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[cronologie di guerra] 31.03.03 dodicesimo giorno
by blicero Tuesday, Apr. 01, 2003 at 2:14 PM mail:

[cronologie di guerra] 31.03.03 dodicesimo giorno si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.

31 marzo 2003 : dodicesimo giorno
[fonti : quotidiani del 1 aprile 2003]


"A Baghdad è bombardamento continuo Tutti i caccia in azione, decine di
morti Colpita fattoria all'ingresso della città: venti morti, undici
sono bambini Saddam e il figlio Uday ritornano in tv I marines restano
lontani dalla capitale Assedio e resistenza alle porte di Bassora
Protesta inglese: gli yankee sparano a noi Censura di guerra, Arnett
riperde il posto" [MAN]

"E' l'inferno su Baghdad
Per il ministro degli esteri di Saddam «gli aggressori sono sconfitti su
tutti i fronti» e la loro unica possibilità «è ritirarsi subito». La
Croce rossa visita i prigionieri iracheni. Bassora non cade
Una violenza mai vista: 10 missili sul centro di Baghdad, colpite sedi
del regime e quartieri popolari. Si temono molte vittime civili. A
Najaf, 7 uccisi - donne e bambini - a un posto di blocco Usa
M. M.
«Un inferno, il palazzo ha tremato. La gente urla sotto l'albergo».
Manca poco a mezzanotte (le 22,30 in Italia) e da Baghdad arriva la
notizia di un nuovo, pesantissimo bombardamento sulla capitale irachena.
I missili anglo-americani cadono vicini all'hotel Palestine, dove
alloggiano i giornalisti. «Una nuvola immensa qui vicino, hanno colpito
il palazzo di Saddam, - ci racconta al telefono la nostra Giuliana
Sgrena - mi dicono anche il comitato olimpico, una sede del figlio Uday,
usano bombe più grosse di prima. E' stata colpita anche la contraerea
presso la Nunziatura apostolica, è drammatico, perché la Nunziatura è
proprio in mezzo ad un quartiere popolare, forse colpito anche il
ministero degli interni...». Secondo al Jazeera sotto le bombe sarebbero
morti quattro bambini: fanno sapere dal Pentagono che in 12 giorni hanno
lanciato sull'Iraq 8.700 bombe e missili. Dal Pentagono arriva poi la
notizia che «si hanno prove che Saddam Hussein e i suoi generali, con
tutte le loro famiglie, stiano tentando di lasciare il paese». Non è
nemmeno l'ultimo atto della giornata: appena in tempo per una strage di
civili a Najaf ad opera dei soldati americani. Un'auto con donne e
bambini non si sarebbe fermata all'alt di un posto di blocco, è partita
una raffica che ha distrutto il veicolo, dentro c'erano 13 donne e molti
bambini. Sette i morti, due i feriti.

In una giornata in cui secondo entrambi i contendenti - aggressori e
aggrediti - la guerra procede per «il meglio». Anche se ieri, in ritardo
di 4 giorni, il comando centrale alleato da Doha ha fatto sapere che un
carro armato Usa è affondato nell'Eufrate dopo che il guidatore è stato
«colpito da fuoco nemico», gli altri tre marines sono morti per
annegamento.

Sia gli anglo-americani sia gli iracheni, oltre che sparare bordate vere
sul terreno, spesso contro la popolazione civile e sovente anche contro
i loro amici (gli inglesi sono imbufaliti contro i «cow-boys» americani
che gli hanno inferto perdite maggiori, finora, degli uomini di Saddam),
ne sparano a man salva altrettante sul piano della propaganda di guerra.
Dal Comando centrale del Qatar, il generale comandante Tommy Franks
sostiene, contro venti e maree, che la sua guerra va avanti «secondo i
piani». Sempre al Cent-Com di Doha, il generale portavoce Vincent
Brooks, assicura che le truppe d'élite della Guardia repubblicana, che
sostengono l'attacco dei marines Usa a Karbala, 100 km a sud di Baghdad,
possono essere già state dimezzate nella loro potenza di fuoco e che si
arrendono «a decine». Gli tengono bordone il ministro della difesa
inglese, Geoff Hoon, a Londra, sostenendo che i prigionieri di guerra
iracheni sono già 8 mila e nel Qatar il portavoce militare britannico,
il colonnello Al Lockwood, affermando domenica che fra i militari
iracheni arrestati a Bassora c'era anche un generale, salvo poi doversi
correggere ieri per «avere confuso i gradi» (strano per un militare,
no?) e che quindi il fantomatico generale «arrestato» faceva il paio con
quello «arresosi» al primo o secondo giorno di guerra.

Anche gli iracheni non scherzano in questa guerra di propaganda. A
Baghdad il ministro degli esteri Naji Sabri ha assicurato che le forze
americane e inglesi sono «sconfitte su tutti i fronti e si stanno
ritirando» sotto i colpi della resistenza popolare; che sono
intrappolate in «un incubo» e che l'unica «possibilità che hanno è di
ritirarsi in fretta. Anche il ministro dell'infomazione Mohammed Saeed
al-Sahaf è andato pesante: 43 «mercenari» uccisi nelle ultime 36 ore, 4
elicotteri Apache, 2 droni e 28 carri distrutti: «vedrete che dovranno
ammettere queste perdite presto». Ufficialmente i caduti americani sono
finora 50, con 17 missing e 7 prigionieri di guerra. In riferimento alle
notizie dell'arrivo di 5000 kamikaze arabi pronti a farsi esplodere come
quello di sabato scorso, ha poi detto che «la resistenza è legittima in
tutte le sue forme, come fu per la resistenza francese contro i nazisti»
e che «loro sono degli invasori e dovrebbe essere uccisi». Per ora di
prigionieri iracheni se ne contano 3 mila e ieri per la prima volta una
squadra della Croce rossa internazionale è andata a visitarli, in un
campo presso Umm Qasr. Sperano di poter andare anche dai prigionieri
anglo-americani, come impone la convenzione di Ginevra.

Sul terreno gli americani stanno preparandosi a riprendere la marcia su
Baghdad, di fatto sospesa - nonostante le ripetute smentite da
Washington e dal Qatar - per la forte e inaspettata resistenza degli
iracheni. Battaglie, scontri, bombardamenti sono segnalati intorno a
Bassora, dove i marines inglesi hanno «circondato» la città, hanno
conquistato qualche villaggio nei dintorni, hanno preso 3 o 400
prigionieri, hanno sferrato l'attacco «decisivo» ma per tutta la
giornata di ieri non sono riusciti a sfondare: stanno trovando la
resistenza più dura finora incontrata, secondo la giornalista della Bbc
al seguito, ma finora, come ha dovuto riconoscere ieri sera un portavoce
britannico, «Bassora è ancora sotto il tallone di Saddam». Nonostante
gli inviti ripetuti alla popolazione civile - nella stragrande
maggioranza sciiti contrari al regime - di ribellarsi. Idem per
Nasiriya, Samawah e Najaf. Anche nel nord bombe e appoggio americani per
aprire la strada alle milizie kurde, che avanzano cautamente verso
Mossul (ma devono stare attenti alla reazione dei turchi oltreconfine) e
in attesa di aprire definitivamente il secondo fronte." [MAN]

"Tris di bombardieri Usa sull'Iraq
Per la prima volta B1, B2 e B52, bombardieri strategici nucleari,
colpiscono insieme
Escalation Hanno colpito la stessa località, insieme (B52, Reuters): un
nuovo passo nella guerra, non solo quella contro l'Iraq
MANLIO DINUCCI
«E' la prima volta nella storia che i bombardieri a lungo raggio B-52,
B-1 e B-2 hanno condotto attacchi simultanei sulla stessa località»:
questo comunicato del Comando militare centrale degli Stati uniti,
pubblicato ieri da The Washington Post dopo un altro massiccio
bombardamento su Baghdad, annuncia un nuovo passo nella escalation della
guerra, non solo quella contro l'Iraq. Si tratta di tre bombardieri
strategici il cui ruolo primario è l'attacco nucleare, i quali vengono
utilizzati anche per attacchi con armi convenzionali (non-nucleari). Il
B-52, che può volare senza rifornimento per 14.000 km a un'altitudine di
15.000 metri, può trasportare fino a 51 bombe e missili, per complessive
31,5 tonnellate. E' l'unico bombardiere statunitense armato di missili
cruise lanciati dall'aria: ne può portare fino a 20 a testata
convenzionale o nucleare. Dopo la guerra del Vietnam, i B-52 vennero
impiegati nel 1991 contro l'Iraq, sganciando il 40% di tutte le bombe
usate dalla coalizione.

Il B-1 Lancer ha avuto il battesimo del fuoco nel 1998, nell'operazione
Desert Fox contro l'Iraq, e, l'anno dopo, nella guerra contro la
Jugoslavia, durante la quale sei di questi bombardieri, dislocati nella
base inglese di Fairford, effettuarono complessivamente 100 missioni di
bombardamento, trasportando ogni volta 84 bombe da 227 kg oppure 30
bombe a grappolo Cbu-89 o 30 bombe Jdam a guida di precisione, cosa che
permise loro di colpire due o più aree in ogni sortita.

Il B-2 Spirit ha ricevuto il battesimo del fuoco nel 1999, nella guerra
contro la Jugoslavia, durante la quale sei di questi bombardieri,
partendo dalla base Whiteman nel Missouri, effettuarono complessivamente
45 attacchi sganciando 656 bombe Jdam. Questi bombardieri stealth,
invisibili ai radar, possono trasportare oltre 18 tonnellate di bombe in
varie combinazioni: ad esempio, 16 «intelligenti» (a guida di precisione
laser o Jdam) da 900 kg, o 80 da 225 kg sia «intelligenti» che «stupide»
(a caduta inerziale), oppure 34 bombe a grappolo, tipo la Cbu-87 da 430
kg che rilascia oltre 200 mine anticarro o anti-persona. Ma, oltre a
queste bombe «convenzionali», il B-2 Spirit può trasportare 16 bombe
nucleari B-61 o 16 missili aria-terra Agm-129 a testata nucleare. Per la
guerra contro l'Iraq, diversi B-2 sono stati trasferiti nella base di
Diego Garcia, nell'Oceano Indiano: in tal modo la distanza da Baghdad è
stata dimezzata da circa 12.000 a 6.000 km, permettendo così a ogni
bombardiere di effettuare più attacchi.

Il fatto che questi bombardieri strategici siano stati usati ieri per la
prima volta simultaneamente in una azione bellica reale, permette di
migliorare l'efficienza degli aerei e la capacità dei piloti anche per
un eventuale loro impiego in una guerra nucleare. Questo lo sanno non
solo a Baghdad, ma anche a Mosca e Pechino. " [MAN]

"FUOCO AMICO
«Marine-cowboy»
I soldati inglesi feriti accusano: soldati e piloti Usa disprezzano la
vita umana
ORSOLA CASAGRANDE
LONDRA
«Un cowboy. Senza alcun rispetto per la vita umana. Erano lì che
volavano e ad un certo punto uno dei thunderbolt si è staccato dagli
altri e ha cominciato a spararci addosso. Non so, è come se si fosse
detto, `andiamo a prendere qualche tank', giusto per avere qualcosa da
raccontare quando rientrava alla base». E' il racconto del soldato Joe
Woodgate, 19 anni, al giornalista di The Guardian Audrey Gillan, e non
usa mezzi termini per descrivere l'ennesimo incidente da «fuoco amico»
tra alleati in cui ha perso la vita il caporale Matty Hull. «Credo -
aggiunge - che qualcuno al Pentagono debba davvero rimettere le cose in
ordine. Non mi vengano a dire che non sono riusciti a riconoscere che
quella che sventolava dietro al nostro carroarmato era una Union Jack».
Il caporale Steven Gerrard aggiunge che l'A-10 americano ha sparato
senza esitazione anche in presenza di civili. Racconta al Guardian:
«C'era un ragazzino, non avrà avuto più di 12 anni. Era a non più di
venti metri da noi quando lo yankee ha aperto il fuoco: non aveva alcuna
preoccupazione per la vita umana». Il soldato Chris Finney, diciotto
anni, aggiunge che «tutti i convogli sono chiaramente identificati come
parte della coalizione. Non so perché l'americano abbia sparato una
seconda volta, visto che era così vicino. Credo siano davvero
incompetenti: non so se siano stati addestrati o se abbiano
semplicemente il grilletto facile». A farne le spese è stato H. Hull, ma
anche il soldato Joe Woodgate è rimasto ferito, così come il
luogotenente Alex MacEwen, venticinque anni, che conclude dicendo che
«un errore può accadere, ma troppe cose sono avvenute e tutte
suggeriscono che si è trattato di pura incompetenza e negligenza». Non a
caso i soldati britannici coinvolti nell'incidente si dicono «curiosi di
sapere che fine farà il pilota dell'A-10» e qualcuno chiede che venga
processato per «strage». Mentre i militari inglesi vittima dell'ultimo
incidente liberavano la loro rabbia, il generale Richard Myers,
presidente dei comandi unitari, si scusava pubblicamente per il «tragico
errore» avvenuto nel sud dell'Iraq. «E' la tragedia più triste per noi.
- ha detto alla trasmissione della domenica mattina sulla Bbc1 - Uno dei
miei compiti è assicurare che errori simili non si ripetano in
futuro». Dal suo letto di ospedale nel Golfo, risponde al
generalissimo, il caporale Steven Gerrard: «So guidare il mio veicolo,
so prevenire attacchi. Quello che non mi hanno insegnato a fare è
guardarmi alle spalle per essere sicuro che non ci siano americani che
mi sparano addosso». Sono 5 i militari britannici uccisi dal fuoco
amico.

I vertici militari inglesi si sono affrettati a dire che non c'è alcun
problema con gli alleati statunitensi. E cercano anche di passare
sotto silenzio la notizia dei due soldati rispediti a casa dopo
essersi rifiutati di combattere. I due, che appartengono alla XVIma
brigata di Essex, hanno sollevato obiezioni di coscienza verso un
conflitto nel quale ci sarebbero state vittime civili. L'episodio,
secondo il ministero della difesa, sarebbe avvenuto prima dell'inizio
delle operazioni. L'avvocato dei due soldati - ma ce n'è anche un
terzo -, che rischiano la corte marziale, ha detto che i suoi
assistiti sono pronti ad usare la legislazione internazionale sui
diritti umani per difendersi.

Quanto alle ripercussioni delle dichiarazioni dell'ex ministro degli
esteri Robin Cook (che ha chiesto il ritiro delle truppe britanniche e
la fine del conflitto), due deputati Labour, l'ex ministra dei
trasporti, l'attrice Glenda Jackson e Tam Dalyell, hanno chiesto
l'immediato coinvolgimento dell'Onu per negoziare un cessate il
fuoco"[MAN]

"Strage di bambini
Undici bambini sono stati uccisi sabato notte da un missile che ha
colpito la fattoria alla periferia di Baghdad in cui vivevano con le
famiglie. L'ennesimo massacro, ma non l'ultimo in una città dove le
vittime civili dei bombardamenti sono purtroppo sempre più numerose.
«Questo non è terrorismo? - chiede la gente sconvolta indicando le
macerie di una casa - Qui ci viveva una donna anziana con due figli
orfani e una nipote. Una famiglia distrutta, e magari gli americani ci
diranno che erano terroristi»
GIULIANA SGRENA
INVIATA A BAGHDAD
Ibombardamenti si accaniscono sulla capitale irachena, notte e giorno,
come promesso dal segretario alla difesa Usa, Donald Rumsfeld: Bassora è
solo un assaggio di quello che sarà l'assedio di Baghdad. Lo stiamo
vedendo, la notte scorsa non c'è stata tregua. Eppure la mattina la
città era più popolata del solito, i negozi sono ancora quasi tutti
chiusi, ma alcuni mercati hanno riaperto, la strada Jumuriya è tornata
agli ingorghi abituali: sul marciapiede si vende di tutto: taniche di
benzina, fornelli a gas, utensili vari, vettovaglie e vestiti. Perché
tanto fermento dopo una settimana di paralisi totale e una notte
d'inferno? «Evidentemente la gente si aspettava la pioggia di migliaia
di bombe nei primi giorni di guerra come minacciato dagli Stati uniti,
invece le cose stanno andando diversamente, i bombardamenti continuano
ma le truppe non avanzano e poi bisogna fare rifornimenti, le scorte si
esauriscono», ci dice Majid mentre compra la frutta. I prezzi sono
aumentati? «Quelli dei pomodori sì, costavano 350 dinari al chilo, ora
sono arrivati a 1.000 (circa mezzo euro), le arance anche sono
aumentate, ma di poco». E ogni mattina ritroviamo gli effetti sanguinosi
dei bombardamenti: un'altra strage di civili. Ieri secondo la
tesimonianza diretta di un reporter dell'Afp di Baghdad - ancora non
confermate dal governo iracheno - abbiamo saputo che sabato notte venti
persone, tra cui undici bambini, sono morte e dieci sono rimaste ferite
in un bombardamento angloamericano su una fattoria nella zona sud della
città. Sono stati i parenti delle vittime, gli unici a rimanere illesi
nella strage, a raccontare che i bombardieri alleati hanno distrutto tre
abitazioni del sobborgo di Al Janabiin sventrandole con un missile che
ha colpito in pieno le case. Gli undici bambini, sette donne e due
uomini morti nell'attacco appartenevano a cinque famiglie.

E anche ieri mattina abbiamo trovato gli effetti dei raid notturni: un
nuovo centro di comunicazioni, quello di Bab al-Muhaddan, sventrato,
colpito un altro palazzo presidenziale sulle rive del Tigri, sarebbe
quello abitato dal figlio minore di Saddam, Qusay, che comanda la
guardia repubblicana. E' stato nuovamente attaccato anche il ministero
dell'informazione e il missile che l'ha colpito ha danneggiato le case
vicine. I famosi danni «collaterali». Che cominciano ad essere numerosi.

Al-Adhamiya è un quartiere abitato dai veri baghdadini, i vecchi
abitanti della città, che si vantano di esserlo. Dopo aver superato le
nubi di fumo nero provocate dalle trincee di petrolio che ancora
bruciano, ci addentriamo nel quartiere incontrando prima orti coltivati
a verdure e vivai di fiori, poi la zona più commerciale e popolare.
Quasi tutti i negozi sono ancora chiusi, ma non le bancarelle di frutta
e verdura e le panetterie, che sono obbligate a restare aperte e a
mantenere fisso il prezzo del pane. Svoltiamo in una strada sterrata
della parte di al-Adhamiya che prende il nome di al-Kam, un cumulo di
macerie sbarra la strada. E' quel che resta di una casa sventrata da un
missile.

«Erano le 12 e 30, l'ora della preghiera di mezzogiorno, c'era chi
pregava e le donne cucinavano, quando è arrivato un boato, la casa
colpita è stata completamente distrutta, quella dietro solo
parzialemente, sei i morti, compresa una bambina di 12 anni, e una
ventina di feriti». Anche la casa di Husham, che ci racconta l'accaduto,
e altre vicine sono state danneggiate. Intorno a noi si è affollato un
gruppetto di persone, ci sono anche alcune donne, questo è un quartiere
sunnita e le donne sono meno bardate delle sciite. Tutti comunque ci
assalgono: «Questo non è terrorismo?! E magari gli americani vengono a
dirci che qui abitavano terroristi, era una donna anziana con due figli
orfani e la nipote che era venuta a trovarla, una famiglia distrutta».
Husham, 26 anni, ingegnere agronomo, lavora al ministero
dell'agricoltura, ma da quando c'è la guerra sono tutti a casa. Anche la
moglie Suad, che è avvocata e lavora in tribunale. Il figlioletto
Ibrahim, vuole una fotografia e subito alza le mani a V in segno di
vittoria. Perché pensate che sia stata colpita questa casa? «Per
vendetta, perché gli americani stanno subendo molte perdite nel sud»,
risponde una ragazza. Ma più che certezze, in loro c'è tanta rabbia,
contro gli occidentali: che cosa fate per fermare Bush? Cerchiamo di
spiegare che cosa fanno i pacifisti in occidente, ma non possiamo certo
dire che le grandi mobilitazioni siano bastate a fermare la guerra e per
loro è questo che conta. Parliamo anche della posizione dei governi, ma
Husham taglia corto: «Solo dio è dalla nostra parte, questo ci basta».
Gli facciamo notare che forse non basta. Lui che farà se arrivano gli
americani? «Prenderò il fucile, tutti abbiamo il fucile pronto, siamo
tutti mujahidin (combattenti ndr)», conclude. Anche le donne? «Anche le
donne», risponde.

Riattraversiamo la città passando accanto, sulla riva del Tigri, al
palazzo presidenziale bombardato ma la gente non se ne preoccupa,
superiamo il ponte, l'unico sopravvissuto intatto alla guerra del Golfo
del 1991, perché, mi raccontano, era stato mimetizzato con le piante.
Vediamo il centro di comunicazioni al-Mamun anch'esso sventrato mentre
la torre Saddam che si trova accanto si è miracolosamente salvata,
tranne i vetri. Poco lontano ci addentriamo nel quartiere residenziale
di Qadissiya: villette recintate con giardino, un luogo tranquillo ma
particolarmente pericoloso perché si trova nel mezzo di tanti possibili
obiettivi, militari e civili. Proprio per questo gli abitanti di molte
di queste case, dopo l'inizio della guerra, si sono trasferiti altrove.
E così il missile che ha colpito il quartiere due giorni fa, alle 19 e
30, lasciando un cratere profondo sette metri, ha distrutto tre case (55
abitanti) ma non ha provocato vittime.

«I miei figli piangevano sempre sentendo i bombardamenti, così ci siamo
trasferiti in campagna e lo stesso hanno fatto i vicini», racconta
Mohammed Kamel Ismail, 50 anni, sette figli, mentre rovista tra quel che
resta della sua biblioteca. Insegnante di scuola secondaria, teneva
delle lezioni anche a casa, e ci mostra tra le macerie la stanza dove
insegnava, si trova accanto alla cucina dove sul pavimento sono ancora
sparse cipolle e patate. Mentre racconta arrivano alcuni suoi studenti a
salutarlo. Si vede che lo stimano molto. «Mi rispettano molto perché io
insegno loro anche quello che c'è dietro le cose, i retroscena delle
cose che succedono, ma d'ora in poi insegnerò loro anche l'odio verso
l'occidente», dice. E poi continuando con la sua aria dolce e sommessa,
ci confessa: «Prima io non riuscivo a capire i martiri che si fanno
saltare per aria, ora li capisco, non ho più niente da perdere e spero
che dio mi riservi presto il martirio». Ma lei ha sette figli, che hanno
bisogno di un padre, perché deve sperare nel martirio, ci sono altri
modi di combattere gli americani, gli occidentali, non crede?
contestiamo. «Il martirio è il nostro dovere, solo di questo hanno paura
gli americani, perché non sanno come affrontarlo. Per quanto riguarda i
figli, sono un padre premuroso, mi alzo di notte per coprirli, il
sorriso dei bambini è uguale dappertutto, che diritto hanno di
toglieceli? Ma cresceranno bene perché li ho educati nell'insegnamento
del corano», afferma sicuro. Continua a frugare tra i libri che sono
rimasti ammucchiati tra le macerie nella stanza in cui insegnava, trova
finalmente il volume che cercava: un libro pregiato, un corano scritto
in arabo con traduzione e commento in inglese. E me lo regala. Ma non
aveva appena detto di odiare gli occidentali? Comunque non gli avevamo
creduto. Poco lontano le bombe continuano a cadere, ci allontaniamo
dalla costruzione ancora in bilico, meglio non rischiare." [MAN]

"L'ASSEDIO
Bassora può attendere
Il governo iracheno resta in controllo della città sciita La Croce Rossa
comincia a visitare i prigionieri di guerra
MA.FO.
No, i «ratti del deserto» non hanno lanciato l'offensiva finale su
Bassora, la seconda città irachena, capitale del sud sciita. Continuano
a controllare le vie d'accesso (salvo la strada che va a Baghdad sulla
direttrice sud-nord più orientale, che resta aperta). Continuano a
cannoneggiare l'abitato ogni notte, a tentare incursioni, a togliere le
posizioni periferiche alle forze irachene. Non tentano di prendere
davvero la città perché rischiano la strage di abitanti - per un
esercito che si vuole «liberatore» sarebbe intollerabile. E continuano a
rendere complicata la vita ai civili che ogni giorno escono di città e
poi rientrano, un continuo flusso di pedoni e veicoli nelle due
direzioni. Giorni fa i militari britannici vietavano il rientro agli
uomini in età da combattere: poi hanno lasciato passare anche loro,
rischiavano la rivolta. I cittadini di Bassora che vanno a trovare
parenti e fare provviste di cibo sono una delle fonti d'informazione su
quanto avviene in città - le altre sono i delegati del Comitato
internazionale della Croce Rossa e la troupe della tv satellitare araba
Al Jazeera, unico media straniero che abbia avuto l'autorizzazione a
lasciare i suoi corrispondenti in città. Gli altri giornalisti restano
fuori, al seguito delle truppe assedianti.

I cittadini ripetono che Bassora vive in modo normale o quasi - a parte
la scarsità d'acqua potabile e i black out di corrente, il fumo che si
leva dalle trincee piene di petrolio e incendiate in periferia... Ogni
mattina la gente va a verificare che danni fatti dai cannoneggiamenti
della notte, ad attingere al fiume (nell'acquedotto affluisce metà del
volume normale), al mercato, pare molti ristoranti siano aperti. Certo
funziona l'amministrazione, e l'apparato del partito Baath. «Possiamo
andare avanti così a lungo», dice un cittadino alla reuter : «Bassora
cadrà solo quando cadrà Baghdad. Non c'è altra via. le milizie sono qui,
e l'esercito».

I tecnici del Comitato internazionale per la Croce Rossa stavano
continuando ieri a lavorare insieme al personale dell'azienda municipale
dell'acqua per mettere in funzione i tre generatori d'emergenza che
riporteranno a pieno ritmo la centrale idrica di Wafa el Qaed,
principale stazione di pompaggio e potabilizzazione d'acqua che serve la
città di Bassora e i centri abitati a sud. Più a sud, a Umm Qasr, da
ieri ha cominciato ad arrivare acqua portata dal Kuweit, una
collaborazione tra gli ingegneri dell'esercito britannico e la
cooperazione kuweitiana. Sono in gradi di pompare 2 milioni di litri
d'acqua al giorno, ma la distribuiscono solo a Umm Qasr e nelle zone
strettamente sotto loro controllo - cioè coprono circa 100mila persone,
dicono i portavoce britannici.

La commistione tra militari e aiuti contin ua a suscitare polemiche, tra
le agenzie umanitarie delle Nazioni unite come tra le organizzazioni non
governative. I filmati di militari che vanno, armati e protetti da
carrarmati, a distribuire aiuti nei villaggi, fanno urlare di
indignazione. «Non dovrebbero usare gli aiuti umanitari per farsi
propaganda», dice da Amman un portavoce dell'Ufficio di coordinamento
umanitario per l'Iraq dell'Onu. Unìaltra scena vista più volte in questi
giorni, militari che buttano scatole di derrate dall'alto di un camion,
«è contraria alla dignità umana», ci dice la portavoce dello stesso
ufficio, Veronique Taveau. E' pure inefficace, perché non garantisce che
gli aiuti vadano a chi ne ha più bisogno ma a chi è più forte. Il
commissario europeo per gli aiuti umanitari Paul Nielson - che alla
vigilia dell'attacco armato aveva rifiutato di coordinare con Washington
le operazioni umanitarie future per l'Iraq - si dice indignato anche per
la pratica dei militari che distribuiscono aiuti e intanto chiedono
informazioni. Dopo la protesta di Nielson a Londra e Washington i
britannici hanno smesso, gli americani continuano (lo riferiva ieri il
Financial Times). L'Unione europea ha impegnato 327 milioni di euro per
l'Iraq - 227 dagli stati membri, un centinaio già stanziati dalla
Commissione: la quota maggiore, 40 milioni, andrà al Comitato
internazionale per la Croce Rossa.

Ieri infine la croce Rossa ha cominciato a vedere i prigionieri di
guerra iracheni detenuti dalla coalizione anglo-americana. Ha
controllato le strutture in cui si trovano e cominciato la registrazione
individuale, lavoro che continuerà per giorni. Per quelli
anglo-americani in mano irachena «abbiamo segnali positivi da parte del
governo di Baghdad, continuiamo i colloqui», dice la portavoce Antonella
Notari." [MAN]


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MEDIA
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"Licenziato Peter Arnett
«Anti-Usa» Il popolare giornalista, inviato a Baghdad, cacciato dalla
Nbc News dopo aver rilasciato un'intervista alla televisione irachena
GIULIA D'AGNOLO VALLAN
NEW YORK
Aumenta la tempesta scoppiata ormai da qualche giorno intorno al
rapporto media Usa/guerra in Iraq e la Nbc News licenzia il noto
giornalista Peter Arnett, uno dei pochi corrispondenti della TV
americana a trasmettere da Baghdad. La Nbc ha annunciato ieri mattina il
licenziamento di Arnett, grande e controverso protagonista del coverage
da Baghdad durante la prima guerra del Golfo (fu accusato di essere pro
Saddam), fino a ieri in Iraq per conto delle rete via cavo Msnbc
(lavorava per il programma National Geographic Explorer) e, dopo che il
suo corrispondente aveva lasciato Baghdad per ragioni di sicurezza, del
tg nazionale della Nbc. Il motivo dell'allontanamento di Arnett è
un'intervista che il premio Pulitzer dal Vietnam (per la Ap), ha
concesso alla televisione di stato irachena. Nell'intervista, Arnett ha
dichiarato che «il primo piano militare americano è fallito a causa
della resistenza degli iracheni.......». Arnett ha detto anche che,
negli Usa, «Bush sta fronteggiando dubbi rispetto all'andamento della
guerra e opposizione alla guerra stessa». E, nella sua affermazione
giudicata più «incendiaria», ha affermato che «i nostri pezzi sulle
vittime civili, sulla resistenza delle forze irachene sono trasmessi
negli Stati uniti....Aiutano coloro che si oppongono alla guerra a
sviluppare i loro argomenti» e suggerito in modo un po' ambiguo che
l'amministrazione Bush aveva sottovalutato i suoi reportage in cui si
diceva che gli iracheni avrebbero risposto agguerritamente all'invasione
(apparentemente, secondo quanto riportato anche sul New York Times, la
Msnbc non avrebbe mandato in onda una sua intervista con Tariq Aziz
realizzata due settimane fa, in cui si discuteva proprio di questo).
Curiosamente, se si eccettuta quest'ultimo intervento più «personale»,
le dichiarazioni di Arnett eccheggiavano quelle rilasciate, a beneficio
di tutti gli spettatori americani, da parecchi altri corrispondenti ed
editorialisti Usa, durante lo scorso week-end - dopo il primo momento di
adesione euforica, anche i media statunitensi, infatti, hanno cominciato
a prendere con meno passività le voce del Pentagono. «Le operazioni
militari in Iraq vanno come previsto, sono i media che danno segni di
nervosismo», non a caso, ha detto acido Rumsfeld impegnato da giorni in
un'operazione di damage control. Solo ieri, il governo Usa ha annunciate
l'esplusione dall'Iraq di un altro corrispondente Usa, Geraldo Rivera
perché avrebbe «rivelato segreti militari» ed è sotto attacco anche
l'anchorman della Abc Peter Jennings perché il suo coverage sarebbe
troppo antiamericano e «pessimista».

Ritrasmesse domenica sera dalle reti cavo rivali Fox-Tv e Cnn (i cui
corrispondenti sono stati espulsi dalle autorita' irachene già da tempo)
alcune delle battute di Arnett sono state immediatamente usate come
«manifestazioni di antiamericanismo»." [MAN]

"Cellulari vietati ai soldati americani
Nelle loro telefonate a casa i marines raccontano alle famiglie cosa
accade davvero sul fronte iracheno. E mettono in crisi la propaganda
ufficiale" [MAN]

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BORSE
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"Affondi di guerra
Tutte le borse vanno a picco. La guerra di lunga durata e i segnali
sempre più consistenti di stagnazione bruciano decine di miliardi di
capitalizzazione. In Europa scende la fiducia di imprese e consumatori.
Negli Usa il barometro dell'indice di Chicago segna recessione
GALAPAGOS
Timori di una guerra della quale non si vede la fine? O piuttosto timori
di una prolungata stagnazione che potrebbe diventare recessione e che
anche ieri ha trovato conferma in una serie di indicatori economici? Una
risposta univoca non c'è, ma la risposta delle piazze borsistiche è
stata in ogni caso univoca: una nuova giornata «nera», tutte giù con
perdite pesantissime, mentre l'euro tornava rampante (di nuovo sopra
quota 1,09 nei confronti del dollaro) e le quotazioni del petrolio
(influenzate, oltre che dalla guerra, dalla crisi in Nigeria) tornano a
salire (fino a 27,5 dollari il Brent consegna maggio; quasi 31 dollari
il Wti). Che non sarebbe stata una giornata tranquilla si è capito fin
dal primissimo mattino, quando sono arrivate le chiusure delle
principali borse asiatiche: a Tokyo il Nikkei ripiegava nuovamente sotto
quota 8mila, cedendo il 3,7%; a Hong Kong l'indice Hang Seng andava
sotto del 2,6%, scendendo ai minimi dall'ottobre `98. Nella borsa cinese
spicca la caduta (-6,9%) dei titoli della Cathay Pacific, costretta a
tagliare molti voli a causa dell'epidemia di polmonite atipica. Sul
Nikkei (sceso su valori inferiori del 27% a quelli di dodici mesi fa)
hanno inciso le perdite dei titoli di alcune grandi società la cui
attività è molto legata all'esportazione negli Usa, come Toyota (-5,9%),
Honda (-4,6%) e Sony (-4,3%). Ma Tokyo ha sofferto anche le notizie sia
della caduta in febbraio della produzione industriale (-1,7% su
gennaio), che dell'apertura di nuovi cantieri (-2,8% su base annua), che
hanno confermato che la stagnazione dell'economia prosegue.

Non vanno meglio le cose in Europa. Tutte le principali borse aprono con
segno negativo (le perdite oscillano dopo pochi minuti tra il 2 e il
3%). L'unica notizia moderatamente positiva arriva dalla Gran Bretagna:
la Banca d'Inghilterra fa sapere che in febbraio il credito al consumo è
salito oltre le previsioni, a conferma che i consumatori hanno seguitato
a spendere e a indebitarsi. Però, sempre da Londra arriva una notizia
non positiva: la Camera di commercio britannica ha reso noti i risultati
di un sondaggio, secondo il quale il 20% delle aziende minaccia
licenziamenti come ritorsione all'aumento (di appena l'1%) dei
contributi previdenziali decisi da Gordon Brown, il cancelliere dello
scacchiere).

Parzialmente positiva la notizia che arriva da Berlino: le vendite
all'ingrosso in febbraio sono aumentate del 3,1% in termini reali. Ma
l'Ufficio federale di statistica getta acqua sul fuoco: il dato è
soggetto a una fortissima volatilità, cioè è scarsamente significativo.
Non a caso, la borsa di Francoforte è quella che segna in mattinata la
peggiore performance, con perdite che sfiorano il 4%.

D'altra parte, sempre dalla Germania arrivano indiscrezioni secondo cui
la Lufthansa ha preparato un nuovo piano di tagli per ridurre di almeno
il 20% dei costi. E da Berlino arriva la notizia che la Bankgesellschaft
(controllata all'81% dal comune) ha chiuso i conti in rosso di 699
milioni di euro. Dal Financial times, invece, rimbalza la notizia di
grosse difficoltà di tre delle maggiori compagnie di assicurazione
(Munich, Hvb e Allianza), che saranno costrette a ricorrere al mercato
per ricapitalizzarsi. La ciliegina finale è la previsone dell'Ifw (uno
dei maggiori istituti di ricerca tedeschi): se la guerra durerà più di
un mese e mezzo, la Germania dovrà fronteggiare una stagnazione o
addirittura una recessione. Una previsione sottoscritta da Friedrich
Heinemann, capo economista dell'istituto Zew, secondo il quale se il
conflitto iracheno andrà oltre le sei settimane «quest'anno non ci
saranno speranze per l'economia».

Altre notizie non positive arrivano da Bruxelles, dalla Commissione
europea che in tarda mattinata fa sapere che peggiora il clima di
fiducia sia delle imprese (a causa «degli sviluppi negativi dei trend di
produzione del recente passato, delle aspettative di produzione, del
portafoglio ordini totale e degli ordini all'esportazione»), che dei
consumatori («una tale riduzione non è stata osservata dagli eventi
dell'11 settembre»). Ma non è finita: da Parigi il semestrale Financial
market trends pubblicato dall'Ocse fa sapere che Stati uniti e Europa
nei prossimi mesi subiranno un rallentamento della spesa per consumi.
L'Ocse prevede anche una riduzione dei tassi (-0,25 punti base da parte
della Bce), un aumento del valore dell'euro, ma anche l'inasprirsi delle
difficoltà per il settore finanziario, a cominciare dalle banche
tedesche, che potrebbe coinvolgere anche il settore assicurativo. A
questo punto, gli occhi sono tutti rivolti a Wall street.

Ma l'attesa (causa ora legale ancora non in vigore negli Usa) dura
un'ora di più. E soprattutto, l'apertura delle borse statunitensi non
porta buone notizie. Anzi. Dopo appena 20 minuti il Dow Jones è sotto
del 2,1% e il Nasdaq cede l'1,91%. Ma le perdite crescono dopo dieci
minuti quando viene diffuso il Pmi di Chicago: l'indice di marzo dei
direttori degli acquisti delle grandi imprese Usa precipita - per la
prima volta dopo 8 mesi - sotto quota 50 (a 48,4 da 54,9 di febbraio),
indicando che l'economia è potenzialmente in recessione. Negativo anche
il sottoindice relativo all'occupazione (a 45,1, da 46,6), ancora
positivo, ma in forte discesa (da 59 a 52,5) quello dei nuovi ordini.
Risultato: la borsa etra in fibrillazione e si intensificano le vendite:
il Dow Jones va sotto del 2,62% e il Nasdaq del 2,41%.

Ancora peggio vanno le borse europee che chiudono tutte con pesanti
perdite: Londra cede il 2,57%; Parigi il 4,19%; Zurigo il 2,9%;
Francoforte il 3,85%. A Milano il Mibtel chiude a 16.085 (-2,63%) e il
Numtel a 1.111 (-2,54%). Le borse Usa in serata, invece, registrano un
leggero recupero. «Tecnico», secondo gli analisti. A un paio di ore
dalla chiusura, sia il Dow Jones (di nuovo sotto quota 8 mila) che il
Nasdaq cedevano circa l'1,8%." [MAN]


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Titolo Autore Data
cronologia 12° giorno paolo Tuesday, Apr. 01, 2003 at 6:34 PM
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