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[cronologie di guerra] 02.03.04 quattordicesimio giorno
by blicero Thursday April 03, 2003 at 11:57 AM mail:  

[cronologie di guerra] 02.03.04 quattordicesimio giorno si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.




02 aprile 2003 : quattordicesimo giorno
[fonti : quotidiani del 3 aprile 2003]

"Missili su un ospedale di Baghdad Distruzione e morte nel reparto
maternità La guerra preventiva li ammazza già sul nascere Reportage
dall'ospedale di Hilla tra le vittime della penultima strage I medici
raccontano: usano le bombe a grappolo Terrore dal cielo anche a nord:
ventun morti nel villaggio cristiano di Bartala Crepe tra Blair e Bush
sul dopoguerra Il premier britannico contro un protettorato Usa e contro
le minacce di Rumsfeld a Siria e Iran Saddam Hussein riappare in
televisione" [MAN]

"BAGHDAD
«La battaglia per Baghdad è cominciata». Gli invasori anglo-americani
accelerano l'avanzata e le avanguardie sarebbe ormai a una trentina di
km dalla periferia sud della capitale irachena dopo durissimi scontri e
bombardamenti sulla Guardia repubblicana. Manovra tenaglia: da Karbala,
sull'Eufrate, a sud-ovest, e da Kut, sul Tigri, a sud-est, dove sarebbe
stata distrutta la divisione Baghdad della Guardia. Ma gli iracheni
smentiscono.
BOMBARDAMENTI
Altro tragico errore (?) dei bombardieri americani su Baghdad che ieri
avrebbero colpito il reparto di maternità della Mezzaluna rossa e anche
auto e persone in fuga. Usate anche, non per errore, le micidiali bombe
a grappolo. Gli iracheni parlano di 24 morti nelle ultime 24 ore di cui
10 solo a Baghdad.
IL SOLDATO JESSICA
Grande risalto mediatico alla storia del soldato Jessica Lynch, la
diciannovenne americana che era stata catturata dagli iracheni il 23
marzo. Un commando Usa ha fatto un'incursione nell'ospedale di Nassiriya
in cui era ricoverata. Dove ha trovato anche un certo numero di
cadaveri, «probabilmente» di marines dispersi.
IRAQ DEL NORD
Pesanti bombardamenti anglo-americani su Kirkuk e Mossul. Almeno 21
civili morti, secondo la tv al-Jazeera, nel villaggio cristiano di
Bartala, a una quindicina di km da Mossul.
BASSORA
Un fiume di civili sta fuggendo da Bassora, accerchiata dagli inglesi
ma non ancora caduta.
SADDAM HUSSEIN
Nuovo messaggio televisivo del Rais, il terzo in meno di 24 ore. Ma
neppure stavolta è comparso di persona sugli schermi. Gli americani
continuano a sperare che sia ferito o morto.
COLIN POWELL
Il segretario di stato americano, giunto la sera prima ad Ankara, ha
strappato qualche concessione al governo turco (diritto di rifornimento
per le truppe Usa) mentre fuori si svolgeva una manifestazione contro la
guerra. Oggi sarà a Belgrado e domani a Bruxelles.
I MORTI UFFICIALI
Americani: 53 e 11 dispersi; inglesi 27 morti; militari iracheni:
mancano cifre attendibili; civili iracheni: 677 morti e 5036 feriti."
[MAN]

"30 chilometri a Baghdad
Le truppe Usa ormai vicine alla capitale irachena, è l'inizio
dell'assedio. Con una manovra a tenaglia, i marines avrebbero superato
la «zona rossa», la prima cintura di difesa della città, e preso un
ponte strategico sul Tigri. I B52 rovesciano ora le bombe a grappolo
F. P.
Le truppe anglo-americane sarebbero arrivate a poche decine di
chilometri da Baghdad, dopo aver lanciato attacchi coordinati su due
diversi fronti contro la Guardia Repubblicana e avere attraversato il
Tigri. Militarmente parlando, gli alleati avrebbero cioè superarato
quella che chiamano la «zona rossa», la prima cintura di difesa irachena
di Baghdad. L'operazione segna una svolta sul campo e si può considerare
come l'inizio della offensiva definitiva sulla capitale. Per la quale,
prevedono alcuni analisti statunitensi, la battaglia sarà comunque
lunga: dalle quattro alle otto settimane. Un tempo così incerto che
meglio di ogni altra cosa spiega l'incertezza militare di «come»
prendere una città abitata da circa cinque milioni di abitanti e difesa
da truppe regolari e guerriglieri mischiati alla popolazione. Secondo
fonti militari alleate, l'avanguardia delle truppe Usa sarebbe giunta
ieri a 30 chilometri dalla periferia sud della capitale irachena,
notizia però smentita dal ministero dell'informazione di Baghdad. Le
truppe, hanno spiegato i portavoce militari americani, si stanno
muovendo con una manovra a tenaglia verso la capitale: a Karbala, 80
chilometri a sud di Baghdad, le truppe d'elite irachene sono state ieri
bombardate pesantemente mentre la città è stata circondata, i punti
d'accesso sono stati chiusi e i militari americani hanno ripreso
l'avanzata verso nord-ovest. Contemporaneamente 170 chilometri a sud-est
della capitale, i marines avrebbero conquistato un ponte strategico ad
al-Kut, città chiave in riva al fiume Tigri e si preparano a proseguire
l'avanzata. Il comando militare a Doha sostiene che qui la divisione
«Baghdad» della Guardia Repubblicana è stata sbaragliata. Sia questa
notizia che quella della presa del ponte sul Tigri sono state però
smentite dagli iracheni.

In questa parallela e reciproca guerra di propaganda, si può solo notare
quanto sia strano che un ponte strategico possa essere strappato
militarmente senza che il nemico abbia pensato piuttosto di
distruggerlo.

L'aviazione americana ha poi utilizzato per la prima volta le bombe a
grappolo, le famigerate cluster bomb. Il bombardamento, a opera dei
B-52, sarebbe avvenuto in una zona non precisata dell'Iraq centrale
contro una colonna di tank iracheni a difesa della capitale. Le bombe a
grappolo o a frammentazione contengono a loro volta tante mini-bombe,
destinate a devastare i mezzi corazzati ma che, inesplose, provocano
morti e feriti tra le popolazioni civili. Nel 1991, nella prima guerra
del Golfo, almeno 4000 persone hanno perso la vita in Iraq per gli
effetti ritardati della cluster bomb.

Il ministro dell'informazione iracheno Sahaf ha detto ieri che i raid
aerei hanno provocato 24 morti e 186 feriti nelle ultime 24 ore, di cui
10 morti e 90 feriti nella sola Baghdad.

Il fronte resta comunque aperto. A Najaf gruppi di iracheni combattono
ancora, a Nassiriya le truppe speciali americane hanno liberato una
soldatessa di 19 anni, Jessica Lynch, catturata il 23 marzo scorso. Dopo
che la Cia aveva fornito le coordinate esatte del luogo dove si trovava
la prigioniera, alcuni reparti hanno fatto irruzione nell'ospedale di
Nassiriya dove la soldatessa era stata ricoverata dagli iracheni per
ferite alle gambe e alle braccia, portandola via.

Nell'Iraq del nord, l'aviazione statunitense continua a martellare
postazioni nemiche sia a Mosul che in altre aree del Kurdistan. Il
governo di Ankara, ricevendo ieri il segretario di stato Colin Powell
per la prima volta dall'inizio del conflitto, ha concesso agli Usa il
passaggio sul suo territorio non di truppe d'invasione ma dei
rifornimenti per i circa 5000 paracadutisti già operanti oltreconfine. A
sud, Bassora continua a restare una città sotto assedio delle truppe
inglesi. Molti civili starebbero abbandonandola, scarseggiano acqua e
cibo. Ieri i carri armati britannici hanno risposto al fuoco dei mortai
iracheni su un posto di controllo della coalizione alle porte della
città. Quel che accade a Bassora potrebbe essere replicato presto a
Baghdad. Le truppe inglesi, dopo aver circondato la città, avanzano e
colpiscono gli iracheni. Ma poi si ritirano, evitando - per ora- di
intraprendere attacchi frontali. "[MAN]

"Baghdad, un razzo sulla maternità
L'ospedale di maternità della Mezzaluna Rossa colpito durante un attacco
aereo nel quartiere Mansour: tre morti, 27 feriti. La popolazione resta
sotto tiro: da Bassora ai villaggi presso Mosul, a Kerbala e Najaf. La
Croce Rossa: proteggere i civili
MARINA FORTI
La popolazione civile resta sotto tiro. Un ospedale della Mezzaluna
Rossa, reparto maternità, è stato colpito ieri mattina da un missile
statunitense a Baghdad. Lo riferiscono diversi testimoni, lo confermano
i portavoce della Mezzaluna Rossa, e poi i reporter andati a vedere. In
serata il Comitato Internazionale per la Croce Rossa ha parlato di tre
persone uccise e almeno 27 ferite. Si allunga così la lista delle
vittime civili della guerra - mentre i portavoce del Comitato
internazionale per la Croce Rossa si dicono sempre più preoccupati per
Nasiriya, Najaf, Kerbala: centri abitati dove sono in corso
combattimenti ma nessuno ha notizie precise sulla situazione della
popolazione. La Croce Rossa definisce «orrore» quello che si abbatte
sugli iracheni. L'attacco aereo sul quartiere Mansour di Baghdad è
avvenuto intorno alle 9,30 del mattino, a strade affollate: la
corrispondente della reuter arrivata poi sul luogo ha visto almeno
cinque automobili carbonizzate in mezzo alla strada. I testimoni dicono
che i passeggeri sono morti bruciati nei loro veicoli, ma non sappiamo
ancora quanti siano. Residenti e medici dicono che almeno tre missili si
sono abbattuti sul quartiere: hanno colpito l'ospedale, il vicino
palazzo del commercio e gli uffici dell'Unione dei Farmacisti e degli
Insegnanti. Quanto all'ospedale, poteva esere una strage ben peggiore:
l'edificio non è stato centrato dal missile ma preso di sbieco, dice un
medico della Croce Rossa internazionale andato sul luogo. E per fortuna
molte delle pazienti erano state trasferite poco prima in altri ospedali
della capitale irachena.

Anche così, la facciata del Red Crescent Maternity Hospital è sfondata,
molti soffitti sono crollati - i reporter hanno visto macerie e sangue a
profusione. Tre operatori della Mezzaluna Rossa sono stati feriti, ha
riferito il dottor Mohammad Ibrahim, medici e infermieri. Tra gli altri
un suo collega, il dottor Mohammad Fadel, che si preparava a una normale
giornata di superlavoro come da quando è cominciata la guerra. Un suo
paziente, andato a chiedere una visita, ha avuto una gamba amputata. Gli
altri feriti sono persone che lavorano nell'ospedale o abitano
nell'immediata vicinanza.

Il portavoce delle forze Usa in Qatar ha rifiutato ieri sera di
commentare l'episodio: «non ne sono a conoscenza». Secondo il comando
americano, i raid aerei ieri hanno solo preso di mira il nuovo Palazzo
presidenziale nella zona di Al Khark e altri palazzi governativi, bunker
e il complesso da cui il figlio di Saddam Hussein, Qusai, comanda la
Guardia Repubblicana.

Le notizie sul resto del paese sono frammentarie. I delegati a Baghdad
del Comitato internazionale per la Croce Rossa hanno potuto visitare
l'ospedale di Al Hilla, ma non hanno ancora notizie dirette dagli altri
centri urbani in cui sono in corso combattimenti. Nel nord, la
situazione resta stabile nei distretti sotto amministrazione kurda (La
Croce Rossa ha una delegazione a Arbil), ma nessuno sa dire con
precisione cosa succeda a Kirkuk, Mosul, e le zone circostanti,
rripetutamente bombardate.

Bombe sul villaggio

Solo ieri è stata diffusa (da Al Jazeera e dall'agenzia France Presse)
la notizia che un villaggio a ovest di Mosul, Bartala, è stato colpito
da un intenso bombardamento aereo il 31 marzo. E' un villaggio a
maggioranza cristiana. Le immagini di Al Jazeera mostrano una decina di
case distrutte e residenti desolati: contano 13 morti e una trentina di
feriti, e dicono che non ci sono strutture militari nel loro paesetto.

Un altro allarme è quello lanciato dall'Unicef: gli addetti del Fondo
dell'Onu per l'infanzia sono arrivati con alcuni convogli di aiuti nel
sud dell'Iraq, a Zubayr e località vicine. Hanno visto che le forze
anglo-americane distribuiscono agli abitanti le «Razioni umanitarie
giornaliere», pacchetti di cibo: quelle razioni sono impacchettate nella
plastica gialla, lo stesso colore e dimensioni delle bombe a grappolo
che restano a terra inesplose. Così chi vede un pacchettino giallo è
indotto a prenderlo - ma se è il pacchetto sbagliato esplode. Proprio
come era successo in Afghanistan.

Cannoneggiamenti e attacchi aerei sono continuati ieri per tutto il
giorno a Bassora: in centro, in zone residenziali. Lo riferisce il
corrispondente di Al Jazeera. La seconda città irachena, capitale del
sud a maggioranza sciita, un milione e mezzo di abitanti, è di fatto
sotto assedio dall'inizio della guerra.

Al Jazeera nel mirino?

La televisione satellitare araba è l'unico media straniero presente in
città (l'unico autorizzato dal governo iracheno prima dell'inizio della
guerra): attraverso i suoi corrispondenti sappiamo che da un paio di
giorni i cannoneggiamenti sono diventati più intensi, e che gli ospedali
sono pieni di feriti e vittime. Ieri Al Jazeera ha mnostrato che anche
l'hotel Sheraton è stato colpito, in pieno centro: in questo momento vi
alloggiano solo loro, i tre inviati e tecnici della tv araba. Così la
direzione del canale satellitare in Qatar ha inviato una lettera di
protesta al Pentagono, e si appella a entrambe le parti a garantire la
sicurezza dei giornalisti (viene alla mente l'ufficio di Al Jazeera
bombardato a Kabul durante la guerra afghana: anche là era l'unica tv
presente).

L'unica buona notizia, per gli abitanti di Bassora, è che ieri la
quantità d'acqua pompata nell'acquedotto è quasi normale: sono riuscite
le riparazioni ai generatori d'emergenza all'impianto di Wafa al Qaed.
Martedì l'Unicef aveva segnalato alcuni casi di colera, ma il Comitato
internazionale della croce Rossa precisa che «per fortuna non ci sono al
momento indicazioni di possibili epidemnie». Ma la temperatura di giorno
ormai raggiunge i 37 gradi... La Croce Rossa ha cominciato a rifornire
con autobotti anche le cittadine a sud di Bassora, a cominciare da
Zubayr.

Ai cannoneggiamenti si aggiungono i combattimenti attorno alla città -
ieri uno scontro di particolare violenza è avvenuto a sud. Ma Al Jazeera
parla anche di incursioni fin dentro all'abitato. Questo non impedisce a
centinaia di persone di riversarsi fuori dalla città ogni mattina a
cercare oprovviste, per poi rientrare. Il vai e vieni degli abitanti di
Bassora è spiato con golosità dalle decine di giornalisti occidentali,
appostati attorno alla città con le truppe. Gli abitanti riferiscono che
il controllo dell'amministrazione e del regime resta saldo. Molti
aggiungono che negli giorni le milizie fedeli al partito Baath hanno
aumentato la pressione sulla cittadinanza: secondo notizie e voci
raccolte dalla reuter i miliziani girano in uniforme con mitragliette e
lanciarazzi, e con gli altoparlanti invitano la popolazione a combattere
gli invasori. Altri dicono che sono aumentati gli arresti di oppositori.
Di solito le stesse persone esprimono anche grande esasperazione, e
ostilità verso le truppe assedianti." [MAN]

"I sopravvissuti di Babele
Viaggio a Hilla, l'antica Babele, dove le bombe a grappolo degli
americani hanno ucciso 67 persone e ferito orribilmente 250. «Il cento
per cento civili», dice il chirurgo. «Da giorni - racconta la madre di
due bambine colpite alla testa dalle schegge - sentivamo gli aerei
volare sopra di noi. Ma non pensavamo di essere colpiti. Nel nostro
villaggio non ci sono obiettivi militari. Non siamo soldati». La rabbia
degli sciiti: distrutti i nostri luoghi santi
GIULIANA SGRENA
INVIATA A HILLA
Poco più di sessanta chilometri separano Baghdad dall'antica Hilla, più
nota come la mitica Babilonia, capitale del famoso regno di Hammurabi e
successivamente dell'impero di Nabucodonosor. Anche se ormai siamo
abituati ai bombardamenti che colpiscono Baghdad notte e giorno, man
mano che ci allontaniamo dalla capitale si avverte che la guerra è
sempre più vicina, quella combattuta non solo dal cielo ma anche sul
terreno. Prima si avverte una presenza militare irachena nascosta dietro
le trincee che non sono più riempite di petrolio dato alle fiamme, come
intorno a Baghdad, ma di uomini e armi; poi si trovano campi militari
veri e propri con i soldati. Mentre passiamo, la contraerea sta
sparando. La strada tuttavia è trafficata e il mercato di Mahmudia è
affollato anche di molte donne, quelle che non si vedono quasi più nelle
strade della capitale. Avvicinandoci a Hilla si incontrano villaggi
dall'aria un po' più "primitiva" o forse è solo una suggestione
provocata dall'approssimarsi a un luogo leggendario, che avevamo
visitato alla vigilia di un'altra grande minaccia per i siti
archeologici, la guerra del Golfo del 1991. Dei monumenti che avevano
segnato gli antichi splendori della città restava poco più delle
fondamenta già allora, il materiale da costruzione usato a quei tempi
non aveva favorito la conservazione e poco convincente è risultata la
ricostruzione voluta da Saddam Hussein. Comunque ora non c'è tempo per
verificare gli effetti di quella guerra e nemmeno per cercare di
riscoprire il fascino del passato di Babilonia.

La nostra meta è un'altra: l'ospedale di Hilla, dove sono ricoverati i
feriti sopravvissuti al massacro provocato dal massiccio bombardamento
anglo-americano di lunedì scorso. Fin dall'entrata, già l'atrio
dell'ospedale è pieno di feriti, medici, flebo, garze insanguinate.
Questo è solo il pronto soccorso, gli ultimi arrivi, ferite di vario
tipo, lo spettacolo più raccapricciante lo riservano le corsie dei piani
superiori. Al terzo piano stanze piene di feriti: alcuni hanno già avuto
arti amputati, altri li avranno inevitabilmente. Ferite su tutto il
corpo, più o meno gravi, sangue, puzza. «Non abbiamo nemmeno i mezzi per
la sterilizzazione, si rischiano infezioni, mancano i medicinali»,
confessa il dottor Ali al-Katib, capo del dipartimento chirurgico. Altri
ricoverati, quelli più gravi potrebbero andare ad aggravare il bilancio
dei "martiri": «Finora sono 67, oltre 250 i feriti, il cento per cento
civili», afferma il medico. E conferma che la maggior parte dei feriti
sono stati colpiti da cluster bombs. «Non si tratta di bombe che si
usano contro i carri armati ma contro la popolazione, sono bombe
anti-persona: si vuole terrorizzare la gente», commenta un altro medico,
il dottor Dhigà Ali.

Hamid Khalil Hamza, 21 anni, giace su un letto avvolto in una coperta, è
assistito dal padre Khalil ma poi arrivano anche degli amici, ha la
gamba maciullata fasciata alla bella e meglio in una garza piena di
sangue. La loro casa, come altre del villaggio di al Ghaliz, a 5
chilometri da Babilonia, è stata bombardata lunedì verso mezzogiorno. In
un altro letto, un vecchio con un braccio fasciato tossisce
insistentemente. Ci sono anche alcuni sopravvissuti dell'attacco al
pulmino di el Kifl, giovedì scorso. Sedici i morti, tra cui donne e
bambini, che andavano a seppellire una loro congiunta a Najaf. Ali è
sopravvissuto ma ha un braccio tagliato e l'altro conciato male, anche
una gamba è in cattive condizioni.

Al quarto piano donne e bambini. In una corsia, accovacciata per terra
una madre nascosta sotto un velo nero, intorno a lei le cinque figlie,
abbandonato fra le sue braccia, il bimbo più piccolo, due delle ragazze,
le più gravi, sono distese sul letto, per le altre non c'è più posto.
Tutte, madre compresa, mostrano le tipiche ferite da cluster bomb, sul
collo, le braccia, le gambe. Una ha un buco più profondo sulla gamba
distesa su una garza tutta imbevuta di sangue. Vengono da Nadir, un
quartiere popolare di Hilla, da dove arriva anche Nidhal Adi, 48 anni,
insegnante nella scuola secondaria Gaza, che si trova poco lontano da
casa sua, sta assistendo la figlia, Razad Hakim, di 20 anni. E racconta:
«Lunedì mattina erano da poco passate le dieci quando abbiamo sentito
una forte esplosione, schegge dappertutto, alcune hanno colpito me,
altre, più gravemente, mia figlia al petto. L'abbiamo subito portata
qui». Nidhal ha un altro figlio di sei anni, l'ha lasciato con la nonna,
il marito è morto e mostra il velo nero che porta in segno di lutto. E'
una donna molto vivace e protesta: «Perché vogliono distruggere la mia
famiglia? Io non ho niente a che vedere con il governo, perché ci
bombardano?».

Già, perché colpiscono bambini come Burgham Alì, 3 anni, che giace sul
lettino con il ventre aperto, il capo bendato e un occhio perduto? Non
piange nemmeno. I genitori raccontano, la solita storia che si ripete,
questa volta a Hindiya, a metà strada tra Hilla e Kerbala, dove ci sono
state numerose vittime. Marianne, 10 anni, e Huda, 5, due sorelline,
stavano giocando davanti a casa nel piccolo villaggio di Twerige, sulla
strada verso Kerbala, quando sono arrivate le bombe, racconta Fathma
Obeida, la madre di 36 anni. «Ho sentito una forte esplosione e quando
sono uscita ho trovato le bambine grondanti di sangue», sono state
ferite al capo, entrambe. Anche il marito è stato colpito, lui è grave,
si trova in terapia intensiva, in un'altra corsia.

Vi aspettavate un attacco di questo tipo? «Da giorni, 24 ore su 24,
sentivamo gli aerei americani volare sopra di noi, sempre più bassi, ma
non pensavamo di essere colpiti, nel nostro villaggio non ci sono
obiettivi militari, non ci sono soldati», sostiene Fathma, sconsolata
per la sorte delle due splendide bambine che si tengono strette mentre
sono bersagliate dai fotografi. Una dopo l'altra, tutte le corsie sono
zeppe di feriti, più o meno gravi, donne, bambini, giovani, anziani. Una
donna settantenne, ferita ad un braccio, non ha nemmeno voglia di
parlare.

Tante vittime. Ma voi vi trovate sulla linea del fronte, a pochi
chilometri da Kerbala e le truppe anglo-americane dicono di aver deciso
di procedere l'avanzata verso Baghdad lasciando fuori la città santa?
chiediamo a un medico. «Non siamo sulla linea del fronte non abbiamo
visto militari, abbiamo sentito solo gli aerei e le bombe», risponde il
dottor Ali al-Khatib.

Gli aerei anglo-americani che volano sempre più bassi rischiano di
provare gravi danni anche ai luoghi santi che ospitano i santuari del
quarto califfo Ali, capostipite degli sciiti, che si trova a Najaf, e
dei suoi due figli, gli imam Abbas e Hussein, a Kerbala. Non è certo il
modo migliore per cercare di essere ben accetti dagli sciiti iracheni e
un danneggiamento dei luoghi santi, meta di pellegrinaggio anche degli
iraniani - in stragrande maggioranza sciiti - potrebbe persino provocare
problemi all'opposizione del Consiglio per la rivoluzione islamica in
Iraq con base a Tehran che appoggia l'intervento anglo-americano.
Peraltro, gli sciiti iracheni, quelli che vivono qui, non si fidano
delle promesse americane. «Abbiamo imparato dal 1991», ci ha detto
qualche tempo fa un imam della moschea Abbas, allora gli americani
avevano favorito la rivolta degli sciiti ma poi li hanno abbandonati di
fronte alla sanguinosa repressione di Saddam.

Che il terreno sciita non sia favorevole agli invasori lo dimostra anche
il fatto che le truppe avrebbero deciso di avanzare verso Baghdad senza
occupare le città del sud. L'assedio si sta stringendo intorno alla
capitale, non sappiamo se veramente le truppe siano alle porte come dice
il Pentagono - il regime iracheno smentisce -, ma sicuramente i
bombardamenti sono pesantissimi. Abbiamo visto i missili cadere sulla
strada di ritorno da Hilla e poi, rientrati a Baghdad, nel pomeriggio il
rumore dei cacciabombardieri si è fatto sempre più intenso. Numerosi gli
obiettivi colpiti vicino a luoghi civili, ospedali, un centro di
riabilitazione. Soprattutto è stata danneggiata la sede centrale della
Mezzaluna rossa a al Mansour, che coordina anche l'attività delle varie
Ong presenti in Iraq. Ieri mattina, verso le dieci, i missili hanno
colpito un grande magazzino adiacente alla sede della croce rossa
irachena, distruggendo oltre al deposito - dove pare ci fossero anche
medicine - sette macchine che passano per la strada e l'onda d'urto ha
mandato in frantumi i vetri, distrutto le suppellettili, i computer, gli
schedari che si trovavano dentro la sede dell'organizzazione umanitaria.
A denunciare l'accaduto è il dottor Hisham al-Saadun, direttore della
Mezzaluna rossa. Dentro l'edificio si trovava anche Mohammed, il
coordinatore del Ponte per Baghdad che lavora appunto in collaborazione
con l'istituzione irachena. Mohammed è stato travolto mentre scendeva
per le scale, riportando, per fortuna, solo escoriazioni, secondo quanto
ci ha riferito Simona Torretta, rappresentante dell'associazione
italiana. Che denuncia soprattutto il fatto che il magazzino, se questo
era l'obiettivo, sia stato colpito di giorno quando dentro la sede della
Mezzaluna ci sono almeno una trentina di lavoratori." [MAN]

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BOMBE UMANITARIE
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"Cluster bomb, giallo assassino
Human Right Watch: «L'esercito americano usa bombe a grappolo. Sono mine
antiuomo»
EMANUELE GIORDANA *
Quello che era solo un timore, come la denuncia di Amnesty di qualche
giorno fa, è ormai realtà accertata. L'esercito americano in Iraq usa
«cluster bomb», bombe a frammentazione che, esplodendo, si dividono in
centinaia di piccole micidiali «sottobombe» che si spandono sul terreno
trasformandosi in mine antiuomo. Una seria minaccia, a conflitto
terminato, per la popolazione civile. Perdipiù gialle, dello stesso
colore dei kit alimentari che l'esercito inglese «distribuisce» alla
popolazione. La denuncia è di Human Rights Watch (http://www.hrw.org),
l'organizzazione internazionale con base negli Stati Uniti che in questi
giorni ha raccolto prove e testimonianze che inchiodano l'Us Army. Hrw
cita soprattutto fonti giornalistiche, ma anche le ricerche eseguite
direttamente su filmati video che riprendono operazioni militari. Il
Pentagono tace.

Già oggetto di un recente dossier - sempre di Hrw - sulle cluster
ritrovate ancora oggi in Kuwait a 12 anni dalla prima Tempesta nel
deserto, queste bombe atipiche sono state usate diffusamente anche in
Jugoslavia e in Afghanistan, sollevando un mare di polemiche specie per
gli effetti ritardati sui civili. Hrw in particolare ne denuncia
l'utilizzo «da terra», attraverso l'artiglieria pesante: è stato infatti
identificato l'uso del cosiddetto Multiple Launch Rocket System (MLRS)
utilizzato da unità dell'artiglieria della Terza divisione di fanteria.
Diciotto di queste unità di lancio sarebbero state impiegate in questi
giorni con l'utilizzo di proiettili M26 che a loro volta contengono
altre 644 sottomunizioni individuali (dette dual-purpose grenades). Lo
stesso Pentagono ammette che questo tipo di munizioni ha una possibilità
di errore del 16%. L'errore, in questo caso, è il fatto che le
sottomunizioni non esplodono: rimangono nel terreno per anni, diventando
mine antiuomo in tempo di pace. Per Hrw, ci si può aspettare che in
un'area compresa tra i 12mila mq (circa 20 campi di calcio!) e i 24mila
mq, 12 Mlrs produrranno qualcosa come 1.200 munizioni inesplose.

Il Washington Post ha parlato anche di razzi tattici (Army Tactical
Missile System o Atacms) sparati il 28 scorso a supporto della 101ma
divisione aviotrasportata. In questo caso si tratta di 300 o 950
sottomunizioni M74 che hanno però un margine d'errore (inesplosione)
«solo» del 2%. Coi video si è anche potuto risalire a una serie di lanci
di artiglieria da 155 mm che erano stati descritti da un cronista come
una pioggia di «centinaia di granate». Probabilmente proiettili M483A1 e
M864 che portano sottomunizioni con un margine d'errore del 14%.

Delle cluster sarebbero rimasti vittime anche due marine in due separati
incidenti occorsi il 27 e il 28 marzo scorso. «Gli Stati Uniti non
dovrebbero usarle - commenta Steve Goose, direttore della divisone
armamenti di Hrw - perché i civili iracheni pagheranno al prezzo della
loro vita» un incubo destinato a durare nel tempo. Dalla fine della
prima guerra del Golfo le cluster inesplose hanno ucciso o ferito più di
4mila civili. Un prezzo duro è stato pagato anche dal Kuwait. Nel
rapporto diffuso sempre da Hrw giorni fa, si ricorda che nel piccolo
stato del Golfo ogni anno, dal `91, si ritrovano qualcosa come 2mila
cluster Usa inesplose." [MAN]

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TURCHIA
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"La Turchia diventa retrovia di guerra
Powell ottiene da Ankara il passaggio dei rifornimenti per le truppe in
Iraq. In cambio dà garanzie contro la creazione di uno stato kurdo e una
zona cuscinetto a «influenza turca»
O. C.
UUn bacio riparatore. Così è stata descritta dagli Stati uniti la visita
del segretario di stato Colin Powell in Turchia. Ma per sanare i
rapporti con il prezioso alleato l'amministrazione americana dovrà
sprecare ben più di un bacio. Alla conferenza stampa che ieri Powell e
il ministro degli esteri (e vicepremier) Abdullah Gul hanno tenuto
congiuntamente dopo i colloqui, i volti erano certo più distesi di
qualche settimana fa e i toni più concilianti, ma questo non vuol dire
che i problemi sono stati risolti. Lo ripetono esplicitamente i
commentatori delle televisioni turche che sciorinano frasi fatte che
puzzano di nazionalismo e orgoglio patriottico lontano un miglio. «Non
abbiamo certo chiesto noi a Powell di venire a farci visita», dicono i
telegiornali turchi. «Men che meno abbiamo chiesto udienza agli Usa:
sono loro che alla fine hanno bisogno di noi. Sono loro che non possono
vincere questa guerra senza di noi». E via di questo passo. Spulciando
tra la retorica però emergono alcune cose importanti per il futuro di
questo conflitto. Intanto Ankara permetterà che i rifornimenti per le
truppe americane nel nord Iraq passino dal territorio turco. Anche gli
aiuti umanitari potranno utilizzare la Turchia per raggiungere l'Iraq.
Sarà stata una coincidenza ma ieri mattina, mentre Powell era a
colloquio con Gul, giungeva la notizia di un convoglio di venticinque
camion (non si sa che cosa trasportassero) con targa turca scortato da
militari americani. Il convoglio viaggiava verso sud in territorio nord
iracheno. Che un qualche accordo fosse nell'aria, dunque, era più che
evidente. Rimane da stabilire che cosa gli americani siano pronti ad
offrire in cambio dell'aiuto logistico concesso da Ankara. Perchè
l'aiuto economico (molto ridimensionato rispetto alle decine di miliardi
promesse prima che il parlamento rifiutasse agli Usa il permesso di
usare il territorio turco per l'apertura del fronte nord) offerto da
Washington non è quello che Ankara cerca. Gli Usa hanno incassato il
placet della Nato alla creazione in nord Iraq di una zona cuscinetto di
venti chilometri che la Turchia potrà gestirsi praticamente come vuole.
Ma è ancora troppo poco per i turchi. Una frase sibillina pronunciata da
Powell in conferenza stampa potrebbe essere rivelatrice dell'accordo.
«Non permetteremo - ha detto il segretario di stato Usa - che accadano
in nord Iraq cose che non sono di gradimento della Turchia». Più
criptico di così Powell non poteva essere. Ma la traduzione di una
simile frase è una sola: alla Turchia non è di gradimento la creazione
di uno stato kurdo indipendente, federato o autonomo. Questo è un dato
certo, per difendere il quale Ankara è pronta al conflitto (lo dicono i
vertici militari turchi ma anche il governo). Gli americani lo sanno. E
anche se hanno evidentemente promesso ai kurdi iracheni qualcosa di
molto simile a uno stato kurdo in cambio del loro sostegno, è
altrettanto chiaro che gli Usa non possono permettersi un conflitto nel
conflitto, con i turchi da una parte e i kurdi dall'altra. E la Turchia
a conti fatti pesa di più dei kurdi iracheni.

In questo senso si capisce anche la proposta turca accolta da Powell di
creare un comitato di coordinamento Usa-Turchia che avrà il compito di
monitorare gli eventi nel nord Iraq, nel senso che i due paesi hanno
concordato una serie di «segnali premonitori» che se si verificheranno
porteranno all'ingresso di truppe turche nel nord Iraq (fermo restando
che l'esercito turco è già presente in forze, almeno quindicimila
uomini, al di là della frontiera). Una delle circostanze che potrebbe
portare all'invio di truppe turche oltre confine è la presa di Kirkuk da
parte dei kurdi iracheni. Una eventualità che ieri Powell ha continuato
a ripetere non si verificherà.

Un punto su cui invece il governo turco sarebbe rimasto intransigente,
secondo la televisione Ntv, riguarda un allentamento nelle restrizioni
sulla vendita di benzina da parte dei kurdi iracheni. La Turchia dice
che le entrate di questo commercio potrebbero essere usate dai kurdi per
armarsi contro Ankara.

Gli scogli dunque sono ancora diversi. E a nulla è servita la minaccia
Usa di legare l'aiuto di un miliardo di dollari alla cooperazione turca
nella guerra. La Turchia ha risposto spedendo al confine con l'Iraq
altri cinquantamila militari e il premier Recep Tayyip Erdogan ha
ripetuto che «la sicurezza nazionale e la salvaguardia dell'unità del
paese» sono prioritarie su qualunque altra questione. Erdogan ha anche
esplicitamente fatto riferimento al «pericolo terrorismo», inteso come
guerriglieri kurdi del Kadek (Pkk, il partito dei lavoratori del
Kurdistan) che in parte si trovano nascosti proprio nel nord Iraq. "
[MAN]

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SPARTIZIONI CONFLITTUALI
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"Dopoguerra: Blair si smarca da Bush
Il premier inglese, sempre più in difficoltà, cerca una posizione
autonoma sul dopo-Saddan: «L'Iraq dovrà essere governato dagli
iracheni». Mentre gli Usa pensano a un protettorato-colonia
ORSOLA CASAGRANDE
LONDRA
Il problema principale di Tony Blair in questi giorni è dimostrare al
parlamento e all'opinione pubblica di avere il controllo sull'agenda
politica che riguarda la ricostruzione dell'Iraq e il governo
provvisorio che sostituirà il regime di Saddam Hussein. Poiché però
uomini importanti dell'amministrazione americana continuano a far
trapelare notizie sull'Iraq post-Saddam Hussein e poiché in questo
scenario futuro il ruolo non solo della Gran Bretagna ma del resto del
mondo sembra essere del tutto marginale quando non addirittura
inesistente, il problema di Blair diventa ancor più complesso. Non
potendo liquidare le indiscrezioni come semplici boutade o come la
solita megalomania americana, il premier britannico cerca di spiegare
che la natura dei suoi rapporti con il presidente Bush è una di partner
alla pari. Compito arduo. Blair infatti continua ad avere la maggior
parte del paese contraria a una guerra che giorno dopo giorno diventa
sempre più difficile (e non solo per la resistenza irachena): ieri nuove
proteste dei militari britannici nei confronti dei metodi da «cowboys»
dei colleghi statunitensi. Gli inglesi hanno anche contestato che i
metodi Usa spaventano la popolazione e in alcune cittadine hanno
indossato i berretti al posto degli elmetti che invece gli americani
continuano a prediligere. Ieri nella consueta sessione questions&answers
alla Camera dei comuni Tony Blair ha sferrato un attacco diretto
all'amministrazione americana. Di fronte ai deputati che gli chiedevano
lumi sul piano statunitense per il governo transitorio dell'Iraq
(ventitre ministri americani coadiuvati da consulenti iracheni, nominati
dagli Usa), Blair ha risposto che il governo del dopo Saddam non potrà
che essere formato da iracheni. Il premier ha anche lanciato l'idea di
una conferenza sponsorizzata dalle Nazioni unite di tutti i gruppi
iracheni di opposizione, che dovranno pensare alla ricostruzione del
loro paese. La conferenza, sul modello di quella di Bonn che coinvolse
l'opposizione afghana, dovrebbe svolgersi durante il brevissimo
interregno militare americano. L'idea è evidentemente quanto di più
lontano dai piani statunitensi. Rottura in vista tra Usa e Gran
Bretagna? O si tratta di un tentativo (piuttosto vigliacco) di
riconquistare terreno presso l'opinione pubblica britannica, quella
parte di partito laburista che ha accettato la guerra in cambio della
promessa di un ruolo cruciale dell'Onu e dell'Europa? Certamente Blair
non fa una gran bella figura. Colto evidentemente di sorpresa dalle
indiscrezioni sul governo americano per l'Iraq (anche perché era stato a
casa di Bush soltanto una settimana fa), il premier britannico rilancia,
parlando di una conferenza-fantasma di cui nessuno è al corrente. Come
già aveva fatto quando ha cercato di vendere un accordo inesistente per
la creazione dei due stati indipendenti di Israele e Palestina (un altro
dolcetto per conquistarsi l'opinione pubblica) e poi quando ha spiegato
che la ricostruzione dell'Iraq passerà attraverso l'Onu e l'Europa
(peccato che Bush abbia fatto sapere che non ha nessuna intenzione di
trattare né con l'Onu né con l'Europa), Blair ieri ha cercato di far
vedere che il governo è estremamente attivo e che i preparativi per la
conferenza dalla quale nascerà il futuro governo iracheno sono già ben
avviati. Ieri mattina infatti il ministro degli esteri Jack Straw aveva
annunciato di essere in partenza per la Germania dove discuterà con il
premier Fischer proprio della conferenza. Interventi dal tono
surrealista, fantastico perché era evidente che sia Blair che Straw
mentivano sapendo di mentire. Eppure i due hanno continuato a
favoleggiare di autodeterminazione del popolo iracheno,
dell'impossibilità di avere un governo quasi-coloniale. Straw ha detto
che l'obiettivo è «porre la responsabilità sulle decisioni sul futuro
politico ed economico dell'Iraq in mano agli iracheni».

Nonostante le ovvie divergenze tra Usa e Gran Bretagna e nonostante le
difficoltà sul piano militare, Blair continua a parlare di «vittoria
certa», anche se dice che «l'attacco a Baghdad si verificherà quando, e
solo quando, saremo pronti». Discrepanze con gli americani sono
cominciate ad emergere anche sulle accuse lanciate dagli Usa a Siria ed
Iran. Straw, che è stato diverse volte in missione diplomatica in Iran,
lo scorso anno, si è affrettato a dire che «non c'è alcuna ragione per
pensare ad un'azione contro l'Iran». L'unico commento alle affermazioni
di Blair è stato quello di Colin Powell che, dalla Turchia (alla quale
ha promesso un ruolo importante nel post Saddam), ha fatto sapere che
spiegherà come gli americani vedono il futuro dell'Iraq nell'incontro di
oggi con i rappresentanti della Ue e della Nato. " [MAN]

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ITALIETTA
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"Un Frattini tutto d'un pezzo
Per il ministro degli esteri la posizione del governo «non belligerante
ma non neutrale», oltre che solidale con gli Usa ma anche con l'Onu, è
chiara e coerente. I parà partiti da Vicenza per l'Iraq «non sono andati
in guerra» e l'opposizione solleva solo polveroni
GIANNI ROSSI BARILLI
ROMA
Ma quali tentennamenti, contraddizioni e posizioni ambigue. Il governo
italiano è sempre stato coerente sulla guerra in Iraq e i parà americani
partiti da Vicenza per il Kurdistan iracheno non sono affatto andati in
guerra. Se poi ci fossero andati, non ce li ha certo mandati palazzo
Chigi, ma casomai il Pentagono con la complicità del nostro parlamento,
che ha autorizzato la concessione agli Usa di basi militari e
infrastrutture su territorio italiano. Con un coraggio da veterano delle
truppe d'assalto, il ministro degli esteri Franco Frattini si è
presentato ieri davanti alle commissioni congiunte esteri e difesa di
camera e senato per sostenere tesi di questo genere, suscitando non poco
scandalo fra gli esponenti dell'opposizione. Sui parà, come si diceva,
l'atteggiamento del governo riassunto da Frattini rimane granitico: il
loro invio in Iraq non comporta nessun coinvolgimento dell'Italia nel
conflitto perché questi mille soldati «non sono arrivati direttamente in
una zona di guerra», essendo atterrati in una regione dell'Iraq «fuori
dal controllo di Saddam Hussein». La sottigliezza dell'argomento è in
effetti in linea con il ruolo di un'Italia «non belligerante ma neanche
neutrale» e solidale con gli Usa ma decisa a riaffermare la centralità
dell'Onu. Chi si azzarda a dire che questo significa tenere il piede in
due scarpe è ovviamente accecato dall'ideologia e dal pregiudizio e
mosso solo dalla volontà di creare «polveroni» e «confusione».
E'peraltro assurdo, secondo Frattini, accanirsi su un migliaio di bravi
paracadutisti quando il vero problema è un altro: «Mentre si alzano
forti polemiche sui luoghi di atterraggio dei parà di Vicenza - ha
osservato il ministro riferendosi ai recenti arresti di presunti
terroristi in varie città - ho sentito poche parole e nessuna denuncia
politica sul fatto che estremisti islamici, esperti nell'uso di armi
chimiche, pronti a compiere attentati, sono stati inviati in Kurdistan
da basi italiane» (ma Frattini non era garantista?).

In ogni caso, il nostro ministro degli esteri, ancor più che di mollare
ceffoni all'opposizione, è ansioso di guardare avanti e di avere la sua
giusta fetta nell'opera di ricostruzione dell'Iraq, d'amore e d'accordo
con le istituzioni internazionali in questo momento fuori gioco: «Oggi
esiste la necessità di riaffermare il ruolo dell'Onu e l'impegno dell'Ue
nella fase di ricostruzione, o meglio costruzione politica, democratica,
economica e sociale a esclusivo vantaggio del popolo iracheno». Non è
infine per niente vero, secondo il nostro ministro degli esteri che oggi
farà rapporto a Bruxelles direttamente a Colin Powell, che i bombardieri
B52 americani vengano riforniti in volo da aerei italiani. Si tratta di
fantasie, anche se hanno preso l'aspetto serio di un'interrogazione
parlamentare. Gli Usa, comunque, non ci faranno certamente caso.

Prevedibilmente sconsolati i commenti dell'opposizione. Per la deputata
dei Verdi Laura Cima, per esempio, «la relazione di Frattini è stata una
velina burocratica», mentre la diessina Giovanna Melandri rileva che il
ministro «ha ignorato le domande che gli sono state rivolte» a proposito
di piccole cose come l'esigenza di creare corridoi umanitari in Iraq o
la dottrina della guerra preventiva. Scandalizzato Ramon Mantovani del
Prc: «Frattini ha avuto poche parole di cordoglio per le vittime civili
e non ha fatto cenno alle violazioni americane di tutti i trattati
internazionali».

Una tirata d'orecchi è arrivata anche dal senatore Giulio Andreotti, che
ha consigliato al ministro di non utilizzare mai più, a proposito
dell'andamento del conflitto, la frase «tutto va secondo i piani
prestabiliti». Era la formula di rito, ha spiegato Andreotti, usata dal
nostro esercito in rotta durante la seconda guerra mondiale. Non porta
molto bene. " [MAN]

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Titolo Autore Data
grazie frunz Thursday April 03, 2003 at 02:11 PM
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