana e a fornire un supporto ideologico alla nascente Seconda Repubblica e alle sue mire da potenza regionale. Indirizzandosi queste mire in primo luogo verso obiettivi tradizionali, come l'Albania e le regioni confinarie slovene e croate, ecco rimessi in campo anche gli altrettanto tradizionali strumenti propagandistici e di pressione su Slovenia e Croazia, da sempre inscindibilmente legati fra loro: foibe ed esodo. E non si può non accorgersi di come le campagne stampa su questi temi preparino il terreno, con l'aizzamento dell'odio nazionale, a un eventuale energico intervento di "riparazione dei torti subiti".
Il lavoro di Cernigoi, anche se affronta la questione foibe nel solo territorio della provincia di Trieste, era quindi più che necessario. L'autrice non nega la realtà delle foibe, né gli eccessi e le vendette personali, ma attraverso una ricerca rigorosa riporta il fenomeno fuori dal mito, presentandoci sull'argomento un lavoro agile, ma organico e completo. I risultati immediati del lavoro (presentato già in parte sul periodico La Nuova Alabarda) sono tutt'altro che disprezzabili (tenuto conto poi del fatto che i media locali ne hanno costantemente taciuto) avendo infatti costretto Pirina a ritirare "spontaneamente" dal commercio il suo "Genocidio" per correggerne gli "errori". Ma è stata anche messa in serissimo dubbio l'esistenza di infoibati in quella che è la foiba-simbolo di Trieste, quella di Basovizza (lo "Soht"), dichiarata monumento nazionale non molti anni fa e sulla quale si svolgono ogni anno celebrazioni, alle quali partecipano autorità e picchetti d'onore militari.
I meriti maggiori del libro sono però due: l'aver affrontato la questione di chi e quanti fossero gli infoibati nella zona di Trieste e la ricostruzione, breve ma esaustiva, della storia dell'utilizzo propagandistico delle foibe. Il curriculum di squadristi, aguzzini, spie e altro, nonché la presenza tra gli uccisi di diversi sloveni, smentisce nel modo migliore la tesi degli infoibati uccisi solo in quanto italiani e chiarisce i veri motivi del fenomeno foibe.
Per quel che riguarda il numero degli infoibati si tratta di ristabilire semplicemente la verità storica - quella di un fenomeno limitato - di fronte alle cifre iperboliche letteralmente inventate dagli ambienti nazionalisti e (neo)fascisti. La ricostruzione delle vicende dell'uso propagandistico del tema foibe dimostra come la cosa venga da lontano e come quella intorno alle foibe sia stata, e sia tuttora, una operazione di vera e propria "dezinformacija", di guerra propagandistica, e lascia intravedere, per gli ambienti in essa coinvolti (X Mas), collegamenti con altre operazioni (per es. Gladio). E risulta molto più plausibile anche l'ipotesi che la costante riproposizione delle sparate propagandistiche sulle foibe faccia parte di un progetto politico molto più ampio (comprendente per esempio l'insediamento massiccio di esuli a Trieste) per mantenere alta la tensione nazionale in queste terre di confine.
Ed è proprio a partire da questo ultimo tema, che indica prospettive di ricerca tutte da percorrere, che vorrei fare alcune considerazioni generali più ampie. Contro il revisionismo, ormai divenuto dottrina semi-ufficiale anche della sinistra di governo, non serve a mio avviso cercare di difendersi, come fanno parte degli ex comunisti locali sulla questione delle foibe, vantando meriti patriottici e scaricando le presunte responsabilità sui comunisti sloveni e croati, facendo così il gioco di chi vuole ridurre tutto a contrapposizione nazionale. A mio avviso la sfida del revisionismo va accettata ritorcendogli contro i suoi stessi argomenti, come ha fatto l'autrice di questo libro, e abbandonando l'impostazione oleografica della Resistenza. La Resistenza non è stata infatti solamente lotta di liberazione nazionale, ma anche lotta per il potere da parte della classe operaia e delle altre classi subalterne.
Nella Resistenza c'era chi lottava per questi obiettivi e chi (per sua stessa ammissione) c'era entrato per impedire che tali obiettivi si realizzassero, se necessario anche con le armi e con l'aiuto dei fascisti, e riconsegnare il potere nelle mani di quella borghesia che il fascismo lo aveva finanziato e messo al potere. Come dimostra anche la vicenda delle foibe i connubi con i fascisti sono continuati anche nel dopoguerra, tanto che lo stesso assioma secondo il quale la Repubblica sarebbe nata dalla Resistenza va messo in discussione, viste le persecuzioni dei partigiani comunisti e le stragi di operai e contadini attuate da quella stessa Repubblica (con largo ricorso a personale fascista) fin dall'immediato dopoguerra (per non parlare delle successive "Stragi di Stato").
Alla luce di queste considerazioni e di quanto dice questo libro risulterà forse più chiaro come mai ogni anno rappresentanti ufficiali delle istituzioni repubblicane si rechino alla foiba di Basovizza ad onorare la memoria di "martiri dell'italianità" del tipo di quelli che ci descrive Claudia Cernigoi. Ed i primi a sentirsi offesi dal fatto che l'italianità venga rappresentata dai "martiri" di tale risma, dovrebbero essere proprio quegli italiani che desiderano rispettare se stessi ed essere rispettati dai popoli vicini.

Trieste, giugno 1997
Sandi Volk, ricercatore storico


Su “Foibe” di Gianni Oliva
Uno sguardo in quelle foibe: quante furono le vittime di quella sordida guerra di sterminio che avvenne in Venezia Giulia e nell'Istria? Cifre misteriose, spesso sovradimensionate da coloro, gli eredi dei fascisti, che hanno sempre cercato di ingigantire o, addirittura, di falsare i dati per motivi politici
di Franco Giustolisi


Criminale, brutale, feroce: questo fu il fenomeno delle foibe. Che fu anche la risposta, dopo l'otto settembre del '43, ad un altro fenomeno, quello della brutalità, della ferocia e della criminalità del fascismo. Ne scrive Gianni Oliva in "Foibe, le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria", edizioni Le Scie - Mondadori. Quante furono le vittime? Un conteggio difficilissimo che varia dalle cifre assai sovradimensionate di coloro, gli eredi dei fascisti, che hanno sempre cercato di ingigantire o, addirittura, di falsare i dati per motivi politici; alla sponda opposta chi ha tentato invece di sottovalutare, per opposti motivi, i fatti di quegli anni.

Innanzi tutto agli "infoibati", cioè coloro che furono gettati negli inghiottitoi carsici e che non vennero sempre recuperati, vanno aggiunti i prigionieri deceduti nei campi di concentramento della Slovenia e della Croazia; «la cifra più diffusa nell'opinione corrente varia da dieci a dodicimila, ma secondo i ricercatori dell'istituto friulano si arriva a questa quantificazione conteggiando anche i morti e i dispersi in combattimenti tra il 1943 e il 1945. La stima scientificamente più credibile si attesterebbe pertanto sull'ordine delle quattro-cinquemila vittime...A queste vanno aggiunte quelle di nazionalità slava in tutto, quindi, intorno alle diecimila».

Ma bisogna dividere i due periodi: quello dell'occupazione fascista sino ai giorni successivi all'otto settembre e quello che contrassegnò l'occupazione jugoslava. Nel periodo fascista Mussolini vuole italianizzare completamente tutto il territorio. Gli slavi non possono più parlare la loro lingua, conservare le loro abitudini. L'esordio è l'incendio dell'hotel Balkan, la casa del popolo, sede centrale delle organizzazioni economiche e culturali degli sloveni, un imponente edificio di sei piani al centro di Trieste. «Le grandi fiamme del Balkan purificano finalmente la città», scrive trionfante il direttore del "Piccolo" che è diventato il giornale delle camicie nere.

Seguono altri assalti squadristici anche a Pola, Gorizia, Gradisca. E' il "fascismo di confine", se possibile ancor più duro e brutale di quello attuato nel resto della penisola. «Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica dello zuccherino, ma quella del bastone», tuona il duce. Si vieta l'uso di lingue che non siano l'italiano, vengono italianizzati i cognomi. Le organizzazioni ricreative culturali slovene e croate vengono soppresse e i loro beni confiscati, gli insegnanti delle scuole devono essere italiani, i sacerdoti slavi vengono aggrediti, le canoniche devastate, vengono sciolte le leghe delle cooperative di Gorizia e di Trieste, i contadini sono costretti a lasciare le loro terre, a vendere a prezzo bassissimo il bestiame, i tribunali speciali lavorano a pieno regime irrorando pene di morte e di ergastolo.

Ancor più pesante il clima quando l'Italia invade la Jugoslavia. Basti pensare che il generale Mario Robotti, comandante della II armata dislocata in Slovenia, Croazia e Dalmazia, ha il coraggio di affermare: «qui si ammazza troppo poco». Cade infine il fascismo, l'apparato militare si liquefà e scattano le vendette: fascisti, parafascisti, insegnanti, funzionari comunali, vengono legati con il fil di ferro l'uno all'altro, si spara sul primo che cadendo nella foiba trascina anche gli altri. Ci vanno anche di mezzo, come sempre accade in queste circostanze, persone che fasciste non sono ma che sono fortemente invise da alti per i più svariati motivi o i cui beni si cerca di accaparrare. Si salveranno i gerarchi e gli alti gradi militari che sono già fuggiti.

Il periodo jugoslavo. Arrivano le armate che portano sul berretto la stella rossa. Non vanno per il sottile, il maresciallo Tito, forte dell'appoggio dell'Unione Sovietica, vuole far suo tutto il territorio, comprese Trieste e Gorizia. L'ondata degli infoibamenti, delle fucilazioni, delle deportazioni si fa sempre più intensa: non è contro i fascisti o contro gli italiani o contro i comunisti. E' contro tutti coloro che si oppongono all'annessione. Togliatti è costretto ad un gioco ambiguo perché da una parte ci sono le legittime aspirazioni nazionali, dall'altra quelle politiche che portano ad appoggiare l'est piuttosto che l'ovest. Poi il territorio verrà diviso in zona A e zona B, mentre Trieste rimarrà sotto il controllo degli alleati sino al 1954. Un contesto drammatico in cui si inserisce la Risiera di San Sabba, cui Oliva dedica un capitolo: il campo di sterminio allogato in un vecchio complesso di edifici dell'epoca austroungarica costruito per la pilatura del riso. Qui verranno trucidate dai nazisti dalle tre alle quattro mila persone.

--------------------------------------------------------------------------------
Gianni Oliva, "Foibe, le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e
dell'Istria", Mondadori, pp. 206, euro16

Processo alle Foibe, processo alla Resistenza
di Claudia Cernigoi

Il G.I.P. di Roma ha deciso il rinvio a giudizio di Ivan Motika ed Oskar Piskulic (la terza indagata, Avjanka Margitic, è deceduta alcuni mesi or sono), imputati di omicidio plurimo per essere stati, secondo le "indagini" condotte dal P.M. romano Giuseppe Pititto "mandanti e carnefici" degli infoibamenti, Motika in Istria nel settembre/ottobre `43 e Piskulic a Fiume nel maggio `45.
Ma come s'è svolta l'inchiesta di Pititto? E' partita da una denuncia presentata nel 1994 dall'avvocato Sinagra (noto alla cronaca per essere stato il legale di fiducia di Licio Gelli e asserito membro della loggia P2) e si distinse perché il P.M., ancora prima di avere raccolto un numero consistente di indizi e testimoni, partì subito in quarta preannunciando incriminazioni per "genocidio" contro un'ottantina di persone. Scrive infatti il quotidiano triestino "Il Piccolo" del 15.11.94, in un articolo dal titolo "Un libro che mira a svelare le tane dei torturatori titini" e che riferisce della presentazione del libro "Scomparsi..." di Marco Pirina (della figura di Pirina parleremo più diffusamente dopo): < Nei loro confronti (dei "sospetti protagonisti di stragi ed esecuzioni", indicati da Pirina nel suo libro, n.d.r.) l'avvocato Augusto Sinagra avrebbe presentato alcuni mesi fa una denuncia alla procura di Roma in relazione al reato di strage. >.
Ed in un articolo successivo (24.11.95) lo stesso quotidiano dà notizia del fatto che l'inchiesta sulle foibe è stata affidata ad un magistrato di Roma: < Pititto ha sulla propria scrivania il fascicolo relativo al dramma delle foibe solo da poche settimane. Lo ha ereditato dal collega Gianfrancesco Mantelli, trasferitosi al Ministero. E, per studiare come far procedere l'indagine, Pititto ha incontrato nei giorni scorsi l'avvocato Sinagra: tra l'altro il magistrato ha già annunciato di voler acquisire alcuni memoriali e di voler ascoltare padre Rocchi, uno dei personaggi più noti tra gli esuli >.
Chi è padre Rocchi? E' un frate francescano che disse di se stesso, in un'intervista apparsa sul "Piccolo" il 4.5.94. "sono strambo ed approfitto del saio che porto". La sua preparazione storica è tale che dichiarò al P.M. Pititto: "Dopo l'8 settembre del 1943, le truppe jugoslave occuparono l'Istria, comprese le città di Trieste, Gorizia e Monfalcone. Ebbe inizio una dura pulizia etnica contro gli italiani considerati come delle impurità etniche. In questo clima scomparvero dai 10 ai 12 mila civili italiani, uomini e donne, uccisi dai partigiani titini, molti dei quali infoibati, per il semplice fatto di essere italiani". (Queste dichiarazioni sono inserite nella requisitoria di Pititto, pubblicata su un settimanale triestino, "Il Meridiano" ed anche in un pamphlet dal titolo "Il rumore del silenzio", edito da Azione Giovani).
Ora, solo un perfetto ignorante in fatti storici può dare per buone certe affermazioni, perché dovrebbe appartenere alla cultura generale il fatto che dopo l'8 settembre 1943 Trieste, Gorizia e Monfalcone furono invase sì da un esercito, che però era quello tedesco, non quello jugoslavo; e che pure l'Istria fu occupata dai tedeschi a metà ottobre `43, dopo un breve periodo di "potere popolare". Dalle foibe istriane furono recuperate dai tedeschi, nel novembre successivo, circa 250 salme, presumibilmente di persone uccise dai partigiani. Le dodicimila persone cui fa riferimento Rocchi potrebbero anche essere scomparse da quelle zone, però chi le fece sparire non furono certo i "titini" ma i nazifascisti, che per "riportare l'ordine" nelle zone istriane precedentemente controllate dai partigiani avrebbero ucciso (secondo cifre da loro stessi riportate all'epoca) circa 13.000 persone; senza contare tutti i militari italiani in rotta che furono deportati nei lager tedeschi e via di questo passo. (Le deportazioni di partigiani ed Ebrei inizieranno un po' dopo).
Nel già citato articolo del 24 novembre, vengono riferite anche altre prese di posizione di Pititto, che nonostante abbia "solo da poche settimane" sulla scrivania il fascicolo dedicato alle foibe, è già giunto a trarre le conclusioni. Un problema sul quale gli storici dibattono da cinquant'anni, lui l'ha risolto in poche settimane! Un bel record, in effetti. Ma come l'ha risolto? In un'altra intervista (apparsa sul "Piccolo" il 17.2.1996) dice di avere scoperto i colpevoli e, a domanda dell'intervistatore: "Di quali fatti in particolare sono ritenute responsabili le persone che lei ha individuato?", Pititto risponde "Tutti i fatti che attengono all'accusa di genocidio...". Genocidio: come il titolo del libro pubblicato da Pirina un paio di mesi prima e che, casualmente (?) riporta un'ottantina di nomi di presunti "responsabili"; anche Pititto parla di "un'ottantina di responsabili" nell'intervista... Scopriremo poi, sempre dalla stampa, che l'avvocato Sinagra nominò quale suo consulente storico, proprio Marco Pirina. Ma prima di passare ad analizzare un po'meglio la figura di Pirina, vediamo su quali basi Pititto chiede l'incriminazione per "genocidio"di queste persone.
Nella requisitoria si cita una testimonianza di Luigi Papo, che parla di 400 italiani infoibati a Pisino ed afferma: "So che il responsabile dell'infoibamento di questi quattrocento italiani fu il Matika, per averlo sentito dire da amici e congiunti delle vittime".
Luigi Papo, che durante la guerra si rese responsabile di rastrellamenti, esecuzioni sommarie e rappresaglie in Istria, è autore di diversi scritti sulla "tragedia istriana" (cioè i "crimini" dei partigiani titini, le foibe ed il conseguente "esodo" degli italiani dall'Istria); dimentica però di parlare, nelle sue opere, del comportamento delle forze di occupazione nazifasciste. In ogni caso, a parte che nella fattispecie non si tratta di un testimone neutrale, non ci sembra che una testimonianza "per sentito dire", com'è quella citata, possa essere considerata valida dai magistrati per far condannare una persona, soprattutto per reati così gravi come quelli di cui si tratta.
Le altre testimonianze contro Motika (che, per la cronaca, era giudice del Tribunale del Popolo a Pisino nel breve lasso di tempo - circa tre settimane - in cui i partigiani avevano il controllo della zona) non sono molto più circonstanziate. Alice Stefani (che all'epoca aveva sedici anni) dice: "Il Matika (è interessante che in queste testimonianze Motika venga sempre citato come "Matika") era il capo (...) Quando dico che era il capo di tutta la zona intendo dire che era il capo in tutta l'Istria (...) non è che si dicesse dal parte della gente che lo fosse. Lui era il capo di tutta la zona".
Rosina Nessi, altra teste, è altrettanto categorica: "Tutti dicevano che il capo era Motika".
In sostanza Pititto sostiene che visto che tutti dicevano che Motika era il capo allora il capo era Motika perché tutti dicevano che lo era. Perfetto.
Quanto a Piskulic le cose non sono molto diverse. Dice Claudio Schwarzenberg ("sindaco del libero comune di Fiume in esilio", legato ad Alleanza Nazionale) che "Piskulic fu responsabile dell'insanguinamento di Fiume nell'anno 1945".
Questi in sintesi i presupposti sui quali Pititto s'è basato per chiedere il rinvio a giudizio dei due indagati, e (il che non depone a merito della preparazione del GIP sull'argomento) sui quali il GIP ha deciso per il rinvio a giudizio. L'inizio dell'udienza è fissato per il 7 gennaio prossimo in Corte d'Assise a Roma.

Passiamo ora ad analizzare invece la figura del consulente storico di Sinagra, Marco Pirina. Pirina, esponente del FUAN a Roma negli anni Sessanta, poi leader del Fronte Delta, fu incriminato per il tentativo di golpe di Junio Borghese del 1970; fu prosciolto, come tutti gli imputati. Negli anni Ottanta iniziò a pubblicare, attraverso una casa editrice di proprietà sua e della moglie, una serie di testi di revisionismo storico, tesi a dimostrare la "barbarie" dei partigiani (soprattutto se "slavi" o "comunisti") ed a minimizzare i crimini commessi dai nazifascisti. Pirina in realtà di storia non ne capisce molto, però è un buon mistificatore, difatti (come dimostrato nel libro "Operazione foibe a Trieste" di Claudia Cernigoi, edito dalla Kappavu di Udine), nel suo libro "Genocidio..." del `95, ha dato per "uccise dai partigiani solo perché italiane" nella zona di Trieste 1458 persone, inserendo in questo elenco un 64% di nomi di persone che non c'entrano per niente, perchè, o si tratta di uccisi per altri motivi (anche partigiani e deportati nei lager tedeschi!), o di persone arrestate e poi rimpatriate, o addirittura di diversi nomi duplicati per errori di trascrzione o perché scomparsi in Istria o nella zona di Gorizia, dove Pirina li lascia tranquillamente presenti in due o più elenchi, facendo così in modo di far lievitare il numero dei morti.
Il revisonismo storico portato avanti da persone come Pirina, Papo, Rocchi, che descrive il movimento partigiano come "bande" di criminali, che si "dimentica" di spiegare che i partigiani diventarono tali (ed uccisero) non perché si svegliarono una mattina assetati di sangue, ma perché lo stato di oppressione imposto dai fascisti prima e dai nazifascisti poi, era ormai giunto ad un punto tale che non c'erano alternative, se si voleva sopravvivere; che prima delle "esecuzioni" dei partigiani, sono esistiti vent'anni di fascismo che aveva tolto tutte le libertà politiche e civili, una guerra tremenda, villaggi bruciati, rappresaglie feroci. Ma certe cose il revisionismo storico non le considera, secondo certi "storici" la storia in Istria è iniziata l'8 settembre ed è finita il 15 ottobre 1943, per poi ricominciare nei primi giorni di maggio del `45. Così a Trieste, dopo il 1deg. maggio `45, i partigiani avrebbero dovuto considerare che "la guerra era finita" (cosa non vera: tanto per dirne una, la Germania si arrese appena l'8 maggio) e che "chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato", e non si doveva più arrestare o fucilare gli "ex-fascisti" (come se il fatto che il fascismo fosse stato sconfitto portasse automaticamente la conseguenza che chi fino al giorno prima era fascista, aveva torturato ed ucciso, improvvisamente non poteva più essere ritenuto responsabile di nulla).
Ma questa teoria, fino a pochi anni fa patrimonio esclusivo della destra più retriva, ha ormai attecchito, disgraziatamente, anche in certi settori della sinistra, o quantomeno di una parte politica che si autodefinisce di "sinistra" ed anche "democratica"; l'abbiamo visto nel recente incontro "pacificatore" tra Fini e Violante a Trieste.
Qual è il risultato di tutto questo? Che in tutta Italia (non si tratta quindi solo di problemi legati alle zone di Trieste e dell'Istria) è iniziata la "caccia al partigiano assassino": in Piemonte come a Roma (per i fatti di via Rasella), si sta cercando di dimostrare che i partigiani erano "banditi", proprio come li definivano i nazifascisti; che si sono parificati i crimini nazifascisti alle azioni partigiane; che, forti del fatto che gli "slavocomunisti" hanno "infoibato" italiani in Istria e da questo "terrore" è poi dipeso l'esodo degli Istriani verso l'Italia, adesso l'Italia ha dei diritti su quelle terre, come ha avuto modo di dichiarare Sinagra in alcune conferenze tenute a Trieste: "lo stato italiano rivendica un diritto storico su regioni che sono italiane anche se provvisoriamente non lo sono"; oppure, come ebbe a dire nella stessa occasione il giornalista Biloslavo (che, nonostante il cognome, si sente "italianissimo" e scrive su giornali dell'estrema destra) che "il mare Adriatico diventi un lago italiano".
Neoirredentismo? L'apparenza è tutta quella. Ma non solo. Quando Sinagra afferma, nel corso di altra conferenza, organizzata da Alleanza Nazionale (la forza politica che P.D.S. e Violante da mesi stanno cercando di "sdoganare" e di attribuirle patenti di democraticità) che "questo parlamento va chiuso", tale dichiarazione, detta da un piduista confesso, cosa può evocare se non immagini golpiste?
Si processano le foibe per processare la Resistenza, per eliminare gli "opposti estremismi" (dove Fini ed i suoi, chissà perché, non vengono più considerati "estremisti"), per giungere alla "pacificazione", per poi riprendere col discorso neoirredentista sul confine orientale. Non si tratta qui di argomenti di cinquant'anni fa, questi nodi storici che ci portiamo dietro da cinquant'anni continueranno a condizionare le scelte politiche dei nostri governi (e non solo: ci sono anche poteri occulti dietro a tutto ciò...) per decenni ancora, se non si prenderà atto dello stato delle cose e non ci si metterà a smascherare le mistificazioni che su questi argomenti continuano ad essere portate avanti.


GIACOMO SCOTTI: FOIBE Un eccezionale documento che punta alla verità storica sulle "esecuzioni" compiute durante l'insurrezione popolare antifascista

(prima parte )


INNOCENTI
E COLPEVOLI

NELL'INFERNO
A CIELO APERTO


Introduzione

di GIAN LUIGI FALABRINO

Lo studio di Giacomo Scotti sugli eccidi del settembre 1943 in Istria è volutamente limitato nel tempo e nei luoghi: non considera infatti le deportazioni e le foibe delle quali furono vittime goriziani e triestini nel maggio 1945, né lo stillicidio di vittime in Istria in mezzo ai due terribili periodi. Ma, forse appunto per queste autolimitazioni, è documentato e preciso, e presenta tre grandi meriti. Il primo è di situare la tragedia del settembre 1943 nel contesto storico più ampio del dominio fascista sulla Venezia Giulia, dal 1922 al 1943, con le proibizioni dei partiti, delle scuole, dei giornali di sloveni e croati, l'interdizione all'uso delle loro lingue, le sentenze del tribunale speciale ecc., cui si aggiunge poi la repressione antipartigiana in Slovenia e in Dalmazia nel 1941 - '43. In ciò Scotti è molto vicino alle tesi di Teodoro Sala, autore di volumi e saggi sul fascismo e la Jugoslavia, sintetizzata su L'Espresso del 19 settembre 1996.

Certo, va detto che le colpe degli uni non giustificano le colpe degli altri, e Scotti ne è ben consapevole specialmente quando parla di alcuni delitti particolarmente efferati, quali l'uccisione di Norma Carretto, colpevole di essere figlia di un fascista, o delle tre sorelle Radecchi, di 17, 19 e 21 anni. Ma il giudizio storico non si preoccupa tanto delle giustificazioni, quanto delle spiegazioni. Comprendere non è perdonare, ma sbaglia chi, da una parte o dall'altra, ancora adesso, a cinquant'anni di distanza, crede che le vittime siano da una parte sola. Il secondo merito è di avere posto, con la chiarezza della propria tesi, il problema se le foibe siano state o no un atto di genocidio. Scotti lo nega, e per il settembre 1943 sarebbe difficile credere il contrario. Semmai il problema si pone per il 1944-'45, ma con Scotti, anche Galliano Fogar sembra contrario ad ammettere il genocidio: "Non fu un piano di sterminio etnico" (in "Lettera ai compagni" del settembre 1996).

Secondo Fogar, il leader del partito comunista sloveno, Kardelj, aveva dato la direttiva di "epurare non sulla base della nazionalità ma del fascismo"; però per fascismo, chiarisce lo storico, s'intendevano "tutti gli oppositori politici, nazionali, ideologici", compresi gli uomini del CLN di Trieste e Gorizia in quanto non comunisti e oppositori delle annessioni alla Jugoslavia. Questo chiarimento di Fogar sembra dare ragione alla tesi estensiva di Nicola Tranfaglia (L'Unità del 22 agosto 1996): "Si tratta di azioni di terrorismo nazionalista che non hanno nulla da invidiare, quanto a metodi e conseguenze, ad ogni altro eccidio di quegli anni e non hanno alcuna giustificazione storica".

Del resto, anche in forme meno cruente ma certamente odiose, le intimidazioni anti-italiane continuarono anche dopo la guerra e, in quella piccola parte dell'Istria che con Trieste avrebbe dovuto costituire il Territorio Libero, addirittura fino al 1954. Del resto Milovan Gilas in un'intervista a Panorama (21 luglio 1991) aveva dichiarato: "Nel 1946 io e Edward Kardelj andammo in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana. Bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo". Il terzo merito del saggio di Scotti sta nel dare un contributo, preciso e documentato, al riesame delle vicende della regione orientale, che l'Italia sembra scoprire soltanto adesso, dopo che nell'agosto 1996 Stelio Spadaro, segretario del Pds di Trieste, ha reso pubblico un suo documento "revisionista" nel quale, fra l'altro, affermava: "La sinistra italiana ha rimosso a lungo la vicenda, ora deve fare i conti con la storia".
Allora scoppiò un putiferio, la sinistra si divise, gli storici locali dimostrarono che non avevano mai ignorato le foibe, il Corriere della Sera rilanciò la questione con un editoriale, e molti intervennero con opposte interpretazioni, sia dei fatti, sia del vero o presunto silenzio della sinistra. Ci fu davvero il silenzio della sinistra? E se fu un silenzio non fu anche degli altri settori della politica e della cultura? Sono sicuro che la rimozione ci fu, e che fu generalizzata, non soltanto della sinistra, non soltanto sulle foibe, ma sull'intera vicenda della Venezia Giulia e degli esuli del 1945 - '54, ignorati o respinti come seccatori, come viventi promemoria delle conseguenze della guerra fascista che tutti volevano dimenticare. Nella sua evidente verità, appare perfino ingenua la rivendicazione dei politici e degli storici giuliani, che dicono di non aver mai dimenticato.

Claudio Tonel, dirigente del Pds triestino, il 23 agosto 1996 aveva dichiarato "Non è vero che le vicende siano state dimenticate dalla sinistra. Forse nel resto d'Italia, ma non qui. Io stesso ho curato una decina di volumi in materia e ho organizzato convegni". E Fogar ha rivendicato il molto lavoro svolto dall'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione di Trieste. "A Trieste le foibe sono all'ordine del giorno da più di quarant'anni". Ma guai se non fosse così, in una città che ha avuto molte vittime, che ha la foiba di Basovizza nella propria periferia carsica, e che ha visto alcuni processi per le foibe, come quello del 1948 al gruppo di Villa Segré, che aveva coinvolto il celebre comico dialettale Cecchelin.

Ma quando si parla del silenzio, non ci si riferisce, evidentemente, ai convegni e alle riviste locali; si parla di tutta l'Italia al di qua dell'Isonzo, dei partiti, dei giornali, dei libri si storia. le parole più chiare e convincenti le ha scritte proprio uno storico, Nicola Tranfaglia: per lui, che si dissocia da quanti cercano di difendere i massacri dei nazionalisti jugoslavi e di trovare una giustificazione storica, "la storiografia di sinistra italiana deve scontare ancora un notevole ritardo sui problemi e sui delitti dello stalinismo". Ma chi ha vissuto quegli anni con l'interesse e con la sensibilità di chi era a Trieste fra guerra e dopoguerra, sa che il silenzio non fu soltanto della storiografia e non soltanto della sinistra. Tutto lo schieramento democratico lasciò la memoria delle foibe e dell'esodo dei 300 o 350mila istriani all'interessata propaganda dei neofascisti. Questo naturalmente diffuse un velo sulle colpe fasciste e operò quella strumentalizzazione delle vicende giuliane, che Scotti giustamente deplora. Ma la responsabilità di aver lasciato soli i missini è di tutti gli altri, anche dei governi, imbarazzati, come ha scritto Ernesto Galli della Loggia (sul Corriere della Sera del 23 agosto) "per i numerosi episodi di feroce rappresaglia compiuti dalle truppe italiane che avevano occupato la Jugoslavia dal '41 al '43.

Alla richiesta di Belgrado, subito dopo la fine delle ostilità, che fossero estradati come criminali di guerra un certo numero di ufficiali italiani che di crimini del genere ne avevano quasi sicuramente commessi davvero, parve politicamente avveduto rispondere mettendo la sordina, da parte nostra, sulle atrocità commesse a loro volta dai partigiani titini nei confronti delle popolazioni italiane". L'analisi è acuta e probabilmente veritiera; ma forse le cause di una rimozione così generalizzata non possono esaurirsi nella furbizia governativa, ma debbono essere più ampie. Un'ipotesi è che l'identificazione compiuta dal fascismo di sé stesso con la patria, la riduzione fascista della storia del Risorgimento alla storia del nazionalismo, avessero portato a quel generale rifiuto del concetto di nazionalità, d'italianità, che ci ha distinti in questi cinquant'anni rispetto agli altri popoli europei. Buttare via il nazionalismo dopo l'orgia fascista era più che giusto; confonderlo con il senso, anche culturale, della nazionalità ha creato il vuoto del quale si è cominciato a discutere in Italia soltanto da quando il secessionismo di Bossi ha dato una sgradevole sveglia.

di GIAN LUIGI FALABRINO


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Testo di GIACOMO SCOTTI (l'Autore del libro)

Rapidissima premessa.

Il fenomeno degli infoibati, e cioè del seppellimento di persone (fucilate o in altro modo giustiziate) nelle cave carsiche dette foibe e nelle cave di bauxite ad opera degli insorti guidati dal Movimento resistenziale sloveno, croato e italiano in Istria e nella Venezia Giulia, conobbe due periodi e due territori distinti.
Il primo riguarda l'Istria e va dal 9 settembre al 13 ottobre 1943 e cioè subito dopo l'armistizio firmato da Badoglio, quando quasi tutta la penisola incuneata fra Trieste e Fiume cadde sotto il controllo degli insorti, rispettivamente dei partigiani di quella regione; il secondo periodo va dal 1° maggio alla metà di giugno 1945 e riguarda le città di Trieste e Gorizia con i rispettivi territori conquistati ed amministrati per 45 giorni dalle truppe jugoslave.
Questo lavoro si occupa dell'Istria e del primo periodo presentando nel contesto anche alcuni documenti finora inediti o scarsamente conosciuti.

Quando terminò la prima guerra mondiale e nell'Istria ex austro-ungarica sbarcarono le truppe italiane, nella regione risiedevano circa duecentomila croati e sloveni autoctoni (ne erano stati registrati 225.423 nell'ultimo censimento austriaco nel 1910) e cioè il 58 per cento della popolazione totale. Era una popolazione, quella slava, composta in prevalenza da contadini; la popolazione italiana invece era composta da lavoratori dell'industria, da artigiani, da commercianti e proprietari terrieri presenti più o meno compattamente nelle cittadine costiere quali Capodistria, Isola, Pirano, Umago, Cittanova, Parenzo, Orsera, Rovigno, Dignano, Pola, Albona e in alcuni centri maggiori dell'interno o poco lontani dalla costa quali Buie, Montona, Pinguente e Pisino.
Ancor prima della firma del Trattato di Rapallo del 1920 che assegnò definitivamente l'Istria all'Italia, quando ancora la regione era soggetta al regime di occupazione militare, la popolazione dell'Istria si trovò di fronte allo squadrismo italiano in camicia nera, parzialmente importato da Trieste, che in quella regione si manifestò con particolare aggressività e ferocia, servendosi non soltanto dell'olio di ricino e del manganello.

Gli stessi storici fascisti, tra i quali spicca l'istriano G.A. Chiurco, vantandosi delle gesta degli squadristi e glorificandole nelle loro opere, hanno abbondantemente documentato i misfatti compiuti dagli assassinii di antifascisti italiani quali Pietro Benussi a Dignano, Antonio Ive a Rovigno, Francesco Papo a Buie ed altri alla distruzione delle Camere del lavoro ed all'incendio delle Case del popolo, alle sanguinose spedizioni nei villaggi croati e sloveni della penisola, ecc.
Questi misfatti continuarono sotto altra forma dopo la presa del potere a Roma da parte di Mussolini, con la creazione del regime fascista.

Ancora una volta il risultato fu disastroso soprattutto per gli "allogeni" istriani: furono distrutti e/o aboliti tutti gli enti e sodalizi culturali, sociali e sportivi della popolazione slovena e croata; sparì ogni segno esteriore della presenza dei croati e sloveni, vennero abolite le loro scuole di ogni grado, cessarono di uscire i loro giornali, i libri scritti nelle loro lingue furono considerati materiale sovversivo; con un decreto del 1927 furono forzosamente italianizzati i cognomi di famiglia (in alcuni casi il cambio dei cognomi fu attuato con tale diligenza che due fratelli, o padre e figlio, ricevettero due cognomi diversi), furono italianizzati anche i toponimi; migliaia di persone finirono al confino (Tremiti, Ustica, Ponza, Ventotene, S.Stefano, Portolongone, Lipari, Favignana, ecc.) o nel migliore dei casi, se dipendenti statali, specialmente ferrovieri furono trasferiti in altre regioni d'Italia; nelle chiese le messe poterono essere celebrate soltanto in italiano, le lingue croata e slovena dovettero sparire perfino dalle lapidi sepolcrali, queste stesse lingue furono cacciate dai tribunali e dagli altri uffici, bandite dalla vita quotidiana.

Gli allogeni o alloglotti furono discriminati perfino nel servizio militare, finendo nei cosiddetti "Battaglioni speciali" in Sicilia e Sardegna. Alcune centinaia di democratici italiani, socialisti, comunisti e cattolici che lottarono per la difesa dei più elementari diritti delle minoranze subirono attentati, arresti, processi e lunghi anni di carcere inflitti dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato. I principali "covi sovversivi" furono Rovigno, Pola e il bacino carbonifero di Albona-Arsia. Per gli slavi il risultato fu la fuga dall'Istria di circa 60.000 persone, metà delle quali trovò rifugio nelle due Americhe e l'altra metà nell'ex Jugoslavia. Sul piano ideologico il risultato fu che nella stragrande maggioranza questi esuli istriani slavi si schierarono sui fronti di due estremismi: andarono a rafforzare le file comuniste oppure quelle nazionaliste degli ustascia e oriunasci, due fronti opposti ma accomunati dall'odio contro l'Italia.

Il movimento comunista jugoslavo, sia notato per inciso, era di per sé sostenuto da una forte tendenza nazionalista e questa tendenza fu nutrita anche da un forte sentimento anti-italiano nelle organizzazioni del PC croato e sloveno, come dimostra la politica condotta nei riguardi dell'Istria, della Venezia Giulia e Dalmazia da alcuni leader di quei due partiti negli anni della Resistenza e in particolare dal massimo esponente del comunismo sloveno Edvard Kardelj. A questa tendenza ed a questa politica nazionalista-espansionista e non all'ideologia comunista vanno addebitati alcuni "eccessi" compiuti in Istria immediatamente dopo l'armistizio del settembre 1943 e le cosiddette "deviazioni" verificatesi sempre in Istria dopo il maggio 1945 con il ritorno anche degli esuli croati di tendenza nazionalista.
La conseguenza di tutti gli "errori", "deviazioni" e, in genere, di una politica della mano pesante, fu l'esodo di 200-250.000 persone, italiani, croati e sloveni insieme, senza distinzione. Uno di questi esuli, il rovignese prof. Sergio Borme, attualmente a Pavia, ha scritto (Il Piccolo, Trieste, 17 settembre 1996): "...la questione delle foibe. Molti commentatori hanno ritenuto di poterla indicare nell'ideologia comunista dimenticando che il "confine sul Tagliamento" era stato l'obiettivo del nazionalismo slavo molto prima che il regime jugoslavo nascesse. Facendo proprio quell'obiettivo, l'ideologia si metteva al servizio del nazionalismo e non viceversa. (...) Alla guida della Croazia e della Slovenia troviamo oggi personaggi che erano stati le colonne portanti del regime, ma una metamorfosi così repentina e radicale sarebbe stata impossibile se l'adesione all'ideologia (dell'internazionalismo comunista) fosse stata reale e convinta". Purtroppo a rafforzare il nazionalismo anti-italiano nelle file del Movimento partigiano di liberazione e dei partiti comunisti sloveno, croato e montenegrino fu ancora una volta il fascismo mussoliniano che nella seconda guerra mondiale portò l'Italia ad aggredire i popoli jugoslavi.

Quell'aggressione tra il 6 aprile 1941 e l'inizio di settembre 1943 fu caratterizzata come documenta lo storico triestino Teodoro Sala ("L'Espresso", Roma, 19 settembre 1996) non soltanto dalle brutali annessioni delle Bocche di Cattaro, di larghe fette della Croazia e di una parte della Slovenia, ma anche da una lunga serie di crimini di guerra compiuti da speciali reparti di occupazione, fra i quali si distinsero per ferocia le Camicie Nere, per ordine dello stesso Mussolini e di alcuni generali: "si giunse alle scelte più draconiane dei comandi militari italiani", Ne derivarono "rapine, uccisioni, ogni sorta di violenza perpetrata (...) a danno delle popolazioni". Decine di migliaia di civili furono deportati nei campi di concentramento disseminati dall'Albania all'Italia meridionale, centrale e settentrionale, dall'isola adriatica di Arbe (Rab) fino a Gonars e Visco nel Friuli, a Chiesanuova e Monigo nel Veneto.

In quei lager italiani morirono 11.606 sloveni e croati. Nel solo lager di Arbe ne morirono 4.000 circa, fra cui moltissimi vecchi e bambini per denutrizione, stenti, maltrattamenti e malattie. A proposito ecco un documento del 15 dicembre 1942. In quella data l'Alto Commissariato per la Provincia di Lubiana, Emilio Grazioli, trasmise al Comando dell'XI Corpo d'Armata il rapporto di un medico in visita al campo di Arbe dove gli internati "presentavano nell'assoluta totalità i segni più gravi dell'inanizione da fame". Sotto quel rapporto il generale Gastone Gambara scrisse di proprio pugno: "Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo".

Sempre nel 1942, il 4 agosto, il generale Ruggero inviò un fonogramma al Comando dell'XI Corpo in cui si parlava di "briganti comunisti passati per le armi" e "sospetti di favoreggiamento" arrestati. In una nota scritta a mano il generale Mario Robotti impose; "Chiarire bene il trattamento dei sospetti (...). Cosa dicono le norme 4C e quelle successive? Conclusione: si ammazza troppo poco!".

L'ultima frase è sottolineata. Il generale Robotti alludeva alle parole d'ordine riassuntive del generale Mario Roatta, comandante della II Armata italiana in Slovenia e Croazia (Supersloda) il quale nel marzo del 1942 aveva diramato una Circolare 3C nella quale si legge: "Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente ma bensì da quella testa per dente".

Una frase che ci fa ricordare l'eccidio di Gramozna Jama in Slovenia dalla quale furono riesumati nel dopoguerra i resti di un centinaio di civili massacrati durante l'occupazione per ordine delle autorità militari italiane. Furono alcune migliaia i civili "ribelli" falciati dai plotoni di esecuzione italiani, dalla Slovenia alla "Provincia del Carnaro", dalla Dalmazia fino alle Bocche di Cattaro e Montenegro senza aver subito alcun processo, ma in seguito a semplici ordini di generali dell'esercito, di governatori o di federali e commissari fascisti. In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta in data 8 settembre 1942 (N. 08906) fu proposta la deportazione della popolazione slovena. "In questo caso scrisse si tratterebbe di trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, di insediarle all'interno del regno e di sostituirle in posto con popolazione italiana".

Il figlio di Nazario Sauro (l'eroe della Prima guerra mondiale), Italo Sauro, in un "Appunto per il Duce", nel quale riferisce un suo colloquio con l'SS Brigade Fuehrer Guenter (v. Bollettino n. 1/aprile 1976 dell'Istituto regionale per la storia del Movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia), lo informava tra l'altro: "Per quanto riguarda la lotta contro i partigiani, io avevo proposto il trasferimento in Germania di tutta la popolazione allogena compresa tra i 15 e i 45 anni con poche eccezioni", ma i tedeschi dissero di no.

Andremmo troppo lontano se volessimo citare altri documenti, centinaia, che ci mostrano il volto feroce dell'Italia monarchica e fascista in Istria e nei territori jugoslavi annessi o occupati nella seconda guerra mondiale. Gli stupri, i saccheggi e gli incendi di villaggi si ripetevano in ogni azione di rastrellamento. Una documentazione di questi crimini la si può trovare nel mio libro "Bono Taliano" (Italiani in Jugoslavia 1941-43 - La Pietra, Milano, 1977), nel volume "La dittatura fascista" di Autori vari (Teti, Milano, 1984) nel quale Teodoro Sala dedica un corposo capitolo a "Fascismo e Balcani. L'occupazione della Jugoslavia" e in altre opere. Tuttavia, trattandosi qui dell'Istria, vogliamo accennare rapidamente almeno a pochi episodi che precedettero di pochi mesi i fatti del settembre1943.

Nell'estrema parte nord-orientale dell'Istria, alle spalle di Abbazia, le autorità militari italiane intrapresero all'inizio di giugno 1942 un'azione prettamente terroristica contro le famiglie dalle quali risultava assente qualche congiunto, sicché potevano ritenere che avesse raggiunto le file dei "ribelli" (partigiani). Un comunicato del generale Lorenzo Bravarone informò che il 6 giugno erano state arrestate e deportate nei campi di internamento in Italia 34 famiglie per un totale di 131 persone di Kastav/Castua, Marcelji/Marcegli, Rubessi, San Matteo (Viskovo) e Spincici.

I loro beni mobili, compreso il bestiame grosso e minuto, furono confiscati o abbandonati al saccheggio delle truppe, le loro case incendiate, dodici persone vennero passate per le armi senza alcun processo. Ancora più terribile fu la sorte toccata agli abitanti della zona di Grobnik/Grobnico, a nord di Fiume. I maestri elementari Giovanni e Franca Renzi, mandati dal regime a "italianizzare" i bambini croati del villaggio di Podhum annesso alla Provincia del Carnaro nel 1941, erano diventati malfamati nella zona per i maltrattamenti e le punizioni inflitte a quei bambini colpevoli unicamente di non apprendere rapidamente la lingua italiana. Tra l'altro, il maestro, affetto da TBC, soleva sputare in bocca ai disgraziati alunni a lui affidati quando sbagliavano un verbo o un vocabolo.
Finirono ammazzati da non si sa chi il 10 giugno 1942.

A un mese di distanza, risultati vani i tentativi di individuare gli uccisori dei due insegnanti, e insoddisfatto della spedizione punitiva compiuta il 6 giugno, il prefetto di Fiume, Temistocle Testa, ordinò una rappresaglia sanguinosa: reparti di camicie nere nei quali furono mobilitati per l'occasione anche numerosi giovani fascisti italiani di Fiume, insieme a reparti delle truppe regolari; irruppero nel villaggio di Podhum all'alba del 13 luglio. Rastrellata l'intera popolazione, questa fu condotta in una cava di pietra presso il campo di aviazione di Grobnico, mentre il villaggio veniva saccheggiato e poi incendiato. Il fuoco distrusse alcune centinaia di case, oltre mille capi di bestiame furono portati via, 889 persone finirono nei campi di internamento italiani: 412 bambini, 269 donne e 208 maschi anziani. Altri 91 uomini furono fucilati nella cava: il più anziano aveva 64 anni, il più giovane 13 anni appena.

Sempre nella zona di Fiume, il 3 maggio 1943, per ordine del solito Testa, reparti di Camicie Nere e di fanteria rastrellarono il villaggio di Kukuljani e alcune sue frazioni, portarono via tutto il bestiame, saccheggiarono le case, deportarono la popolazione e quindi appiccarono il fuoco alle abitazioni, alle stalle e agli altri edifici "covi di ribelli", distruggendo completamente 80 case a Kukuljani e 54 a Zoretici. Nei campi di internamento finirono 273 abitanti di Kukuljani e 200 di Zoretici.

Alla luce di questi fatti, dunque, vanno visti gli avvenimenti del settembre 1943 in Istria. Alla notizia della capitolazione militare italiana, diffusasi anche in Istria nel tardo pomeriggio dell'8 settembre, in quella penisola ci fu una generale, pressoché spontanea rivolta popolare che coinvolse in eguale misura le popolazioni italiane nei centri costieri e quelle croate e slovene nell'interno. Nell'uno e nell'altro caso (e fatte le solite eccezioni) gli insorti mostrarono simpatia e solidarietà con le truppe in grigioverde che altrettanto spontaneamente avevano estrinsecato la propria gioia per la "fine della guerra", mentre la punta offensiva della lancia fu rivolta in alcuni casi contro i Carabinieri, la Polizia di Stato e soprattutto contro i gerarchi fascisti.

Sporadicamente, nell'interno, si fece di tutta l'erba un fascio ed i vocaboli "fascista" e "italiano" ebbero un unico significato. Le strutture militari dello Stato non opposero alcuna resistenza (fece eccezione Pola dove contro i manifestanti fu aperto il fuoco per ordine del Comando di guarnigione e si ebbero tre morti fra i civili), sicché nel giro di pochi giorni entro l'11 settembre le armi dell'esercito e dei carabinieri passarono agli insorti. Senza colpo ferire cedettero le armi i presidi, piccoli e grandi, di Antignana, Lanischie, Pisino, Cerreto, Castel Lupogliano, Rozzo, Pinguente, Canfanaro, Rovigno, Carnizza, Altura, Arsia, Parenzo e via via di altri centri presidiati da reparti di Alpini, di Fanteria costiera, di Carabinieri e Guardia di Finanza. Molti soldati si unirono agli insorti. Sembrava un trionfo, ma non era così.

La svolta si ebbe il 13 settembre. Quel giorno si capì definitivamente che su tutto incombeva la grave minaccia tedesca. Così in piena autonomia, spontaneamente, gli improvvisati capi del movimento insurrezionale di Parenzo, Rovigno ed Albona, tutti italiani, decisero di opporsi con le armi all'avanzata dei Tedeschi. Una decisione presa anche sull'onda di una terribile notizia giunta da Pola. Quel 13 settembre nel capoluogo istriano, con l'aiuto dei loro carcerieri, i detenuti politici e comuni rinchiusi nel carcere di Via dei Martiri riuscirono ad evadere. Inseguiti da pattuglie tedesche con il supporto di manipoli di fascisti, furono in gran parte abbattuti con le armi; gli altri, catturati, finirono impiccati agli alberi di Via Medolino. I primi conflitti a fuoco nella penisola istriana avvennero quello stesso giorno contro due colonne tedesche: una scendeva da Trieste verso Parenzo e Rovigno lungo la costa occidentale con l'intento di raggiungere Pola (dove riuscì infatti ad arrivare); un'altra, partita da Pola, cercava di salire lungo la costa orientale.

I primi caduti fra gli insorti, purtroppo numerosi, furono italiani e croati, massacrati nei pressi di Tizzano, a nord di Parenzo, poi presso il Canale di Leme a nord di Rovigno e infine sulla strada che da Dignano porta a Pola. Gli scontri con la seconda colonna, che invece fu respinta, si ebbero sulla strada tra Arsia e Piedalbona ed a Berdo presso Vines sempre nell'Albonese. Si trattava di distaccamenti della 71ma Divisione germanica, circa 300 uomini. Presso Tizzano i caduti fra gli insorti furono ben 84, dei quali pochi uccisi in battaglia, tutti gli altri trucidati dopo la cattura. Fra i massacrati ci furono alcuni soldati "regnicoli", tutti gli altri erano giovani croati e italiani del Parentino. Tutti italiani furono invece i 16 caduti rovignesi che tentarono di fermare la colonna dapprima sul Leme e poi nei pressi di Dignano. In gran parte italiani, infine, furono i 43 caduti nelle file degli insorti che, al comando di Aldo Negri, si opposero alla colonna tedesca presso Arsia e Vines nella zona di Albona.

Nonostante queste perdite, l'Istria intera ad eccezione di Pola, Dignano, Fasana e isole di Brioni occupate dai tedeschi il 13 settembre grazie al cedimento dei comandi militari italiani, cadde sotto il controllo degli insorti che entro il 14 settembre costituirono ovunque i Comitati popolari di liberazione (CPL), quali organi amministrativi della Resistenza in sostituzione dei Podestà e dei Commissari governativi italiani.

In concomitanza con l'insurrezione, ma soprattutto dopo gli scontri del 13 settembre, cominciarono gli arresti dei gerarchi fascisti, di podestà e di altri funzionari ma anche di semplici iscritti al fascio da parte degli insorti sia per iniziativa di singoli che per ordine dei vari CPL. Fra gli arrestati -e gli arresti avvennero anche su denuncia di persone convertitesi all'ultima ora alla causa del Movimento di Liberazione- vi furono persone indicate come responsabili di collaborazionismo con l'occupatore tedesco per aver guidato, o in altro modo aiutato, le due colonne germaniche nella loro marcia e nel corso degli scontri.
I primi e più massicci arresti avvennero nelle zone di Rovigno e di Albona dove il comando del movimento insurrezionale e partigiano fu assunto da comunisti affiliati al PC italiano, a Parenzo e dintorni e nel Pisinese. La maggioranza degli arrestati era formata da quei gerarchi fascisti locali che si erano meritati l'odio delle popolazioni vittime delle loro persecuzioni e vessazioni pluriennali.
Nel mucchio capitarono però anche "fascisti" che non avevano colpe da espiare o con i quali i delatori avevano antichi conti personali da regolare. I vendicatori, ovviamente, si servirono pretestuosamente degli slogan e dei simboli della Resistenza e del comunismo.

Gli arresti, preludio degli efferati anche se non progettati infoibamenti, avvennero quasi tutti fra il 13 e il 25 settembre. A questo proposito per la prima volta in versione italiana, presenterò qui un documento di provenienza croato-ustascia, uscito cioè dagli archivi dell'ex cosiddetto Stato indipendente di Croazia, creato dal Poglavnik ovvero Duce fascista croato Ante Pavelic con l'aiuto di Mussolini e Hitler e durato dal 10 aprile 1941 all'8 maggio 1945. Il documento è stato rintracciato dallo storico Antun Giron di Fiume, da oltre tre decenni impegnato presso il Zavod za povjesne i drustvene znanosti, Istituto di scienze storiche e sociali, dell'Accademia croata di arti e scienze.

Lo studioso ha pubblicato il documento sulle pagine della rivista "Vjesnik PAR" -N.37/1995. Si tratta di un rapporto segreto relativo ai fatti accaduti in Istria nel settembre-ottobre 1943, scritto il 28 gennaio 1944 dal prof. Nikola Zic, un pubblicista croato nato a Villa di Ponte (Punat) sull'isola di Veglia nel 1882. In quel periodo lo Zic lavorava per i servizi di informazione del Ministero degli Esteri dello Stato croato. Secondo Zic, "il popolo considerava la rivolta popolare solamente dal punto di vista nazionale croato". La sua relazione continua riandando ai primissimi giorni dell'insurrezione istriana:
"All'inizio a nessun Italiano è stato fatto nulla di male. I partigiani avevano diramato l'ordine che non doveva essere fatto del male a nessuno. Ma qualche giorno dopo lo scoppio della rivolta popolare (e cioè il 13 settembre, N.d.T.) alcuni corrieri a bordo di motociclette sidecar hanno portato la notizia che i fascisti di Albona avevano chiamato e fatto venire da Pola i tedeschi in loro aiuto e questi avevano aperto il fuoco contro i partigiani. Poco dopo si è saputo che i tedeschi erano stati chiamati in aiuto anche dai fascisti di Canfanaro, Sanvincenti e Parenzo, fornendogli informazioni sui partigiani. Rispondendo alla chiamata è subito arrivata a Sanvincenti una colonna tedesca. Tutte queste voci hanno creato una grande avversione verso i fascisti. Essi ci tradiranno! si sentiva dire dappertutto. Pertanto partigiani e contadini hanno cominciato ad arrestare e imprigionare i fascisti, ma senza alcuna intenzione di ucciderli. I partigiani decisero di fucilarne soltanto alcuni, i peggiori, ma anche molti fra questi sono stati salvati grazie all'intervento dei contadini croati e ancor più dei sacerdoti".

A questa affermazione del relatore ustascia va aggiunta una precisazione: per la liberazione delle persone arrestate fu decisivo l'intervento presso i capi partigiani del vescovo di Parenzo e Pola, Mons. Raffaele Radossi. La relazione Zic prosegue informandoci della sorte di coloro che rimasero in carcere - le prigioni principali gestite dai partigiani istriani erano quelle di Albona, Pinguente e Pisino - sottoposti a interrogatori e giudizi dei "tribunali del popolo". "Purtroppo quando, alcuni giorni più tardi, cominciarono ad avanzare i reparti germanici, i partigiani vennero a trovarsi nell'impaccio, non sapendo dove trasferire i prigionieri fascisti per non farli cadere nelle mani dei tedeschi. In questo imbarazzo hanno deciso di ammazzarli.

Ne hanno uccisi circa 200 gettandone i corpi nelle foibe. Tuttavia molti altri fascisti sono riusciti a scappare raggiungendo Pola e Trieste, rivolgendosi ai Tedeschi per aiuto. Stando a quanto si è saputo in seguito, i fascisti istriani avrebbero informato i tedeschi che nella sola Pisino si trovavano 100 mila partigiani; in verità ce n'erano forse in tutto un paio di centinaia. A questo punto il Comando germanico ha deciso di rastrellare l'Istria inviando nella regione alcune divisioni SS corazzate". Il rapporto prosegue enumerando i massacri compiut

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by morfeo Friday, Nov. 29, 2002 at 10:40 AM mail:

Il rapporto prosegue enumerando i massacri compiuti dai tedeschi fino alla metà di novembre da un capo all'altro dell'Istria, ma noi per ora ci fermiamo qui.

Avremo occasione di tornare al documento in seguito. La cifra riferita dallo Zic è largamente incompleta. Stando a una dichiarazione rilasciata alla fine di gennaio 1944 dal segretario del Partito fascista repubblicano e pubblicata dalla stampa della RSI dell'epoca, in Istria finirono infoibate dagli insorti 349 persone, in gran parte fascisti. Ora è vero che l'alto gerarca ci teneva ad arricchire il martirologio dei "combattenti per la causa" del fascio littorio, ma gli va pur riconosciuto il merito di non aver esagerato come fanno certi "storici" odierni simpatizzanti di quel regime: quella era la cifra che all'epoca si dava per accettabile. Oggi siamo addirittura propensi a considerarla inferiore alla realtà. Un'altra considerazione da fare a proposito della relazione Zic riguarda gli arresti dei fascisti. Essi non cominciarono il 14 o 15 settembre come si potrebbe dedurre da quel documento (e cioè dopo gli scontri di Tizzano, Leme, Albona e Vines) bensì alcuni giorni prima, l'11 settembre; le prime esecuzioni sommarie, invece, ebbero luogo il 18 dello stesso mese. Secondo lo storico Giron, "le fucilazioni venivano eseguite dopo gli interrogatori ed a conclusione di processi sommari collettivi, oppure senza essere preceduti nemmeno da un procedimento istruttorio. I cadaveri dei fucilati venivano gettati nelle grotte carsiche, oppure nelle vecchie cave delle miniere di bauxite".

Le foibe con i resti mortali di persone uccise tra il 18 settembre e i primi giorni dell'offensiva tedesca (sferrata nella notte tra l'1 e il 2 ottobre) vennero esplorate dai vigili del fuoco di Pola, a più riprese, alla presenza di autorità militari tedesche, a cominciare dalla zona di Vines il 21 ottobre 1943, fino al gennaio 1944 quando si era ormai conclusa l'offensiva "Istrien", durante la quale le SS, appoggiate da gruppi di fascisti italiani uccisero circa 3 mila persone, appiccando il fuoco a circa mille case e deportando alcune migliaia di istriani, pochi dei quali sono tornati fra i vivi. (Il 7 ottobre, il Comando germanico, comunicando di aver portato a termine il grande rastrellamento, comunicò testualmente: "Sono stati contati i corpi di 3.700 banditi uccisi (...) Altri 4.500 sono stati catturati, fra cui gruppi di soldati e ufficiali italiani".
Il 13 ottobre un altro comunicato parlava invece di 13.000 banditi "uccisi o fatti prigionieri" . Ma era una esagerazione). Le foibe esplorate dai pompieri di Pola, oltre a quelle di Vines, furono quelle di Barbana, Gimino, Lindaro, Surani, Castellier, Carnizza ed alcune altre. Ma non tutti i fucilati finirono nelle foibe. D'altra parte non va taciuto il fatto che numerose persone arrestate e imprigionate a Pinguente e Villanova (Nova Vas) non subirono procedimenti istruttori né furono fucilate. A Pinguente furono trascinati oltre 100 gerarchi fascisti rastrellati a Capodistria, Isola e Umago il 26-27 settembre dagli uomini della II Brigata istriana: furono tutti liberati alla notizia che stavano arrivando i tedeschi. Nei dintorni di Pisino, invece, agenti dell'OZNA (Distaccamento per la difesa del popolo) fucilarono negli stessi giorni alcuni "narodnjaci" croati che avevano massacrato per vendetta alcuni italiani. Va anche detto che nella zona tra Rovigno, Orsera e Parenzo, e ad Albona, una cinquantina di persone tutti italiani furono arrestate per decisione dei capi "rivoluzionari" italiani del luogo.

A Rovigno, città compattamente italiana etnicamente, i militanti del PC italiano costituirono un "Comitato Rivoluzionario Partigiano" composto da Aldo Rismondo, Egidio Caenazzo, Mario Cherin, Giusto Massarotto, Mario Hrelja, Antonio Braicovich, Paolo Poduje, Pino Budicin, Francesco Poretti, Riccardo Daveggia e Giovanni Pignaton. Una delle misure "rivoluzionarie" prese da quel comitato fu la compilazione di una lista di fascisti locali maggiormente distintisi come persecutori, in tutto 18, che vennero subito arrestati e portati al Comando partigiano nella sede dell'ex Casa del Fascio. Dopo l'interrogatorio sul posto, i prigionieri furono trasportati a Pisino dove insieme ad altri fascisti di nazionalità italiana e croata in precedenza catturati nelle varie località istriane furono condannati a morte dal Tribunale del popolo. Saranno giustiziati alcune ore prima dell'arrivo dei tedeschi all'inizio di ottobre.

Dal volume del Rocchi apprendiamo poi di 55 salme estratte "a grappoli di tre quattro" dalla foiba di Terli scandagliata dai pompieri di Pola il 1° novembre, ma qualche riga più avanti l'autore si contraddice presentandoci cifre diverse: "delle 27 vittime vengono riconosciute 25" e passa ai nomi: tre sorelle Radecchi (Radeki, famiglia croata) di Polje (Lavarigo) presso Pola: Fosca di diciassette anni, Caterina di diciannove e Albina di ventuno, quest'ultima in stato di gravidanza, che erano state arrestate il 1° ottobre (e seguono i nomi degli altri infoibati. N.d.R.).

Tra le salme estratte dalla foiba di Surani c’era quella della studentessa universitaria Norma Cossetto, ventiquattro anni da Santa Domenica di Visinada, figlia di Giuseppe Cossetto, ex segretario del Fascio di Santa Domenica di Visinada e nipote dell’ammiraglio Cossetto che nel 1945 firmerà una lunga testimonianza sul sacrificio della giovane catturata il 25 settembre da un gruppo di uomini che il giorno precedente avevano saccheggiato la sua abitazione. Condotta dapprima a Visignano, fu trasferita a Parenzo e successivamente ad Antignana, dove fu violentata e torturata da diciassette esaltati ubriachi e quindi gettata nuda nella vicina foiba di Surani. Durante gli interrogatori subiti si rifiutò tenacemente di rinnegare la sua militanza fascista (suo padre Giuseppe Cossetto, proprietario terriero, era stato Commissario governativo delle Casse Rurali della Provincia e per lunghi anni Podestà oltre che segretario del Fascio di S. Domenica di Visinada e tra i massimi gerarchi del regime in Istria) e respinse pure tutte le offerte fattele di assumere mansioni direttive nel movimento partigiano. E questo, stando a quanto detto all’autore di questo saggio da un suo parente residente a Fiume, Silverio Cossetto, scatenò il furore dei violentatori.

Il padre di Norma, che poche ore prima era accorso insieme al sottotenente del genio Mario Bellini, suo parente, per chiedere la liberazione della figlia, rimase ucciso insieme all’ufficiale in un agguato, di sera, all’ingresso del paese. I loro cadaveri, come già detto, finirono nella foiba di Castellier di Visinada. Dei diciassette torturatori di Norma, sei caddero nelle mani di un manipolo di fascisti repubblichini istriani nel dicembre dello stesso anno. Costretti a passare l’ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma in decomposizione della loro vittima, tre impazzirono. All’alba, senza aver subito alcun processo, furono fucilati insieme ad altri tre a raffiche di mitra. Finora nessuno, storiografo o no, è riuscito a stabilire neppure approssimativamente, il numero delle vittime dell’insurrezione popolare in Istria nel 1943. Si va da qualche centinaio, o "alcune centinaia", ad alcune migliaia. All’epoca della guerra le cifre variarono dai "circa 200 prigionieri fascisti" uccisi dai partigiani (relazione Zic) e dalle 349 persone finite infoibate secondo la dichiarazione dell’alto gerarca repubblichino, fino alla valutazione 450-500 vittime fornita da un rapporto dei pompieri istriani che più avanti citeremo.

Nel dopoguerra la danza delle cifre si è fatta invece sfrenata. Lo storico Mario Pacor afferma che nelle foibe istriane finirono da 400 a 500 persone, ancorandosi così al documento dei vigili del fuoco. Si arriva poi agli "oltre 4000 italiani" deportati, dei quali "molti furono uccisi dopo procedimenti sommari e precipitati nelle Foibe" come si esprime l’Enciclopedia Treccani, la quale però si riferisce anche al periodo maggio-giugno 1945 nelle provincie di Gorizia e Trieste. In periodi a noi vicini, nel volume "Storia di un esodo" curato da C. Colummi bolognese, L. Ferrari e G. Trani goriziani, e G. Nassisi leccese, edito dall’Istituto regionale per la Storia del movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia (Trieste 1980) sono state denunciate: "l’assoluta mancanza di riflessione (in Italia) su ciò che rappresentò il fascismo in queste terre";
"una radicata diffidenza verso le popolazioni di ceppo slavo". Anche qui viene nuovamente scritto che gli infoibati furono "alcune centinaia", vittime di "uno scoppio improvviso di odi e di rancori a lungo repressi". Negli anni, soprattutto nei periodi di crisi e di aspre polemiche nei rapporti italo-jugoslavi, è accaduto che, mentre da parte jugoslava veniva calata una pesante pietra tombale sulle foibe e l’argomento diveniva tabù, la destra italiana rispolverava gli antichi slogan dell’irredentismo e del fascismo contro gli "slavo-bolscevichi" istriani e riscriveva pari pari quanto la stampa fascista istriana scrisse nel 1943-1944 in occasione dell’esumazione delle salme dalle foibe e quanto i nuovi gerarchi posti dai tedeschi alla testa dei municipi scrissero nei manifesti annuncianti la commemorazione degli istriani "trucidati nel breve, infausto periodo dell’anarchia anti-italiana". Via via andarono gonfiandosi il lievito delle cifre e inasprendosi le accuse; le esagerazioni, condite anche di menzogne, furono il pane quotidiano delle polemiche. Ai giorni nostri si sono toccati livelli incredibili.

Così oggi, fonti della sinistra concedono che "furono circa 2.100 le persone (militari e civili) eliminate, la maggior parte senza un processo regolare", comprendendo nella cifra sia le vittime del settembre-ottobre ‘43 in Istria sia quelle del maggio-giugno 1945 a Trieste e Gorizia, mentre la parte politica opposta è arrivata alla cifra "esatta" di 16.500! È quella che si legge nell’"Albo d’oro dei caduti della Venezia Giulia e Dalmazia" nella seconda guerra mondiale, curata da Luigi Papo de Montona, presentata il 28 agosto 1996 nella sede dell’Unione degli Istriani a Trieste. La cifra dei sedicimila e passa si riferirebbe alle "vittime militari e civili, della repressione slavo-comunista tra l’8 settembre ‘43 e il dopoguerra". Il dato, come ammette lo stesso curatore è basato in buona parte su " stime approssimative e non sui cadaveri rinvenuti". Le salme esumate in Istria, Venezia Giulia e Dalmazia nell’intero periodo indicato furono 994. Il Papo vi ha aggiunto "altre 326 vittime accertate, 5.643 vittime presunte e 3.174 vittime nei campi di concentramento". La somma di 10.317 ottenuta viene ancora "arrotondata" con l’aggiunta di altri 6.363 dispersi! E questi, a differenza dei dispersi che si hanno in tutte le guerre, in Istria e Venezia Giulia diventano ipso facto vittime delle foibe secondo il curatore di quell’Albo che scrive: "Ma sono ben 37 le foibe, le fosse e le cave di bauxite per le quali non è stato possibile alcun accertamento", quindi si dà per scontato che "anche lì furono compiuti altri massacri" sicché "non possiamo che confermare che le vittime militari e civili per mano slavo-comunista furono non meno di 16.000".

Di fronte alle esagerazioni ed alle strumentalizzazioni della destra, come si è comportata la storiografia italiana di sinistra? Per quella italiana legata al movimento resistenziale jugoslavo è stato più facile ammettere a più riprese, che anche i partigiani titini commisero "errori" e crimini, in gran parte giustificandoli. E sono state presentate giustificazioni abbastanza accettabili. Di gran lunga più accettabili di quelle che, per lunghi anni, sono venute da parte croata e slovena, direttamente coinvolta e fin troppo criminalizzata, perciò costretta su posizioni di rabbiosa difesa. Emblematica è una circolare diramata il 29 agosto 1944 dalla Sezione italiana del Comitato regionale del Partito comunista della Croazia, nella quale si davano direttive per la celebrazione dell’insurrezione popolare istriana. Nell’occasione fu toccato anche il problema delle foibe e il modo per controbattere la propaganda nemica che da un anno sfruttava l’argomento. Dopo aver minimizzato le stragi e respinto con sdegno l’accusa della propaganda reazionaria secondo cui sul finire dell’estate ‘43 si sarebbe tentato " di distruggere gli italiani dell’Istria", la circolare recitava: "Noi sappiamo benissimo che nelle foibe finirono non solo gli sfruttatori e assassini fascisti italiani ma anche i traditori del popolo croato, i fascisti ustascia e i degenerati cetnici. Le foibe non furono che l’espressione dell’odio popolare compresso in decenni di oppressione e di sfruttamento, che esplose con la caratteristica violenza delle insurrezioni popolari ". Uno storico triestino della Resistenza, Galliano Fogar, va giù duro scrivendo di "violenze di alcuni esponenti partigiani slavi che suscitano il terrore" nell’Istria del settembre 1943. I massacri delle foibe, "dopo sommari processi, hanno il carattere di rappresaglia brutale". "Nazionalismo e socialismo diventano sinonimi della guerra al nemico".

"Uno degli obiettivi che alcuni esponenti slavi vogliono conseguire il più presto possibile, è la distruzione della classe dirigente istriana, quasi tutta italiana". La "responsabilità delle violenze e delle uccisioni indiscriminate ricade generalmente sulla volontà, sulla tolleranza e sulla complicità di singoli dirigenti politici e militari, talora improvvisati, che lungi dal comportarsi come soldati pionieri di libertà e di giustizia, furono apportatori di persecuzioni". Tra le vittime ci furono operai, contadini, piccoli funzionari, insieme a gerarchi e manganellatori; quindi scriverà Cesare Vetter "gli infoibamenti furono soprattutto l’esito violento della rivolta contadina contro fascisti e italiani vissuti come padroni" e "furono certamente atti irrazionali e crudeli". Perfino P. Flaminio Rocchi, che nel suo libro raccoglie il fior fiore della violenza verbale dei cronisti e storiografi fascisti contro i partigiani, e scrive dalla sponda della diaspora istriana antislava, finisce per concludere le sue considerazioni col dire che "si tratta di episodi locali, causati spesso da bande incontrollate" che crearono comunque in Istria un’atmosfera di incubo. E non soltanto fra gli italiani. Tra i documenti da noi consultati c’è un rapporto del 41º Corpo dei Vigili del Fuoco di Pola comandato durante la seconda guerra mondiale dal maresciallo Arnoldo Harzarich, impegnato per diversi mesi, come già accennato, nell’esplorazione delle foibe e nel recupero delle salme.

Intanto va precisato che l’Harzarich, dopo aver abbandonato Pola verso la fine di aprile del 1945, nel momento in cui le truppe jugoslave dilagate in Istria avanzavano verso la città dell’Arena, raggiunse Trieste e successivamente il territorio amministrato dal Governo Militare Alleato in Italia. Tornò a Pola quando la città fu ceduta provvisoriamente agli alleati (giugno 1945-estate 1947), ed ai funzionari del Governo Militare Alleato rilasciò una lunga testimonianza su tutte le operazioni di recupero delle salme dalle foibe compiute dal suo reparto. Quella testimonianza - "Relazione di un sottufficiale dei VV.FF. del 41° Corpo di stanza a Pola" fu stilata dall’Ufficio "J" del Gma in data 12 luglio 1945 (si trova negli archivi dell’Istituto per la storia del Movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia a Trieste) e risente fortemente del clima dominante nel periodo in cui fu dettata, contrassegnata da accesi scontri politici fra filotitini e loro avversari, un clima nel quale, per esigenze propagandistiche, furono rispolverati anche gli eccidi delle foibe. Nella sua relazione, peraltro "tecnicamente" corretta, Harzarich si servì anche dei documenti di provenienza fascista dell’autunno 1943, epoca in cui le esplorazioni delle foibe furono fortemente pubblicizzate dalla radio e dalla stampa nazifascista anche per giustificare i massacri delle SS nella penisola e per sviare l’attenzione da quei sanguinosi rastrellamenti. Il rapporto di Harzarich menziona pressoché tutte le foibe esplorate da Vines, Terli, Castellier, Gimino, Surani, Cregli, Carnizza alle altre. Alcune risultarono vuote, in altri casi furono trovati i resti mortali di persone scomparse o arrestate dagli insorti nel settembre-ottobre 1943 ma anche carcasse di animali. Complessivamente furono estratte 203 salme, delle quali 121 identificate. Sempre secondo quel documento, tuttavia, le vittime istriane della rivolta popolare erano da calcolare a "non meno di 460 e non più di 500".

Queste cifre, spiegava il testimone, si ottenevano sommando agli infoibati le persone date come disperse nelle varie località istriane, 19 civili fucilati e gettati in mare nei pressi di Santa Marina di Albona e un numero approssimativo di corpi che non avevano potuto essere recuperati dalle cavità carsiche in quanto in alcune di esse, le più profonde, era stato impossibile raggiungere tutte le salme per insormontabili difficoltà tecniche. Il recupero fu parziale per le foibe di Cregli, di Barbana (Carnizza), di Semi (Semici) e di Castel Lupogliano. Più volte, a proposito di foibe, è stata posta la domanda se le condanne a morte seguite da fucilazioni e infoibamento di cadaveri o in altro modo barbaro - scaturirono da processi o no. Fornirò in proposito le risposte date da due storici fiumani, l’italiano Luciano Giuricin e il croato Antun Giron, gli unici che, insieme al sottoscritto, hanno finora affrontato l’argomento in Croazia. Raccolsi e pubblicai le loro dichiarazioni sul tema nel già citato testo "Cadaveri scomodi". Antun Giron ricorda che il Governo partigiano, ovvero "il Consiglio antifascista di liberazione della Croazia (Zavnoh) raccomandava nelle sue direttive la celebrazione dei processi", che però non sempre avvenivano perché in quella guerra guerrigliata "con il nemico alle spalle, si aveva il fiato corto e si ricorreva a soluzioni rapide". Consultando i pochissimi documenti finora disponibili in Croazia ci si rende conto - è sempre Giron a dirlo - che "non veniva applicata una procedura univoca" a carico delle persone catturate, facendo capire che molte di esse venivano liquidate sol perché un commissario o chi per lui troppo "rivoluzionario" e poco scrupoloso decideva che bisognava liquidarle e basta.

E questa è una delle ragioni per cui "si stenta a fornire interpretazioni di quei tristi fatti". Dice ancora Giron: "Bisognerebbe scavare nei documenti e nei resoconti dei servizi informativi che per conto dello Zavnoh operavano durante la resistenza". Documenti tuttora inaccessibili. A sua volta Giuricin, percorrendo anche sentieri interpretativi indicati già nel corso della Resistenza, spiega: "Le violenze del 1943 in Istria esplodono sull’onda di un’insurrezione popolare per molti aspetti spontanea, densa di entusiasmo patriottico nazionale e di riscatto sociale, che assume risvolti di una tipica rivolta contadina per le masse croate, ma anche proletaria nelle zone minerarie, industriali e cittadine dove prevale l’elemento italiano, contro l’odiato stato fascista appena crollato e come risposta alla ventennale politica di sopraffazione e snaturalizzazione. La resa dei conti, considerata necessaria da tempo da tutti i partiti antifascisti italiani in esilio e in particolare dal Movimento popolare di liberazione, si fa subito sentire con i primi arresti, anche indiscriminati, avvenuti in quasi ogni località dell’Istria sotto la pressione dei rivoltosi e di non pochi elementi estremisti e facinorosi, approfittando del vuoto di potere e del caos venutosi a creare quasi dappertutto". Ricorda che nella sua Rovigno un gruppo di estremisti di sinistra si autodeterminò "Guardie della Rivoluzione", costituendo una specie di corpo di polizia denominato "Ceka" sull’esempio della polizia segreta bolscevica creata durante la rivoluzione d’ottobre in Russia: "I massimi esponenti del comitato partigiano rovignese, con Pino Budicin e Giusto Massarotto in testa, ebbero un bel da fare per neutralizzare l’azione di questi avventurieri e far sì che gli arresti fossero limitati ai soli fascisti responsabili di precise colpe durante il ventennio".

Le persone arrestate a Rovigno, stando sempre alla testimonianza di Giuricin, che all’epoca era un giovanissimo partigiano ed agiva sul posto, "dopo attento vaglio furono inviate a Gimino e quindi a Pisino dove dovevano essere raggruppate a quelle provenienti da tutta l’Istria e giudicate da appositi tribunali popolari". Un tanto era stato concordato e garantito in precedenza sulla base delle disposizioni dello Zavnoh e delle raccomandazioni del Cpl regionale istriano del 13 settembre, secondo le quali la punizione dei criminali fascisti doveva essere decisa mediante regolari processi, "impedendo giustizie arbitrarie e vendette personali". Queste direttive "furono eseguite solo in parte" a causa della rapida e sconvolgente avanzata delle truppe motorizzate tedesche che tutto travolgono davanti a sé, seminando la morte e distruzioni, con barbari eccidi, incendi, fucilazioni in massa di inermi cittadini nella seconda metà di ottobre. In questo momento di panico generale, con le unità partigiane appena costituite, allo sfascio e disperse, alcuni comandanti di reparti minori decidono di "liberarsi dal peso dei prigionieri", e vengono compiuti quelli che Giuricin definisce giustamente "gli orrendi misfatti delle foibe da parte dei carcerieri e degli uomini senza scrupolo incaricati di eliminarli al più presto senza lasciare traccia".

Sull’argomento esiste una relazione testimonianza dell’allora capitano del Poc (Partizanski obavjestajni centar), il Servizio informativo partigiano, Zvonko Babic che, per incarico del Comando del Litorale croato e dell’Istria compì un giro di ispezione nella penisola subito dopo l’offensiva nazista. Nel suo rapporto, datato 6 novembre 1943, egli scrisse che "la lotta contro i nemici del popolo" era stata condotta in maniera "radicale" in certe zone, in altre fiaccamente, evidenziando però anche "deviazioni". Così in certe località erano stati gli stessi comandi partigiani ad impedire le esecuzioni, al punto da inviare informazioni che affermavano l’avvenuta liquidazione dei condannati, cosa che non rispondeva al vero; là dove le liquidazioni erano veramente avvenute, non tutti gli arrestati erano finiti nelle foibe, ma erano stati liberati dalle truppe germaniche oppure erano rimasti uccisi sotto i bombardamenti tedeschi. Risultò ancora che gli incaricati diretti della cattura dei fascisti non conoscevano affatto i veri "nemici del popolo", e mancavano dati precisi sulla loro colpevolezza. Le zone meglio "ripulite", sempre secondo la relazione Babic, risultarono quelle di Gimino e l’agro Parentino. Il Babic sottolineò pure che tra gli arrestati figurava un sacerdote che era stato rimesso in libertà dopo l’intervento diretto del vescovo di Parenzo e Pola, monsignor Raffaele Radossi. Secondo Giron, è da escludere che il movente di una parte degli arresti e delle liquidazioni di "nemici del popolo" sia stato l’odio nazionale, ovvero il sentimento anti-italiano di certi capi partigiani croati. Su questa base, non ci sarebbero state vendette. Sta il fatto, però, che nel settembre1943, di fronte alle violenze compiute dagli insorti si diffuse una grande paura fra larghi strati della popolazione di etnia italiana in Istria, come viene rilevato anche dalla relazione del dott. Oleg Mandic, nativo di Abbazia presso Fiume, esponente dello Zavnoh, inviato nel 1944 in Istria dal governo partigiano della Croazia.

Ancora in quell’anno egli scrisse "una certa dose di timore gli italiani l’avevano al ricordo del giudizio sommario a cui i partigiani sottoponevano i fascisti e di cui queste popolazioni sono state testimoni involontari". Qui si parla di fascisti, nel rapporto del Babic di "nemici del popolo". Nessuno dei due scrive a chiare lettere che, purtroppo, finirono uccisi anche degli innocenti, vittime di basse vendette personali, e tuttavia la relazione Babic lo fa capire. In essa si afferma che da una foiba furono estratte, fra le altre, le salme di tre giovani sorelle fra i diciassette e i ventun anni, una delle quali incinta, insieme al cadavere di un ragazzo diciottenne trucidato insieme al padre. Il riferimento è alla foiba di Lindaro. Tra gli infoibati di Albona troviamo Giacomo Macillis, noto per essere stato uno degli esponenti della rivolta antifascista dei minatori del bacino carbonifero di Arsia nel marzo-aprile1921. Più tardi verrà liquidato pure Lelio Zustovich, massimo dirigente dell’organizzazione albonese del Partito comunista italiano sin dalla sua costituzione, "colpevole" per essere venuto in contrasto con gli esponenti del Partito comunista croato e da essi, perciò considerato un ostacolo allo sviluppo della "linea" del Movimento popolare di liberazione in Istria. Abbiamo già detto che i drammatici episodi delle foibe furono reclamizzati con descrizioni a tutta pagina dai giornali fascisti che seguirono giorno dopo giorno le esplorazioni delle voragini carsiche compiute dai vigili del fuoco, cercando di attizzare l’odio antipartigiano e di mobilitare nuove reclute nelle sparute file repubblichine al fianco dei nazisti.

Non mancarono tuttavia preoccupazioni e denunce in seno allo stesso Movimento di liberazione. Nella prima conferenza dei comunisti istriani svoltasi a Brgudac nel novembre 1943; presenti 500 delegati, il massimo esponente italiano del Mpl istriano e membro dello Zavnoh, Pino Budicin, rivolse una dura critica ai dirigenti del Partito comunista croato per i selvaggi infoibamenti e, come si esprime Giuricin, per "alcuni altri incresciosi incidenti di stampo nazionalista", anti-italiano, registrati durante l’insurrezione istriana. Quegli "incresciosi incidenti" stavano causando "un certo disorientamento tra l’elemento italiano dell’Istria", sostenne Budicin, "e non pochi danni al Movimento di liberazione stesso". Alle critiche di Budicin fu risposto che non era quello il momento di spargersi la cenere sul capo e di dare la caccia a quei partigiani che si erano macchiati di colpe. Bisognava invece salvaguardare l’unità del movimento resistenziale, senza sacrificare nessun attivista e dedicare tutti gli sforzi unicamente alla lotta contro i nazisti e i loro collaborazionisti impegnati nell’operazione delle Divisioni SS "Prinz Eugen" e "Leibstandarte Hitler", unità queste che stavano mettendo a fuoco l’Istria intera devastando, incendiando, saccheggiando, massacrando e deportando. Sul caso delle foibe prese la parola in quell’occasione anche Antonio Vincenzo Gigante detto Ugo, brindisino, già membro del Cc del Pci, riparato in Istria dopo essere fuggito da un campo di internamento insieme ad alcuni croati. Pur condividendo le tesi del compagno connazionale istriano, "Ugo" concluse: "Lasciamo stare, ora è il momento di battere i tedeschi!". Uno dei punti all’ordine del giorno della consultazione era, infatti, la "mobilitazione degli italiani nel Movimento popolare di liberazione". Pochi mesi dopo, l’8 febbraio 1944, Giuseppe Budicin -Pino ed Augusto Ferri detto il Bolognese, anche questi alto dirigente della Resistenza istriana, ex ufficiale dell’Esercito italiano di occupazione in Croazia, caddero in mano ai fascisti repubblichini per la spiata di un collaborazionista croato in camicia nera, subirono inenarrabili torture dai fascisti rovignesi e sotto le torture morirono. Qualche mese dopo, nel luglio 1944, l’argomento foibe fu sollevato anche dal Clnai, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, presso il quale era accreditato in rappresentanza dell’Esercito popolare di Liberazione jugoslavo lo sloveno Anton Vratusa-Urban.

Inviando al Clnai una relazione di risposta sull’argomento "Urban" parlò di "singole irregolarità" verificatesi nei giorni di settembre 1943 in Istria, definendole "fenomeni marginali dovuti in maggioranza a singoli elementi locali irresponsabili, infiltratisi nel nostro movimento". Relazione reticente; è chiaro. Ma gli infiltrati certamente ci furono in Istria e altrove. Gli infoibamenti, tuttavia, non furono semplici "irregolarità". Riscrivo qui il breve racconto apparso sul quotidiano "La Voce del Popolo" di Fiume il 26 luglio 1990, a firma di "lama" (Laura Marchig) sotto il titolo: Storia di Libera e di suo padre: "Nella memoria della gente della valle di Cepic è rimasta la figura di Libera Sestan, una giovane donna di Novako, un paese del comune di Pisino. Era nata nel 1919 e all’epoca aveva 24 anni. Libera era bellissima e, raccontano, aveva un animo dolce e sensibile. La sua era una famiglia benestante che certo suscitava l’invidia di molti. Si era sposata con un ufficiale dei carabinieri e aveva due figlie piccole. Era solita recarsi molto spesso a Pisino, per fare compere o concludere qualche affare, abitudine che gli abitanti delle campagne attorno alla cittadina hanno mantenuto anche oggi. Questo però fu sufficiente e pretesto a un suo parente, Veljko Sestan, partigiano, per dichiararla spia e nemica del popolo. Andò a prelevarla a casa, con un manipolo di suoi collaboratori, trascinando via con lei anche il padre. Dicono che li pregasse in ginocchio di permetterle di rivedere per un’ultima volta le sue piccine, ma le fu negato. Prima di gettarla viva, insieme al padre, nella foiba di Chersano, la malmenarono e le bruciarono i capelli. Il delitto non restò impunito. Un altro suo cugino, Ervin Sestan, che le era molto affezionato, impazzì quasi dal dolore. Subito dopo quei fatti, si unì per vendetta e per disperazione all’esercito tedesco. Dopo qualche tempo arrivò insieme ai tedeschi a prendere Veljko in casa. Veljko appena li vide tentò di scappare scavalcando la finestra sul retro e correndo via per i campi, ma Ervin sparando con una pistola dalla finestra riuscì a colpirlo alla testa e ad ucciderlo".

I nomi di alcuni feroci massacratori spacciatisi per partigiani a quell’epoca corrono ancora oggi sulla bocca degli istriani rimasti in Croazia. Il primo che raccolgo è quello dell’albonese Mate Stemberga, nato a San Bartolo. Si dice che sia stato lui a infoibare personalmente un avvocato di Albona, Pietro Milevoj (classe 1897), militante del partito fascista. Nell’intervista concessa alla giornalista de "La Voce del Popolo" Laura Marchig all’inizio di agosto 1990, una donna anziana di Vines così si espresse sullo Stemberga: "No ghe mancava niente, el gaveva l’America a Vines. La sua era una famiglia molto ricca, erano possidenti, ma lui, non so perché, odiava i benestanti, i borghesi in genere, odiava tutti, e divenne il carnefice del movimento partigiano. Dicono che sia stato Stemberga il primo a gettare la gente nelle foibe. Ma mica solo nelle foibe: in mare, nelle grotte d’acqua salata vicino a Fianona. Ammazzava la propria gente. Fu lui, a capo di uno squadrone della morte, a raccogliere per le case di Albona parecchie decine di italiani, scelti fra quelli che egli conosceva, tra quelli che appartenevano alla piccola borghesia albonese. Diceva che questi, una volta arrivati i tedeschi, avrebbero potuto collaborare con loro. Li vennero a prendere di notte, li legarono insieme con del filo di ferro e li caricarono su una barca, poi li trasportarono al largo. Lì, a ognuno un colpo in testa e, via, in mare. Mate Stemberga era un criminale, ne ha accoppati tanti, ma tanti! Ha rovinato anche la mia famiglia".

"Per rappresaglia, quando vennero, i tedeschi ammazzarono la sua donna che era incinta. Suo fratello Tommaso morì anche lui, nelle carceri di Pola. Un altro fratello, Ive, e Katica moglie di Ive, finirono a Dachau. La madre invece rimase a Pola, come ostaggio, in prigione, fino a quando non acciuffarono il figlio e lo uccisero. L’unica ad essere stata risparmiata della famiglia Stemberga fu la cognata, moglie di Tommaso, che era incinta. Mate Stemberga morì come un cane. Lo presero mentre si nascondeva in una casa di Carbune dalle parti di Cepich. Si era infilato nel camino, ma gli videro i piedi che penzolavano e spararono". La donna che ha fatto questo racconto ha voluto mantenere l’anonimato, ma ha aggiunto, tra i criminali infiltratisi nelle file partigiane, anche il suo ex marito, Mate Skopac, all’epoca Matteo Scopazzi. "Lui stesso raccontò un giorno a mio nipote Rino di non sapere quanti ne aveva buttati in foiba. L’unico suo cruccio era di non essere riuscito ad ammazzare anche me, sua ex moglie... Tanti misfatti sono stati compiuti per odio, per vendetta. L’episodio più brutto che ricordo è lo sterminio della famiglia Faraguna, composta da cinque persone, di cui una bambina di pochi mesi. I Faraguna, detti Bembici, furono ammazzati dai Kos, una famiglia di Ripenda, un villaggio vicino. La solita apparente lotta fra comunisti e non comunisti, ma il motivo vero era l’invidia e l’odio. Accusarono i Faraguna di avere un tedesco in casa, il Paris, secondo marito della figlia. Li catturarono e li portarono a Smokvica, dalle parti di Fianona. Là li uccisero e gettarono i cadaveri nelle caverne con acqua salata che ci sono da quelle parti. A perdere la vita furono padre, madre, la loro figlia e il secondo marito di questa, La bambina invece l’ammazzarono più tardi, il corpicino fu trovato a parecchi chilometri di distanza".

Il racconto dell’anonima torna sull’ex marito, lo Skopac-Scopazzi, al quale la donna imputa pure l’assassinio di una certa Emma di Fianona, sposata con un italiano di Napoli che era sospettato di collaborare con i tedeschi. "Mario li andò a prendere con un camion, ve li caricò e li portò via. Spariti". Anche lo storico Luciano Giuricin ha fatto i nomi di alcuni "criminali infiltrati nel movimento partigiano", fra questi Mate Stemberga, "un vero e proprio sadico assassino", ed il rovignese Gregorio Budicin detto Trigambe "degno compare del primo" ed altri avventurieri che a guerra finita, scoperti, pagheranno il fio dei loro nefandi misfatti. Ciò detto, "non possono essere sottaciute - afferma Giuricin - le responsabilità di non pochi tra i massimi esponenti del Mpl di allora, effettivi mandanti" dei massacri. L’esule istriano Gaetano La Perna, da molti anni collaboratore dei giornali della diaspora istriana ed autore del già citato libro "Pola Istria Fiume 1943-1945" (La lenta agonia di un lembo di terra) amplia il ventaglio dei nomi di cosiddetti malfattori e di responsabili. Secondo lui i principali "inquisitori, accusatori, giudici, carnefici, aguzzini e sicari che si resero tristemente famosi in tutta l’Istria per la loro azione" di liquidazione degli avversari furono: Ivan Motika, "il principale giudice del Tribunale del popolo di Pisino"; un non meglio identificato Beletich detto "Drago"; una lattivendola dei dintorni di Pisino di nome Tonka Antonia Surian.

E ancora: l’ex sergente dell’esercito italiano e già studente universitario a Padova, Ciro Raner con le sorelle Nada, Vanda e Lea; il rovignese Giusto Massarotto; il gobbetto Ivan Kolic detto il "terrore di Barbana" e Rade Poropat, barbanese pure lui; il maestro elementare Joakim Rakovac di Racozzi; i fratelli Silvio e Antonio Bencich di Sanvincenti (il primo sarà ucciso in un’imboscata da un tenente dei carabinieri); il capo della polizia partigiana dell’Istria centrale Giovanni Maretich e il suo collaboratore Benito Turcinovich (che sarà uno dei primi comandanti del battaglione partigiano italiano "Budicin") e l’immancabile Matteo Stemberga, "contrabbandiere molto noto nella zona" di Albona che "verrà ucciso per vendetta dal fascista Francesco Mizzan di Pisino la sera del 6 novembre 1943 a Villa Carbune in Valle di Pedena". Dai documenti e testimonianze finora raccolti risulta: tra i giustiziati nell’insurrezione istriana ci furono anche non pochi innocenti, vittime di odi, rancori e vendette personali, ma nella loro maggioranza gli arrestati, sommariamente processati, giustiziati e gettati nelle foibe, lo furono non perché fossero italiani (alcuni certamente anche per questo semplice fatto) ma per aver commesso violenze e soprusi durante il ventennio - chi semina vento raccoglie tempesta - o per essersi macchiati di collaborazionismo e di spionaggio a favore degli invasori tedeschi all’inizio dell’insurrezione; fra i giustiziati vi furono numerosi croati; fra i "giustizieri" di italiani, fascisti e no, vi furono anche degli italiani.

I documenti e le testimonianze dimostrano ancora, senza ombra di dubbio, che i massimi organismi del movimento partigiano croato, a cominciare dallo Zavnoh, e gli stessi capi dell’insurrezione istriana sin dall’inizio diedero chiare direttive sul comportamento da tenere in Istria verso gli Italiani: evitare persecuzioni, non fargli alcun male. Poi, tra il dire e il fare... ci si misero i delinquenti infiltrati. Altrettanto abbondantemente dimostrato è il fatto che le pubblicazioni sulle foibe e gli elenchi dei cosiddetti infoibati e giustiziati di provenienza nazionalistica e neo e/o post-fascista italiana contengono inesattezze, esagerazioni e perfino falsificazioni; in altre parole, evidenziano la strumentalizzazione di cui è stato e continua ad essere oggetto oggi quel drammatico periodo della storia istriana. La strumentalizzazione, favorita dal lungo silenzio dell’altra parte, ha inevitabilmente fatto delle foibe il monumento alla divisione, al razzismo, all’intolleranza documenti e le testimonianze, esibiti dalla parte croata negli ultimissimi anni, anche se parziali, dimostrano d’altra parte che il problema delle foibe non è una mostruosa montatura dei fascisti, ma una reale, dolorosissima ferita ancora aperta (sulla quale i fascisti hanno speculato e speculano), un problema che merita la massima attenzione, studio, giudizi equilibrati, anche se non si possono mettere sullo stesso piano coloro che per decenni praticarono la violenza e infine la scatenarono, e quanti a quella violenza reagirono, talvolta con ferocia , nel momento storico della svolta.
È inaccettabile la tesi di coloro i quali mettono sullo stesso piano l’eccidio compiuto dai tedeschi alle Fosse Ardeatine di Roma e le vittime dell’insurrezione istriana di settembre.

Nel primo caso furono trucidati degli ostaggi chiaramente innocenti, estranei al fatto bellico per il quale furono massacrati. Nel caso dell’Istria furono per lo più arrestati, e poi giustiziati nelle circostanze dell’offensiva nazista, quei gerarchi, funzionari ed altre persone che, nell’imminenza della prevista calata dei tedeschi nella penisola istriana, sarebbero certamente passati al nemico, avrebbero collaborato (come molti, infatti, collaborarono) all’azione di sanguinosa repressione e di sterminio delle colonne d’invasione.
Va pure detto, infine, che - considerate nel contesto globale delle tragedie legate alla seconda guerra mondiale - le foibe istriane "hanno un peso marginale", a dirla con le parole dello storico triestino Giovanni Miccoli in una conferenza tenuta il 24 settembre 1996 a Opicina. Certo, valutato nel ristretto ambito dell’area istro-giuliana il fenomeno diventa una tragedia di ben altra portata. Tuttavia condivido il parere di Miccoli:
"E' necessario ridimensionare questo terribile capitolo storico" sul quale si è fatta "tantissima confusione". Una confusione favorita da quel silenzio mantenuto per oltre mezzo secolo dalle autorità dell’ex Jugoslavia e dalla chiusura pressoché totale degli archivi dei servizi segreti che operarono durante la guerra. Appena in questi ultimissimi anni anche nelle repubbliche di Slovenia e Croazia hanno cominciato a tirare fuori gli scheletri dagli armadi. Presso l’Istituto per la storia croata (Institut za hrvatsku povijest) di Zagabria è in corso di realizzazione da circa un anno un progetto di ricerche dal titolo "Vittime della seconda guerra mondiale". Le ricerche, il cui coordinamento è stato affidato allo storico Mihael Sobolevski di Fiume, riguarda le vittime del nazifascismo e del comunismo, comprese le vittime istriane delle foibe.
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Vogliamo sperare che, tenendo pur conto dei non pochi misfatti compiuti ai danni dei croati e sloveni istriani prima e durante la guerra, tenendo conto ancora del caos provocato dall’armistizio italiano e dall’insurrezione istriana nel quale non sempre fu possibile separare i colpevoli dagli innocenti, sia tuttavia fatta piena luce, Il mio vuol essere un modestissimo contributo agli sforzi tendenti a scoprire la verità, per amara che sia, superando ogni sorta di omissioni e reticenze, ogni specie di tabù, pregiudizi, preconcetti e velleità di strumentalizzazione dall’una e dall’altra parte del confine, dando così inizio a un esame sereno e rigoroso del caso foibe, disegnandone l’esatta dimensione storica.
Si smetta di dire, da una parte e dall’altra, che le vittime innocenti, pulite e rispettabili stanno tutte dalla propria parte, e si operi da parte di tutti come già auspicato nel dicembre 1989 alla tavola rotonda di Capodistria per eliminare le condizioni che alimentano la violenza e tutti i fattori che di essa si servono.



di GIACOMO SCOTTI


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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Rossa una stella, di Giacomo Scotti e Luciano Giuricin - Rovigno 1975
Confine orientale. Questione nazionale e resistenza nel Friuli-Venezia Giulia, di Mario Pacor, - Milano 1964
Sotto l'occupazione nazista nelle provincie orientali, di Galliano Fogar - Del Bianco editore, Udine 1968
Dall'Irredentismo alla Resistenza nelle provincie adriatiche, di Gabriele Clocchiatti - Udine 1966



QUESTA È INVECE LA VERSIONE (DECISAMENTE ANTICOMUNISTA) del sito http://www.foibe.net <http://www.foibe.net>
che metto per completezza di prospettive. Abbiamo così tre punti di vista del tutto diversi:
quello della Cernigoi che secondo me (e secondo i racconti della mia famiglia, anche se condizionati dal terrore generale dell’epoca in cui si alternavano comunisti nazisti e titini in un clima di rappresaglie incrociate) minimizza troppo i fatti, questo qui che è un concentrato di propaganda e retorica antislava/anticomunista/filoitaliana (basti leggere un punto in cui senza alcun riscontro parla bonariamente di “pasticcioni” riferendosi al governo italiano d’Istria, dichiara che in effetti qualche piccola ingiustizia c’era ma niente di paragonabile a quelle che poi subiranno gli italiani). Infine quello di Scotti qui sopra che mi sembra il più equilibrato in assoluto.

FOIBE: MARTIRI DIAFANI

Il termine " Foiba " è una corruzione dialettale del latino " fovea ", che significa " fossa "; le Foibe - infatti - sono voragini rocciose, a forma di imbuto rovesciato, create dall’erosione di corsi d’acqua; possono raggiungere i 200 metri di profondità. Agghiacciante è l’affermazione del prof. R. Battaglia, che scrive in proposito: << Il sottosuolo dei vasti altipiani carsici nasconde un mondo di tenebre: abissi verticali e cupi cunicoli che si perdono nel silenzio delle profondità terrestri, caverne immense, tortuose gallerie percorse da fiumane urlanti, sale incantate rivestite di cristalli, antri selvaggi che la fantasia del volgo popolò di paurose leggende >>. In Istria sono state registrate più di 1.700 Foibe.



IL CONTESTO STORICO

" In tutto il territorio in questione gli italiani avevano avuto il predominio politico ed economico ed avevano dato il tono culturale, non solo sin dai tempi del dominio di Venezia, ma anche dove gli Asburgo dominavano dal primo Medio Evo. E questo predominio rimase intatto sino al 1918. " ( T. Veiter). Infatti nel 1914, sotto l'Austria, c'erano in Istria 50 Comuni, dei quali 13 con amministrazione slava e 37 con amministrazione italiana; tra questi ultimi figurano tutti i centri più importanti per numero di abitanti e per attività economiche e culturali: Trieste, Pola, Fiume, Capodistria, Rovigno, Cherso, Lussino, Albona, Dignano, etc.
Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, la frontiera nord - est dell'Italia viene stabilita sulla << linea Wilson >>, attribuendo alla Jugoslavia una parte minore dell'Istria, da questo momento comincia l'antitesi, che contrapporrà il popolo italiano a quello jugoslavo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, nel goriziano, soldati e civili italiani passano nel IX Corpus jugoslavo , si dice loro che l'obiettivo è sconfiggere i nazisti per poi - a fine guerra - stabilire la nuova linea della frontiera orientale; intanto i croati istriani, comunisti, che da sempre avevano combattuto per l'annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, vengono inquadrati nel battaglione " Pino Budicin ", agitando bandiere e stelle rosse, al grido di: " Trst, Gorica, Rijeka sloboda vas ceka " ( " Trieste, Gorizia, Fiume, la libertà vi aspetta ! " ), esaltati dalla crisi italiana e tedesca . Assaporano già la vittoria, si esaltano al pensiero dei ricchi bottini delle città istriane, si buttano allo sbaraglio in massacranti guerriglie, sparano contro le finestre delle case per far notare la loro presenza: " fonti jugoslave affermano che la Venezia Giulia ( escluso il Friuli ) ha avuto nella lotta di liberazione 42.800 morti fra italiani e slavi, 7.000 invalidi, 95.460 deportati, 19.357 case bruciate, 16.837 case distrutte " riporta il Pacor. Dalle diverse Foibe, cosparse su tutto il territorio della Venezia Giulia, corrono terrificanti grida che annunciano morte, rese - però - vane dall'assordante rombo dei bombardieri angloamericani che si intrecciano fra Trieste, Pola, Fiume e Zara. L'8 settembre 1943 scompaiono tutte le autorità italiane, civili e militari. Nel maggio - giugno del 1945 i tedeschi vengono sconfitti, dalle truppe neozelandesi del generale Freyberg, ma ben presto sopraggiungono i reparti jugoslavi, che - con estrema facilità - occupano i territori giuliani, accolti dal CLN come forze liberatrici alla pari di inglesi, americani e truppe alleate. L'intento degli jugoslavi - però - era ben diverso: forti dell'appoggio da parte della popolazione di origine slava, in loro già si manifestano le mire espansionistiche. Il primo maggio 1945 - infatti - essi disarmano i Volontari italiani della Libertà, dando libero sfogo a feroci assassinii e saccheggi; appena giunti nelle città della Venezia Giulia, i partigiani sloveni procedono al disarmo e all'internamento degli avversari, a partire dai soldati di Salò. Maltrattamenti, internamenti in campi di concentramento, eliminazione lungo le strade che portano ai luoghi di detenzione, sono tutti trattamenti destinati non soltanto ai militari, ma anche alle forze di polizia ( Questura, Carabinieri ) e ai semplici civili, tutto ciò per l'unica " colpa " di essere italiani; ogni italiano che osa ribellarsi alla dominazione slava è un << fascista >>, con questo titolo si massacrano migliaia di innocenti, rendendo d'obbligo un intervento alleato. Il 9 giugno le forze jugoslave sono costrette ad abbandonare Trieste e la parte occidentale dell'Istria, in cui si insediano truppe inglesi e americane, ma la loro presenza nel resto del territorio viene dichiarata provvisoria e senza influenza per quanto riguarda le decisioni finali. Il nuovo confine prende il nome di << linea Morgan >>, dal nome del generale americano che aveva trattato la questione a Belgrado col governo del maresciallo Tito; nonostante la protesta italiana, che chiede di ristabilire il confine sulla << linea Wilson >>, il governo titino pretende - invece - che esso venga stabilito sull'Isonzo. Il 15 giugno del 1946 il Bollettino Ufficiale slavo pubblica l'ordinanza N. 29 secondo la quale deve essere considerato " nemico " e " fascista ", quindi da epurare, colui che " contro il popolo " si oppone al passaggio dell'Istria alla Jugoslavia o si rifiuta di dichiararsi di nazionalità slava; con le ordinanze N. 42, del 20 febbraio 1946, e N. 71, del 20 maggio 1946, si conferisce al Comitato Popolare locale " il diritto di disporre delle case e di cederle ai croati " e di porre sotto sequestro tutti i beni " del nemico e degli assenti " del distretto di Capodistria. Gli abitanti vengono costretti a cercare rifugio altrove ( " La Voce Libera " 15 febbraio 1946 ), dato che numerose case vengono assegnate ai partigiani slavi; vengono espropriati 9.621 ettari di terreni appartenenti a 937 agricoltori e vengono distribuiti a 3.393 slavi ( circa 3 ettari di terreno per famiglia ). I giuliani propagatori della civiltà latina e veneziana vengono sfrattati da quella jugoslava, la quale li aggredisce nel nome e per il trionfo del comunismo. Nel trattato di pace firmato il 15 settembre 1947 si creerà il cosiddetto " territorio libero " di Trieste, diviso in una zona A di presidio angloamericano e in una zona B affidata agli jugoslavi, divisione diventata definitiva - salvo piccole rettifiche - nel 1954, con zona A e B affidate << in amministrazione >> all'Italia e alla Jugoslavia, comportando un esodo di duecentocinquantamila italiani dal territorio jugoslavo.
Gli infoibamenti italiani - dunque - hanno avuto luogo in due periodi distinti: dal 9 settembre al 13 ottobre 1943, subito dopo l’armistizio italiano, quando gran parte dell’Istria era caduta in balia dei partigiani slavi, e dopo il ritorno degli stessi dal 1 maggio 1945 fino al 1947, perciò ben oltre la fine della guerra.

Secondo il sito http://www.lefoibe.net:<< Il dramma delle Foibe istriane e triestine ha origini fin dal 1918 quando l'Italia riceve a seguito della vittoria nella guerra del '15-'18 tutta l'Istria con circa 500 mila slavi e senza il loro consenso. Questo creerà negli anni seguenti un movimento irredentista slavo al quale l'Italia non saprà opporre una intelligente politica di coinvolgimento.

Gli errori italiani, in sintesi, sono i seguenti:

a ) arrivo di una amministrazione pasticciona, con la nostra solita burocrazia di stampo borbonico-piemontese che sarà considerata una autentica iattura in quelle zone. Teniamo presente che eravamo stati preceduti da una amministrazione austro-ungarica efficiente, elastica ed onestissima, con una secolare tradizione di amministrazione su popoli diversi nel composito impero asburgico;

b ) compressione degli usi e costumi slavi con ostacoli anche all'uso della stessa lingua: un fatto eclatante è quello narrato in un libro in cui si racconta che ai tempi dei bombardamenti "alleati" fu colpita Muggia e gli abitanti dovettero chiedere alle autorità della RSI il permesso di cantare, durante i funerali in chiesa, i canti religiosi in sloveno dato che tale lingua non era ammessa; in sostanza la nostra presenza dopo il 1918 fu vista dai locali piuttosto male.

c ) La situazione economica generale risentiva delle difficoltà dell'epoca ( crisi del '29 ) sulle quali l'Italia aveva responsabilità relative. Non dimentichiamo che fino al 1918 alle spalle di Trieste e di Fiume c'era un grande impero di cui Trieste e Fiume erano i porti principali. L'arrivo dell'Italia coincise con la decadenza sopratutto di Trieste come del resto è noto.

Nel complesso gli istriani e giuliani di lingua slovena si sentirono degli occupati e rimpiangevano l'Austria-Ungheria. Non parliamo poi della toponomastica e dei nomi dei paesi e città dove le tradizioni locali vennero piuttosto ignorate. Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale acuirono ancora la situazione specie con lo sviluppo delle resistenza armata degli slavi contro gli italiani ed tedeschi, con conseguenti rappresaglie. Da tenere presente che in sostanza gli slavi o almeno la parte preponderante dei loro combattenti erano comunisti il che condizionò ancora di più le scelte degli italiani residenti colà. E' certamente vero che la fuga degli italiani avvenne proprio anche per non cadere sotto un regime comunista. Ne esce male anche il CLN italiano che, benché avvisato di quello che poteva succedere ed invitato dai tedeschi e dai fascisti a fare fronte comune contro il calare delle bande slave, non accettò, finendo, così, in parte nelle Foibe, ma i più scapparono a Venezia per sfuggire alla mattanza.

E' chiaro che mai gli italiani fecero ai danni degli slavi neppure una minima parte di quello che poi dovettero subire ma è certo che la politica italiana tra il 1918 ed il 1945 non brillò certo per lungimiranza. Tra l'altro la quasi totalità delle condanne a morte comminate dal Tribunale Speciale negli anni '25-'41 in Italia, riguardò al 90% irredentisti slavi. Si tratta, in sostanza, di vicende disgraziate, frutto molto delle sistemazioni territoriali seguite alla Prima Guerra Mondiale, dove il nostro intervento a fianco degli alleati fu compensato regalandoci nient'altro che dei contenziosi con mezzo mondo mentre gli alleati si prendevano le colonie tedesche e si spartivano il bottino.>>

LE FOIBE

Per le popolazioni slovene e croate del retroterra triestino e istriano la foiba è il luogo ove si era solito gettare quanto non serviva più e di cui era difficile liberarsi altrimenti: vi si gettavano carcasse di animali, vecchie suppellettili, residui di lavorazioni e così via. Gettare un uomo in una foiba significa quindi trattarlo alla stregua di un rifiuto. Nella Venezia Giulia e nella Dalmazia il disprezzo, le lesioni della dignità e dei diritti degli esseri umani, lo spargimento di sangue e le torture si ripetono con impressionante frequenza, generata da una paurosa tendenza verso uno stadio di barbarie tale da disgregare famiglie, demolire parrocchie, rendere impossibile qualsiasi attività economica e civile.
Il 23 giugno 1945 Winston Churchill, che è stato il primo a fornire aiuti militari a Tito e che ha fatto paracadutare il proprio figlio Randolph fra i partigiani jugoslavi, scrive a Stalin: << grandi crudeltà sono state commesse in quella zona dagli slavi contro gli italiani, specialmente a Trieste e a Fiume. Le pretese aggressive del maresciallo Tito devono essere stroncate >>. L'orrore delle Foibe, in cui hanno perso la vita migliaia di connazionali, gettati dai soldati titini con un colpo alla nuca ( a volte neanche quello ), è la documentazione di un cumulo di rancori, odi, vendette e rappresaglie su " fascisti ", che la maggior parte delle volte erano soltanto italiani, ai quali bisognava far finalmente pagare la colpa della loro nazionalità. Il primo maggio, alla vigilia della cessazione ufficiale delle ostilità sul territorio italiano, Trieste viene occupata dai partigiani slavi del IX Corpus, molti giovani della X Mas di Borghese si sacrificarono per difendere fino alla morte l'italianità delle terre di confine, anche se inutilmente.


L'INFOIBAMENTO

I soldati di Tito facevano irruzione - spesso di notte - nelle case dei civili inermi, i quali poi venivano caricati su dei camion e, con le mani straziate dal filo di ferro e avvinti tra loro a catena, venivano portati verso l'orlo dell'abisso; una scarica di mitra faceva cadere i primi, che trascinavano con loro tutti gli altri verso il crudele destino. Certi avevano la " fortuna " di morire sull'istante, certi altri - invece - dopo esser precipitati per centinaia di metri, continuavano ad agonizzare, sentendo accrescere in loro l'atroce dolore provocato dagli spuntoni delle rocce; vi erano anche persone che - prima di essere uccise - venivano cinicamente spogliate e seviziate, sono stati ritrovati - infatti - cadaveri di donne stuprate o gravide, alle quali veniva reciso il ventre per estrarre il feto; uomini evirati o castrati, a cui venivano messi i testicoli in bocca; teschi, ai quali erano stati estirpati denti d'oro e cittadini decapitati e con la testa dei quali si improvvisavano partite di pallone tra commilitoni; molti venivano lapidati dopo aver portato sulle spalle le pietre per la loro esecuzione; altri arsi vivi; … innumerevoli erano le modalità di esecuzione delle vittime: " il mondo civile dovrà inorridire quando sarà possibile far luce su tutti gli orrori e i delitti di cui si macchiarono senza giustificato motivo i partigiani jugoslavi. E' vero che torturavano. E' vero che fucilavano senza ragione. Il supplizio di legare i pazienti per le braccia ai pali e tenerli così sospesi per delle ore era all'ordine del giorno. Delle volte le grida di dolore dei torturati facevano impazzire noi poveretti che eravamo obbligati ad assistere al supplizio " ( Antonio Cau, Appuntato della Guardia di Finanza - Maggio 1945 ). Si tentava con la violenza di capovolgere i date anagrafici della regione, deportando o uccidendo italiani, convogliando sloveni e croati sul luogo e manomettendo le anagrafi, lo stesso metodo che usava la Russia nei paesi baltici.

LA FOIBA DI BASOVIZZA

La Foiba di Basovizza può essere considerata l'emblema dell'eccidio del Carso, dell'Istria e di tutti i luoghi che videro il martirio e l'atroce morte degli italiani, sia per l'elevato numero di vittime, sia per la tragicità delle violenze della strage colà perpetrata. Occorre subito precisare che essa non è una foiba naturale, bensì ciò che rimane di un pozzo di una miniera, scavato all'inizio del secolo fino alla profondità di 256 metri, nella speranza di trovarvi carbone, ma la speranza andò tradita, così gli scavi furono continuati fino ad una profondità di 700 metri, pur avendo un esito nuovamente negativo; nel 1939, alcuni speleologi constatarono che il fondo si era innalzato fino ad un livello di 226 metri, a causa dei detriti delle strutture di legno della cava e dei residuati bellici della prima guerra mondiale.
Dal primo maggio al 15 giugno 1945 furono infoibate 2.500 vittime tra civili, militari italiani, carabinieri e finanzieri. Una signora - ormai anziana - fatta cadere nella foiba, rimase impigliata in uno dei tanti arbusti che crescono orizzontalmente nelle voragini rocciose, i contadini - pur avendola udita urlare per ore - non riuscirono ad aiutarla, fino a quando, tra un viaggio e l'altro dei camion pieni di prigionieri, un contadino riuscì a gettare sull'anziana signora una bracciata di paglia infuocata, facendo precipitare la donna sulla catasta dei cadaveri. Nel 1945, il livello della foiba era salito a 198 metri, 500 metri cubi di cadaveri, cifra spaventosa considerando che in 1 metro cubo possono starci quattro salme.
Analizzando un documento delle truppe jugoslave, risalente al periodo di occupazione della Venezia Giulia, si può trovare la descrizione della tremenda via -Crucis dei morituri, destinati a precipitare nella grande Foiba di Basovizza, dopo essere stati prelevati dalle loro case triestine, durante alcuni giorni di rigido coprifuoco, e poi portati sul luogo ove il destino li attendeva. E' importante ricordare che le atrocità perpetrate dai partigiani titini non si limitano agli infoibamenti, ma sono "degni di menzione" anche gli affogamenti, soprattutto a Zara; le vittime venivano gettate in mare con una pietra al collo, sprofondando nei tenebrosi ed impenetrabili abissi.

LE PERSECUZIONI RELIGIOSE

Lo scontro col comunismo dei partigiani titini è impressionante anche sul piano religioso. Dopo il totale annullamento di ogni organo civile e militare in Venezia Giulia e Dalmazia, erano rimasti sul posto soltanto vescovi e sacerdoti; la popolazione italiana di tutto il litorale adriatico era profondamente credente e religiosa, duro fu il contrasto contro la furia comunista, che intraprese una dura lotta al Cristianesimo: splendide Chiese e Cattedrali romaniche, bizantine e di origine veneziana vennero abbandonate dagli slavi, distrutte o trasformate in autorimesse; " Il veleno viene inoculato lentamente ed a piccole dosi. Contro il clero bisogna ingaggiare una lotta senza quartiere, non però aperta, ma subdola. Creare il distacco fra parroco e parrocchiani, impedire che la chiesa diventi un punto di riferimento per una popolazione minacciata e abbandonata da tutti " ( " Vita Nuova ", 15 giugno 1946 " ). Si ricorda soprattutto un sacerdote evirato ed ucciso con una corona di spine in testa per aver celebrato << una festa chiamata Pasqua >>.

I MARTIRI DIMENTICATI

Il comunismo non ha mai avuto fortuna nella Venezia Giulia; innumerevoli furono le giustificazioni per un tale avanzamento di confine: storiche, etniche, culturali, ma l'ultima e decisiva giustificazione fu quella del diritto assoluto e preminente del trionfo del Comunismo, dinanzi al quale devono cadere tutte le frontiere e tutte le ragioni etniche e storiche. I cittadini si accorgono che dietro la scusa della lotta al Fascismo, si nasconde una vera e propria caccia all'Italiano. Uno degli obiettivi che gli esponenti slavi vogliono conseguire è la distruzione della classe dirigente istriana, quasi tutta di origine italiana, oltre alla depredazione dei possedimenti terrieri, in modo tale da assicurarsi il controllo totale del potere. Ma quella slava non fu una lotta di classe, non era una rivolta dei poveri contadini contro i padroni italiani, un contadino si ribella, uccide sul posto, non incarcera, non processa sommariamente, non infoiba il padrone. Le Foibe furono il frutto di un massacro preordinato, al quale nessuno - pur consapevole - si oppose, di un progetto che impegna il mondo comunista nella pretesa di creare un " uomo nuovo " e che si traduce nel bisogno di sottoporre le aree italiane della regione a un bagno rigeneratore, che assume il volto di una pulizia etnica. " Sì, figli miei (…) siate senza pietà, colpite, figli miei, fratelli, compagni … colpite ! Ripulite il mondo da questa banda di assassini degeneri. ", è la voce di una madre, che incita nella finzione giornalistica di regime.Nessuno è in grado di dire con sicurezza quante furono le vittime delle Foibe: ufficialmente sarebbero 5 mila, prendendo come fonte i dati degli angloamericani e gli elenchi delle anagrafi, ma - come è noto - sono elenchi manipolati e, soprattutto, non tengono conto di coloro che furono affogati in mare. A tale numero di vittime, poi, va aggiunto quello delle migliaia di deportati nei gulag jugoslavi, dei quali la maggior parte non fece più ritorno; perciò il numero complessivo dovrebbe essere di circa 15 - 20 mila deceduti. Sui carnefici non si hanno molte notizie, sicuramente si trattava di individui che facevano capo all'OZNA, la polizia segreta del regime titino, i cui agenti giunsero a Trieste con liste di proscrizione, trovando ausilio nella manovalanza locale. Il Pm Giuseppe Pititto, che si occupa del caso " Foibe ", ha chiesto l'estradizione per due criminali jugoslavi, Ivan Motika, conosciuto come il " boia di Pisino " ed Oskar Piskulic, detto " Zuti ", capo della polizia titina a Fiume, responsabili dell'assassinio di centinaia di italiani a guerra finita; il Pm dichiara di aver ben poca fiducia nella risoluzione del caso: il rifiuto del permesso di estradizione per Motika e Piskulic da parte del giudice per le indagini preliminari - secondo il quale la richiesta non poteva essere accolta, poiché l'inchiesta riguarda reati commessi in territori che ora sono fuori la giurisdizione italiana - complica e rallenta la risoluzione del caso, anche se ora si attende la decisione del Tribunale del riesame di Roma, che deciderà sul ricorso in appello di Pititto. In concomitanza con l'udienza, il Pm ha anche reso noto di aver ricevuto delle telefonate intimidatorie e minacce di morte. Figurano con loro nell'inchiesta altri ottanta criminali di guerra, autori del genocidio degli

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finalino della parte destrorsa
by morfeo Friday, Nov. 29, 2002 at 10:42 AM mail:

Figurano con loro nell'inchiesta altri ottanta criminali di guerra, autori del genocidio degli italiani in Istria; a Roma - intanto - veniva arrestato il Capitano delle SS Erich Priebke accusato di crimini di guerra per la strage delle Fosse Ardeatine. Allorché si è parlato di Foibe subito si sono posti paragoni tra i due avvenimenti ( Foibe - Fosse Ardeatine ) pensando che si potessero equiparare, ma non è così. Se le Fosse Ardeatine sono state la manifestazione di crudeltà raffinata e rappresentano uno dei volti più terrificanti della II A Guerra Mondiale, le Foibe sono ancora più crudeli e macabre. Le 335 vittime romane del 24 marzo 1944 sono state uccise e il loro sacrificio è stato provocato dalla mancata presentazione di coloro che, tramite un attentato, il giorno precedente avevano causato la morte di 32 Tedeschi. In Istria sono morti migliaia di civili e non, ben oltre la fine della guerra. Molti sono stati gettati nella Foiba ancora vivi o feriti e il loro martirio era frutto di una sola " provocazione ": l'essere italiani. Gli episodi di violenza si sono protratti fino al 1947, dunque si tratta di crimini civili e i parenti delle vittime lamentano che mai nessuno da Roma si è degnato di porre un fiore sulla loro tomba....

(E con questo che per me è solo uno sproloquio di parte concludo la raccolta differenziata)


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un pò loggoroico !
by Baf Friday, Nov. 29, 2002 at 12:56 PM mail:

Documentati; certo ma penso che la guerra faccia schifo anche per le "vendette" che si porta dietro .
dispiace anche però la natura di queste polemiche , che non considera mai "la causa scatenante" .
eppure sono sempre stati bravi a scusare il fascismo con il pericolo rosso .

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???
by morfeo Friday, Nov. 29, 2002 at 1:10 PM mail:

-logorroico? no: ho raccolto dati.
-documentati: ??? (mi pare di averlo fatto e divulgato)
-di chi parli? chi difende cosa? qui ci sono varie versioni di un medesimo problema. COmunque non capisco quello che hai scritto: è una critica? una riflessione?
Scusa, forse sono stanco io...


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ottima idea morfeo
by Il Talpo Friday, Nov. 29, 2002 at 1:24 PM mail:

Affrontare i problemi che la destra pone accusandoci di "sorvolare".
Anche perchè mi sembra che la storiella delle foibe (che storiella non è) sia l'unico argomento che hanno.

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seeeeeeeeeee
by robi Friday, Nov. 29, 2002 at 4:25 PM mail:

bonanotte talpoooooooooo !!! sei un falso di merda !!!

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falso?
by Il Talpo Friday, Nov. 29, 2002 at 5:34 PM mail:

Scusa se mi abbasso al tuo linguaggio: MA CHE CAZZO VUOI?

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lettere al Piccolo
by Fabio Mosca Friday, Feb. 14, 2003 at 12:09 PM mail:

Lettera pubblicata da Il Piccolo di Trieste

1- Come mai subito dopo la fine della guerra " l'orrenda foiba di Basovizza piena di migliaia di cadaveri", come si vuol far credere ed è ormai creduto da tanta gente, per ben 15 anni non è stata nemmeno chiusa ed apposta una croce, come si addice ad ogni sepoltura? Io ricordo che passai di là nel '52 ed era solo una buca aperta dalla quale ci si guardava di avvicinarsi. Nemmeno un cartello di pericolo, niente! Eppure era sindaco di Trieste l'istriano Gianni Bartoli, non sospetto di criptocomunismo né filo jugoslavo. Appena nel 1960 venne chiusa con una semplice soletta di cemento.
2- Come mai vi vennero gettate una grande quantità di detriti, rottami ed olii esausti coll'autorizzazione del Comune ?
3- Come mai il primo sindaco di Trieste, Michele Miani, del partito d'Azione, inviso allora ai comunisti, che durante i quaranta giorni se catturato sarebbe certamente sparito, non ha voluto mettere anche le "foibe" nella motivazione della medaglia d'oro alla Città di Trieste? Eppure era presidente della Repubblica Luigi Einaudi, un liberale, non un comunista. Appena nel 1954 venne aggiunta la parola foibe.
4- Perché solo la seconda generazione degli esuli, nati e cresciuti in pace in tempi di pacificazione avvenuta, ha tirato fuori la balla che non si era mai parlato di Foibe, quando nel dopoguerra ci furono decine di processi in Trieste? Forse perché loro non ne hanno sentito parlare! Basta consultare una raccolta dei giornali dell'epoca e si vede quanto invece se ne parlò.
5- Perché mai nessun esponente della sinistra, la più colpita da questa campagna, cita lo studio del prof. Ennio Maserati, che documentò la realtà dell'occupazione jugoslava in un libro edito nel 1966 dal titolo "L'occupazione jugoslava di Trieste (maggio-giugno 1945)" edito dalla Del Bianco di Udine? Il professore, non certo filojugoslavo, è anzi membro della deputazione di storia patria presieduta da Arduino Agnelli! Da quel libro, a pag.79 e seg. appresi che di infoibati a Trieste ce ne furono circa una quarantina, 28 dei quali infoibati dalla " banda "Steffè" che venne sciolta ed arrestata dagli stessi Jugoslavi! Giovanni Steffè ed il Mazzoni, vennero da loro uccisi mentre tentavano la fuga!
6- Perché malgrado le notizie su riportate, di dominio pubblico ma solo per chi vuole sapere, sono ignorate dai media che invece avvalorano le panzane di Menia, sono condivise dal diessino Spadaro, dal comunista italiano Spetic', dall'on. Violante ecc.ecc.?
7- Come mai nemmeno i rifondaroli hanno il coraggio di smascherare l'ignobile montatura?

Risposta al sig. Rustia mai pubblicata da Il Piccolo

Il sig. Rustia non ha dissipato i miei dubbio sulla foiba di Basovizza.
Egli afferma sdegnato che nella foiba di Basovizza ci sono ben 2000 cadaveri come testimonianza da un certo commissario Giorgi, testimone chiave per scienza infusa, dato che nessuno ha potuto riesumarli e contarli...
Ma se nessuno ha potuto farlo, dice il Rustia, la colpa ricadrebbe unicamente sul Governo Militare Alleato col suo ripugnante diniego di dare cristiana sepoltura a quei 2000 cadaveri di Italiani uccisi solo in quanto tali. Lo proverebbe a detta del Rustia una lettera inviata in tal senso dal Comune di Trieste nel '49 (in ritardo di 4 anni rispetto la fragranza dell'enorme crimine).
Insomma, a detta del Rustia, nel '49 c'era la complicità degli anglo-americani con gli "slavocomunisti"!
Eravamo nel pieno della guerra fredda e che il confine allora era chiamato anche CORTINA DI FERRO. Forse il Rustia non lo sa. Non passava notte senza che si sentisse sparare dalle torrette che dominavano il confine denudato della vegetazione (Ancora oggi si riconosce il confine da quella striscia !)

Ma non basta! La complicità con gli odiati infoibatori titini avrebbe continuato, a detta del Rustia, anche dopo il '54, con l'arrivo dell'Italia di Pella e Scelba. Quelli per dire che nel '53 avevano mobilitato l'esercito ai confini con la Jugoslavia, pronti a farle guerra. Tutti filotitini, a detta di questo personaggio.
Nemmeno i governi dell'Italia, a detta del Rustia, diedero risposta alla richiesta del '49 del Comune di Trieste, che , sempre diretto dall'esule Gianni Bartoli- anche lui filotitino- non rinnovò la richiesta per l'estrazione dei summenzionati 2000 cadaveri dalla foiba di Basovizza!

Nel frattempo il sindaco esule Gianni Bartoli, chiamato scherzosamente anche Gianni Lagrima per la sua emotività riguardo il Tricolore autorizzava nientemeno una discarica d'immondizie sopra quei presunti resti umani!

Passarono altri 6 anni prima che a Roma si decidesse di chiudere la foiba con una soletta di cemento .

Tutto insomma farebbe pensare, col semplice buon senso, che quella di Basovizza era sino alla sua copertura solo una buca vuota.

Resta il sospetto che si tratti di una montatura, costruita a posteriori, per "equilibrare" la Risiera, quella si senza giustizia!

E la sua attualizzazione serve a tirare su le richieste di risarcimenti agli esuli di seconda e terza generazione (quelli veri, fra cui miei parenti, sono trapassati a miglior vita in venerabili età)

Infine sul libro di Maserati il Rustia vi vede la conferma della verità dell'esistenza delle foibe.
Ma una cosa sono i resti umani estratti dalle foibe del Carso triestino, il cui numero resta quello di una quarantina, a cui mi sono riferito io. Altra cosa sono i deportati e gli scomparsi nei lager sparsi nel vasto territorio jugoslavo, ai quali il Rustia si riferisce alle pagine citate. Ma non giacciono a Basovizza!
In ogni caso il citato Gianni Bartoli raccolse i nomi di tutti gli scomparsi raggiungendo il numero di 4500. Ed accurate indagini del prof. Samo Pahor hanno portato alla scoperta che almeno la metà erano tornati a casa e gli altri solo in parte potevano essere nelle foibe.

Poco, per parlare di pulizia etnica! Tesi contraddetta dall'emigrazione in Jugoslavia di 3000 operai italiani, soprattutto dei Cantieri di Monfalcone, che andarono a costruire il socialismo.
( E finirono male non perché Italiani, ma perché fedeli al PCI e non a Tito dopo la rottura col Cominform.

Non ho alcuna remora a riconoscere i crimini del regime comunista jugoslavo, dove ci sono fosse comuni con rinvenimenti di ossa, come a Kocevski Rog e Ljubelj, o come a Goli Otok ed altrove. I comunisti jugoslavi hanno fatto molti crimini, ma non quello della pulizia etnica. Certamente se a Trieste arrivavano le bande cetniche monarchiche invece che i partigiani di Tito la pulizia etnica ci sarebbe stata, eccome! Lasciamo ad ognuno le sue caratteristiche: E' stata la Destra Jugoslava, formata da fanatici nazionalisti, alleata ai nazifascisti, a battere quella strada negli spaventosi eccidi fratricidi fra cattolici, ortodossi e mussulmani tutti parlanti la stessa lingua, non i comunisti che di tutto possono essere accusati ma di razzismo religioso proprio no!
Fabio Mosca

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risiera
by Rodolfo Friday, Feb. 14, 2003 at 12:14 PM mail:

la risiwera, quella sì un falso storico

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Ancora stronzate sulle foibe!!!
by P.le Loreto again!!!! Friday, Feb. 14, 2003 at 12:24 PM mail:

Le foibe bisogna riaprirle e buttarci tutti
i fasci di merda e forzitalioti che ammorbano
l'aria di questo nostro bel paese!!!!

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ma va...
by ...va..... Friday, Feb. 14, 2003 at 12:29 PM mail:

..ffanculo, sprofonda in un lager

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NESSUN PENTIMENTO
by IX CORPUS Friday, Feb. 14, 2003 at 12:34 PM mail:

NESSUN PENTIMENTO...
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Vai Livorno
by P.le Loreto again Friday, Feb. 14, 2003 at 12:44 PM mail:

Grandi, magici tifosi del Livorno!
La curva più bella d'Italia e lo dico
da tifoso della Magggica Roma.
Purtroppo la Curva Sud, a dispetto del
suo glorioso passato, è infestata da
fasci di merda come i famigerati BOYS.
Comunque, di nuovo RESPECT a Livorno e
ai livornesi!!!

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poi dici che uno è anticomunista
by Giuliano Friday, Feb. 14, 2003 at 1:12 PM mail:

Grazie di esistere, ragazzi. Siete la dimostrazione che perfino Berlusconi può aver ragione.

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Vergogna!
by Gertk Thursday, Jul. 10, 2003 at 1:18 PM mail:

Trovo vergognosi i revisionismi di qualsiasi colore. Vergogna a chi inneggi a Tito come a chi inneggia ad Hitler. VERGOGNA!!!

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no comment
by Realista Thursday, Jul. 10, 2003 at 1:31 PM mail:

no comment...
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Smentita
by Realista Thursday, Jul. 10, 2003 at 1:33 PM mail:

QUESTO QUI SOPRA NON L?HO MANDATO IO, USARE IL NICK DI QUALCUNO éESTREMAMENTE SCORRETTO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

da REALISTA

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rossi o neri
by claudio Saturday, Dec. 20, 2003 at 3:20 PM mail:

Gli assassini i dittatori sono sempre e soltanto assasini e dittatori, non importa il colore. Il dramma e` che chi vede i fatti con lo sguardo contaminato dell`ideologia politica non riesce mai ad essere obbiettivo e nega cose assolutamente vere.
Sicuramente oggi in Italia esiste piu` un pericolo rosso che non un pericolo nero e questi commenti lo dimostrano, il dramma e` che non ci resta altro che Berlusconi!

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Ricerca
by Trevis Sunday, Apr. 04, 2004 at 6:08 PM mail: rizzolevi@aliceposta.it

stò da più tempo cercando notizie,su di una nave da guerra tedesca che si trovava in rada a Trieste in data 01.05.1945,che fù assalita da milizie partigiane nella stessa data.Gli assaltatori gettarono varie bombe a mano,facendo strage di quanti marinai tedeschi si trovano in quel momento sulla nave,danneggiandola inesorabilmente.Questa ricerca,per facilitare a distanza di 60 anni di poter rintracciare le spoglie di alcuni marinai tedeschi di cui da quel momento si persero le tracce.Prego chi potesse darmi informazioni in merito,poter contattarmi al mio indirizzo E-Mail che allego:rizzolevichiocciolaaliceposta.it grazie per quanto.Novak Mario

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ma che foibe
by Elektro2 Sunday, Apr. 04, 2004 at 7:50 PM mail:


io invece sono grato all'autore primo di qs post... anche perche', come dice lui stesso, qs foibe sono troppo spesso usate per cercare di farci dimenticare le innumerevoli piccole e grandi vessazioni messe in atto dal fascimo. (la bellaballa della pulizia raziale abitualmente sbandierata da chi si ostina a difendere fascismi e dittature dei potenti e sempre piu' incomprensibile, soprattutto da parte di coloro che potenti non lo sono per nulla)

Che poi esca qualche "tiffoso" con le sue stronzate qualunquiste (spiacemi ma i Tiffosi mi stanno sul culo di qualsiasi colore essi siano) e che altri escano in adiacenza il solito (ed ammuffitissimo) "le ardeatine sono colpa di chi non si presento'" .... come a dire che gli autori di piazza fontana (e bologna e piazza Loggia etc etc) magari si sarebbero spontaneamente presentati se solo qualcuno avesse minacciato di ammazzare dieci italiani per ogni italiano ucciso.... ooops .... forse che sia proprio qs il problema ??? (o magari, per fare di tutti i "terrorismi" un fascio, se le BR si sarebbero spontaneamente presentate se la PS avesse minacciato di uccidere dieci democristiani per ogni Aldo Moro ucciso...) (disclaimer: mi fanno schifo entrambi, stragisti e BR, ma gli stragisti di piu', ovviamente)

Mi spiace usare il paradosso, ma chi ancora si ostina a non capire la differenza tra "occupati" e "occupanti" rischia sempre piu' di sembrare in malafede.... e forse un poco di sana provocatia male non gli fa...

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