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Amira Hass: "Il soldato è il diavolo, il soldato è Israele"
by gap Sunday April 06, 2003 at 04:52 PM mail:  

6 aprile 2003

Il soldato è il diavolo, il soldato è Israele
Amira Hass*

Israele di recente ha compiuto una serie di atti distensivi nei Territori, principalmente il miglioramento delle condizioni ai check point -tale era la dichiarazione fatta agli Stati Uniti e tale era la dichiarazione fatta lunedì in un telegiornale.
È probabile che questi atti siano cominciati solo dopo giovedì della settimana scorsa; e forse prima di allora gli americani non avevano avuto tempo di informare i comandanti e i soldati di stazione a est di Nablus che dovrebbero avere un atteggiamento più cordiale con una donna incinta che a fatica si tiene in equilibrio su una strada ripida e fangosa, o con un uomo anziano che, di ritorno a casa dopo essere stato dal dottore a Nablus, si arrampica su quel che resta di una strada asfaltata che i bulldozer delle Forze di Difesa Israeliane hanno provveduto a smantellare.
Giovedì della scorsa settimana qualcuno del villaggio di Salem, a est di Nablus, ha chiamato avvertendo che i soldati avevano fermato "centinaia di persone -donne, adulti, bambini- per le ultime tre ore" senza dare loro il permesso di passare. Il fucile tenuto ad un angolo di 60 gradi col dito sul grilletto chiarisce le intenzioni dei soldati.
È ormai una pratica comune, dicono i residenti dei tre villaggi a est di Nablus -Salem, Dir al-Khateb e Azmut: un manipolo dell'IDF si apposta ai piedi della collina del nuovo campo profughi di Askar, dove una volta c'era una strada breve, asfaltata, che raggiungeva i tre villaggi e che ora è un ammasso di fango e di pezzi d'asfalto. I soldati fermano la gente senza alcuna ragione apparente, dicono gli abitanti, in entrambe le direzioni -da ovest, verso Nablus, e da est, dalla città verso i villaggi. Spesso i militari costringono la gente a tornare indietro: con discorsi offensivi e insulti come sovrappiù. Qualcuno usa anche la forza.
Fonti militari si sono dichiarate certe che gli ordini fossero solamente di accertarsi che gli uomini tra i 16 e i 40 anni abbiano i permessi dell'Amministrazione Civile per spostarsi dai villaggi a Nablus e viceversa, e che non ci sia alcuna intenzione di impedire alle donne, ai vecchi e ai bambini di attraversare i check point. La realtà dei fatti è molto diversa: senza spiegazioni e apparentemente al di fuori di ogni controllo, i soldati continuano a fermare la gente -per 10 minuti, per un'ora o due o più, tutto il giorno, due volte al giorno -uomini e donne.
Quella è l'unica strada per i tre villaggi, ed è solo per pedoni (o meglio, solo per pedoni in buone condizioni fisiche, dal momento che chiunque abbia anche solo qualche piccola difficoltà a camminare è in pericolo di vita). Anche alle donne malate o a quelle incinte tocca fare il viaggio a piedi, e pazientare dando una serie di spiegazioni, tentando di convincere i soldati a farle passare, e continuare ad arrampicarsi o aspettare un'ambulanza lenta ad arrivare.
Non c'è nessuna via commerciale per il trasporto dei prodotti agricoli e del cibo da e verso i villaggi, dal momento che non c'è alcuna strada autorizzata per i veicoli palestinesi -al contrario, tra l'altro, di quanto promesso circa due anni fa dall'IDF all'Alta Corte di Giustizia, in risposta ad una petizione contro questa politica di chiusura sottoscritta da un'associazione di medici: l'IDF aveva promesso che ogni comunità palestinese sottoposta a blocchi e chiusure avrebbe avuto una strada per il traffico dei veicoli. In pratica la maggior parte dei villaggi risulta difficilmente raggiungibile anche per gli spostamenti rapidi dei mezzi di emergenza.
L'IDF non sta tenendo fede alla sua promessa all'Alta Corte, e i soldati fanno il contrario di quanto i loro comandanti promettono ai media. Ai blocchi stradali controllati dai soldati e in quei punti strategici muniti di ostacoli fisici -e capita che le pattuglie si appostino anche qui- (mucchi di sporcizia, fossi scavati per impedire il passaggio dei veicoli), il più delle volte i soldati aggiungono altri problemi a quelli istituzionali -frutto della politica decisa dall'alto- e si lasciano andare a insulti e angherie d'ogni genere.
Calcoliamo 300 blocchi stradali e ostacoli fisici come questi tra le città e i villaggi. Da alcuni di questi provano a passare 1.000 persone ogni giorno; da altri, 10.000 persone -a piedi, sotto la pioggia o al sole cocente. Calcoliamo che ogni blocco stradale sia controllato da un numero di soldati variabile tra i 4 e i 10. In altre parole, circa 1.200-3.000 soldati posizionati in questi punti chiave si trovano in costante frizione con almeno 20.000-100.000 cittadini.
Qualche mese dopo lo scoppio di questo conflitto sanguinoso, quando i comandanti si sono accorti che ai blocchi stradali si aggiungevano insulti e tormenti per iniziativa personale, hanno provato a istituire un regime di controlli interni, un sistema educativo e informativo. Uno di loro qualche mese fa ha ammesso che questo sistema ha fallito, che non c'è modo di impedire a tutti questi soldati di inventare il loro metodo personale di far vedere chi è "il padrone" sul campo.
Per noi, gli israeliani, i rapporti sulle angherie di routine ai blocchi stradali in particolare, e l'angoscia delle chiusure in generale, non possono essere "notizie". È difficile anche solo descrivere con parole la deprimente, degradante topografia degli ostacoli fisici e dei blocchi stradali alle persone che stanno fuori dai Territori. Per noi, gli israeliani, i soldati sono i fratelli, i figli, i coniugi e i vicini di casa.
La giustificazione per tutto questo è che sono spaventati, che ci sono attacchi terroristici, che ogni donna incinta potrebbe essere una bomba a orologeria, che ogni ragazzo potrebbe avere un pugnale, che c'è caldo, freddo, pioggia e fango, che i soldati sentono la nostalgia di casa. È difficile immaginarseli come esseri crudeli, senza cuore, veri e propri demoni.
Ma questa è l'immagine che danno di se stessi ai blocchi stradali, e questa è l'immagine di Israele. Anche se i palestinesi riconoscono il "soldato buono" diverso dagli altri, anche se solo un soldato su quattro abusa del suo potere, è lui quello che darà il tono alla giornata. È lui quello che rimane impresso nella memoria. È lui Israele.

Note:
*Amira Hass, giornalista israeliana, e' la corrispondente del quotidiano Ha'aretz. Vive a Ramallah, nei Territori palestinesi occupati.


Traduzione a cura del Progetto Go'el - Comunità Papa Giovanni XXIII
http://www.peacelink.it speciale Palestina

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questo è quello che vuole israele PALESTINA LIBERA Sunday April 06, 2003 at 09:13 PM
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