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La guerra infiamma l'Asia
by Emanuele Giordana (post by blicero) Monday, Mar. 31, 2003 at 10:25 AM mail:

Manifestazioni ovunque. Oltre 200 mila a Jakarta, 150 mila a Calcutta, 70 mila in Pakistan

La guerra angloamericana in Iraq infiamma l'Asia. Da Peshawar a Calcutta, da Jakarta a Seul, centinaia di migliaia di persone sono scese ieri in piazza con slogan durissimi e spesso brandendo foto di Bush e Blair date alle fiamme assieme alle rispettive bandiere. Un assaggio in realtà di quella che si annuncia il 9 aprile come un'altra giornata di lotta in tutta l'Asia-Pacifico, organizzata da gruppi pacifisti delle Filippine, uno dei pochi Paesi asiatici che, con Giappone e Corea, appoggia, seppur tenendo un basso profilo, la guerra angloamericana (e australiana) in Iraq. La manifestazione più corposa è stata forse quella di Jakarta, dove tra le 200 e le 300mila persone sono scese in piazza nella capitale del Paese musulmano più popoloso del continente e del pianeta. Ma erano giorni che in Indonesia si manifestava, con sit in e cortei nei quali si sono sfiorati anche momenti di tensione. La manifestazione nella capitale è stata però pacifica. I manifestanti, ai quali si sono unite diverse personalità politiche, si sono diretti all'ambasciata americana passando per quella britannica con cartelli che inneggiavano alla pace ma anche con slogan molto duri, sia contro Usa e Gb che contro l'Australia, l'unico paese dell'area Asia-Pacifico che ha finora mandato truppe in Iraq.

In India le due più importanti manifestazioni hanno occupato le strade di Hyderabad e soprattutto di Calcutta, dove si sono riversato almeno 150mila persone. Alla manifestazione bengalese, promossa da 19 partiti della sinistra, colorata e percorsa da canti pacifisti ma pure da immagini di Bush e Blair date alle fiamme, hanno partecipato anche artisti come il regista Mrinal Sen, la cantante Ruma Guha Thakurta e diversi attori di cinema e teatro. A Hyderabad, la manifestazione organizzata dal «Forum Against War», era capeggiata da diversi leader della sinistra indiana e da personalità della società civile.

Nel vicino Pakistan, almeno 70mila manifestanti hanno partecipato alla marcia indetta a Peshawar dal Fronte del Mutahida Majlis-e-Amal. «Distruggeremo l'America» e «Combatteremo il jihad contro gli Usa» tra le parole d'ordine nei comizi. «Sono pronto a essere il primo a morire», ha gridato Shabbir Ahmed Khan, parlamentare della Jamaat-e-Islami, uno dei partiti chiave dell'alleanza islamista che ha vinto nella provincia occidentale del Paese.

Ma se le manifestazioni più importanti si sono svolte in Paesi a maggioranza musulmana o con una cospicua presenza di musulmani, come in India, non bisogna però credere che domenica sia stata solo la giornata dell'orgoglio islamico contro la guerra occidentale in Iraq. Manifestazioni di protesta si sono svolte anche in Paesi non musulmani come la Cina e, soprattutto, come il Giappone e la Corea, nazioni asiatiche i cui governi appoggiano la guerra in Iraq ma le cui opinioni pubbliche sono molto perplesse sia sul conflitto che sull'adesione dei rispettivi leader.

In Giappone, almeno duemila persone si sono unite formando la parola «No War» nei dintorni della città di Osaka e poi hanno marciato verso il locale consolato americano, chiedendo la cessazione delle ostilità. Il premier Koizumi sostiene le ragioni degli Usa e ha concesso il diritto di utilizzo delle strutture militari ma, anteponendo la Costituzione pacifista del Paese (paradossalmente scritta dagli americani), ha detto che Tokio non fornirà soldati. Per ora non sono previsti, come invece in passato, nemmeno per operazioni di peacekeeping. Una posizione che tiene evidentemente conto della pressione dell'opinione pubblica.

Quanto alla Corea invece, il Parlamento ha già rinviato due volte la votazione sull'invio nel Golfo di 700 uomini del personale militare, di cui 600 ingegneri e 100 medici: imbarazzo per il governo del presidente Roh, che nei giorni scorsi ha chiesto agli elettori coreani, che l'anno prossimo dovranno votare alle politiche, di non stabilire un nesso tra la guerra e il giudizio sulla politica sudcoreana. Ma è un appello che difficilmente sarà seguito: ieri 30mila persone sono scese in piazza per chiedere al Parlamento di Seul di non votare l'invio degli ingegneri in divisa nel Golfo. In una guerra che non riconoscono.

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Titolo Autore Data
... ... Monday, Mar. 31, 2003 at 10:41 AM
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