[cronologie di guerra] 04.04.03 sedicesimo giorno
si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.
04 aprile 2003 : sedicesimo giorno [fonti : quotidiani del 5 aprile 2003]
"Saddam in tv e in piazza. Sfida finale del rais agli angloamericani alle porte di Baghdad Il dittatore appare in un video tra la folla e lancia l'ultima arma: kamikaze contro le truppe d'invasione Il suo ministro annuncia: «Nella notte azioni non convenzionali contro il nemico» Ieri attacco suicida di due donne a un check-point Usa. Una di loro era incinta Uccisi anche tre soldati" [MAN]
"Le ore della guerra ORE 4.30 L'esercito Usa «conquista» l'aeroporto internazionale «Saddam Hussein» di Baghdad ORE 5.00 Il Congresso degli Stati uniti approva un finanziamento di 80 miliardi di dollari per la guerra all'Iraq ORE 7.10 I corrispondenti al seguito dei militari Usa riferiscono che gli iracheni hanno lanciato una controffensiva nell'area dell'aeroporto di Baghdad ORE 9.17 Le truppe britanniche annunciano di aver ucciso otto miliziani iracheni nei pressi di Bassora ORE 12.34 Il Comando centrale Usa riferisce che un'«auto suicida» è esplosa giovedì notte nei pressi di un check point, uccidendo tre militari americani, una donna e l'autista ORE 14.00 Il ministro degli esteri francese, Dominique de Villepin, dichiara che l'Onu deve giocare un ruolo chiave nell'Iraq del dopo Saddam ORE 16.25 Il primo convoglio umanitario del World food program (Wfp) entra in Iraq dalla Turchia ORE 18.30 La televisione irachena mostra Saddam Hussein mentre visita un'area residenziale di Baghdad tra una folla festante e inneggiante al rais ORE 19.30 Il Washington post annuncia che un suo giornalista, Michael Kelly, è stato ucciso in un incidente mentre viaggiava al seguito delle truppe degli Stati uniti ORE 20.00 La televisione al-Jazeera riprende a lavorare a Baghdad dopo che le autorità irachene hanno rimosso il divieto precedentemente imposto a due reporter del network arabo" [MAN]
"L'incubo dei kamikaze Attentato suicida ieri a un posto di blocco a nord di Baghdad. Morti tre marines. Ma i kamikaze questa volta erano due ragazze, una incinta. Che poi, in un video che qualcuno ha mandato ad al-Jazeera, hanno rivendicato. In un altro check-point uccisi due passeggeri di un'auto e un bambino. Nonostante il gesto strappacuore di un giornalista-chirurgo della Cnn. Smentita la fatwa pro-Usa dell'ayatollah al-Sistani M.M. Ikamikaze, in quanto estranei alla visione della vita e della morte degli occidentali, hanno fatto impazzire gli israeliani in Palestina e cominciano a fare impazzire gli americani in Iraq. Nella notte fra giovedì e ieri un nuovo attentato suicida hra provocato la morte, oltre che dei due kamikaze, di tre marines. Il fatto che appare più sconvolgente è che questa volta i due kamikaze erano donne, e una di loro era incinta.
L'attentato è avvenuto a un posto di blocco americano a nord-ovest di Baghdad, nei pressi della diga Haditha, un punto strategico sulla strada che va dalla capitale a Tikrit, la città natale di Saddam Hussein. L'auto si è fermata al check-point, una ragazza evidentemente incinta è scesa e si messa a urlare, i marines di guardia si sono avvicinati e a quel punto è avvenuta l'esplosione. Morta sia la ragazza, sia «il conducente», che poi si è rivelata anche lei una donna, e tre marines. «Un altro atto disperato di un regime agonizzante che sa di essere nei guai», è stato il commento sprezzante e grossolano di un capitano dei marines.
Subito dopo sono venute le conferme. Prima l'agenzia irachena Ina, che ha parlato dell'azione condotta non da un uomo e una donna ma da due donne. Poi la solita preziosa al-Jazeera che ha ricevuto un video - come accade sovente per la resistenza palestinese - in cui le due ragazze rivendicano l'attentato e il sacrificio che stavano per fare. Giovani, con la kefiah in testa, il kalashnikov in una mano e il Corano nell'altra, hanno spiegato che avevano deciso di sacrificarsi per il loro paese e per Saddam.
Dopo un primo attentato kamikaze, subito all'inizio della guerra ma non confermato, quando un uomo si era fatto esplodere vicino a un tank nemico nella penisola di Fao, è stato sabato scorso a Najaf che questa forma disperata di protesta e resistenza ha fatto irruzione nel panorama già terribile della «guerra di liberazione» anglo-americana in Iraq. Allora un uomo aveva fermato la macchina a un check-point e si era fatto saltare provocando oltre alla sua morte quella di quattro marines.
Dopo di che i comandi militari Usa avevano cambiato le regole di ingaggio, come si chiamano in gergo, e avevano ordinato di sparare a vista contro qualsiasi macchina o persona sospette o che non si fermasse all'alt e a debita distanza.
Da allora queste nuove disposizioni, che testimoniano del terrore americano rispetto a una forma di lotta estrema a loro sconosciuta e incomprensibile, i marines hanno preso a sparare a ogni minimo sospetto sui civili. Il maggiore di questi tragici errori è stato sempre a Najaf quando hanno sventrato a cannonate un camioncino Toyota a cui non avevano dato per errore lo sparo in aria di avvertimento (l'ha rivelato l'inviato del Washington Post, testimone oculare), massacrando 10 o 11 dei 15 occupanti: che erano donne e almeno 5 bambini.
Il comando centrale americano del Qatar in quella occasione, nonostante «il dispiacimento» espresso alle vittime (che ne saranno state contente), elogiò i marines perché quelli erano gli ordini e loro li avevano eseguiti alla lettera. Anche allora gli americani cercarono di spiegare grossolonamante che quella dei kamikaze era definibile «terrorismo» e spiegava la natura terrorista del regime di Saddam, giustificando quindi ancora di più la guerra. Versione che sarebbe stata bevuta a piena bocca dalla stampa amica americana e internazionale.
Ma anche ieri c'è stato un altro episodio che rimanda agli stessi ordini e allo stesso terrore. La notizia è strappacuore, del tipo: ma come sono buoni gli americani nonostante abbiano a che fare con dei barbari. L'ha dato l'agenzia Agi che la riprende dalla Reuters e racconta di un giornalista della Cnn al seguito delle truppe Usa che casualmente è anche neurochirurgo, il dottor Sanyaj Gupta. Il dottor Gupta ha visto un bambino iracheno colpito alla testa e ha tentato di salvarlo operandolo immediatamente sul posto. «Il piccolo purtroppo non ce l'ha fatta nonostante l'operazione fosse riuscita», scrive la Agi, «Dal punto di vista medico e morale pensavo che fosse giusto farlo», ha detto il medico-giornalista. L'importante è partecipare, e la Cnn si è detta «"fiera" del comportamento del suo inviato molto speciale». Passa così completamente in secondo piano il resto della notizia: che il bimbo era a bordo di una macchina che, secondo la versione delle autorità militari Usa, non si era fermata a un posto di blocco a sud di Baghdad, «inducendo i soldati americani ad aprire il fuoco». Se il piccolo è morto, la madre in compenso si è salvata. Morti anche il conducente e un altro passeggero a bordo. Amen.
Ma le guerra si vincono (o si perdono) anche con la propaganda. Prendiamo la famosa fatwa dell'altro ieri del grande ayatollah di Najaf Ali al-Sistani, che avrebbe finalmente dato il via libera alla sospiratissima rivolta degli sciiti del sud. Naturalmente ieri era stata sparata da quasi tutti i giornali. Ieri al-Sistani, una delle massime autorità religiose sciite, ne ha smentito l'esistenza alla Tv al-Jazeera. Mai proclamato nessun editto religioso in favore degli americani, ha solo fatto appello ai fedeli di tenersi fuori dal conflitto, di rimanere «neutrali»." [MAN]
"Bassora resiste anche senz'acqua I royal marines sono ancora fuori da Bassora; gli iracheni combattono. Primi aiuti umanitari nella città assediata. L'Oms: «Nel sud un milione e mezzo di persone non hanno l'acqua» MI. CO. Le truppe britanniche continuano a combattere attorno a Bassora mentre nella seconda città irachena - «circondata» da due settimane dai royal marines - si aggrava l'emergenza umanitaria: mancano acqua, elettricità e medicinali. Ieri i soldati britannici hanno riferito di aver ucciso otto miliziani iracheni alla periferia della città. Secondo la ricostruzione dei militari, dieci carri armati sarebbero penetrati in una baraccopoli nella periferia a sud di Bassora, dove si sarebbero scontrati con i feddayin di Saddam Hussein. Quella di ieri sarebbe stata una delle battaglie più dure sostenute dai soldati britannici dall'inizio della guerra e ora i royal marines sarebbero a sei chilometri dal centro cittadino. Sia come sia, Bassora, data più volte per «caduta», ancora resiste al tentativo di invasione dei royal marines. Un portavoce militare iracheno, il generale Hazem al-Rawi, ha dichiarato che «la situazione a Bassora continua a essere stabile. Il nostro controllo - ha aggiunto al-Rawi - è completo e il nemico sta subendo pesanti perdite».
Gli inglesi invece sono convinti di essere a un passo dalla conquista della città. Mentre il primo ministro Tony Blair ha dato ordine di distribuire nel sud una sua personale «lettera agli iracheni» nella quale gli angloamericani vengono dipinti come «liberatori», i comandanti militari sul campo sprizzano ottimismo da tutti i pori.
Il colonnello Michael Riddell-Webster ha dichiarato alla Bbc: «Credo che potremmo attaccare e conquistare Bassora anche ora, ma - ha aggiunto - noi siamo un piccolo ingranaggio in una grande macchina militare sotto il controllo degli Stati uniti». Il ministro della difesa britannico, Geoff Hoon, ieri ha affermato che «non c'è nessuna crisi umanitaria nel sud dell'Iraq, anche se - ha aggiunto - la situazione è tutt'altro che ideale».
Tuttavia la gente continua a scappare da Bassora, dove acqua, elettricità e medicine mancano e il cibo scarseggia. Il Comitato internazionale della Croce rossa ha inviato ieri in città il suo primo convoglio di aiuti umanitari, malgrado l'avvertimento dei comandanti britannici che la zona resta insicura. Sono stati spediti due camion carichi di medicine, coperte e riserve d'acqua da consegnare a quattro ospedali di Bassora. Il convoglio ha viaggiato senza scorta, perché la Croce rossa intende affermare la propria neutralità rispetto al conflitto. Anche il portavoce dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha fatto sentire la sua voce sulla situazione di Bassora e, più in generale, del sud dell'Iraq. Iain Simpson, da Ginevra, ha dichiarato alla Reuters: «La questione dell'accesso umanitario alle città irachene è qualcosa che è diventato assolutamente vitale. Come abbiamo già potuto vedere nel caso di Bassora - prosegue Simpson - una città sotto assedio ha seri problemi». Simpson ha dipinto un quadro allarmante dell'emergenza acqua. «Secondo i nostri dati - ha detto - un milione e mezzo di persone nel sud dell'Iraq non ha accesso all'acqua». Simpson chiarisce che «in media una persona ha bisogno di nove litri d'acqua al giorno per bere e per lavarsi...se non hanno almeno questa quantità si manifestano dei gravi rischi per la salute».
Un allarme confermato dalle stesse truppe britanniche assedianti: il colonnello Peter Jones ha dichiarato alla Bbc che i militari possono soltanto mettere «una pezza» a questa situazione, prima dell'arrivo delle agenzie non governative. Il colonnello ha ammesso laconicamente: «Non siamo certo qui per risolvere questa situazione». " [MAN]
"Show televisivo di Saddam A sorpresa la tv irachena mostra il rais a passeggio per le strade di Baghdad. Si tratta probabilmente di immagini registrate, ma l'impatto mediatico è forte. E il ministro dell'informazione minaccia: «Pronti ad azioni di guerra non convenzionali. Useremo i kamikaze. L'aeroporto sarà la tomba degli americani» GIULIANA SGRENA INVIATA A BAGHDAD Una mossa a sorpresa, compiuta probabilmente da Saddam Hussein con la duplice speranza di sconcertare il nemico ormai alle porte e di rinsaldare il morale della popolazione di Baghdad. Ieri, con un colpo di scena, il rais è improvvisamente sceso nella strade della capitale per immergersi in un bagno di folla immediatamente ripreso e trasmesso dalla tv irachena e, successivamente, dalle televisioni di tutto il mondo. Difficile dire se, come afferma la televisione del regime, si tratti di immagini realmente in diretta e se l'uomo che si vede stringere mani e sollevare al cielo bambini sia davvero Saddam o uno dei suo molti sosia. Di certo, dal punto di vista mediatico l'impatto è forte, grazie anche a una regia ben orchestrata. Un colpo di scena preceduto nel pomeriggio da un'apparizione televisiva, la prima dopo dieci giorni, in cui Saddam Hussein ha rivolto un breve ma esplicito messaggio alla popolazione: «Colpite il nemico con forza con le armi di cui disponete». Per Saddam Hussein era importante dimostrare a tutti di essere ancora vivo e in salute in queste ore in cui la battaglia finale, quella per la conquista di Baghdad, potrebbe cominciare da un momento all'altro. E se non si tratta di un filmato registrato. quello che si vede nelle immagini è in affetti un Saddam Hussein in piena forma. In divisa, accompagnato da alcuni militari, il rais viene ripreso mentre visita alcuni quartieri periferici della capitale. Si tratta inequivocabilmente di zone colpite dai missili della coalizione, con sullo sfondo lunghe colonne di fumo nero che si alzano verso il cielo. Il rais appare tranquillo. La folla, molte persone sono armate di kalashnikov, lo circonda, urla slogan contro il presidente Bush, tende la mano per stringere quella di Saddam. A un certo punto qualcuno porge anche un bambino a Saddam che lo prende in braccio, prima di salire sul tetto di una macchina e arringare da lì la folla.
Immagini vere o false? Il balletto delle interpretazioni comincia immediatamente ma almeno un paio di punti sembrano certi. Il primo è che le scene che si vedono sono sicuramente state girate dopo il 20 marzo, giorno di inizio della guerra. Il secondo è che nel suo messaggio televisivo il rais ha fatto un riferimento preciso all'abbattimento di un elicottero Apache avvenuto il 24 marzo scorso.
Intanto per Baghdad anche quella di ieri è stata una giornata di attesa snervante. L'assedio ormai non è più solo psicologico. Dopo una giornata in cui la ripresa massiccia dei fuochi e soprattutto del fumo sprigionato dal petrolio che brucia nelle trincee intorno alla città e l'avvolge in una nube che rende l'aria irrespirabile, la mancanza della luce ha fatto aumentare il panico. Tanto più che per tutto il giorno i caccia avevano sganciato bombe sulla città e anche i cannoni, che si erano accaniti sulla zona dell'aeroporto, erano ben udibili dal centro dove ci troviamo. E continuano ad esserlo perché non sono mai cessati. La zona dell'aeroporto, strategicamente importante per la pista, è anche disseminata di strutture militari oltre che di residenze presidenziali. Mancanza di elettricità vuol dire anche mancanza d'acqua, proprio mentre comincia a scoppiare il caldo che fino ad ora era stato incredibilmente rinviato. Una coincidenza in più: l'elettricità è venuta meno proprio sul far della sera ed è scemata lentamente proprio in una notte senza luna. Un contesto favorevole ad un assalto dei marine o più congeniale agli iracheni che conoscono il terreno? Ci vengono inevitabilmente alla memoria le mitiche fughe di Osama bin Laden a cavallo in notti senza luna per non essere intercettato dai raid americani, suggerite dall'amministrazione Usa. Ma i ricordi afghani non calzano molto con l'Iraq. L'Iraq non è l'Afghanistan. Comunque ieri fonti Usa parlavano di un commando paracadutato nel centro di Baghdad, approfittando del buio, e asserragliato in alcuni edifici. Forse si tratta dei 25 marine, appartenenti alle forze speciali, che gli iracheni dicono di aver preso a Raduniya. Il panico per la mancanza della luce non ha comunque eluso una domanda: chi ha fatto saltare l'elettricità? La centrale più grande che rifornisce Baghdad si trova a 25 chilometri dalla capitale non è stata distrutta dalle bombe, lo dicono tutti. Nemmeno quella più piccola e più vicina al centro, dove sono dislocati gli human shields è stata danneggiata, anche se uno di loro sostiene che funziona solo parzialmente. Allora una bomba graffite? Oppure un oscuramento deciso dal regime iracheno? La domanda non ha trovato risposta in tutta la giornata, e i più scettici sono gli iracheni, anche perché nel pomeriggio l'elettricità è tornata in una parte residenziale della città, quella via Arasat che non è più la stessa strada della moda e dei ristoranti con vino e birra di un mese fa. La guerra ha cambiato le abitudini degli iracheni, anche dei più ricchi. E i frequentatori stranieri presenti qui, quasi esclusivamente giornalisti, non hanno più tempo e voglia di svaghi, devono arabattarsi a trovare un caricatore di batterie, a cercare di far funzionare il telefono o a recuperare casse d'acqua che è diventato il bene più prezioso. Quanto durerà questa agonia? Cosa farà tutta la gente di Baghdad, soprattutto quella che non ha potuto fare scorte di cibo e di altri beni di prima necessità? La fame, mentre la mancanza d'acqua con il caldo potrebbe provocare presto delle epidemie. La catastrofe umanitaria finora solo preconizzato dai piani di previsione delle organizzazioni dell'Onu potrebbe presto trasformarsi in realtà.Tutta la città appariva ieri in ostaggio, vuota come non mai, i negozi naturalmente chiusi, nemmeno la giornata di festa e la preghiera alle moschee facevano superare i timori del peggio. Da una delle più prestigiose moschee di Baghdad, quella dello sheikh Abdulkhader al-Gailani, l'imam Baker Abdelrazaq al-Samarray ha ribadito l'appello al jihad (guerra santa), un dovere per tutti i musulmani. La paura, il panico per la prima volta si respiravano nell'aria grigia, nelle strade vuote, l'unica presenza è quella dei militari o dei miliziani del partito Baath sempre più numerosi agli angoli delle strade, agli incroci o dietro i mucchi di sacchetti di sabbia o intenti a montare le mitragliatrici anche dentro le aiuole che si trovano lungo i viali che attraversano la città. Immancabili e insistenti anche le cannonate a distanza e i caccia che volano bassi. Il boato dei cannoni rimbomba fino qui da noi, i colpi sembrano tutti diretti verso l'aeroporto, i combattimenti sono ancora in corso, ci dicono. Gli americani e i britannici si sono rincorsi tutto il giorno nel dare notizie contrastanti sul controllo del Saddam (anche l'aeroporto naturalmente è dedicato al rais), la sera, durante la conferenza stampa quotidiana, il ministro dell'informazione Mohammed Said al-Sahaf, non ha smentito, anche perché alcuni Apache erano stati ripresi da una televisione greca. Anzi. Secondo il ministro, i marine sono stati volutamente lasciati entrare nell'aeroporto, poi sono stati loro tagliati i collegamenti e nelle prossime ore - da ieri sera - ha promesso che se non si arrenderanno saranno attaccati con armi non convenzionali. La domanda allarmata è stata immediata: armi chimiche? «No, non armi di sterminio, ma martiri». Guerriglia e kamikaze? Sono già 6.000 gli arabi entrati in Iraq, provenienti da diversi paesi, per combattere il jihad. Sono arrivati volontari per combattere anche da altri paesi, ne abbiamo incontrati alcuni: bulgari, russi, kazhaki, serbi, persino un canadese. Ma il regime iracheno è rigido: sono ammessi al jihad solo i musulmani provenienti dai paesi arabi, gli altri possono fare gli scudi umani, ma alcuni di loro delusi, ripartono. La battaglia dell'aeroporto è comunque dura e ha già provocato numerose vittime. L'accesso ai luoghi della battaglia e ai villaggi vicini non è consentito, comunque, in due ospedali, al-Kindy e soprattutto a al-Yarmuk, il più importante di Baghdad al-Khark, la parte nuova, sono stati ricoverati centinaia di soldati feriti, alcuni gravi. La gente che abita in quella zona è fuggita terrorizzata: famiglie intere a bordo di camion e di ogni mezzo disponibile si sono dirette verso il centro della città per cercare un riparo presso familiari. Ma c'è chi cerca di fuggire anche dalla capitale, ieri sulla strada di Rashdiya, che va verso nord-est in direzione dell'Iran, si sono formati chilometri di coda. Numerosi i check point che impediscono l'esodo dei profughi, ufficialmente per motivi di sicurezza. Molti sono già fuggiti prima, ora sono tutti in trappola, l'unica via praticabile sembrava quella iraniana, anche perché la frontiera è più vicina. Sulla strada per Damasco è già stato bombardato un autobus, e quella per Amman non viene ritenuta tanto sicura. Anche in questo caso è difficile verificare le notizie. Non si è saputo più nulla, almeno qui, dei bus degli human shields bombardati, ieri si diceva che sarebbe stato distrutto un ponte a 30 chilometri da Baghdad, ma le verifiche ormai si fanno solo con chi arriva, sempre più raramente, dal confine." [MAN]
"Fuoco sull'aeroporto 320 soldati iracheni morti, distrutte le piste di decollo R. ES. «Metteremo in atto un'azione non convezionale, non useremo armi chimiche ma operazioni di martirio. Faremo qualcosa che sarà di grande esempio per questi mercenari». Le minacce che il ministro dell'informazione iracheno Mohammed Said Sahaf lancia contro le truppe americane che da ieri mattina controllano l'aeroporto internazionale di Baghdad, sono l'annuncio di un attaco in massa di kamikaze che potrebbe trasformare quella per il controllo dello scalo iarcheno in una delle battaglie più sanguinose del conflitto. Fin da ieri mattina violenti combattimenti si sono succeduti intorno all'aeroporto per la conquista del quale fino a questo momento sarebbero morti, secondo il portavoce del comando americano in Qatar - generale Richiard Brooks - 320 soldati iracheni mentre altri 2.500 miliziani della Guardia repubblicana si sarebbero arresi alle forze della coralizione. Tra le fila dei marine, invece, ci sarebbero stati due morti, un ufficiale e un sergente del Genio, a cui va aggiunta la morte di un giornalista americano al seguito delle truppe. A vantaggio delle forze irachene sempre secondo Sahaf - ci sarebbe il fatto che le truppe americane si troverebbero asserragliate all'interno dell'aeroporto, circondate dalle forze irachene che le terrebbero sotto il tiro dell'artigliera. Ma una ulteriore minaccia per i soldati americani potrebbe nascondersi in una serie di gallerie scoperte all'interno dello scalo e che potrebbero essere una via di accesso per i soldati di Saddam. Per evitare brutte sorprese, ieri gli americani hanno cominciato un'operazione di bonifica delle gallerie.
Nel frattempo le piste dello scalo sono state rese inutilizzabili dai marine che sperano in questo modo di impedire ogni tentativo di fuga da parte di Saddam Hussein. " [MAN]
" Il «fronte nord» si scalda MARINA FORTI Rimasto un po' fuori dalla scena, secondario rispetto alla marcia delle truppe anglo-americane verso Baghdad, il «fronte nord» si scalda. Negli ultimi giorni i bombardamenti si sono intensificati: attorno alle città petrolifere di Mosul e Kirkuk, sulle postazioni dell'esercito iracheno lungo il confine dei distretti semi-autonomi controllati dai partiti kurdi. I guerriglieri kurdi, detti peshmerga, avanzano verso le due città, prendendo posizioni abbandonate dall'esercito iracheno (ritirata strategica per difendere le città?). Ieri pomeriggio hanno preso un ponte a ridosso della località di Khazer, a una trentina di chilometri da Mosul, postazione strategica sulla strada tra Arbil (in territorio kurdo) e la città petrolifera, ed è il risultato di un'azione cominciata giovedì: a quanto descrive un'inviata dell'Afp ha coinvolto circa 200 militari iracheni e 120 kurdi, con l'appoggio delle forze speciali Usa sul terreno che chiamano il sostegno aereo quando è il caso. Appena cominciato il bombardamento, i militari iracheni si sono ritirati, esplodendo obici per coprirsi la fuga: chiamarla battaglia è esagerato. «Molti soldati di Baghdad sono fuggiti nella direzione opposta alla ritirata del loro esercito, rifugiandosi nelle zone kurde», riferisce il quotidiano arabo Al Hayat: «In serata abbiamo incontrato molti anziani arabi, genitori di soldati fuggiaschi, che venivano a chiedere informazioni. Il villaggio di Kalak, arabizzato negli anni `70, è stato evacuato dagli abitanti, insieme alla ritirata dell'esercito, nel timore di vendette kurde». Intanto le difese di Mosul e di Kirkuk sono sotto il bombardamento sistematico dei B52 americani. «Non c'è dubbio, l'azione militare si è intensificata», ci dice al telefono da Arbil Giuseppe Renda, delegato del Comitato internazionale per la Croce Rossa: «Da un paio di giorni sentiamo i bombardamenti fin da qui, vibrano le finestre». L'organizzazione umanitaria internazionale si occupa della popolazione civile vittima di conflitti, e quello di Arbil è uno dei suoi tre uffici in Iraq (gli altri sono a Baghdad e a Bassora). Dell'avanzata dei peshmerga verso Mosul e Kirkuk Giuseppe Renda teme in primo luogo le mine e gli ordigni inesplosi: «La strada su cui avanzano è disseminata di mine anticarro: abbiamo visto alla televisione di qui che ne hanno raccolte camion pieni». Le hanno distrutte? Pare di no. Pronte da riusare... Sono state usate anche bombe a grappolo? «Non so, non abbiamo indicazioni precise in merito. Ma in generale, tra il 15 e il 25 per cento degli ordigni lanciati durante un conflitto resta inesploso. In termine tecnico si chiamano remnants of war, rimanenze di guerra. L'altro giorno qui un bravo cameraman della Bbc è morto su una mina. E sarà un problema devastante nell'immediato futuro: non oso pensare a quando la popolazione ricomincerà a muoversi. Se dovessimo vedere sfollati riversarsi dalle città verso nord, sarà come fuggire su un territorio minato».
Nell'immediato, dal punto di vista dell'operatore umanitario, la situazione nei distretti kurdi non è preoccupante. Ci sono sfollati kurdi che hanno lasciato le zone sotto controllo di Baghdad per rifugiarsi nel territorio autonomo: per paura dei bombardamenti e paura del regime, le milizie del partito Baath: tutti qui ricordano la catastrofe del 1991. Ma è stato un movimento di alcune migliaia, soprattutto persone che sono andate presso parenti o amici nei villaggi sulle montagne: «Per il momento abbiamo il materiale e il personale per provvedere ai bisogni della popolazione qui», insiste Renda. «Quello che davvero ci preoccupa sono le città di Kirkuk e Mosul. Non sappiamo quale sia la situazione della popolazione civile, e sulla base di ciò che abbiamo visto a Bassora o a Hilla abbiamo motivo di preoccuparci». Nessuno può dire se ci siano vittime tra la popolazione - l'episodio riferito giorni fa da Al Jazeera, di un villaggio (a maggioranza cristiana) bombardato a ovest di Mosul, fa temere. Nessuno sa per certo se l'approvvigionamento d'acqua potabile ed elettricità continua, se gli ospedali sono riforniti del materiale chirurgico e medicinali necessari. «Non abbiamo informazioni di prima mano». Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha chiesto alle autorità irachene accesso a Kirkuk e Mosul? «Abbiamo lavorato su tutti i fronti per avere accesso alle zone critiche. Nei giorni passati delegati del Icrc sono andati a vedere lo stato degli ospedali a Hilla, appunto, o in altre località a sud di Baghdad. Ma ormai da Baghdad è difficile uscire, molti ponti sono saltati. Anche da qui, non saprei garantire la sicurezza dei nostri delegati. La preoccupazione maggiore è ciò che non sappiamo». " [MAN]
"HOON Londra: «Cluster bomb essenziali» Smentiti i militari. Volantini di Blair agli iracheni: «Governerete voi». Straw: «No, prima gli alleati» ORSOLA CASAGRANDE LONDRA L'uso delle bombe a grappolo è assolutamente giustificato perchè le cluster rendono il campo di battaglia molto più sicuro per le nostre truppe». Parola di Geoff Hoon, ministro della difesa britannica che ieri ha confermato quello che da giorni i generali britannici smentivano e cioè appunto l'utilizzo delle micidiali cluster bombs. Pur accettando che questi ordigni comportano dei rischi, Hoon ha aggiunto che «bisogna fare i conti con i rischi che correrebbero le nostre truppe se non utilizzassero questo tipo di armi». E se ancora qualche deputato ai Comuni, dove ha fatto la sua dichiarazione sull'uso delle bombe a grappolo, non avesse afferrato fino a che punto il ministro era disposto a spingersi nella sua difesa delle cluster, Hoon ha concluso dicendo di essere preoccupato per le vittime che queste armi possono inevitabilmente provocare, ma non si può ignorare il fatto che «le cluster bombs sono a volte l'arma più idonea». Le critiche al governo per l'uso di queste bombe sono giunte sia dalla sinistra Labour che dalle associazioni umanitarie. La sinistra laburista accusa la coalizione di violare le leggi di guerra con l'utilizzo delle cluster bombs. Ma i militari cercano di difendersi dicendo che le bombe non vengono usate nei centri abitati (in particolare i britannici fanno riferimento al centro di Bassora). Sotto accusa anche il fatto che fino a giovedì i militari abbiano negato di aver fatto uso di cluster bombs. Sconfessati prima da un generale di stanza in Kuwait e quindi dal ministro della difesa, i vertici delle forze armate britanniche nel Golfo hanno dovuto capitolare. Non senza sottolineare che il «margine di errore non è poi così ampio», che tradotto significa che delle 49 mini-bombe che vengono rilasciate dalla bomba madre, molte non esplodono rimanendo sul terreno nascondendo gli stessi micidiali effetti delle mine anti-uomo quando vengono toccate e quindi fatte esplodere. Piccole come una lattina di qualsiasi bevanda e gialle attirano soprattutto l'attenzione dei bambini.
Dire una cosa e il suo esatto contrario sembra essere diventata ormai una costante a Londra. Dopo le frecciate a distanza con gli uomini dell'amministrazione Bush sul futuro dell'Iraq post-Saddam Hussein, ieri è tornato sull'argomento il ministro degli esteri Jack Straw. «Un governo di transizione controllato dalle forze anglo-americane è inevitabile - ha detto il ministro - ma sarà comunque molto breve». Il premier Tony Blair aveva invece assicurato la Camera dei Comuni sul ruolo centrale dell'Onu in qualunque governo transitorio. E ieri Downing street ha fatto sapere che sessantamila copie di una lettera indirizzata personalmente da Blair al popolo iracheno verrà distribuita in questi giorni. Nel testo del volantino (che comprende anche una foto del primo ministro) si legge che «non appena il regime di Saddam Hussein cadrà, comincerà il lavoro per costruire un Iraq libero e unito». Blair continua dicendo che «Un Iraq pacifico e ricco sarà governato da e per il popolo iracheno. Non dagli Stati uniti, non dalla Gran Bretagna, non dalle Nazioni Unite - anche se tutti noi vi aiuteremo - ma da voi, il popolo iracheno». Il piano di Blair è dunque questo: «Le forze della coalizione renderanno il paese sicuro e lavoreranno con le Nazioni unite per rimettere in piedi l'Iraq. Continueremo a fornire aiuti umanitari e vi aiuteremo con progetti a lungo termine». Quindi una promessa: «Le nostre truppe lasceranno il paese non appena possibile. Non rimarranno nel vostro paese un giorno in più del necessario». Certo una lettera dai toni assai diversi da quelli usati dall'amministrazione Bush che invece ha già pronto il piano per un governo ad interim post Saddam Hussein tutto targato Usa e che non ha nemmeno accennato ai tempi della sua provvisorietà. In Kuwait sono già arrivati alcuni dei futuri componenti di questo governo transitorio." [MAN]
" Il Congresso paga il conto di Bush Stanziati gli 80 miliardi di dollari chiesti per «combattere e vincere la guerra». Comminate le prime «punizioni»: le compagnie di Francia, Germania e Russia bandite dai fondi della ricostruzione" [MAN]
"«La Siria è contro gli alleati» Dal Qatar il generale Brooks accusa Damasco, Powell «ridimensiona». Israele - impegnata in guerra nei Territori occupati - punta sull'iniziativa militare contro Siria e Iran. Violenta protesta al Cairo contro la guerra all'Iraq MICHELE GIORGIO GERUSALEMME Gli Stati Uniti puntano di nuovo l'indice contro la Siria, che sostiene il diritto alla resistenza del popolo iracheno. Ieri il portavoce del Comando Centrale americano in Qatar, generale Richard Brooks, ha detto che alcuni rapporti indicano che in Siria ci sono persone che «lavorano contro la coalizione guidata dagli Usa». Un avvertimento molto chiaro. La Siria pagherà cara la sua indifferenza verso coloro che aiutano centinaia di volontari arabi ad entrare in Iraq per combattere le forze di occupazione americane e britanniche. Qualche ora dopo Colin Powell ha, in parte, ridimensionato l'ammonimento. «Sappiamo che hanno armi di distruzione di massa, ma non cerchiamo guerre, il presidente Bush non è alla ricerca di posti dove poter inviare le sue forze armate», ha detto alla tv tedesca smentendo l'esistenza di piani militari contro Siria e Iran. Smentite sono giunte anche da Tony Blair che a Bbc World ha detto che gli Stati Uniti non hanno intenzione di attaccare Damasco e Teheran. In contrasto, però, con le notizie e le indiscrezioni dei media israeliani. Sinora Israele ha mantenuto un atteggiamento di basso profilo ma, è noto, vedrebbe con favore l'apertura di nuovi fronti di guerra o almeno l'inizio di pressioni più forti su Siria e Iran. Secondo Haaretz, dopo l'Iraq gli Usa «affronteranno il problema» di altri regimi «radicali» in Medio Oriente. Sarebbe questo il messaggio che il governo Usa ha trasmesso a Israele nei giorni scorsi. Il giornale ha aggiunto che Bush non nutre illusioni di un ritorno a un processo politico, ma mira a una più «realistica» gestione del conflitto israelo-arabo. Per questo in Israele hanno giudicato positivamente il discorso di Powell ai ministri degli esteri europei, durante il quale ha affermato che la «road map» (il piano per il Medio Oriente di Usa, Ue, Russia e Onu) non può essere imposto alle parti. Significa che se Israele deciderà di rifiutarlo allora verrà modificato o cestinato. La destra israeliana (e non solo) in questa fase non pensa altro che ad incassare i benefici della distruzione dell'Iraq da parte americana. Non ha alcuna intenzione di riprendere il negoziato, ha già realizzato alcuni dei suoi sogni storici: sconfitta dei palestinesi, mondo arabo ridimensionato e bastonato, incapace di sottrarsi al controllo americano. Shalom Yerushalmi ha scritto su Kol Hazman, l'inserto settimanale del quotidiano Maariv, che il ministro delle finanze Benyamin Netanyahu si attende risultati molto positivi della guerra e facendo due conti ha stabilito che la probabile apertura dell'oleodotto tra l'Iraq e Haifa, via Giordania, dopo la caduta di Saddam Hussein, farà delle raffinerie di Haifa un punto strategico del Medio Oriente e darà la spinta alla ripresa economica di Israele.
Il legame tra Washington e Tel Aviv si fa più stretto e ieri Maariv ha scritto che gli americani hanno chiesto a Israele «suggerimenti» su come combattere i kamikaze. Per il giornale il governo Sharon ritiene che la comprensione di Washington e Londra per il pugno di ferro di Israele nei Territori occupati palestinesi aumenterà alla luce della minaccia di attacchi suicidi e agguati che le truppe di occupazione dovranno affrontare in Iraq, e che gli Usa più che affidarsi all'esperienza che fecero a Mogadiscio, preferiscono seguire i consigli di «esperti» israeliani come il ministro della difesa Shaul Mofaz che nella sua permanenza al «Washington Institute» offrì varie consulenze. Abbagliati dal sogno di vittorie militari devastanti, americani, britannici e israeliani non riescono ad immaginare le conseguenze dell'ingiustizia, della frustrazione, della disperazione per milioni di palestinesi e arabi, messi di fronte a un mondo dove il diritto internazionale non ha più alcun valore.
Ieri è stata un'altra giornata di rabbia e manifestazioni contro l'attacco all'Iraq. Delle due manifestazioni programmate al Cairo, una, non autorizzata, alla moschea di Sayeda Aisha, è stata impedita con la forza da migliaia di agenti di polizia che hanno arrestato 150 persone. L'altra manifestazione, alla moschea di Al-Azhar, con circa 10 mila persone, si é svolta nel tempio circondato da centinaia di poliziotti. L'imam di Al-Azhar, Mohamed Sayed Tantawi, ha riaffermato «il diritto del popolo iracheno alla resistenza contro l'occupazione». «L' Iraq come la Palestina, i bambini e le donne di Najaf e Baghdad come quelli di Jenin», sono stati gli slogan delle manifestazioni. Raduni e marce in sostegno dell'Iraq si sono svolte anche in altre capitali arabe, come Amman, e nei Territori occupati palestinesi. A Gaza city, Khan Yunis e Nablus migliaia di persone hanno scandito slogan contro Usa e Gran Bretagna. Ieri Israele ha annunciato di aver terminato «l'operazione» nel campo profughi di Tulkarem dove oltre mille palestinesi erano stati arrestati, caricati su autocarri e portati in altre località per «consentire i rastrellamenti». Potranno ora tornare a casa ha assicurato il portavoce militare." [MAN]
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