[cronologie di guerra] 21.03.03 secondo giorno
si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.
21 marzo 2003 : secondo giorno [fonti : quotidiani del 22 marzo 2003]
---------- CRONOLOGIA ----------
"Fuoco sull'Iraq, la morsa si stringe Conquistati in mattinata il porto di Umm Qasr e la penisola di Fao, ora gli anglo-americani assediano Bassora, bombardata a più riprese. L'obiettivo è di radere al suolo Baghdad dal cielo, e stringerla poi in una morsa. Due marines Usa morti in combattimento. Precipita un elicottero, morti 8 commandos inglesi e 4 avieri americani. In serata Al Jazeera annuncia: l'Iraq ha fatto «molti prigionieri» a Fao" [MAN]
In realta' a Umm Qasr solo il porto e' sotto il controllo americano, mentre la citta' resta diffidente. La penisola di Fao rimane tuttavia per nulla sotto controllo per diversi giorni successivi.
"Fino a ieri sera 320 missili sono stati sparati solo su Baghdad. Dopo due giorni di attacchi aerei e terrestri d'assaggio, ieri è stato l'«A-Day», come l'ha chiamato un ufficiale Usa, il giorno d'apertura della devastante campagna di bombardamenti aerei e di offensiva terrestre destinata prima a radere al suolo Baghdad e poi a strangolarla in una morsa irresistibile. "[MAN]
"320 Cruise Tanti sono, secondo il comandante della portaerei Kitty Hawk, i missili caduti in poche oresulla capitale dell'Iraq. «Abbiamo appenainiziato», ha aggiunto il comandante Moffit." [MAN]
"«Pronte altre 1.500 bombe» Devastanti raid dei B52 su Baghdad, Mosul, Bassora.Annuncio del Pentagono: «Useremo nelle prossimeore 1.500 delle tremila bombe pronte perl'operazione `Colpire e terrorizzare'»" [MAN]
" stato il giorno anche dei primi caduti americani e inglesi: due marines Usa uccisi in azione, 8 royal commandos inglesi e 4 aviatori americani precipitati in un elicottero sul Kuwait. In serata, la tv araba Al Jazeera annuncia: forze di Baghdad avrebbero catturato «molti soldati» britannici, americani e australiani a Fao. " [MAN]
"Ieri sera alle 9 e 15, in due ondate successive, decine di missili sono piovuti su Baghdad. Un inferno di fuoco e subito dopo di fiamme e di fumo, anche se la città continua a essere tutta illuminata. Colpiti il compound presidenziale di Saddam Hussein e del suo governo (ma nella zona ci sono anche residenze private). Almeno trenta edificio sono stati distrutti. Non si hanno ancora notizie sul numero di vittime, militari e civili, irachene.
Poco prima, alle 20 e 45, un altro attacco missilistico ha colpito Mossul, una delle due grandi città petrolifere del nord e Kirkuk, l'altra, nel Kurdistan iracheno.
«Il regime sta cominciando a perdere il controllo sul paese», ha detto Rumsfeld al Pentagono. E prima di lui aveva parlato il presidente George Bush, ricevendo nella sala ovale della Casa bianca i congressisti: la guerra «sta facendo progressi» e poi il solito disco: «andremo avanti finché non abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, che è di liberare l'Iraq dalle armi di sterminio e il popolo iracheno così che possa vivere in una società democratica e in pace con i suoi vicini».
Ore 19.30 a Londra, il comandante dello stato maggiore inglese, ammiraglio Michael Boyce,comunica che le forze alleate stanno avanzando su Bassora, la seconda città irachena, nel cuore sciita del sud,già bombardata nel corso della giornata, dopo avere conquistato in mattinata il porto di Umm Qasr, quello dove arrivavano gli aiuti Onu nell'ambito del programma oil-for-food e che adesso gli americani contano di riattivare al più presto per portare i loro aiuti umanitari alle popolazioni irachene da soccorrere dopo averle debitamente bombardate. Conquistata anche la penisola di Fao, dove gli iracheni hanno incendiato alcuni pozzi petroliferi. Ma solo 7 non i 30 annunciati.
Ore 18.30, portavoci americani dicono di avere preso due piste d'atterraggio «strategiche», denominate H-2 e H-3, nel deserto occidentale iracheno, a 140 e 180 km da Baghdad, essenziali per la manovra di accerchiamento della capitale. La Giordania smentisce subito che le truppe corazzate americane siano arrivate dal suo territorio, ma visto dove si trovano possono essere venute solo dal regno hascemita o da quello saudita.
Ore 18, le colonne Usa attaccano la città di Nasiriya, sull'Eufrate, nel sud-est iracheno, altro snodo strategico per puntare su Baghdad, da cui dista 375 km. Ma lì trovano una «forte resistenza» che momentaneamente blocca l'avanzata.
Fra tanto valore per i marines Usa e i royal commandos inglesi, un po' di gloria anche per i boys australiani: quando mancano cinque minuti alle 5 catturano due imbarcazioni irachene a quanto sembra impegnate a mettere mine nel Golfo persico.
Ore 14 e 45, a Washington il Pentagono conferma che nella conquista dei campi petroliferi della penisola di Fao, al mattino, un marine è stato ucciso: la prima vittima della guerra di liberazione. Poi arriva la notizia di un altro marine ucciso nella conquista di di Umm Qasr.
Ore 14 e 13, a Baghdad il portavoce militare iracheno ribadisce che Saddam Hussein è sano e salvo e nega anche le notizie di «centinaia» di diserzioni: secondo lui le immagini diffuse dalle tv sono «falsificate». Per cui, un paio d'ore dopo viene notificato allo staff delle Cnn - l'unico network targato Usa a essere rimasto a Baghdad dopo la cacciata della Fox e il ritiro di Abc e Nbc - un ordine di espulsione immediata dall'Iraq.
Che Saddam sia vivo lo dicono gli iracheni e le immagini della tv irachena (vere o falsificate?) che lo mostrano in una riunione al vertice, sorridente e combattivo: il Rais offre premi in denaro per chiunque dei suoi che catturi soldati invasori e abbatta velivoli nemici.
Alle 15 e 15 gli iracheni annunciano di avere colpito un aereo «americano o inglese» all'alba di ieri, poi andato a cadere in Kuwait. Ma il Pentagono smentisce.
E' certo invece la caduta di un elicottero - il terzo in due giorni -, a poche miglia dal confine con l'Iraq, sempre in Kuwait: alle 3 e 37 del mattino il Sea Knight Ch-46 è precipitato «per cause tecniche», morti gli otto royal commandos inglesi e i quattri membri dell'equipaggio americani. Fanno 16.
A Londra Tony Blair esprime il suo dolore per i primi morti inglesi della guerra e «ammonisce» che la guerra, per quanto vada bene, «non raggiungerà tutti i suoi obiettivi da un giorno all'altro».
Ore 9 e 30 del mattino, una colonna di carri armati Abrams lunga più di 30 km avanza lungo il deserto iracheno verso Baghdad, senza incontrare resistenza: «una enorme ondata di acciaio», secondo il giornalista della Cnn al seguito.
La resistenza irachena sui vari fronti viene definita «sporadica» dal Pentagono, in qualche occasione «forte» (come a Umm Qasr e Nassiriya). Le diserzioni si contano a «centinaia» (si sarebbe arreso anche un generale comandante di una divisione). Mentre proseguono quelli che a Washington Rumsfeld chiama i «contatti segreti» con ufficiali della Guardia repubblicana e dalla Guardia speciale repubblicana, le truppe d'élite ultima speranza di Saddam per difendere Baghdad, perché si arrendano. Il ministro dell'informazione, Mohammed Saeed al-Sahaf, in una conferenza stampa sotto il diluvio di missili, garantisce che l'Iraq «incenerirà gli invasori».
Lontano da qui le masse arabe protestano, Chirac dice che non accetterà una amministrazione anglo-americana sull'Iraq post-Saddam, il ministro degli esteri russo Igor Ivanov afferma che chiederà all'ufficio legale dell'Onu che dichiari «illegale» la guerra.
Ma la guerra va. Gli americani se ne infischiano di proteste e lamentazioni. Cominciano a divertirsi. E non si fermeranno. "[MAN]
------- TURCHIA -------
La Turchia concede lo spazio aereo agli usa chiedendo in cambio la possibilita' di stanziare truppe nel nord del kurdistan, con la scusa di creare una zona di tutela umanitaria per i kurdi iracheni. L'operazione e' favorita anche dal PDK di Barzani, nella speranza di limitare i danni.
"Era passata l'una di notte in Turchia quando la televisione di stato ha dato l'annuncio: le truppe turche hanno passato il confine iracheno. Un primo convoglio di veicoli militari, compresi almeno due carrarmati secondo alcuni testimoni presenti, è entrato in territorio iracheno. La notizia è arrivata al termine di una giornata di trattative serrate, un vero e proprio braccio di ferro tra Ankara e Washington. Solo in tarda serata il governo turco ha infine autorizzato l'apertura dello spazio aereo nazionale ai caccia della coalizione anglo-americana." " Così la tensione tra Ankara e Washington, che sembrava smorzata dalla effettiva apertura dello spazio aereo, è tornata a salire. perché Washoington ha immediatamente commentato in modo negativo: «sappiamo che la Turchia vuole usare l'esercito per creare un corridoio umanitario nel nord (dell'Iraq) ma francamente non siamo d'accordo», diceva un alto funzionario della Casa Bianca in nottata. Il segretario alla difesa Donald Rumsfeld era stato duro, nel suo preefing pomeridiano: «Abbiamo delle forze speciali là nel nord, in collegamento con le forze kurde. ... e potete stare certi che abbiamo fatto sapere al governo turco e alle forze armate turche che sarebbe davvero poco utile che si facessero vedere in grandi numeri». Ora che le truppe turche sono entrate, cosa faranno gli americani? " [MAN]
------------------------------------------------------------ ESPULSIONE DI DIPLOMATICI : L'ASSERVIMENTO ITALIANO CONTINUA ------------------------------------------------------------
"Iracheni espulsi L'Italia ubbidisce Schiaffo diplomatico Washington chiede a tutti i governi del mondo di espellere i diplomatici iracheni. Francia, Germania, Russia rifiutano: «Non ce n'è motivo» Il problema dei soldi La richiesta di Bush comprende anche la confisca dei fondi iracheni sui conti bancari esteri. Ma anche qui c'è un rifiuto. «La richiesta è illegale»" [MAN] "Gli Stati uniti e la Gran Bretagna stanno probabilmente vincendo la guerra contro l'Iraq, ma ieri hanno dovuto incassare una nuova sconfitta diplomatica. Per l'Italia, una nuova prova di servilismo. Francia, Russia, Germania, Olanda e anche l'Algeria hanno risposto con un secco «niet» alla richiesta, avanzata dal dipartimento di stato statunitense giovedì, di chiudere ovunque le rappresentanze diplomatiche irachene ed espellere i diplomatici di Baghdad, in attesa dell'instaurazione di «un'autorità ad interim» in Iraq. In tutto il mondo, la richiesta è stata finora accolta solo da Australia e Romania; l'Italia si appresta a farlo nelle prossime ore " [MAN]
"L'Italia si preparerebbe a espellere alcuni diplomatici iracheni, secondo quanto richiesto dagli Usa, che hanno fornito indicazioni sui nominativi sospettati di «attività incompatibili» con il loro status. L'invito americano è stato rivolto a una sessantina di paesi. Romania e Australia hanno già obbedito. Francia e Russia si sono invece rifiutate di procedere. L'Italia, stando a qualnto dichiara il ministro degli esteri Frattini, «sta valutando» la richiesta. Ma secondo i Ds la decisione sarebbe invece già stata presa. Un paio di funzionari dell'ambasciata irachena potrebbero essere espulsi entro domani. La responsabile esteri della Quercia, Marina Sereni, ha chiesto al governo di confermare o smentire le voci e, in caso rispondano al vero, di comunicare «su quali basi sarebbero state assunte decisioni di tale gravità».
La Farnesina, però, si è trincerata dietro un silenzio gelido. «Possiamo solo ripetere quanto dichiarato dal ministro», è la risposta a qualsiasi ulteriore interrogativo. Di solito simili atteggiamenti suonano più come una conferma che come una smentita.
Del resto, se in Italia Berlusconi si sforza di non prendere una posizione troppo sfacciatamente affiancata a quella di Bush, all'estero si fa meno scrupoli. Ieri, da Bruxelles, ha sferrato un attacco frontale contro la Francia e contro l'Onu. «C'è un paese europeo - ha detto - che ha minacciato di usare il diritto di veto, residuato di un'epoca molto lontana». E' colpa di quella minaccia se oggi «ci troviamo con una forte destabilizzazione» delle Nazioni unite.
Ancora più dure le critiche riservate al Consiglio di sicurezza: «Ha palesemente mancato alle sue funzioni e dimostrato l'assoluta incapacità di assolvere al suo compito». L'unica soluzione, conclude Berlusconi, è «rivisitare gli organismi che presiedono all'ordine mondiale», primo fra tutti il diritto di veto in seno al consiglio di sicurezza.
Il tutto nel silenzio del Quirinale. Che si dichiara molto preoccupato ma, «nel doveroso rispetto delle proprie competenze», rifiutato di incontrare i rappresentanti dei movimenti pacifisti. In compenso «è sempre pronto a ricevere i capigruppo e i dirigenti di partito che ne facciano richiesta». Troppo buono" [MAN]
-------- OPINIONI --------
"Usa, ultimatum al mondo L'intervento militare degli Stati uniti non è una guerra contro l'Iraq ma l'affermazione e l'esibizione di una egemonia incontrollata. A farne le spese, per primi, sono i paesi dell'intera comunità internazionale, l'Onu, l'Europa e l'opinione pubblica mondiale costretti a subire un attacco nato esclusivamente per garantire agli Usa il controllo delle risorse energetiche del Golfo Persico. Intervista a Noam Chomsky PATRICIA LOMBROSO CAMBRIDGE «Questo apocalittico intervento militare in Iraq non è una guerra contro l'Iraq. E' piuttosto una invasione del Medio oriente da parte degli Stati uniti; un'ennesima aggressione militare americana che non chiamerei proprio guerra. E' piuttosto un incontro di boxe fra pugili di categorie assai diverse. Del resto, gli Stati uniti non osano dichiarare guerra né arrivare ad uno scontro frontale con una vera potenza, anche se la minaccia dovesse essere concreta e reale come nel caso della Corea del Nord. Questa incommensurabile strapotenza militare viene sferrata oggi nei confronti dell'Iraq, perché si tratta di un nemico del tutto privo di difese. Del resto non è la prima volta che, storicamente, i leader politici - solo al fine di perseguire i propri obiettivi - prendono decisioni che comportono enormi rischi per la loro stessa popolazione, oltre che per il mondo». E' con questo tono lugubre, amaro e lucido che inizia l'intervista de il manifesto con Noam Chomsky, all'università del M.i.t. (Massachusetts Institute of Technology) a Cambridge mentre al Campus dell'università - senza requie - Chomsky salta da una dimostrazione a un sit-in per protestare contro l'aggressione all'Iraq.
Bush ha sfidato il Consiglio di Sicurezza, la «vecchia Europa» (Francia e Germania) e l'opinione pubblica mondiale. Come interpreta tutto questo?
E' una mostruosa lezione impartita dagli Stati uniti al mondo intero: se volete prevenire un attacco militare da parte nostra è bene che vi premuniate ed entriate in possesso di un deterrente atomico credibile. Gli Stati uniti indicano ed incoraggiano la proliferazione delle armi di distruzione di massa: il loro è un invito ad utilizzarle come arma deterrente. Sarà questa la prima paradossale conseguenza dell'invasione militare dell'Iraq.
Ma la comunità internazionale?
La potenza militare degli Stati uniti è di gran lunga superiore all'intera forza militare del resto del mondo. Attaccare l'Iraq da questa posizione significa dire: operiamo e attacchiamo comunque e dovunque ne abbiamo intenzione. Un postulato già reso pubblico - nel settembre scorso - quale contenuto del National Strategic Review. E oggi ribadito: dinnanzi alle Nazioni unite, Bush e Powell hanno dimostrato quanto sia irrilevante - per Washington - la volontà e il parere degli altri paesi della comunità internazionale (qualora, naturalmente, non fossero disposti a seguire i loro diktat). L'ultimatum di 48 ore, dettato da Bush nella base militare delle Azzorre non era diretto a Saddam Hussein ma al resto della comunità internazionale.
Quali saranno le conseguenze di questo conflitto?
Nessuno è in grado di rispondere con precisione. L'invasione dell'Iraq e della regione mediorientale genererà probabilmente sollevazioni popolari, esplosioni e conflitti. Ovunque, nel mondo.
L'occupazione dell'Iraq e la riconfigurazione della mappa del Medioriente rischiano di condurci alla terza guerra mondiale?
Non lo ritengo possibile. L'attuale contesto geopolitico è assai diverso da quello degli anni Ottanta. Allora, in Medioriente, esisteva come contraltare la potenza dell'Unione sovietica e il rischio della conflagrazione di una terza guerra mondiale era reale. Ma l'Iraq è oggi un paese isolato, che non riceve più l'appoggio di nessuna altra superpotenza. Non siamo più dinanzi allo scontro di due superpotenze egemoniche e dominanti per il controllo delle proprie aree di influenza. Tuttavia ci sono altri rischi e non sono meno pericolosi.
A che si riferisce?
Esiste ora - e lo ammette persino l'establishment della destra conservatrice - la viva preoccupazione che Saddam Hussein sia ancora in possesso di armi chimiche e sostanze nervine. Un qualsiasi colonnello iracheno potrebbe immetterle sul mercato internazionale e chiunque potrebbe entrarne in possesso. Con questo non voglio dire che Saddam Hussein abbia intenzione di renderle disponibili ai gruppo terroristici di Al Queda. E tuttavia, l'invasione americana dell'Iraq provocherà l'acuirsi dei sentimenti di odio e di ostilità da parte del mondo musulmano nei confronti degli Stati uniti. Esiste, per esempio, la possibilità di un colpo di stato in Pakistan contro la leadership di Musharaff. E il Pakistan è uno stato in possesso di armi nucleari che non sono soggette al controllo della comunità internazionale. Questa realtà potrebbe dar luogo a fughe di materiale atomico e persino all'impiego dell'atomica in una guerra contro l'India. E' questo lo scenario apocalittico che può derivare dall'attacco militare americano. Ma, nonostante questi rischi, gli Stati uniti hanno deciso di giocare lo stesso col potenziale nucleare...
Quale logica segue Bush nel perseguire questi disegni classificati come «imperiali»?
Esiste una logica, anche se perversa, ma razionale: una logica perseguita sin dagli anni `80 - sotto la presidenza Reagan - dal team formato da Rumsfeld, Wolfovitz, Cheney. Le motivazioni sino ad oggi addotte da Bush per giustificare l'invasione militare in Iraq sono talmente ridicole che non vale neppure la pena di discuterne. Ciò che va sottolineato è che le motivazioni di Washington sono di ordine strettamente politico, strategico ed economico. E sono programmate sul lungo periodo. La premessa di fondo è che nella regione del Golfo Persico esistono le risorse energetiche del mondo intero. E così sarà anche per gli anni a venire. Il controllo assoluto di questa regione è, già di per sé, una potente arma politica per esercitare il predominio egemonico su l'intera comunità internazionale.
Sono solo i profitti economici a guidare l'invasione?
No, l'opportunità fornita dall'attacco dell'11 settembre costituisce un pretesto utilissimo che potrà essere utilizzato non solo dagli Stati uniti ma anche da altri paesi. «Democratici» o dittatoriali, poco importa.
Un pretesto per fare che cosa?
Per esempio, per approvare a livello legislativo misure repressive in Cecenia, nei territori occupati da Israele, in Cina. E' un'opportunità per rimettere in riga intere popolazioni usando l'arma del «terrore» e della paura di misure disciplinari.
Non esiste, secondo lei, anche il tentativo di affermare una egemonia di tipo imperiale?
Il desiderio di egemonia imperiale è la terza motivazione che anima la logica politica di Washington. I personaggi che fanno parte dell'amministrazione Bush sono gli stessi degli anni Ottanta. E perseguono gli stessi obiettivi politici. Solo che oggi - a differenza di quegli anni - non esiste più la deterrenza come limite alla violenza dell'impiego della forza militare. L'America oggi esercita la sua immensa capacità militare. Che è incontestata. Bush e compagni fanno affidamento su questo fattore per controllare l'intero pianeta. Con la violenza, naturalmente.
E tuttavia, questa volta, l'opposizione alla guerra si è espressa a livello globale.
Si tratterebbe - secondo Bush e i suoi uomini - di un fattore da non tenere in alcun conto. Agli Stati uniti non interessa esercitare sentimenti di ammirazione ma solo di paura e di terrore. Il loro ruolo è paragonabile a quella di un padrino della mafia che vuole e deve essere solo temuto per poter governare il suo paese. E' una logica che non ha nulla di irrazionale... è la logica perversa del potere.
Eppure, nella storia, è accaduto che anche gli imperi siano crollati...
E' accaduto ma dopo centinaia di anni. E nessuno degli imperi precedenti agiva se non in relazione con un'altra forza di pari natura e potenza. Gli strateghi di questa amministrazione desumono, invece, che non esista sul pianeta un'altra sola potenza che possa contrastare l'egemonia americana. D'altronde non si tratta di un'invenzione di Washington. Hitler perseguì la stessa logica per governare la Germania. Mussolini invase l'Etiopia, presentandosi come un paladino di democrazia e di libertà. E venne acclamato sia dalla popolazione italiana sia dal nostro dipartimento di stato. Washington - del resto - ha asserito di voler portare la democrazia in Centro America e nei Caraibi e, nello stesso tempo, sponsorizzato il golpe militare in Brasile e quello in Cile. Il tutto propagandato come «una svolta storica verso i principi di una sana democrazia e libertà». Il contesto odierno - l'Iraq e la regione del Golfo Persico - è identico." [MAN]
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