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CHE SUCCEDE IN GIORDANIA E IN EGITTO?
by danila Friday, Mar. 21, 2003 at 10:05 AM mail:

I cosiddetti paesi arabi moderati, amici dell'occidente, reprimono duramente il movimento contro la guerra

Ieri sera l'inviata RAI ad Amman Maria Cuffaro parlava della situazione in Giordania, dove tutta la popolazione è contraria alla guerra mentre dal territorio Giordano, dove sono presenti forze speciali anglo-americane è partita l'infiltrazione in Iraq.
Descriveva una situazione di estrema repressione, re Abdallah continua a negare la partecipazione giordana alla guerra e una manifestazione spontanea degli studenti è stata brutalmente dispersa.
Posto degli articoli un pò vecchi, anche sulla situazione egiziana, che risalgono alla scorsa primavera, quando ci fu la mobilitazione contro l'invasione israeliana, nella speranza che siano utili alla comprensione e alla nascita di relazioni di solidarietà con questi compagni che si muovono in questi paesi dove non si può neanche fare una manifestazione, paesi in cui vige una dura legge di emergenza da tanti anni (in Egitto dall'anno in cui fu ucciso il premier Sadat).
Perchè non pensare a manifestazioni di solidarietà davanti a queste ambasciate? Il movimento inglese ha già fatto qualcosa di simile, chiedendo la liberazione in questi giorni di un compagno che partecipò alle lotte studentesche negli anni '70 e che i servizi di sicurezza egiziani hanno arrestato recentemente.
E leggendo Alahram, un settimanale del Cairo, si vede quanto importanti possano essere queste mobilitazioni.
http://www.ahram.org.eg



Appello dalla Giordania in appoggio alla Federazione dei Sindacati Professionali e agli attivisti contro la normalizzazione incarcerati dal regime.
15 ottobre 2002



In assenza del Parlamento, sciolto dal governo nel giugno 2001, il regime giordano, paladino arabo degli interessi statunitensi e israeliani nella regione, da piu' di un anno opera ai margini della Costituzione attraverso le cosiddette Leggi temporanee, una legislazione di emergenza promulgata ed applicata unilateralmente dal governo e che ha riportato il paese ai peggiori anni del periodo della legge marziale (1958-1989).
Le leggi temporanee sono dirette fondamentalmente per controllare e reprimere le liberta' collettive dei giordani e particolarmente la liberta' di espressione (attraverso la legge sulla Stampa) e la liberta' di riunione (attraverso la legge di Associazione) ecc..
La lotta portata avanti dall'Unione dei Professionisti Giordani contro il processo di normalizzazione con Israele che il regime giordano ha imposto al paese dal 1994, contro l'adeguamento della Giordania ufficiale agli interessi regionali di USA ed Israele e contro l'embargo e la guerra contro l'Iraq ha trasformato questa organizzazione, il cui attivismo trova l'appoggio popolare maggioritario in Giordania, in un obiettivo prioritario della repressione interna del regime.

Il passato 7 ed 8 ottobre sono stati arrestati tre ingegneri membri del Comitato anti-normalizzazione. I tre sono stati accusati di far parte di un'Organizzazione illegale. L'UAP ha indetto proteste e manifestazioni per la loro liberta' e chiede l'invio di e-mail ai vari rappresentanti del governo giordano. Gli indirizzi si trovano sul sito: http://www.nodo50.org/csca


CINQUE GIORNI NELLA PRIGIONE GIORDANA DI AL-YUWEIDE:
LA TESTIMONIANZA DI HISHAM BUSTANI
22 APRILE, 2002, AMMAN, GIORDANIA
http://www.nodo50.org

Notte di martedì 9 aprile 2002
Un gruppo di attivisti, tra cui Shadi Mdnat (ingegnere) ed io, eravamo riuniti nella sede dell'Unione delle Associazioni Professionali ad Amman, discutendo sull'uso di gas lacrimogeni e dei suoi effetti sulla salute umana, particolarmente in quelle zone ad alta densità di popolazione, quando il gas penetra nelle case.
Nella mia borsa avevo una cartuccia usata con due numeri scritti nella sua base inferiore: 10 79. Stavamo discutendo su questi numeri che, presumibilmente indicano la data di fabbricazione, di questa cartuccia raccolta sul luogo dove recentemente si era avuta una manifestazione ad Amman. La discussione verteva anche sugli effetti dell'utilizzazione di questi gas una volta scaduti e sugli effetti delle sostanze la cui composizione era scritta su un'altra cartuccia: agenti multi-irritanti.
Avevamo iniziato questa discussione a causa delle numerose denunce ricevute da diverse organizzazioni e comitati impegnati nella difesa delle libertà e dei diritti umani, per cui l'utilizzazione di questi gas lacrimogeni scaduti contro i manifestanti è un fatto frequente. Sono state proprio queste denunce che hanno stimolato la Società Giordana per la Difesa dei Diritti del Cittadino a spedire una lettera al primo ministro Ali Abu Al Ragheb, il 6 aprile 2002, in cui si dichiara "di aver ricevuto con enorme preoccupazione le numerose denunce relative all'impiego di gas lacrimogeni da parte delle forze di sicurezza, utilizzazione che produce significativi danni secondari alla salute umana; tutto ciò richiede da parte sua un'immediata inchiesta, così come la condanna dei responsabili di queste azioni".
Quando eravamo fuori della sede due agenti della cosiddetta Sicurezza Preventiva ci hanno seguito e mi hanno chiamato per nome: "Dottor Hisham…" Quando ho guardato dietro mi hanno chiesto la cartuccia vuota del gas. Io ho rifiutato e uno di loro è andato a chiamare l'ufficiale che gli ha ordinato di prendermi la borsa di mano. Ho risposto che non potevano farlo a meno che non mi mostrassero un'ordine scritto. Si è messo a ridere e, dopo una breve discussione, ha ordinato di portarci via alla sede della Sicurezza Preventiva, nella zona di al-Abdali. Lì mi hanno preso la borsa, l'hanno registrata e hanno confiscato la cartuccia vuota, un video sul massacro di Sabra e Chatila e alcuni documenti.
Poi ci hanno interrogato. Noi abbiamo chiesto la presenza di un avvocato e ci siamo rifiutati di fermare qualsiasi tipo di dichiarazione. Non ci hanno comunicato le accuse di cui eravamo oggetto né ci è stato permesso di chiamare un avvocato o di fare una telefonata. Durante la mia permanenza nella sede della Sicurezza Preventiva, ho visto all'altro lato del corridoio, come interrogavano un ragazzo (che ho poi incontrato più tardi in prigione), accusato di "aver bruciato un autobus durante una manifestazione" (poco dopo mi sono reso conto che questa accusa è una scusa molto comune, un clichè utilizzato contro chiunque sia arrestato per strada). Il ragazzo era stato colpito con durezza nel commissariato Al-Naser, aveva la faccia tumefatta e grosse protuberanze sul collo (probabilmente il risultato dei colpi ricevuti con un manganello o un altro oggetto).
Quando ha detto a chi lo interrogava che aveva fatto una confessione sotto tortura nel commissariato di polizia, mostrando i segni che gli coprivano il corpo, lo hanno colpito in faccia 4-5 volte. Il ragazzo mi ha detto che il suo unico crimine era stato quello di camminare da solo verso casa sua, quando tre ufficiali di polizia in borghese si sono avvicinati e hanno cominciato a picchiarlo, accusandolo di aver "bruciato un autobus".
Dopo aver aspettato altre due ore nella Sicurezza Preventiva, siamo stati trasferiti al Commissariato centrale di Al-Abdali, dove abbiamo passato la notte.

Il Tribunale della Sicurezza di Stato
Mattina di mercoledì 10 aprile 2002

Alle 11.30 circa, Shadi Mdanat ed io siamo stati trasferiti da soli a Marka. Secondo quanto dicevano gli ufficiali che ci accompagnavano, ci avrebbero portato davanti al Tribunale della Sicurezza di Stato con l'accusa di "aver diffuso voci che danneggiano la reputazione dello Stato". Fino ad allora ci era stato impedito di aver qualsiasi contatto con altre persone e ufficialmente nessuno ci aveva comunicato la nostra accusa.
Il Tribunale ha rifiutato di prenderci in carico così ci hanno riportato al commissariato. Da lì siamo stati trasferiti all'ufficio del governatore, che ha deciso la nostra detenzione per 14 giorni. Siamo stati portati quindi alla prigione di Al-Yuweide

Cerimonia di benvenuto alla prigione di Al-Yuweide
Notte di mercoledì 10 aprile 2002

Nel camion che ci trasportava alla prigione c'erano sei persone. Tutti eravamo stati arrestati per ordine del Governatore (senza accuse, senza l'intervento di un avvocato o di un tribunale). Gli altri quattro erano stati arrestati in manifestazioni e marce a favore dell'Intifada. Uno era taxista, due erano commercianti e l'altro era un loro amico. Quando siamo scesi dal camion, siamo entrati in una sala (tre per volta) dove ci hanno obbligato a spogliarci completamente. Ci hanno ordinato di mettere le mani sulla testa e fare delle flessioni sulle ginocchia per 30 minuti. Durante questo "esercizio" l'ufficiale presente ha cominciato a prendere a calci uno dei commercianti, poi gli ha ordinato di inginocchiarsi e di baciare il pavimento, cosa che l'uomo, intimorito, ha fatto, tra un colpo e l'altro.
Poi ci hanno portato dentro la prigione, dove ci hanno salutato così: "così voi sareste i manifestanti, eh? Aspettate e vedrete". Una volta dentro un'altra sala ci è stato nuovamente ordinato di spogliarci, poi un altro ufficiale ha cominciato a picchiarci, uno per uno, per tutto il corpo…Io mi sono liberato quando ho chiesto quali erano i reati di cui ci si accusava.
Poi ci hanno portato in una camera adiacente dove ci hanno tagliato a tutti i capelli, e abbiamo raccolto dei pantaloni e una camicia azzurra da una pila di roba sporca che c'era per terra. Gli altri quattro continuavano a ricevere colpi durante tutto il tempo.
Poi tutti e sei siamo stati portati a calci fino al patio del carcere (l'area di visita). Shadi ed io siamo stati messi da una parte e immediatamente dopo un ufficiale della prigione ha preso un cubo di plastica ed ha cominciato a picchiare i quattro in tutto il corpo, poi si è unito anche un altro a picchiare. Questo è durato 5 minuti, i gridi e le suppliche rimanevano inascoltati, anzi, facevano ancora aumentare i colpi. Quello che mi ha colpito è stato il medico del carcere, seduto su un sofà che guardava.
Poi tre poliziotti di grado inferiore ci hanno portato nella nostra cella con la raccomandazione di "aver cura di noi" e a metà strada i tre ci hanno fatto fermare, hanno messo da parte noi due e hanno cominciato a praticare il karatè con gli altri quattro. I colpi più vari visti in televisione, specialmente diretti verso la testa, personalmente devo dire che è stata la cosa più vergognosa a cui abbia assistito in vita mia. Quando hanno finito ci hanno portato verso il nostro modulo (D) e mentre eravamo di fronte alla porta della nostra cella, ognuno di noi ha ricevuto un colpo di benvenuto da parte del guardiano del modulo, poi siamo entrati in cella.
Il giovedì ci hanno svegliato alle 5.00 per "contarci", procedimento che avveniva regolarmente tutte le mattine. Nel modulo c'erano 61 prigionieri di cui solo 8 erano accusati di qualcosa. Il resto, come noi, era detenuto senza accuse per ordine del governatore e il numero di prigionieri è salito a 68 nella notte di sabato 13 aprile.
Il modulo non era concepito per contenere un così alto numero di persone, così la maggior parte doveva dividere il letto. La cella era sotterranea e l'umidità elevata, faceva freddo e c'era un gocciolio continuo. All'alba un ufficiale ha chiamato i prigionieri "nuovi" e noi sei siamo stati portai di nuovo nel patio, poi a Shadi e a me è stato ordinato di tornare in cella mentre gli altri sono tornati dopo 15 minuti con la faccia tumefatta. Li avevano picchiati ancora.
Ho cominciato a parlare con i prigionieri, per conoscere le loro storie e visitare le ferite che avevano ricevuto. La maggior parte di loro era in quel carcere da circa una settimana, prima erano stati detenuti uno o due giorni nelle celle di commissariati locali. L'età era tra i 18 e i 27 anni. Uomini giovani, normali, senza orientamento politico alcuno. Alcuni avevano partecipato a una o due manifestazioni, la maggior parte non aveva mai manifestato in vita sua. Quasi tutti mi raccontavano la stessa storia: uno camminava con la madre e la sorella a Ras Al-Ein, un altro andava al supermercato, un altro stava andando alla moschea per il venerdì, un altro era uscito a fare la spesa, un altro stava nel suo negozio, un altro portava il taxi, l'altro era il passeggero. Così tutti. In tutti i casi, tre o quattro agenti della sicurezza gli si erano avvicinati e avevano cominciato a colpirli e le botte non erano mai finite, nelle macchine e nei commissariati. Molti erano stati picchiati da 10-14 poliziotti per volta, altri erano stati picchiati da file di poliziotti antisommossa che li aspettavano scendere dai furgoni.
Per quanto riguarda le ferite, tutti avevano ematomi gravi in tutto il corpo, due persone avevano ferite con punti sulla testa. Tra le più gravi c'era una persona con un taglio molto profondo sul lato destro della fronte, lungo circa 8 cm, provocato dai colpi ricevuti da uno strumento affilato, un altro aveva una profonda ferita alla mano causata dalla fibbia di una cintura, premuta per farla penetrare nella carne. Un altro aveva tutto il segno di uno stivale sul viso, provocata da un poliziotto che gli aveva piantato lo stivale addosso per 30 minuti. Molti detenuti erano stati obbligati a leccare gli stivali dell'ufficiale di polizia.
Ci sono tanti casi con dettagli ancora più raccapriccianti di quelli che ho descritto ma quel che è chiaro è che c'è una volontà manifesta di mettere la paura nel corpo di tutti questi giovani uomini. Lì si respira un'atmosfera di terrore.
Sono uscito dal carcere domenica 14 aprile dopo aver pagato una cauzione di 10.000 dinari giordani (14.300 dollari). Shadi è uscito il giorno dopo aver pagato anche lui una cauzione. Anche alcuni dei miei compagni di modulo sono usciti, altri no perché semplicemente non hanno soldi per pagare. Continuano a rimanere incarcerati in condizioni inumane, vivendo in ogni momento la paura di essere picchiati ed umiliati ancora.
Una questione importante è che la nostra detenzione non deve essere vista come qualcosa di normale, ma deve essere interpretata come un avviso più che ovvio e una chiara minaccia contro tutti quelli che lavorano per la difesa delle libertà e dei diritti umani. E' chiaro che le autorità politiche in Giordania non solamente non tollerano l'attivismo politico né le attività pro-palestinesi e pro-iraqene, ma trattano con il pugno di ferro gli attivisti per i diritti umani e i difensori delle libertà.


LA POLIZIA GIORDANA REPRIME GLI STUDENTI
MANIFESTAZIONE ED ARRESTI
Amman, 10 marzo 2002
Di Hisham Bustani su http://www.arabmail.de

Questa mattina centinaia di studenti della "AlRa'ed alarabi schools" sono partiti dalla loro scuola durante la pausa del pranzo per arrivare nell'area intorno all'ambasciata sionista ad Amman, pesantemente controllata, per protestare contro i recenti massacri in Palestina e per chiedere la chiusura dell'ambasciata stessa.

Dopo qualche minuto è arrivato un gran numero di polizia antisommossa ed ha cominciato a caricare gli studenti (tra i 10 e i 18 anni) picchiandoli selvaggiamente con ogni strumento a loro disposizione. Molti studenti, ancora con l'uniforme scolastica, sono stati feriti ma mancano ancora dati sul numero e la gravità dei feriti.
Gli studenti sono stati poi caricati su camionette , portati via e poi rilasciati, non ci sono notizie di arresti.
Il preside della scuola è stato convocato dalla polizia ad Amman, detenuto per alcune ore e minacciato di denuncia presso la Corte Statale di Sicurezza, poi rilasciato.

Questa manifestazione è la seconda iniziativa a favore dell'Intifada e dell'Iraq nelle ultime 24 ore in Giordania, dove le dimostrazioni e gli assembramenti sono vietati dalle autorità fin dall'ottobre 2000 (il culmine delle manifestazioni pro Intifada in Giordania).

Ieri la polizia, pacificamente, ha interrotto una catena umana che ha avuto luogo ad Amman, con 200 persone che sul marciapiede gridavano slogan contro i massacri sionisti in Palestina, contro l'embargo e il possibile attacco all'Iraq e contro il terrorismo di Bush e Sharon. Tre attivisti che partecipavano alla manifestazione sono stati portati al quartier generale della polizia e minacciati di denuncia, poi rilasciati grazie al sostegno e alle pressioni locali ed internazionali.

LA NUOVA SINISTRA EGIZIANA ECLISSA LA FRATELLANZA MUSULMANA
I manifestanti parlano chiaramente di rivoluzione

Steve Negus
Inviato del Daily Star, 30 maggio 2002

Cairo: L’ultima manifestazione organizzata dal Movimento di Solidarietà con l’Intifada egiziano (ISM), il 15 maggio a Tahrir Square, per ricordare l’anniversario della Nakba del 1948, di primo acchitto sembra una delle solite manifestazioni organizzate dall’opposizione egiziana, divisa ed inefficace, negli ultimi 10 anni.
Le centinaia di manifestanti della classe media sono stati superati in numero dalle forze di sicurezza, infatti le truppe antisommossa hanno formato un doppio anello intorno ai manifestanti, nascondendoli alla vista dei passanti.
Gli slogan in competizione erano da una parte “Rivoluzione fino alla vittoria – in Palestina e in Egitto” nel caso della sinistra e “Palestina islamica” da parte degli islamisti. Si può pensare ad una perfetta metafora della debolezza dell’opposizione egiziana, percorsa da scissioni ideologiche, confinata a minuscola arena dal pugno di ferro dello Stato.
Invece, un paio di cose distinguono questa manifestazione da quelle che potevano aver luogo fino a qualche anno fa.
Primo, i manifestanti, particolarmente quelli di sinistra, che, al contrario della Fratellanza musulmana non sono pressati da una leadership conservatrice a non esagerare con l’opposizione allo Stato, non hanno paura di infrangere tabù. Lo slogan “Hosni Mubarak è come Ariel Sharon – stessa forma stesso colore”, è risuonato in mezzo a Tahrir Square, con la gente che si guardava le spalle, ancora incredula del fatto che si potesse davvero dire.
Anche al di là delle piazze, nei campus e nelle sedi sindacali, gli attivisti comprendono che il trionfo della causa palestinese richiede un rivolgimento politico a casa loro –“la strada per Gerusalemme passa per il Cairo”, come afferma un attivista con uno slogan che proviene dai decenni di lotte passati.
Secondo, gli apparati di sicurezza dello Stato hanno chiaramente un’ansia particolare di evitare inutili scontri.
Alla fine della manifestazione hanno arrestato Ibrahim al Sahari, un giornalista ed attivista del movimento, ci sono stati dei tafferugli e i manifestanti hanno minacciato un sit-in per chiederne il rilascio. Le forze di sicurezza alla fine lo hanno rilasciato, lasciandogli tenere un comizio. Piuttosto che provocare un esito drammatico a Tahrir Square, gli agenti hanno permesso al movimento di protesta di ottenere una vittoria simbolica.
Anche se i numeri sono bassi alle attuali manifestazioni, due mesi fa gli attivisti pro-Intifada erano all’avanguardia dell’ondata di manifestazioni di piazza che hanno portato decine di migliaia di persone, impedendo che le forze di sicurezza mantenessero le leggi di emergenza che vietano gli assembramenti e rendono le strade zone off-limit per la politica.
Anche se la capacità di mobilitazione del movimento dipendono molto dall’apparizione di immagini drammatiche dell’aggressione israeliana nei telegiornali serali, è riuscito comunque a mantenere un’attenzione alta. La spedizione di medicine verso la frontiera con Gaza continua e anche i seminari e le iniziative. L’edificio del Cairo’s Bar Association si è aperto al pubblico ed è diventata la sede non ufficiale dell’ Intifada Solidarity Movement. All’apice dell’offensiva israeliana, il Cairo era riluttante a limitare le attività del Movimento ma ora che l’attenzione si è abbassata, le autorità egiziane hanno lanciato la repressione.
Nei giorni precedenti la manifestazione di Tahrir Square, sono stati arrestati 12 attivisti dell’Egiptian Popular Committee for the support of Palestinian Intifada e della sede di Alessandria. Qualcuno è stato sottoposto agli usuali pestaggi ed abusi (secondo uno di essi, chi manifestava per la prima volta ha subito il trattamento peggiore, dato che la polizia voleva scoprire chi parla, chi ha o meno familiari ed avvocati che gli stanno dietro) ma molti sono stati rilasciati dopo qualche giorno. Uno, Gamal Abdelfattah ha riportato di essere stato accusato di detenzione di medicine scadute, invece che del suo lavoro di solidarietà.
La questione è aperta su come si comporterà il governo e sulla capacità del movimento di andare avanti, oltre la fase di crescita della coscienza e dell’organizzazione di convogli. Il governo egiziano ha una lunga tradizione nel cooptare, reprimere e manovrare in altro modo i movimenti che cominciano a minacciare la sua libertà di azione nel perseguire le sue politiche.
Questo movimento, comunque, ha delle possibilità che altri non hanno. Gli attivisti più giovani e dinamici hanno trovato nei comitati una libertà di azione che non avrebbero mai trovato nei partiti politici tradizionali o nella Fratellanza Musulmana, dominata da leader conservatori preoccupati di non tagliare i ponti con il governo.
Il problema palestinese e la chiara incapacità e non volontà dello Stato di adottare una politica di scontro con Israele, ha dato a questi attivisti la possibilità di gettare un ponte attraverso le divisioni sociali ed ideologiche egiziane.
Per anni l’opposizione egiziana è stata demoralizzata dalla repressione statale, dalla stagnazione politica e dai contrasti tra gli islamisti e le tendenze più laiche. L’Intifada Solidarity Movement sembra averle dato nuova vita.

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