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- guerreglobali -
[cronologie di guerra] 03.04.03 quindicesiimo giorno
by blicero Friday April 04, 2003 at 04:45 PM mail:  

[cronologie di guerra] 03.04.03 quindicesiimo giorno si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.

03 aprile 2003 : quindicesimo giorno
[fonti : quotidiani del 4 aprile 2003]


"Assalto all'aeroporto di Baghdad, l'ospedale si riempie di morti. La
città piomba nel buio, gli americani sono a un passo. Bush arringa le
truppe: ultimi cento metri. Powell arringa gli alleati: l'Iraq è di chi
l'ha preso"

"ORE 03.05
Un elicottero Usa Black Hawk è abbattuto dal fuoco leggere iracheno
vicino a Karbala. Morti 7 marines e 4 feriti.
ORE 05.30
Gli americani annunciano che un bombardiere F/A-18 è stato abbattuto da
un missile nel sud dell'Iraq.
Ore 07
A Londra viene confermato che le truppe inglesi hanno impiegato le
cluster bombs nella battaglia di Bassora.
ORE 12.38
Il ministro dell'informazione iracheno Mohammed Saeed al-Sahaf dice che
gli americani sono «matti» quando affermano di essere alle porte di
Baghdad. «Sono ad almeno 150 km».
ORE 13.10
Gli americani mostrano le foto di quello che dicono essere stata
un'incursione delle forze speciali in uno dei palazzi di Saddam, quello
di Tharthar, a 90 km da Baghdad. Prima avevano detto che il palazzo era
nei pressi dell'aeroporto.
ORE 14.49
Il presidente George Bush, parlando alle truppe in Nord Carolina,
afferma che le forze della coalizione stanno avanzano su Baghdad e non
si fermeranno fino a che l'Iraq «non sarà stato liberato».
ORE 15.45
Gli americani stanno investigando sulla caduta di un caccia F/A-18 Usa
che potrebbe essere stato abbattuto daun missile Usa «Patriot». Friendly
fire?
ORE 17.36
Gli americani stanno investigando su un incidente fra un caccia F-15 e
truppe di terra, entrambi Usa, che ha lasciato un marine morto e diversi
feriti. Friendly fire?
ORE 18
Per la prima volta dall'inizio dell'attacco e dei bombardamenti salta il
sistema elettrico: Baghdad al buio.
ORE 18.54
Il segretario alla difesa americano, Donald Rumsfeld, garantisce che «la
maggior parte delle risorse petrolifere irachene sono nelle mani delle
forze della coalizione». Al sicuro.
ORE 19.32
Gli americani lanciano un pesante attacco sull'aeroporto di Baghdad."
[MAN]

"Ultimo assalto alla capitale
Con il buio parte l'attacco all'aeroporto, dato già per «conquistato» in
mattinata. Un gran numero di morti, «civili e militari». Secondo gli Usa
è stato conquistato, secondo altre fonti si combatte ancora. Americani a
un passo da Baghdad. Divampa anche la guerra della propaganda: dov'è
Saddam? Abbattuti un caccia F/A-18 e un elicottero Black Hawk: sette
marines morti
M.M.
La battaglia di Baghdad, dopo essere stata più volte annunciata, è
cominciata. Ieri, per la prima volta dall'inizio dell'attacco, la
capitale è piombata nell'oscurità, nonostante gli ostinati dinieghi sia
degli iracheni - che gli invasori siano ormai alle porte della città -
sia degli americani - di avere tirato sulle centrali elettriche («per
non danneggiare la popolazione civile», ha detto l'umanissimo generale
Richard Myers). Ma soprattutto, dopo avere intempestivamente annunciato
la sua conquista qualche ora prima, ieri sera gli americani hanno
sferrato un bombardamento pesantissimo sull'area dell'aeroporto
internazionale della capitale, a 20 km dal centro della capitale. Nel
bombardamento sembra ci siano stati un gran numero di morti militari e
civili (fra 80 e 100), nei villaggi di Radhwaniyah e Furat, situati
intorno all'aeroporto. Dopo le bombe l'attacco è venuto dalle truppe di
terra. Un paio d'ore più tardi portavoce Usa affermavano che l'aeroporto
era sotto loro controllo ma altre fonti sostenevano invece che la
battaglia era ancora in corso. Con voci contraddittorie sulla resistenza
irachena: «Molto debole» secondo alcuni, accanita secondo altri. Nel
corso della battaglia per l'aeroporto, gli iracheni annunciano di avere
«catturato» 5 tanks e un elicottero Usa con relativi equipaggi presi o
uccisi. La domanda è: dove sono, cosa fanno le truppe speciali della
Guardia repubblicana? Distrutte dai bombardamenti intorno a Karbala e
Kut, come si vantano i portavoci anglo-americani nel quartier generale
di Doha, in Qatar? Si sono ritirate per aspettare - e invitare - gli
aggressori dentro le strade di Baghdad o se, più smplicemente, si sono
liquefatte? La risposta a questi interrogativi è legata anche a un'altra
delle domande che ci si fa: dove è finito Saddam? Le sue ripetute
apparizioni in tv per incitare i suoi a resistere e gli arabi alla jihad
non hanno convinto. I suoi messaggi letti ma non pronunciati (uno anche
ieri) hanno rinfocolato i dubbi. Secondo fonti israeliane - che possono
essere attendibili quanto totalmente inattendibili - i suoi familiari e
lui stesso potrebbero già essere in qualche altro luogo, più sicuro di
Baghdad o al sicuro (in Siria?).

Mano a mano che l'attacco va avanti e si prolunga è sempre più difficile
districarsi nella contrapposta - e sovente grossolana - propaganda di
guerra dell'una e dell'altra parte.

Il solito generale Brooks, dal Qatar, ha confermato che le truppe Usa
sono «molto vicine» a Baghdad e che presto «alcuni leader iracheni
potrebbero abbandonare» Saddam perché «la fine del regime è vicina». «E'
una loro illusione», gli ha risposto da Baghdad la sua controparte
irachena, il ministro dell'informazione Saeed al-Sahaf, «non stanno a
meno di 150 km da Baghdad e non hanno preso neanche una città, neppure
Umm Qasr».

Poi ancora le notizie contraddittorie sulla fatwa di una delle massime
autorità religiose sciite irachene, l'ayatollah Ali al-Sistani. Che,
secondo quanto affermano gli inglesi, da Londra, avrebbe emesso ieri un
editto religioso in cui ordina alla popolazione della città «di non
interferire» con l'invasione delle truppe anglo-americane. Editto
sorprendente (che sia il segnale della tanto attesa «rivolta degli
sciiti»?) in quanto appena una settimana fa lo stesso al-Sistani ne
aveva diffuso un altro, di senso opposto, in cui ordinava alla
popolazione di «unirsi e levarsi contro gli invasori». Secondo alcuni
esperti, l'ultima fatwa dell'ayatollah potrebbe riferirsi invece al
timore che l'attacco dei liberatori possa danneggiare o distruggere i
sacri luoghi di Najaf, una delle città-sante degli sciiti, a cominciare
dalla moschea dove si trova la tomba dell'imam Alì, genero di Maometto e
fondatore della Shia.

Poi ancora le notizie di fonte Usa secondo cui commandos delle forse
speciali hanno compiuto un'incursione in uno dei palazzi di Saddam.
Prima hanno detto che il palazzo era vicino all'aeroporto di Baghdad,
poi che si tratta di quello di Tharthar, a 90 km dalla capitale.

Poche le cose certe. Certo è che ieri è caduto un caccia F/A-18 (fuoco
amico?). Certo che è stato abbattuto un elicottero Black-Hawk vicino a
Karbala e che 7 marines sono morti. Certo, la conferma viene da Londra,
che nella battaglia di Bassora, non ancora conclusa, gli inglesi hanno
usato le assassine bombe a grappolo (come a Baghdad del resto: 14 civili
uccisi). Certo che sul fronte nord, battuto dai bombardamenti Usa,
prosegua la lenta avanzata dei peshmerga kurdi, appoggiati dagli
americani, verso Mossul e Kirkuk. Sotto lo sguardo attento della
Turchia, rabbonita dal viaggio di Powell e dal miliardo di dollari di
«aiuti» che il Congresso ha votato ieri . Probabile infine che sia vera
- e fin troppo ottimista - la cifra data dal ministro degli esteri Naji
Sabri: i morti civili iracheni, finora, sono 1250 e 5000 i feriti. E
certamente vera anche la sua accusa al segretario dell'Onu, Kofi
Annan, di «non avere fatto nulla per fermare la guerra e anzi,
ritirando gli ispettori, di avere «sgombrato la via alle forze nemiche
per invadere l'Iraq».
" [MAN]

"Baghdad, assedio al buio
Per la prima volta dall'inizio della guerra la capitale irachena resta
senza luce. La mancanza di corrente è il preludio dell'attacco finale
delle truppe americane, e infatti nella notte violenti combattimenti si
svolgono nel villaggio di Furat, nei pressi dell'aeroporto
internazionale Saddam. Un'offensiva improvvisa: poche ore prima,
infatti, i giornalisti avevano visitato lo scalo senza vedere nessun
soldato della coalizione
GIULIANA SGRENA
INVIATA A BAGHDAD
Baghdad aspetta la buio il suo destino. Per la prima volta dall'inizio
della guerra, infatti, la luce nella capitale irachena viene tolta -
anche se non si sa da chi - facendo precipitare i suoi abitanti
nell'oscurità totale. Da chiunque sia arrivato l'ordine di staccare la
corrente, il segnale che rappresenta è chiaro a tutti: l'attacco delle
forze americane che da giorni si stanno avvicinando, è ormai prossimo. E
infatti durante la notte cruenti combattimenti cominciano nel villaggio
di Furat, nei pressi dell'aeroporto internazionale Saddam. La giornata
comincia con il solito assedio psicologico, frutto della propaganda
contrapposta di Bush e di Saddam che tiene la popolazione sospesa in una
sorta di limbo. Le voci dell'avvicinamento delle truppe diffuse dal
comando militare statunitense di Doha arrivano anche qui, nonostante le
televisioni satellitari siano proibite, vengono subito smentite dal
regime iracheno, che ogni giorno pubblica un comunicato militare. Gli
Usa dicono di essere a 20 chilometri dall'aeroporto Saddam e di averlo
circondato, gli iracheni smentiscono e ieri pomeriggio hanno addirittura
portato un pool di giornalisti sul posto per dimostrare che, vista ad
occhio, non si notano presenze americane intorno all'aeroporto. E
infatti, a dispetto di quanto sarebbe accaduto poche ore dopo, lo scalo
appare insolitamente tranquillo e vuoto di militari. Secondo fonti arabe
le truppe di invasione si troverebbero ancora a 170 chilometri sulla
direttrice di Kerbala e a 250 su quella di Al Kut. E l'avanzata, secondo
il ministro dell'informazione iracheno, Mohammed Said Al Sahaf,
avverrebbe solo con truppe paracadutate. Tuttavia le notizie
sull'aeroporto hanno suscitato l'allarme. E forse questo era il primo
obiettivo della propaganda Usa. Qualcuno ci chiede conferma sottovoce
per paura di essere sentito e anche, probabilmente, per paura della
risposta. Ma non si sa che cosa rispondere, difficile verificare le
notizie anche per chi lo fa per mestiere. Difficile persino rimanere
estranei alla guerra di propaganda.

I continui bombardamenti tengono la maggior parte della gente chiusa in
casa. Uscire è sempre un rischio anche se nemmeno il tetto di casa è più
sicuro. I mercati sono diventati uno dei luoghi più rischiosi, ieri ne è
stato colpito un altro a Nahrawan, alla periferia sudorientale della
città: otto morti e cinque feriti, ricoverati presso l'ospedale Al
Kindy. Può apparire incredibile ma anche una notizia del genere, che
dovrebbe essere diffusa immediatamente dalle autorità irachene, invece
di solito rimbalza qui dall'estero. E finisce tra le altre, dopo la
sessantina di morti al mercato di Shula e i 67 di Hilla, la tragica
corsa delle stragi registra solo i bilanci a rialzo. Nella logica della
guerra che inquina anche l'informazione. E le vittime di Nahrawan non
sono le uniche registrate ieri nella capitale, altre 14, fra cui donne e
bambini, sarebbero rimaste uccise da bombe a grappolo lanciate sul
quartiere di Al Douri, nella periferia meridionale della capitale. Il
numero delle vittime civili aumenta di giorno in giorno: erano più di
1.250 i morti e oltre 5.000 i feriti, fino a ieri a mezzogiorno, secondo
il ministro degli esteri iracheno, Naji Sabri. Il ministro ha anche
accusato il segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Hannan, non
solo di non aver fatto nulla per evitare la guerra ma di avere anche
facilitato l'invasione con il ritiro degli osservatori al confine tra
Kuwait e Iraq. La città si accende e si spegne, senza un apparente
motivo, questa popolazione abituata alla guerra - ne ha già vissute due
recentemente - evidentemente ha delle antenne su cui noi difficilmente
riusciamo a sintonizzarci. Mercoledì le strade della città si erano
parzialmente ripopolate, ma ieri erano di nuovo quasi deserte. I
bombardamenti si stanno intensificando, il rombo dei cacciabombardieri è
sempre più assordante, e la parte meridionale della città è ormai sotto
il tiro dell'artiglieria. I colpi di cannone si sentono sempre più
distintamente anche da qui, dal centro della città. Sempre più
frequenti, sempre più pesanti, insistenti. Sono diminuite invece le
raffiche della contraerea.

Le truppe anglo-americane - dicono ancora a Doha - hanno preso il
controllo del ponte sull'Eufrate, a una trentina di chilometri da
Baghdad, eppure mercoledì eravamo passati da quelle parti e non avevamo
proprio intuito la vicinanza di soldati stranieri. Possibile un
cambiamento repentino? Da testimonianze dirette avevamo saputo solo di
combattimenti a una decina di chilometri da Kerbala, che si trova a un
centinaio di chilometri a sud-ovest di Baghdad. Tuttavia gli «alleati»,
secondo le loro stesse dichiarazioni, avrebbero deciso di non occupare
la città e di avanzare direttamente verso Baghdad.

A sud della capitale abbiamo visto solo soldati iracheni sparsi, la
contraerea che di tanto in tanto sparava, qualche segnale del passaggio
dei cacciabombardieri che oltre a sganciare bombe sulla popolazione
civile di Hilla e dintorni, hanno bombardato alcuni carri armati che si
trovavano sul treno fermo sulla ferrovia, distrutti anche alcuni camion
parcheggiati sotto gli alberi. La presenza della guardia repubblicana,
guidata dal figlio di Saddam, Qusay, cui è affidato il compito della
difesa della zona centrale del paese e che gli attacchi anglo-americani
stanno cercando di fiaccare bersagliandola in continuazione da giorni,
si poteva solo intuire mimetizzata dietro i cumuli di sabbia disseminati
su ampi terreni ai lati della strada. Anche in città la presenza
militare è ancora poco evidente, tanto che risulta veramente difficile
immaginare che il nemico, i «mercenari» come li definisce il ministro
dell'informazione, siano veramente alle porte. E' difficile prevedere i
tempi e i modi dell'arrivo delle truppe anglo-americane, non è facile
nemmeno intuire come gli irakeni ostacoleranno la loro avanzata. Avevano
parlato di una battaglia casa per casa coinvolgendo tutta la
popolazione, ma non tutta la città si presta - almeno a quanto ci pare
da analfabeti di questioni militari - a questo tipo di tattica, essendo
attraversato da grandi viali. Ma ci sono già famiglie che stanno
abbandonando la città dirigendosi, con i loro averi, verso l'Iran.

I bollettini di guerra parlano intanto di distruzione di elicotteri Usa
e britannici - una Apache e un Chinook - e di un cacciabombardiere F-18.
Nei comunicati oltre all'apporto dell'esercito viene sempre sottolineato
anche quello delle milizie del partito Baath, dei Fedayn di Saddam e
degli appartenenti alle varie tribù che sono diventati interlocutori
privilegiati di Saddam, che mercoledì è riapparso sugli schermi per
rassicurare la popolazione della vittoria contro le truppe d'invasione.
Nonostante l'opposizione all'invasione anglo-americana non sia
definibile con l'appoggio a Saddam, il venir meno di un capo farebbe
esplodere subito conflitti che altrimenti forse sarebbero rimandati. "
[MAN]

"GUERRA
Le bombe intelligenti di Baghdad
FRANCESCO PATERNO'
Per il quinto giorno consecutivo, i bombardamenti americani - in
particolare su Baghdad - hanno causato vittime civili. Una cadenza
tragica e così precisa che comincia a escludere l'errore del missile non
intelligente, l'arma obsoleta di questa guerra. Perfino le vecchie bombe
a frammentazione lanciate dai B52- le Cbu105, quasi cinquecento chili di
peso, che si aprono rilasciando dieci mini-bombe ognuna con il suo
piccolo paracadute - sono state dotate di un «cervello» per renderle
meno sensibili al vento e più precise. L'impressione è che i comandi
Usa, arrivati alle porte di Baghdad, stiano riadattando la loro
strategia di fronte all'incubo di una battaglia casa per casa. A terra
demolendo le poche difese esterne alla città e piazzandosi intorno a
un'area di circa 25 chilometri quadrati; dall'aria, puntando a
«facilitare» un'insurrezione interna o uno sgretolamento del regime
terrorizzando la popolazione civile.

Di colpo, tutto appare facile per i marines. La corsa a Baghdad è stata
contrastata dagli iracheni nell'unico modo possibile, vista la
sproporzione di mezzi: guerriglia, mordi e fuggi, mimetizzazione nelle
città. Per dare un'idea, nella prima guerra del Golfo del 1991 in tre
giorni di invasione gli americani catturarono più di 30.000 iracheni,
questa volta solo 4.000. Sempre nel 1991, le forze alleate persero 38
aerei a causa della difesa irachena, ora solo 1 - ieri e pare per «fuoco
amico». E' quasi come se gli iracheni non avessero praticamente
combattuto, nonostante i piccoli grandi successi militari ottenuti nel
sud dove gli anglo-americani faticano a tenere sotto controllo le zone
conquistate. Per questo appaiono poco credibili le ultime informazioni
militari americane, secondo cui le divisioni della Guardia Repubblicana
sarebbero uscite da Baghdad per contrastare l'avanzata nemica: per farsi
distruggere dai jet? E restano soprattutto un mistero quei ponti sul
Tigri lasciati intatti dagli iracheni, quasi un invito a venire avanti.
Verso che cosa?

Il senso di tutto sta in quel che accadrà nei prossimi giorni a Baghdad.
I comandi Usa hanno dichiarato di temere l'uso di armi chimiche da parte
di Saddam Hussein. Nel frattempo lanciano bombe sui civili, sistematiche
se non intelligenti tant'è che mercoledì hanno colpito perfino auto in
transito in pieno giorno, come dire alla gente: nessuno può pensare di
farla franca. Demoralizzare la popolazione fa parte di ogni guerra; e
più si alza il livello dello scontro, meno si distingue.

Voci insistenti dicono che trattative sotterranee tra americani e
dirigenti iracheni non si siano mai interrotte, per cercare una
capitolazione negoziata della capitale. I servizi segreti israeliani
hanno addirittura messo in giro la «notizia» che membri della famiglia
di Saddam Hussein (forse lui stesso) avrebbero già lasciato Baghdad,
destinazione una magnifica villa di 1600 metri quadrati sul mare in
Siria. Tracce di scarso coordinamento fra i nemici e di manovre militari
irachene «disperate», dicono ancora i comandi Usa, segnalerebbero un
cedimento del regime.

Ma probabilmente si tratta più di speranze che di fatti concreti.
Bassora, con meno della metà della popolazione di Baghdad e sotto tiro
da due settimane, non è stata ancora presa. E l'unica certezza di questa
guerra è che finora la Cia ha sbagliato tutte le previsioni: dalla
sollevazione mancata degli sciiti nel sud alle diserzioni di massa fra
le truppe irachene. " [MAN]

"Sì, usano anche bombe a grappolo
L'esercito britannico usa anche le cluster bomb, killer a scoppio
ritardato. Lo ammettono, anche se negano di usarle nell'abitato di
Bassora. Continua l'assedio: si chiama «pattugliamento aggressivo». E
continua la partita politica sul controllo degli aiuti umanitari
MARINA FORTI
Il portavoce dell'esercito britannico lo definisce «pattugliamento
aggressivo»: è la tattica adottata dalle truppe della coalizione attorno
a Bassora, la seconda città irachena, la capitale del sud, sotto assedio
ormai dai primi giorni della guerra. Il «pattugliamento aggressivo»
significa incursioni sempre più all'interno dell'abitato. Ieri due nuovi
sviluppi: il primo è che le divisioni corazzate britanniche hanno messo
un «posto di blocco avanzato» appena fuori città, il punto più interno
su cui si siano finora attestate. Il secondo è che hanno per la prima
volta ammesso di usare cluster bombs, bombe a grappolo: micidiali, dato
che ciascuna rilascia tante piccole bombette che a volte esplodono
toccando il suolo, a volte no, ed esploderanno quando qualcuno le tocca.
La battaglia di Bassora dunque si fa più serrata. Le truppe britanniche
si sono spinte ieri per altri due chilometri verso il centro, da sud,
prendendo una zona industriale. La notizia è confermata dai
corrispondenti di Al Jazeera (la tv araba non trasmette in diretta, in
polemica con il governo iracheno, ma manda immagini e notizie alla sua
sede centrale in Qatar). L'obiettivo era una vecchia fabbrica da cui la
milizia irachena attaccava gli assedianti a colpi di mortaio. La
battaglia è stata dura, pare che le forze irachene si siano ritirate nel
quartiere slum dietro l'area industriale, verso la città, incendiando
trincee piene di petrolio dietro di sé.

Il «posto di blocco avanzato» serve anche, dice il portavoce britannico
colonnello Chris Vernon, a ottenere dai civili che escono di città
informazioni su dove sono attestati i miliziani, che stimano in un
migliaio di uomini.

Le nuove cluster bomb

E' stato un ufficiale britannico a dichiarare ieri mattina alla Bbc che
i suoi uomini hanno usato una nuova bomba a grappolo, la L20. La notizia
è stata più tardi rettificata, e però allo stesso tempo confermata: il
segretario alla difesa Geoff Hoon a Londra ha dichiarato che è vero le
forze britanniche stanno usando bombe a grappolo, ma nega che le usino
sulle zone abitate. Gli ha fatto eco il portavoce delle forze
britanniche presso il Comando Centrale a Doha: «Non stiamo usando
munizioni a grappolo in e attorno a Bassora, né dall'aria né da terra».

Il portavoce Vernon ieri ha aggiunto che le forze britanniche stanno
usando la fornitura di cibo e acqua «per conquistare la fiducia e il
sostegno» dell'impaurita popolazione di Bassora. Proprio quello che le
agenzie umanitarie, delle nazioni unite e non governative, denunciano:
gli aiuti non dovrebbero essere uno strumento di propaganda.

La Croce Rossa a Bassora

Il Comitato Internazionale per la Croce Rossa ha annunciato che oggi
manderà il primo convoglio di aiuti umanitari a Bassora. «Abbiamo
coordinato con le forze della coalizione e con il governo iracheno di
mandare due camion di materiale ospedaliero», ha annunciato la portavoce
della Croce Rossa internazionale da Kuweit: vanno perché entrambe le
parti si impegnano a garantirne la sicurezza. Portano anestetici, filo
chirurgico, bende, fluido intravenoso, lenzuola e coperte, per rifornire
sale operatorie che in questi giorni ricevono un grande afflusso di
feriti di guerra. Il Icrc non ha cifre sul numero di feriti, ma conferma
così che la situazione è d'emergenza. Per ciò che riguarda l'acqua, la
situazione non è più d'emergenza a Bassora, ma le autobotti continuano a
rifornire d'acqua potabile gli ospedali. Acqua e materiale medico per
gli ospedali sono la maggiore preoccupazione per la Croce Rossa in tutte
le zone di combattimenti: i delegati del Icrc hanno cominciato a mandare
camion di rifornimenti da Baghdad nelle località a sud (come Al Hillah)
e a ovest.

Ieri i portavoce britannici hanno dichiarato che il porto di Umm Qasr è
ormai «zona sicura» per le agenzie della Nazioni unite, che possono
dunque far arrivare e distribuire aiuti. Ma proprio l'ospedale di Umm
Qasr è proprio lamenta le maggiori carenze: il direttore dice (a Le
Monde) che molti sono venuti a fare promesse, ma per procurarsi i
medicinali necessari tre giorni fa ha mandato un'ambulanza a Bassora,
dove l'amministrazione civile è funzionante.

Sugli aiuti si continua a giocare una gigantesca partita politica. Al
largo di Umm Qasr attendono due navi cariche di grano provenienti
dall'Australia: ora vengono definiti «aiuti umanitari», ma si tratta di
derrate regolarmente acquistate prima della guerra, nell'ambito del
sistema Oil For Food (dunque già pagate con il petrolio dell'Iraq).

D'altra parte le Nazioni unite ripetono che saranno i civili, non i
militari, a distribuire i generi di prima necessità in arrivo in Iraq.
Si tratta dicibo e medicinali per il valore di oltre un miliardo di
dollari, acquistati dall'Iraq prima delle ostilità con il sistema «cibo
in cambio di petrolio». La settimana scorsa il Consiglio di sicurezza ha
autorizzato il segretario generale a disporre dell'Oil for Food e vedere
cosa è possibile fa giungere in Iraq nell'immediato. Come? si parla di
«corridoi umanitari», dove la popolazione civile abbia garanzie di
sicurezza. L'ufficio di coordinamento umanitario dell'Onu per l'Iraq
intende usare la rete di 45mila centri di distribuzione esistenti,
quelli del programma Oil for Food, almeno dove non sono stati distrutti.
"[MAN]

"L'Europa e il cilindro di Powell
Il segretario di stato, a Bruxelles per ricucire coi partner europei,
tira fuori «il ruolo dell'Onu» dopo la guerra, ma non specifica quale
dovrebbe essere
ALBERTO D'ARGENZIO
BRUXELLES
Scordiamoci il passato, pure il presente e guardiamo al futuro
dell'Iraq, questa sembra essere la premessa necessaria alla riunione di
ieri tra Colin Powell e i ministri degli esteri della Nato e della Ue,
1+22 in totale. La premessa che permette al Segretario di stato
americano di estrarre dal cilindro l'Onu, dopo averlo abbattuto. Sul
perché e sulla legalità della guerra permangono «divisioni e
discrepanze» tra i partner dei due lati dell'Atlantico, per cui è meglio
non perderci del tempo, invece sul futuro tutti, e Powell in primis, si
ritrovano nel riconoscere un «ruolo all'Onu». Quale sarà poi la funzione
delle Nazioni unite ancora non è dato sapere. Nel frattempo Powell ha
realizzato il suo obiettivo: andare in Europa, ricucire il possibile con
i partner europei, rilanciare il multilateralismo e raccattare un po' di
legalità internazionale. A parole. «C'è consenso a Washington sul ruolo
dell'Onu - parole di Powell - tutti comprendiamo che l'Onu deve avere un
ruolo, il presidente (Bush) lo ha detto chiaramente, ma la natura di
questo ruolo deve ancora essere decisa».

Così, senza specificare nulla, l'ex colomba della Casa bianca fa il
gesto di risalire sul bus delle Nazioni unite, pronto a scendervi non
appena l'autista o il motore non ubbidiranno. E il prossimo stop è
dietro l'angolo. «Quando avremo vinto - continua il Segretario di stato
Usa - la coalizione dovrà giocare il ruolo da capofila al momento di
determinare il cammino da seguire». «Ciò non vuol dire - sfuma Powell -
che rifiuteremo gli altri paesi o che non coopereremo con la comunità
internazionale, specialmente con l'Onu». Rimane da valutare se le
risoluzioni partorite dal Palazzo di vetro avranno i tempi e i modi
desiderati da Washington.

Intanto si presenta un'idea di cosa la Casa bianca pretende ora
dall'Onu: un «coordinatore» da affiancare quanto prima ai responsabili
della coalizione angloamericana e quindi all'autorità che gestirà ad
interim l'Iraq (più o meno la stessa cosa). Un «coordinatore» che sia
«gli occhi e le orecchie» delle Nazioni unite nell'area, mentre il
comando rimarrebbe per un bel po' a Washington. I comandanti delle
truppe «di liberazione» avranno infatti la responsabilità di «
stabilizzare la situazione, portare sicurezza al paese e alla
popolazione ». «Vogliamo che si stabilisca un'autorità ad interim -
prosegue il progetto americano - in cui entreranno anche degli iracheni,
così che la popolazione veda rapidamente che i suoi rappresentanti
occupano posti di responsabilità». Per l'Onu c'è tempo.

La Commissione europea, per voce del titolare agli esteri Chris Patten,
chiedeva ieri almeno «un'amministrazione americana la più corta
possibile», perché «è necessario riscattare la legalità internazionale
quanto prima». Critico anche il ministro degli esteri francese Dominique
de Villepin - oggi a Roma dal papa. «L'Iraq è un problema in guerra e
rimarrà un problema anche nel dopo guerra», tanto per iniziare. «L'Onu
deve avere - continua de Villepin - un ruolo centrale in tutte le fasi
del conflitto e oltre. Adesso con gli aiuti umanitari, poi con la
stabilizzazione e la messa in sicurezza dell'Iraq e dell'intera regione,
quindi con la democratizzazione del governo e con la ricostruzione».
Qualcosa di più concreto, ripetuto a Powell in un incontro faccia a
faccia, descritto da de Villepin come «molto franco e molto cordiale».

Altra questione lasciata sospesa è quella dell'eventuale ruolo della
Nato nel conflitto iracheno. Ieri mattina la ministra degli esteri
spagnola Ana Palacio ricordava come proprio in questi giorni si stia
valutando di sostituire le truppe Usa in Afghanistan con quelle Nato. Un
modello da seguire in Iraq, secondo la diplomatica iberica. E l'idea
piace, tanto che, dice lo stesso Powell «nessuno si oppone, anche se è
ancora prematuro parlarne».

Intanto si fa la conta: «Qualcuno è molto favorevole - annunciava Lord
Robertson, segretario generale dell'Alleanza - altri meno (Francia,
Germania e Belgio, ndr), ma nessuno la rifiuta».

L'Onu assicura legalità e consenso internazionale, la Nato manda le
truppe a cose fatte e l'Ue paga, così gli Stati uniti risolvono i
problemi internazionali che creano. Ieri il greco Papandreu, a nome dei
15, frenava assicurando che «una risoluzione Onu è un prerequisito per
un pieno compromesso della Ue nella ricostruzione, così come per
un'eventuale missione della Nato». " [MAN]

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MEDIAWAR
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http://italy.indymedia.org/news/2003/04/246333.php



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INTERNA
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"«Blair, non consegnare prigionieri di guerra agli Usa»
Il Consiglio dei ministri britannici al premier: «Dopo Guantanamo, è
illegale permettere a Bush di processarli»
ORSOLA CASAGRANDE
LONDRA
E' un vero e proprio monito quello che il gabinetto dei ministri
britannico ha lanciato ieri al premier Tony Blair. I prigionieri di
guerra iracheni catturati dagli inglesi non vanno consegnati agli Stati
uniti. Sarebbe illegale, dicono fonti del governo, permettere agli Usa
di prendere in consegna i prigionieri iracheni per trasferirli e
processarli in America. A quanto pare gli americani avrebbero chiesto ai
militari inglesi di consegnare i paramilitari prigionieri che dovrebbero
venire separati dagli altri e quindi consegnati agli Usa che li
spedirebbero nella famigerata base di Guantanamo a Cuba per gli
interrogatori. Una cosa inaccettabile per alcuni ministri inglesi: negli
Usa infatti vige ancora la pena di morte e questo renderebbe illegale la
consegna di prigionieri catturati dai britannici. Ma soprattutto sono
stati sollevati dubbi e preoccupazioni sul trasferimento a Guantanamo
Bay. Nella base statunitense a Cuba sono rinchiusi in condizioni di
repressione estrema circa seicentoquaranta afghani accusati di essere
talibani o militanti di Al Qaida. Il trattamento dei prigionieri è stato
più volte denunciato dalle associazioni umanitarie e proprio in Gran
Bretagna i legali di alcuni detenuti di nazionalità britannica hanno
sollevato la questione del trattamento riservato ai prigionieri che
sono, dicono i legali, sottoposti a continue torture. Secondo il
ministro della difesa Geoff Hoon, in mano ai militari britannici ci
sarebbero oltre la metà degli ottomila prigionieri che la coalizione
dice di aver catturato. Hoon non ha fatto alcun cenno alla richiesta dei
ministri di non consegnare agli americani i prigionieri di guerra,
mentre il portavoce di Tony Blair si è limitato a dire che tutti i
prigionieri saranno trattati nel rispetto della convenzione di Ginevra.
Non è un mistero che negli ultimi giorni i portavoce dell'esercito
statunitense hanno cambiato terminologia quando fanno riferimento a quei
gruppi paramilitari (che per Victoria Clarke, la portavoce del
Pentagono, è un termine 'positivo che non può essere usato per queste
squadre di irregolari'). Adesso li chiamano, è il caso del generale
Vince Brooks, «squadre terroristiche» o membri di «organizzazioni che
usano tecniche terroristiche». Descrizioni che consentirebbero agli
americani di trattare i paramilitari proprio come combattenti illegali,
cioè proprio come i talebani.

La questione dei prigionieri e di ciò che ne sarà di loro sembra essere
oggetto dell'ennesima differenza di vedute tra militari britannici e
alleati americani. Anche dal comando centrale inglese in Kuwait arriva
la conferma che il destino dei paramilitari e delle milizie irachene
irregolari dovrebber essere quello di un processo per crimini di guerra,
magari presso il nuovo tribunale internazionale. Cioè a dire l'incubo
peggiore per gli Stati uniti che si sono rifiutati di accettare la corte
internazionale.

Non c'è dubbio che le tensioni tra Stati uniti e Gran Bretagna
continuano a salire. Più passano i giorni e più vengono a galla
differenze sostanziali non solo nei metodi e nelle strategie sul campo
di battaglia ma anche nelle relazioni politiche. Queste ultime sono
state messe a dura prova negli ultimi due giorni dall'idea divergente
che Usa e Gran Bretagna hanno dell'Iraq post Saddam Hussein. Per Tony
Blair il futuro del paese deve essere saldamente in mano agli iracheni e
il governo ad interim di cui parlano gli Usa deve essere il più breve
possibile e certamente non dominato dagli americani come invece vorrebbe
Bush (ventitre ministri americani comandati dall'ex generale
statunitense Jay Garner). Ieri il sottosegretario agli esteri Mike
O'Brien ha ribadito che «l'Iraq non sarà lo scenario per giochi
coloniali che fanno parte del passato». O'Brien ha aggiunto che «gli Usa
sarebbero stupidi a pensare di governare per un tempo indefinito un
paese mediorientale e non lo faranno. E comunque - ha concluso - noi
certo non li sosterremo in una impresa del genere»."[MAN]

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