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Jhon Pilger: Medio oriente, guerra recidiva
by JOHN PILGER Monday, Feb. 10, 2003 at 1:45 AM mail:

L'ossessione dell'Iraq nasconde la fonte del vero pericolo: la pulizia etnica di Sharon in Palestina. Blair condanna Saddam senza prove, poi approva senza chiasso la vendita di armi chimiche a Israele www.johnpilger.com




Ghada Karmi, la scrittrice palestinese esiliata a Londra, ha parlato di «un profondo e inconscio razzismo [che] permea ogni aspetto della condotta occidentale nei confronti dell'Iraq». Scrive Karmi: «Ricordo che, durante la crisi di Suez del 1956 e la guerra arabo-israeliana del 1967, quando Nasser era il cattivo e tutti gli arabi erano brutalmente presi di mira, una simile cultura era prevalente nel Regno Unito. Oggi, in Gran Bretagna, un atteggiamento così palesemente anti-arabo sarebbe inaccettabile, perciò assume forme più sottili. Attaccare Saddam, uno sport ufficiale dal 1991, ha fatto di lui l'oggetto perfetto dell'abuso anti-arabo». Avendo letto queste righe, ho ripreso il ricordo del londinese Observer del suo grande direttore, David Astor, morto nel 2001. Nel 1956, opponendosi all'attacco britannico all'Egitto, Astor, diceva il giornale, «rimproverò il governo per il suo atteggiamento prepotente e, così facendo, caratterizzò l'Observer come un giornale di libero pensiero pronto a nuotare controcorrente...». In un famoso editoriale, Astor aveva parlato di «un tentativo di reimporre l'imperialismo del XIX secolo della peggiore specie». Scriveva Astor: «Si dice che le nazioni abbiano i governi che meritano. Dimostriamo che meritiamo di meglio». Secondo l'attuale Observer «oggi risuonano la ricchezza della lingua e la rilevanza dei sentimenti [di Astor]».

L'assenza di ironia in questa affermazione è desolante. Col suo editoriale del 19 gennaio, l'Observer ha infine seppellito David Astor e la sua eredità di "libero pensiero" dotato di principi che un tempo distingueva l'Observer dai suoi rivali facendone un faro del giornalismo liberale in Europa. Quanto è successo all'Observer è sintomatico del crollo dei principi tra i liberali che fanno parte dell'establishment in tutta l'Europa, dai giornalisti agli accademici, che ora appoggiano le truppe di Bush e Blair. Fingendo di torcersi le mani, il giornale ha annunciato di essere a favore dell'attacco all'Iraq: una posizione promossa dalle sue pagine di notizie e servizi ormai da più di un anno, in particolare con una serie di sterili "inchieste" che cercavano di collegare l'Iraq alla minaccia dell'antrace e ad al Qaeda. Il giornale che aveva orgogliosamente preso posizione contro il primo ministro Anthony Eden e il suo imperialismo guerrafondaio per riprendersi il canale di Suez, oggi non è che un supplice al guerrafondaio Tony Blair - disposto a sostenere lo stesso crimine che i giudici di Norimberga giudicarono il più grave di tutti: un attacco non provocato a uno Stato sovrano che non sta minacciando nessuno.

L'immoralità dei guerrafondai liberali è espressa al meglio nello loro omissioni. Non una sola parola, nell'arrogante trattazione dell'Observer, è dedicata al grande crimine commesso dai governi britannico e americano contro la gente comune dell'Iraq. Bloccando le forniture umanitarie per un valore di oltre 5 miliardi di dollari approvate dal Consiglio di Sicurezza, Washington, con il sostegno di Blair, sta imponendo all'Iraq un embargo feroce e medievale. Avere negato forniture per la cura del cancro, attrezzature per il trattamento dell'acqua, antidolorifici, vaccini per i bambini (per citare solo alcuni dei prodotti essenziali crudelmente negati), ha causato la morte di decine di migliaia di persone vulnerabili, soprattutto bambini sotto i cinque anni. La documentazione è voluminosa: dal rapporto del team medico di Harvard di oltre dieci anni fa, fino al rapporto delle Nazioni Unite State of the World's Children, uscito il mese scorso. Basandosi sulle statistiche, gli studiosi americani John Mueller e Karl Mueller concludono che «le sanzioni economiche hanno probabilmente già causato la morte di più persone in Iraq di quante non siano state uccise da tutte le armi di distruzione di massa».

Nell'editoriale dell'Observer su questo non c'è una parola: di certo, ciò equivale a ricordare la seconda guerra mondiale omettendo l'Olocausto. Quando festeggerà la defenestrazione di Saddam Hussein, con le immagini degli esausti iracheni «grati» ai loro liberatori, l'Observer spiegherà ai suoi lettori che qualcosa come un milione di persone, soprattutto bambini, non avranno potuto partecipare ai festeggiamenti grazie alle barbare politiche dei governi britannico e americano? No. Un intelletto e una moralità contorti, che aspirano a partecipare al piano del Pentagono di una «tempesta di fuoco di 800 missili» contro i civili è a suo agio con la repressione, come spesso ha sottolineato George Orwell.

Torniamo, inevitabilmente, ai riferimenti di Ghada Karmi al razzismo velato che anima ogni attacco occidentale contro gli arabi, da quando nel 1921 Winston Churchill preferiva «usare gas venefici sulle tribù incivili», fino all'uso dell'uranio impoverito e delle bombe cluster nel massacro del Golfo del 1991. Questo razzismo colpisce soprattutto la terra di Ghada Karmi, la Palestina. L'ossessione dell'Iraq nasconde la fonte del vero pericolo in Medio Oriente.

Mentre la pantomima irachena va avanti, lo stato israeliano ha cominciato, praticamente senza che nessuno se ne accorgesse, il passo successivo della sua storica pulizia etnica dei palestinesi. Il 21 gennaio, la città di Nazlat `Iza nella Cisgiordania settentrionale è stata invasa da un'armata di automezzi blindati per il trasporto dei soldati, tank e bulldozer israeliani da 60 tonnellate fabbricati in America. 63 negozi e innumerevoli case sono stati demoliti. Quei palestinesi che hanno protestato sono stati bersagliati dai lacrimogeni e picchiati. «Questo non ci sorprende» ha detto il dottor Mustafa Barghouti, presidente della Union of Palestinian Medical Relief Services. «Tutte queste azioni fanno parte di un piano per cacciare i palestinesi da aree della Cisgiordania e di Gaza». L'attacco all'Iraq farà da copertura a un numero maggiore di queste azioni di pulizia etnica.

Alcune parti della Cisgiordania sono soggette al coprifuoco da un totale di 214 giorni. Interi villaggi sono agli arresti domiciliari. La gente non può essere curata; si è impedito alle ambulanze di raggiungere gli ospedali; alcune donne hanno perso i loro bambini appena nati tra atroci sofferenze e pozze di sangue ai check-point militari. I bambini non possono raggiungere la scuola; gli esami saltano e in alcuni casi l'istruzione viene quasi abbandonata. L'acqua fresca è sempre scarsa, e anche il cibo. In alcune zone, più della metà dei bambini sono gravemente denutriti. Un'immagine per me indimenticabile è la vista degli aquiloni dei bambini che volavano dalle finestre e dai cortili delle loro case-prigioni.

Poi c'è il massacro; e massacro è la parola giusta. Durante i mesi di novembre e dicembre, si stima che gli israeliani abbiano ucciso 100 civili palestinesi - un record secondo un calcolo. Tra essi vi erano una donna di 95 anni, 14 bambini piccoli e un operatore dell'Onu britannico colpito alla schiena da un cecchino israeliano. I gruppi per i diritti umani dicono che la maggior parte delle morti sono avvenute in assenza di scontri a fuoco. Nei media occidentali questi atti non sono quasi mai descritti come omicidi e atti di terrorismo. Amnesty International ha invitato la Gran Bretagna e altri firmatari delle convenzioni di Ginevra a prendere provvedimenti; e sebbene Scotland Yard a Londra abbia indagato per crimini di guerra il ministro della difesa israeliano e capo dell'esercito, generale Shaul Mofaz, non è stato preso alcun provvedimento e Blair non ha detto niente.

Mentre condanna l'Iraq per le armi chimiche che una valanga di ispettori non riesce a trovare, Blair ha approvato senza chiasso la vendita di armi chimiche a Israele, uno stato canaglia e terrorista secondo la definizione di qualunque dizionario. Mentre accusa l'Iraq di resistere alle Nazioni Unite, egli tace sulle 64 risoluzioni Onu che Israele ha ignorato - un record mondiale.

L'editoriale dell'Observer non cita i terroristi israeliani che, giorno dopo giorno, soggiogano e brutalizzano un'intera nazione demolendo case e negozi, espellendo le persone, uccidendo e «torturando sistematicamente» (Amnesty). Nessuna «azione decisiva» parole dell'Observer) è richiesta contro i criminali di guerra accertati Sharon e Mofaz che, insieme ai loro predecessori, hanno causato una quantità di sofferenze che Saddam Hussein e Al Qaeda possono solo sognare. Non suggerisce che le cannoniere britanniche dirette in Medio Oriente debbano «intervenire» nella «repubblica della paura» che Israele ha creato in Palestina in spregio del mondo e «disperdere» loro. Non c'è una sola parola sulle armi di distruzione di massa che Sharon ha ripetutamente minacciato di usare.

Per la maggior parte della gente in Europa, e in tutto il mondo, questi doppi standard sono ormai evidenti, e offendono la comune decenza. Ascoltate quello che dice la gente sull'autobus o al bar, se volte sapere il perché. Questa decenza, e un'intelligenza critica da parte dell'opinione pubblica, non è capita dai propagandisti suburbani dell'Europa, la cui passione e supposta vicinanza al potere segna la loro servilità nei suoi confronti. Questo potere e, per associazione, i suoi cortigiani mediatici sono stati definiti succintamente da un insigne studioso di politica internazionale, il defunto professor Hedley Bull. «Particolari stati o gruppi di stati» scriveva Bull «che si pongono come autorevoli giudici del bene comune mondiale in spregio del punto di vista altrui, costituiscono di fatto una minaccia».



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