[cronologie di guerra] 03.04.03 quindicesiimo giorno
si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.
03 aprile 2003 : quindicesimo giorno [fonti : quotidiani del 4 aprile 2003]
"Assalto all'aeroporto di Baghdad, l'ospedale si riempie di morti. La città piomba nel buio, gli americani sono a un passo. Bush arringa le truppe: ultimi cento metri. Powell arringa gli alleati: l'Iraq è di chi l'ha preso"
"ORE 03.05 Un elicottero Usa Black Hawk è abbattuto dal fuoco leggere iracheno vicino a Karbala. Morti 7 marines e 4 feriti. ORE 05.30 Gli americani annunciano che un bombardiere F/A-18 è stato abbattuto da un missile nel sud dell'Iraq. Ore 07 A Londra viene confermato che le truppe inglesi hanno impiegato le cluster bombs nella battaglia di Bassora. ORE 12.38 Il ministro dell'informazione iracheno Mohammed Saeed al-Sahaf dice che gli americani sono «matti» quando affermano di essere alle porte di Baghdad. «Sono ad almeno 150 km». ORE 13.10 Gli americani mostrano le foto di quello che dicono essere stata un'incursione delle forze speciali in uno dei palazzi di Saddam, quello di Tharthar, a 90 km da Baghdad. Prima avevano detto che il palazzo era nei pressi dell'aeroporto. ORE 14.49 Il presidente George Bush, parlando alle truppe in Nord Carolina, afferma che le forze della coalizione stanno avanzano su Baghdad e non si fermeranno fino a che l'Iraq «non sarà stato liberato». ORE 15.45 Gli americani stanno investigando sulla caduta di un caccia F/A-18 Usa che potrebbe essere stato abbattuto daun missile Usa «Patriot». Friendly fire? ORE 17.36 Gli americani stanno investigando su un incidente fra un caccia F-15 e truppe di terra, entrambi Usa, che ha lasciato un marine morto e diversi feriti. Friendly fire? ORE 18 Per la prima volta dall'inizio dell'attacco e dei bombardamenti salta il sistema elettrico: Baghdad al buio. ORE 18.54 Il segretario alla difesa americano, Donald Rumsfeld, garantisce che «la maggior parte delle risorse petrolifere irachene sono nelle mani delle forze della coalizione». Al sicuro. ORE 19.32 Gli americani lanciano un pesante attacco sull'aeroporto di Baghdad." [MAN]
"Ultimo assalto alla capitale Con il buio parte l'attacco all'aeroporto, dato già per «conquistato» in mattinata. Un gran numero di morti, «civili e militari». Secondo gli Usa è stato conquistato, secondo altre fonti si combatte ancora. Americani a un passo da Baghdad. Divampa anche la guerra della propaganda: dov'è Saddam? Abbattuti un caccia F/A-18 e un elicottero Black Hawk: sette marines morti M.M. La battaglia di Baghdad, dopo essere stata più volte annunciata, è cominciata. Ieri, per la prima volta dall'inizio dell'attacco, la capitale è piombata nell'oscurità, nonostante gli ostinati dinieghi sia degli iracheni - che gli invasori siano ormai alle porte della città - sia degli americani - di avere tirato sulle centrali elettriche («per non danneggiare la popolazione civile», ha detto l'umanissimo generale Richard Myers). Ma soprattutto, dopo avere intempestivamente annunciato la sua conquista qualche ora prima, ieri sera gli americani hanno sferrato un bombardamento pesantissimo sull'area dell'aeroporto internazionale della capitale, a 20 km dal centro della capitale. Nel bombardamento sembra ci siano stati un gran numero di morti militari e civili (fra 80 e 100), nei villaggi di Radhwaniyah e Furat, situati intorno all'aeroporto. Dopo le bombe l'attacco è venuto dalle truppe di terra. Un paio d'ore più tardi portavoce Usa affermavano che l'aeroporto era sotto loro controllo ma altre fonti sostenevano invece che la battaglia era ancora in corso. Con voci contraddittorie sulla resistenza irachena: «Molto debole» secondo alcuni, accanita secondo altri. Nel corso della battaglia per l'aeroporto, gli iracheni annunciano di avere «catturato» 5 tanks e un elicottero Usa con relativi equipaggi presi o uccisi. La domanda è: dove sono, cosa fanno le truppe speciali della Guardia repubblicana? Distrutte dai bombardamenti intorno a Karbala e Kut, come si vantano i portavoci anglo-americani nel quartier generale di Doha, in Qatar? Si sono ritirate per aspettare - e invitare - gli aggressori dentro le strade di Baghdad o se, più smplicemente, si sono liquefatte? La risposta a questi interrogativi è legata anche a un'altra delle domande che ci si fa: dove è finito Saddam? Le sue ripetute apparizioni in tv per incitare i suoi a resistere e gli arabi alla jihad non hanno convinto. I suoi messaggi letti ma non pronunciati (uno anche ieri) hanno rinfocolato i dubbi. Secondo fonti israeliane - che possono essere attendibili quanto totalmente inattendibili - i suoi familiari e lui stesso potrebbero già essere in qualche altro luogo, più sicuro di Baghdad o al sicuro (in Siria?).
Mano a mano che l'attacco va avanti e si prolunga è sempre più difficile districarsi nella contrapposta - e sovente grossolana - propaganda di guerra dell'una e dell'altra parte.
Il solito generale Brooks, dal Qatar, ha confermato che le truppe Usa sono «molto vicine» a Baghdad e che presto «alcuni leader iracheni potrebbero abbandonare» Saddam perché «la fine del regime è vicina». «E' una loro illusione», gli ha risposto da Baghdad la sua controparte irachena, il ministro dell'informazione Saeed al-Sahaf, «non stanno a meno di 150 km da Baghdad e non hanno preso neanche una città, neppure Umm Qasr».
Poi ancora le notizie contraddittorie sulla fatwa di una delle massime autorità religiose sciite irachene, l'ayatollah Ali al-Sistani. Che, secondo quanto affermano gli inglesi, da Londra, avrebbe emesso ieri un editto religioso in cui ordina alla popolazione della città «di non interferire» con l'invasione delle truppe anglo-americane. Editto sorprendente (che sia il segnale della tanto attesa «rivolta degli sciiti»?) in quanto appena una settimana fa lo stesso al-Sistani ne aveva diffuso un altro, di senso opposto, in cui ordinava alla popolazione di «unirsi e levarsi contro gli invasori». Secondo alcuni esperti, l'ultima fatwa dell'ayatollah potrebbe riferirsi invece al timore che l'attacco dei liberatori possa danneggiare o distruggere i sacri luoghi di Najaf, una delle città-sante degli sciiti, a cominciare dalla moschea dove si trova la tomba dell'imam Alì, genero di Maometto e fondatore della Shia.
Poi ancora le notizie di fonte Usa secondo cui commandos delle forse speciali hanno compiuto un'incursione in uno dei palazzi di Saddam. Prima hanno detto che il palazzo era vicino all'aeroporto di Baghdad, poi che si tratta di quello di Tharthar, a 90 km dalla capitale.
Poche le cose certe. Certo è che ieri è caduto un caccia F/A-18 (fuoco amico?). Certo che è stato abbattuto un elicottero Black-Hawk vicino a Karbala e che 7 marines sono morti. Certo, la conferma viene da Londra, che nella battaglia di Bassora, non ancora conclusa, gli inglesi hanno usato le assassine bombe a grappolo (come a Baghdad del resto: 14 civili uccisi). Certo che sul fronte nord, battuto dai bombardamenti Usa, prosegua la lenta avanzata dei peshmerga kurdi, appoggiati dagli americani, verso Mossul e Kirkuk. Sotto lo sguardo attento della Turchia, rabbonita dal viaggio di Powell e dal miliardo di dollari di «aiuti» che il Congresso ha votato ieri . Probabile infine che sia vera - e fin troppo ottimista - la cifra data dal ministro degli esteri Naji Sabri: i morti civili iracheni, finora, sono 1250 e 5000 i feriti. E certamente vera anche la sua accusa al segretario dell'Onu, Kofi Annan, di «non avere fatto nulla per fermare la guerra e anzi, ritirando gli ispettori, di avere «sgombrato la via alle forze nemiche per invadere l'Iraq». " [MAN]
"Baghdad, assedio al buio Per la prima volta dall'inizio della guerra la capitale irachena resta senza luce. La mancanza di corrente è il preludio dell'attacco finale delle truppe americane, e infatti nella notte violenti combattimenti si svolgono nel villaggio di Furat, nei pressi dell'aeroporto internazionale Saddam. Un'offensiva improvvisa: poche ore prima, infatti, i giornalisti avevano visitato lo scalo senza vedere nessun soldato della coalizione GIULIANA SGRENA INVIATA A BAGHDAD Baghdad aspetta la buio il suo destino. Per la prima volta dall'inizio della guerra, infatti, la luce nella capitale irachena viene tolta - anche se non si sa da chi - facendo precipitare i suoi abitanti nell'oscurità totale. Da chiunque sia arrivato l'ordine di staccare la corrente, il segnale che rappresenta è chiaro a tutti: l'attacco delle forze americane che da giorni si stanno avvicinando, è ormai prossimo. E infatti durante la notte cruenti combattimenti cominciano nel villaggio di Furat, nei pressi dell'aeroporto internazionale Saddam. La giornata comincia con il solito assedio psicologico, frutto della propaganda contrapposta di Bush e di Saddam che tiene la popolazione sospesa in una sorta di limbo. Le voci dell'avvicinamento delle truppe diffuse dal comando militare statunitense di Doha arrivano anche qui, nonostante le televisioni satellitari siano proibite, vengono subito smentite dal regime iracheno, che ogni giorno pubblica un comunicato militare. Gli Usa dicono di essere a 20 chilometri dall'aeroporto Saddam e di averlo circondato, gli iracheni smentiscono e ieri pomeriggio hanno addirittura portato un pool di giornalisti sul posto per dimostrare che, vista ad occhio, non si notano presenze americane intorno all'aeroporto. E infatti, a dispetto di quanto sarebbe accaduto poche ore dopo, lo scalo appare insolitamente tranquillo e vuoto di militari. Secondo fonti arabe le truppe di invasione si troverebbero ancora a 170 chilometri sulla direttrice di Kerbala e a 250 su quella di Al Kut. E l'avanzata, secondo il ministro dell'informazione iracheno, Mohammed Said Al Sahaf, avverrebbe solo con truppe paracadutate. Tuttavia le notizie sull'aeroporto hanno suscitato l'allarme. E forse questo era il primo obiettivo della propaganda Usa. Qualcuno ci chiede conferma sottovoce per paura di essere sentito e anche, probabilmente, per paura della risposta. Ma non si sa che cosa rispondere, difficile verificare le notizie anche per chi lo fa per mestiere. Difficile persino rimanere estranei alla guerra di propaganda.
I continui bombardamenti tengono la maggior parte della gente chiusa in casa. Uscire è sempre un rischio anche se nemmeno il tetto di casa è più sicuro. I mercati sono diventati uno dei luoghi più rischiosi, ieri ne è stato colpito un altro a Nahrawan, alla periferia sudorientale della città: otto morti e cinque feriti, ricoverati presso l'ospedale Al Kindy. Può apparire incredibile ma anche una notizia del genere, che dovrebbe essere diffusa immediatamente dalle autorità irachene, invece di solito rimbalza qui dall'estero. E finisce tra le altre, dopo la sessantina di morti al mercato di Shula e i 67 di Hilla, la tragica corsa delle stragi registra solo i bilanci a rialzo. Nella logica della guerra che inquina anche l'informazione. E le vittime di Nahrawan non sono le uniche registrate ieri nella capitale, altre 14, fra cui donne e bambini, sarebbero rimaste uccise da bombe a grappolo lanciate sul quartiere di Al Douri, nella periferia meridionale della capitale. Il numero delle vittime civili aumenta di giorno in giorno: erano più di 1.250 i morti e oltre 5.000 i feriti, fino a ieri a mezzogiorno, secondo il ministro degli esteri iracheno, Naji Sabri. Il ministro ha anche accusato il segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Hannan, non solo di non aver fatto nulla per evitare la guerra ma di avere anche facilitato l'invasione con il ritiro degli osservatori al confine tra Kuwait e Iraq. La città si accende e si spegne, senza un apparente motivo, questa popolazione abituata alla guerra - ne ha già vissute due recentemente - evidentemente ha delle antenne su cui noi difficilmente riusciamo a sintonizzarci. Mercoledì le strade della città si erano parzialmente ripopolate, ma ieri erano di nuovo quasi deserte. I bombardamenti si stanno intensificando, il rombo dei cacciabombardieri è sempre più assordante, e la parte meridionale della città è ormai sotto il tiro dell'artiglieria. I colpi di cannone si sentono sempre più distintamente anche da qui, dal centro della città. Sempre più frequenti, sempre più pesanti, insistenti. Sono diminuite invece le raffiche della contraerea.
Le truppe anglo-americane - dicono ancora a Doha - hanno preso il controllo del ponte sull'Eufrate, a una trentina di chilometri da Baghdad, eppure mercoledì eravamo passati da quelle parti e non avevamo proprio intuito la vicinanza di soldati stranieri. Possibile un cambiamento repentino? Da testimonianze dirette avevamo saputo solo di combattimenti a una decina di chilometri da Kerbala, che si trova a un centinaio di chilometri a sud-ovest di Baghdad. Tuttavia gli «alleati», secondo le loro stesse dichiarazioni, avrebbero deciso di non occupare la città e di avanzare direttamente verso Baghdad.
A sud della capitale abbiamo visto solo soldati iracheni sparsi, la contraerea che di tanto in tanto sparava, qualche segnale del passaggio dei cacciabombardieri che oltre a sganciare bombe sulla popolazione civile di Hilla e dintorni, hanno bombardato alcuni carri armati che si trovavano sul treno fermo sulla ferrovia, distrutti anche alcuni camion parcheggiati sotto gli alberi. La presenza della guardia repubblicana, guidata dal figlio di Saddam, Qusay, cui è affidato il compito della difesa della zona centrale del paese e che gli attacchi anglo-americani stanno cercando di fiaccare bersagliandola in continuazione da giorni, si poteva solo intuire mimetizzata dietro i cumuli di sabbia disseminati su ampi terreni ai lati della strada. Anche in città la presenza militare è ancora poco evidente, tanto che risulta veramente difficile immaginare che il nemico, i «mercenari» come li definisce il ministro dell'informazione, siano veramente alle porte. E' difficile prevedere i tempi e i modi dell'arrivo delle truppe anglo-americane, non è facile nemmeno intuire come gli irakeni ostacoleranno la loro avanzata. Avevano parlato di una battaglia casa per casa coinvolgendo tutta la popolazione, ma non tutta la città si presta - almeno a quanto ci pare da analfabeti di questioni militari - a questo tipo di tattica, essendo attraversato da grandi viali. Ma ci sono già famiglie che stanno abbandonando la città dirigendosi, con i loro averi, verso l'Iran.
I bollettini di guerra parlano intanto di distruzione di elicotteri Usa e britannici - una Apache e un Chinook - e di un cacciabombardiere F-18. Nei comunicati oltre all'apporto dell'esercito viene sempre sottolineato anche quello delle milizie del partito Baath, dei Fedayn di Saddam e degli appartenenti alle varie tribù che sono diventati interlocutori privilegiati di Saddam, che mercoledì è riapparso sugli schermi per rassicurare la popolazione della vittoria contro le truppe d'invasione. Nonostante l'opposizione all'invasione anglo-americana non sia definibile con l'appoggio a Saddam, il venir meno di un capo farebbe esplodere subito conflitti che altrimenti forse sarebbero rimandati. " [MAN]
"GUERRA Le bombe intelligenti di Baghdad FRANCESCO PATERNO' Per il quinto giorno consecutivo, i bombardamenti americani - in particolare su Baghdad - hanno causato vittime civili. Una cadenza tragica e così precisa che comincia a escludere l'errore del missile non intelligente, l'arma obsoleta di questa guerra. Perfino le vecchie bombe a frammentazione lanciate dai B52- le Cbu105, quasi cinquecento chili di peso, che si aprono rilasciando dieci mini-bombe ognuna con il suo piccolo paracadute - sono state dotate di un «cervello» per renderle meno sensibili al vento e più precise. L'impressione è che i comandi Usa, arrivati alle porte di Baghdad, stiano riadattando la loro strategia di fronte all'incubo di una battaglia casa per casa. A terra demolendo le poche difese esterne alla città e piazzandosi intorno a un'area di circa 25 chilometri quadrati; dall'aria, puntando a «facilitare» un'insurrezione interna o uno sgretolamento del regime terrorizzando la popolazione civile.
Di colpo, tutto appare facile per i marines. La corsa a Baghdad è stata contrastata dagli iracheni nell'unico modo possibile, vista la sproporzione di mezzi: guerriglia, mordi e fuggi, mimetizzazione nelle città. Per dare un'idea, nella prima guerra del Golfo del 1991 in tre giorni di invasione gli americani catturarono più di 30.000 iracheni, questa volta solo 4.000. Sempre nel 1991, le forze alleate persero 38 aerei a causa della difesa irachena, ora solo 1 - ieri e pare per «fuoco amico». E' quasi come se gli iracheni non avessero praticamente combattuto, nonostante i piccoli grandi successi militari ottenuti nel sud dove gli anglo-americani faticano a tenere sotto controllo le zone conquistate. Per questo appaiono poco credibili le ultime informazioni militari americane, secondo cui le divisioni della Guardia Repubblicana sarebbero uscite da Baghdad per contrastare l'avanzata nemica: per farsi distruggere dai jet? E restano soprattutto un mistero quei ponti sul Tigri lasciati intatti dagli iracheni, quasi un invito a venire avanti. Verso che cosa?
Il senso di tutto sta in quel che accadrà nei prossimi giorni a Baghdad. I comandi Usa hanno dichiarato di temere l'uso di armi chimiche da parte di Saddam Hussein. Nel frattempo lanciano bombe sui civili, sistematiche se non intelligenti tant'è che mercoledì hanno colpito perfino auto in transito in pieno giorno, come dire alla gente: nessuno può pensare di farla franca. Demoralizzare la popolazione fa parte di ogni guerra; e più si alza il livello dello scontro, meno si distingue.
Voci insistenti dicono che trattative sotterranee tra americani e dirigenti iracheni non si siano mai interrotte, per cercare una capitolazione negoziata della capitale. I servizi segreti israeliani hanno addirittura messo in giro la «notizia» che membri della famiglia di Saddam Hussein (forse lui stesso) avrebbero già lasciato Baghdad, destinazione una magnifica villa di 1600 metri quadrati sul mare in Siria. Tracce di scarso coordinamento fra i nemici e di manovre militari irachene «disperate», dicono ancora i comandi Usa, segnalerebbero un cedimento del regime.
Ma probabilmente si tratta più di speranze che di fatti concreti. Bassora, con meno della metà della popolazione di Baghdad e sotto tiro da due settimane, non è stata ancora presa. E l'unica certezza di questa guerra è che finora la Cia ha sbagliato tutte le previsioni: dalla sollevazione mancata degli sciiti nel sud alle diserzioni di massa fra le truppe irachene. " [MAN]
"Sì, usano anche bombe a grappolo L'esercito britannico usa anche le cluster bomb, killer a scoppio ritardato. Lo ammettono, anche se negano di usarle nell'abitato di Bassora. Continua l'assedio: si chiama «pattugliamento aggressivo». E continua la partita politica sul controllo degli aiuti umanitari MARINA FORTI Il portavoce dell'esercito britannico lo definisce «pattugliamento aggressivo»: è la tattica adottata dalle truppe della coalizione attorno a Bassora, la seconda città irachena, la capitale del sud, sotto assedio ormai dai primi giorni della guerra. Il «pattugliamento aggressivo» significa incursioni sempre più all'interno dell'abitato. Ieri due nuovi sviluppi: il primo è che le divisioni corazzate britanniche hanno messo un «posto di blocco avanzato» appena fuori città, il punto più interno su cui si siano finora attestate. Il secondo è che hanno per la prima volta ammesso di usare cluster bombs, bombe a grappolo: micidiali, dato che ciascuna rilascia tante piccole bombette che a volte esplodono toccando il suolo, a volte no, ed esploderanno quando qualcuno le tocca. La battaglia di Bassora dunque si fa più serrata. Le truppe britanniche si sono spinte ieri per altri due chilometri verso il centro, da sud, prendendo una zona industriale. La notizia è confermata dai corrispondenti di Al Jazeera (la tv araba non trasmette in diretta, in polemica con il governo iracheno, ma manda immagini e notizie alla sua sede centrale in Qatar). L'obiettivo era una vecchia fabbrica da cui la milizia irachena attaccava gli assedianti a colpi di mortaio. La battaglia è stata dura, pare che le forze irachene si siano ritirate nel quartiere slum dietro l'area industriale, verso la città, incendiando trincee piene di petrolio dietro di sé.
Il «posto di blocco avanzato» serve anche, dice il portavoce britannico colonnello Chris Vernon, a ottenere dai civili che escono di città informazioni su dove sono attestati i miliziani, che stimano in un migliaio di uomini.
Le nuove cluster bomb
E' stato un ufficiale britannico a dichiarare ieri mattina alla Bbc che i suoi uomini hanno usato una nuova bomba a grappolo, la L20. La notizia è stata più tardi rettificata, e però allo stesso tempo confermata: il segretario alla difesa Geoff Hoon a Londra ha dichiarato che è vero le forze britanniche stanno usando bombe a grappolo, ma nega che le usino sulle zone abitate. Gli ha fatto eco il portavoce delle forze britanniche presso il Comando Centrale a Doha: «Non stiamo usando munizioni a grappolo in e attorno a Bassora, né dall'aria né da terra».
Il portavoce Vernon ieri ha aggiunto che le forze britanniche stanno usando la fornitura di cibo e acqua «per conquistare la fiducia e il sostegno» dell'impaurita popolazione di Bassora. Proprio quello che le agenzie umanitarie, delle nazioni unite e non governative, denunciano: gli aiuti non dovrebbero essere uno strumento di propaganda.
La Croce Rossa a Bassora
Il Comitato Internazionale per la Croce Rossa ha annunciato che oggi manderà il primo convoglio di aiuti umanitari a Bassora. «Abbiamo coordinato con le forze della coalizione e con il governo iracheno di mandare due camion di materiale ospedaliero», ha annunciato la portavoce della Croce Rossa internazionale da Kuweit: vanno perché entrambe le parti si impegnano a garantirne la sicurezza. Portano anestetici, filo chirurgico, bende, fluido intravenoso, lenzuola e coperte, per rifornire sale operatorie che in questi giorni ricevono un grande afflusso di feriti di guerra. Il Icrc non ha cifre sul numero di feriti, ma conferma così che la situazione è d'emergenza. Per ciò che riguarda l'acqua, la situazione non è più d'emergenza a Bassora, ma le autobotti continuano a rifornire d'acqua potabile gli ospedali. Acqua e materiale medico per gli ospedali sono la maggiore preoccupazione per la Croce Rossa in tutte le zone di combattimenti: i delegati del Icrc hanno cominciato a mandare camion di rifornimenti da Baghdad nelle località a sud (come Al Hillah) e a ovest.
Ieri i portavoce britannici hanno dichiarato che il porto di Umm Qasr è ormai «zona sicura» per le agenzie della Nazioni unite, che possono dunque far arrivare e distribuire aiuti. Ma proprio l'ospedale di Umm Qasr è proprio lamenta le maggiori carenze: il direttore dice (a Le Monde) che molti sono venuti a fare promesse, ma per procurarsi i medicinali necessari tre giorni fa ha mandato un'ambulanza a Bassora, dove l'amministrazione civile è funzionante.
Sugli aiuti si continua a giocare una gigantesca partita politica. Al largo di Umm Qasr attendono due navi cariche di grano provenienti dall'Australia: ora vengono definiti «aiuti umanitari», ma si tratta di derrate regolarmente acquistate prima della guerra, nell'ambito del sistema Oil For Food (dunque già pagate con il petrolio dell'Iraq).
D'altra parte le Nazioni unite ripetono che saranno i civili, non i militari, a distribuire i generi di prima necessità in arrivo in Iraq. Si tratta dicibo e medicinali per il valore di oltre un miliardo di dollari, acquistati dall'Iraq prima delle ostilità con il sistema «cibo in cambio di petrolio». La settimana scorsa il Consiglio di sicurezza ha autorizzato il segretario generale a disporre dell'Oil for Food e vedere cosa è possibile fa giungere in Iraq nell'immediato. Come? si parla di «corridoi umanitari», dove la popolazione civile abbia garanzie di sicurezza. L'ufficio di coordinamento umanitario dell'Onu per l'Iraq intende usare la rete di 45mila centri di distribuzione esistenti, quelli del programma Oil for Food, almeno dove non sono stati distrutti. "[MAN]
"L'Europa e il cilindro di Powell Il segretario di stato, a Bruxelles per ricucire coi partner europei, tira fuori «il ruolo dell'Onu» dopo la guerra, ma non specifica quale dovrebbe essere ALBERTO D'ARGENZIO BRUXELLES Scordiamoci il passato, pure il presente e guardiamo al futuro dell'Iraq, questa sembra essere la premessa necessaria alla riunione di ieri tra Colin Powell e i ministri degli esteri della Nato e della Ue, 1+22 in totale. La premessa che permette al Segretario di stato americano di estrarre dal cilindro l'Onu, dopo averlo abbattuto. Sul perché e sulla legalità della guerra permangono «divisioni e discrepanze» tra i partner dei due lati dell'Atlantico, per cui è meglio non perderci del tempo, invece sul futuro tutti, e Powell in primis, si ritrovano nel riconoscere un «ruolo all'Onu». Quale sarà poi la funzione delle Nazioni unite ancora non è dato sapere. Nel frattempo Powell ha realizzato il suo obiettivo: andare in Europa, ricucire il possibile con i partner europei, rilanciare il multilateralismo e raccattare un po' di legalità internazionale. A parole. «C'è consenso a Washington sul ruolo dell'Onu - parole di Powell - tutti comprendiamo che l'Onu deve avere un ruolo, il presidente (Bush) lo ha detto chiaramente, ma la natura di questo ruolo deve ancora essere decisa».
Così, senza specificare nulla, l'ex colomba della Casa bianca fa il gesto di risalire sul bus delle Nazioni unite, pronto a scendervi non appena l'autista o il motore non ubbidiranno. E il prossimo stop è dietro l'angolo. «Quando avremo vinto - continua il Segretario di stato Usa - la coalizione dovrà giocare il ruolo da capofila al momento di determinare il cammino da seguire». «Ciò non vuol dire - sfuma Powell - che rifiuteremo gli altri paesi o che non coopereremo con la comunità internazionale, specialmente con l'Onu». Rimane da valutare se le risoluzioni partorite dal Palazzo di vetro avranno i tempi e i modi desiderati da Washington.
Intanto si presenta un'idea di cosa la Casa bianca pretende ora dall'Onu: un «coordinatore» da affiancare quanto prima ai responsabili della coalizione angloamericana e quindi all'autorità che gestirà ad interim l'Iraq (più o meno la stessa cosa). Un «coordinatore» che sia «gli occhi e le orecchie» delle Nazioni unite nell'area, mentre il comando rimarrebbe per un bel po' a Washington. I comandanti delle truppe «di liberazione» avranno infatti la responsabilità di « stabilizzare la situazione, portare sicurezza al paese e alla popolazione ». «Vogliamo che si stabilisca un'autorità ad interim - prosegue il progetto americano - in cui entreranno anche degli iracheni, così che la popolazione veda rapidamente che i suoi rappresentanti occupano posti di responsabilità». Per l'Onu c'è tempo.
La Commissione europea, per voce del titolare agli esteri Chris Patten, chiedeva ieri almeno «un'amministrazione americana la più corta possibile», perché «è necessario riscattare la legalità internazionale quanto prima». Critico anche il ministro degli esteri francese Dominique de Villepin - oggi a Roma dal papa. «L'Iraq è un problema in guerra e rimarrà un problema anche nel dopo guerra», tanto per iniziare. «L'Onu deve avere - continua de Villepin - un ruolo centrale in tutte le fasi del conflitto e oltre. Adesso con gli aiuti umanitari, poi con la stabilizzazione e la messa in sicurezza dell'Iraq e dell'intera regione, quindi con la democratizzazione del governo e con la ricostruzione». Qualcosa di più concreto, ripetuto a Powell in un incontro faccia a faccia, descritto da de Villepin come «molto franco e molto cordiale».
Altra questione lasciata sospesa è quella dell'eventuale ruolo della Nato nel conflitto iracheno. Ieri mattina la ministra degli esteri spagnola Ana Palacio ricordava come proprio in questi giorni si stia valutando di sostituire le truppe Usa in Afghanistan con quelle Nato. Un modello da seguire in Iraq, secondo la diplomatica iberica. E l'idea piace, tanto che, dice lo stesso Powell «nessuno si oppone, anche se è ancora prematuro parlarne».
Intanto si fa la conta: «Qualcuno è molto favorevole - annunciava Lord Robertson, segretario generale dell'Alleanza - altri meno (Francia, Germania e Belgio, ndr), ma nessuno la rifiuta».
L'Onu assicura legalità e consenso internazionale, la Nato manda le truppe a cose fatte e l'Ue paga, così gli Stati uniti risolvono i problemi internazionali che creano. Ieri il greco Papandreu, a nome dei 15, frenava assicurando che «una risoluzione Onu è un prerequisito per un pieno compromesso della Ue nella ricostruzione, così come per un'eventuale missione della Nato». " [MAN]
-------- MEDIAWAR --------
http://italy.indymedia.org/news/2003/04/246333.php
------- INTERNA -------
"«Blair, non consegnare prigionieri di guerra agli Usa» Il Consiglio dei ministri britannici al premier: «Dopo Guantanamo, è illegale permettere a Bush di processarli» ORSOLA CASAGRANDE LONDRA E' un vero e proprio monito quello che il gabinetto dei ministri britannico ha lanciato ieri al premier Tony Blair. I prigionieri di guerra iracheni catturati dagli inglesi non vanno consegnati agli Stati uniti. Sarebbe illegale, dicono fonti del governo, permettere agli Usa di prendere in consegna i prigionieri iracheni per trasferirli e processarli in America. A quanto pare gli americani avrebbero chiesto ai militari inglesi di consegnare i paramilitari prigionieri che dovrebbero venire separati dagli altri e quindi consegnati agli Usa che li spedirebbero nella famigerata base di Guantanamo a Cuba per gli interrogatori. Una cosa inaccettabile per alcuni ministri inglesi: negli Usa infatti vige ancora la pena di morte e questo renderebbe illegale la consegna di prigionieri catturati dai britannici. Ma soprattutto sono stati sollevati dubbi e preoccupazioni sul trasferimento a Guantanamo Bay. Nella base statunitense a Cuba sono rinchiusi in condizioni di repressione estrema circa seicentoquaranta afghani accusati di essere talibani o militanti di Al Qaida. Il trattamento dei prigionieri è stato più volte denunciato dalle associazioni umanitarie e proprio in Gran Bretagna i legali di alcuni detenuti di nazionalità britannica hanno sollevato la questione del trattamento riservato ai prigionieri che sono, dicono i legali, sottoposti a continue torture. Secondo il ministro della difesa Geoff Hoon, in mano ai militari britannici ci sarebbero oltre la metà degli ottomila prigionieri che la coalizione dice di aver catturato. Hoon non ha fatto alcun cenno alla richiesta dei ministri di non consegnare agli americani i prigionieri di guerra, mentre il portavoce di Tony Blair si è limitato a dire che tutti i prigionieri saranno trattati nel rispetto della convenzione di Ginevra. Non è un mistero che negli ultimi giorni i portavoce dell'esercito statunitense hanno cambiato terminologia quando fanno riferimento a quei gruppi paramilitari (che per Victoria Clarke, la portavoce del Pentagono, è un termine 'positivo che non può essere usato per queste squadre di irregolari'). Adesso li chiamano, è il caso del generale Vince Brooks, «squadre terroristiche» o membri di «organizzazioni che usano tecniche terroristiche». Descrizioni che consentirebbero agli americani di trattare i paramilitari proprio come combattenti illegali, cioè proprio come i talebani.
La questione dei prigionieri e di ciò che ne sarà di loro sembra essere oggetto dell'ennesima differenza di vedute tra militari britannici e alleati americani. Anche dal comando centrale inglese in Kuwait arriva la conferma che il destino dei paramilitari e delle milizie irachene irregolari dovrebber essere quello di un processo per crimini di guerra, magari presso il nuovo tribunale internazionale. Cioè a dire l'incubo peggiore per gli Stati uniti che si sono rifiutati di accettare la corte internazionale.
Non c'è dubbio che le tensioni tra Stati uniti e Gran Bretagna continuano a salire. Più passano i giorni e più vengono a galla differenze sostanziali non solo nei metodi e nelle strategie sul campo di battaglia ma anche nelle relazioni politiche. Queste ultime sono state messe a dura prova negli ultimi due giorni dall'idea divergente che Usa e Gran Bretagna hanno dell'Iraq post Saddam Hussein. Per Tony Blair il futuro del paese deve essere saldamente in mano agli iracheni e il governo ad interim di cui parlano gli Usa deve essere il più breve possibile e certamente non dominato dagli americani come invece vorrebbe Bush (ventitre ministri americani comandati dall'ex generale statunitense Jay Garner). Ieri il sottosegretario agli esteri Mike O'Brien ha ribadito che «l'Iraq non sarà lo scenario per giochi coloniali che fanno parte del passato». O'Brien ha aggiunto che «gli Usa sarebbero stupidi a pensare di governare per un tempo indefinito un paese mediorientale e non lo faranno. E comunque - ha concluso - noi certo non li sosterremo in una impresa del genere»."[MAN]
|