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[cronologie di guerra] 04.04.03 sedicesimo giorno
by blicero Monday April 07, 2003 at 10:03 PM mail:  

[cronologie di guerra] 04.04.03 sedicesimo giorno si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.

04 aprile 2003 : sedicesimo giorno
[fonti : quotidiani del 5 aprile 2003]

"Saddam in tv e in piazza. Sfida finale del rais agli angloamericani
alle porte di Baghdad Il dittatore appare in un video tra la folla e
lancia l'ultima arma: kamikaze contro le truppe d'invasione Il suo
ministro annuncia: «Nella notte azioni non convenzionali contro il
nemico» Ieri attacco suicida di due donne a un check-point Usa. Una di
loro era incinta Uccisi anche tre soldati" [MAN]

"Le ore della guerra
ORE 4.30 L'esercito Usa «conquista» l'aeroporto internazionale «Saddam
Hussein» di Baghdad ORE 5.00 Il Congresso degli Stati uniti approva un
finanziamento di 80 miliardi di dollari per la guerra all'Iraq ORE 7.10
I corrispondenti al seguito dei militari Usa riferiscono che gli
iracheni hanno lanciato una controffensiva nell'area dell'aeroporto di
Baghdad ORE 9.17 Le truppe britanniche annunciano di aver ucciso otto
miliziani iracheni nei pressi di Bassora ORE 12.34 Il Comando centrale
Usa riferisce che un'«auto suicida» è esplosa giovedì notte nei pressi
di un check point, uccidendo tre militari americani, una donna e
l'autista ORE 14.00 Il ministro degli esteri francese, Dominique de
Villepin, dichiara che l'Onu deve giocare un ruolo chiave nell'Iraq del
dopo Saddam ORE 16.25 Il primo convoglio umanitario del World food
program (Wfp) entra in Iraq dalla Turchia ORE 18.30 La televisione
irachena mostra Saddam Hussein mentre visita un'area residenziale di
Baghdad tra una folla festante e inneggiante al rais ORE 19.30 Il
Washington post annuncia che un suo giornalista, Michael Kelly, è stato
ucciso in un incidente mentre viaggiava al seguito delle truppe degli
Stati uniti ORE 20.00 La televisione al-Jazeera riprende a lavorare a
Baghdad dopo che le autorità irachene hanno rimosso il divieto
precedentemente imposto a due reporter del network arabo" [MAN]

"L'incubo dei kamikaze
Attentato suicida ieri a un posto di blocco a nord di Baghdad. Morti tre
marines. Ma i kamikaze questa volta erano due ragazze, una incinta. Che
poi, in un video che qualcuno ha mandato ad al-Jazeera, hanno
rivendicato. In un altro check-point uccisi due passeggeri di un'auto e
un bambino. Nonostante il gesto strappacuore di un giornalista-chirurgo
della Cnn. Smentita la fatwa pro-Usa dell'ayatollah al-Sistani
M.M.
Ikamikaze, in quanto estranei alla visione della vita e della morte
degli occidentali, hanno fatto impazzire gli israeliani in Palestina e
cominciano a fare impazzire gli americani in Iraq. Nella notte fra
giovedì e ieri un nuovo attentato suicida hra provocato la morte, oltre
che dei due kamikaze, di tre marines. Il fatto che appare più
sconvolgente è che questa volta i due kamikaze erano donne, e una di
loro era incinta.

L'attentato è avvenuto a un posto di blocco americano a nord-ovest di
Baghdad, nei pressi della diga Haditha, un punto strategico sulla strada
che va dalla capitale a Tikrit, la città natale di Saddam Hussein.
L'auto si è fermata al check-point, una ragazza evidentemente incinta è
scesa e si messa a urlare, i marines di guardia si sono avvicinati e a
quel punto è avvenuta l'esplosione. Morta sia la ragazza, sia «il
conducente», che poi si è rivelata anche lei una donna, e tre marines.
«Un altro atto disperato di un regime agonizzante che sa di essere nei
guai», è stato il commento sprezzante e grossolano di un capitano dei
marines.

Subito dopo sono venute le conferme. Prima l'agenzia irachena Ina, che
ha parlato dell'azione condotta non da un uomo e una donna ma da due
donne. Poi la solita preziosa al-Jazeera che ha ricevuto un video - come
accade sovente per la resistenza palestinese - in cui le due ragazze
rivendicano l'attentato e il sacrificio che stavano per fare. Giovani,
con la kefiah in testa, il kalashnikov in una mano e il Corano
nell'altra, hanno spiegato che avevano deciso di sacrificarsi per il
loro paese e per Saddam.

Dopo un primo attentato kamikaze, subito all'inizio della guerra ma non
confermato, quando un uomo si era fatto esplodere vicino a un tank
nemico nella penisola di Fao, è stato sabato scorso a Najaf che questa
forma disperata di protesta e resistenza ha fatto irruzione nel panorama
già terribile della «guerra di liberazione» anglo-americana in Iraq.
Allora un uomo aveva fermato la macchina a un check-point e si era fatto
saltare provocando oltre alla sua morte quella di quattro marines.

Dopo di che i comandi militari Usa avevano cambiato le regole di
ingaggio, come si chiamano in gergo, e avevano ordinato di sparare a
vista contro qualsiasi macchina o persona sospette o che non si fermasse
all'alt e a debita distanza.

Da allora queste nuove disposizioni, che testimoniano del terrore
americano rispetto a una forma di lotta estrema a loro sconosciuta e
incomprensibile, i marines hanno preso a sparare a ogni minimo sospetto
sui civili. Il maggiore di questi tragici errori è stato sempre a Najaf
quando hanno sventrato a cannonate un camioncino Toyota a cui non
avevano dato per errore lo sparo in aria di avvertimento (l'ha rivelato
l'inviato del Washington Post, testimone oculare), massacrando 10 o 11
dei 15 occupanti: che erano donne e almeno 5 bambini.

Il comando centrale americano del Qatar in quella occasione, nonostante
«il dispiacimento» espresso alle vittime (che ne saranno state
contente), elogiò i marines perché quelli erano gli ordini e loro li
avevano eseguiti alla lettera. Anche allora gli americani cercarono di
spiegare grossolonamante che quella dei kamikaze era definibile
«terrorismo» e spiegava la natura terrorista del regime di Saddam,
giustificando quindi ancora di più la guerra. Versione che sarebbe stata
bevuta a piena bocca dalla stampa amica americana e internazionale.

Ma anche ieri c'è stato un altro episodio che rimanda agli stessi ordini
e allo stesso terrore. La notizia è strappacuore, del tipo: ma come sono
buoni gli americani nonostante abbiano a che fare con dei barbari. L'ha
dato l'agenzia Agi che la riprende dalla Reuters e racconta di un
giornalista della Cnn al seguito delle truppe Usa che casualmente è
anche neurochirurgo, il dottor Sanyaj Gupta. Il dottor Gupta ha visto un
bambino iracheno colpito alla testa e ha tentato di salvarlo operandolo
immediatamente sul posto. «Il piccolo purtroppo non ce l'ha fatta
nonostante l'operazione fosse riuscita», scrive la Agi, «Dal punto di
vista medico e morale pensavo che fosse giusto farlo», ha detto il
medico-giornalista. L'importante è partecipare, e la Cnn si è detta
«"fiera" del comportamento del suo inviato molto speciale». Passa così
completamente in secondo piano il resto della notizia: che il bimbo era
a bordo di una macchina che, secondo la versione delle autorità militari
Usa, non si era fermata a un posto di blocco a sud di Baghdad,
«inducendo i soldati americani ad aprire il fuoco». Se il piccolo è
morto, la madre in compenso si è salvata. Morti anche il conducente e un
altro passeggero a bordo. Amen.

Ma le guerra si vincono (o si perdono) anche con la propaganda.
Prendiamo la famosa fatwa dell'altro ieri del grande ayatollah di Najaf
Ali al-Sistani, che avrebbe finalmente dato il via libera alla
sospiratissima rivolta degli sciiti del sud. Naturalmente ieri era stata
sparata da quasi tutti i giornali. Ieri al-Sistani, una delle massime
autorità religiose sciite, ne ha smentito l'esistenza alla Tv
al-Jazeera. Mai proclamato nessun editto religioso in favore degli
americani, ha solo fatto appello ai fedeli di tenersi fuori dal
conflitto, di rimanere «neutrali»." [MAN]

"Bassora resiste anche senz'acqua
I royal marines sono ancora fuori da Bassora; gli iracheni combattono.
Primi aiuti umanitari nella città assediata. L'Oms: «Nel sud un milione
e mezzo di persone non hanno l'acqua»
MI. CO.
Le truppe britanniche continuano a combattere attorno a Bassora mentre
nella seconda città irachena - «circondata» da due settimane dai royal
marines - si aggrava l'emergenza umanitaria: mancano acqua, elettricità
e medicinali. Ieri i soldati britannici hanno riferito di aver ucciso
otto miliziani iracheni alla periferia della città. Secondo la
ricostruzione dei militari, dieci carri armati sarebbero penetrati in
una baraccopoli nella periferia a sud di Bassora, dove si sarebbero
scontrati con i feddayin di Saddam Hussein. Quella di ieri sarebbe stata
una delle battaglie più dure sostenute dai soldati britannici
dall'inizio della guerra e ora i royal marines sarebbero a sei
chilometri dal centro cittadino. Sia come sia, Bassora, data più volte
per «caduta», ancora resiste al tentativo di invasione dei royal
marines. Un portavoce militare iracheno, il generale Hazem al-Rawi, ha
dichiarato che «la situazione a Bassora continua a essere stabile. Il
nostro controllo - ha aggiunto al-Rawi - è completo e il nemico sta
subendo pesanti perdite».

Gli inglesi invece sono convinti di essere a un passo dalla conquista
della città. Mentre il primo ministro Tony Blair ha dato ordine di
distribuire nel sud una sua personale «lettera agli iracheni» nella
quale gli angloamericani vengono dipinti come «liberatori», i comandanti
militari sul campo sprizzano ottimismo da tutti i pori.

Il colonnello Michael Riddell-Webster ha dichiarato alla Bbc: «Credo che
potremmo attaccare e conquistare Bassora anche ora, ma - ha aggiunto -
noi siamo un piccolo ingranaggio in una grande macchina militare sotto
il controllo degli Stati uniti». Il ministro della difesa britannico,
Geoff Hoon, ieri ha affermato che «non c'è nessuna crisi umanitaria nel
sud dell'Iraq, anche se - ha aggiunto - la situazione è tutt'altro che
ideale».

Tuttavia la gente continua a scappare da Bassora, dove acqua,
elettricità e medicine mancano e il cibo scarseggia. Il Comitato
internazionale della Croce rossa ha inviato ieri in città il suo primo
convoglio di aiuti umanitari, malgrado l'avvertimento dei comandanti
britannici che la zona resta insicura. Sono stati spediti due camion
carichi di medicine, coperte e riserve d'acqua da consegnare a quattro
ospedali di Bassora. Il convoglio ha viaggiato senza scorta, perché la
Croce rossa intende affermare la propria neutralità rispetto al
conflitto. Anche il portavoce dell'Organizzazione mondiale della sanità
(Oms) ha fatto sentire la sua voce sulla situazione di Bassora e, più in
generale, del sud dell'Iraq. Iain Simpson, da Ginevra, ha dichiarato
alla Reuters: «La questione dell'accesso umanitario alle città irachene
è qualcosa che è diventato assolutamente vitale. Come abbiamo già potuto
vedere nel caso di Bassora - prosegue Simpson - una città sotto assedio
ha seri problemi». Simpson ha dipinto un quadro allarmante
dell'emergenza acqua. «Secondo i nostri dati - ha detto - un milione e
mezzo di persone nel sud dell'Iraq non ha accesso all'acqua». Simpson
chiarisce che «in media una persona ha bisogno di nove litri d'acqua al
giorno per bere e per lavarsi...se non hanno almeno questa quantità si
manifestano dei gravi rischi per la salute».

Un allarme confermato dalle stesse truppe britanniche assedianti: il
colonnello Peter Jones ha dichiarato alla Bbc che i militari possono
soltanto mettere «una pezza» a questa situazione, prima dell'arrivo
delle agenzie non governative. Il colonnello ha ammesso laconicamente:
«Non siamo certo qui per risolvere questa situazione». " [MAN]

"Show televisivo di Saddam
A sorpresa la tv irachena mostra il rais a passeggio per le strade di
Baghdad. Si tratta probabilmente di immagini registrate, ma l'impatto
mediatico è forte. E il ministro dell'informazione minaccia: «Pronti ad
azioni di guerra non convenzionali. Useremo i kamikaze. L'aeroporto sarà
la tomba degli americani»
GIULIANA SGRENA
INVIATA A BAGHDAD
Una mossa a sorpresa, compiuta probabilmente da Saddam Hussein con la
duplice speranza di sconcertare il nemico ormai alle porte e di
rinsaldare il morale della popolazione di Baghdad. Ieri, con un colpo di
scena, il rais è improvvisamente sceso nella strade della capitale per
immergersi in un bagno di folla immediatamente ripreso e trasmesso dalla
tv irachena e, successivamente, dalle televisioni di tutto il mondo.
Difficile dire se, come afferma la televisione del regime, si tratti di
immagini realmente in diretta e se l'uomo che si vede stringere mani e
sollevare al cielo bambini sia davvero Saddam o uno dei suo molti sosia.
Di certo, dal punto di vista mediatico l'impatto è forte, grazie anche a
una regia ben orchestrata. Un colpo di scena preceduto nel pomeriggio da
un'apparizione televisiva, la prima dopo dieci giorni, in cui Saddam
Hussein ha rivolto un breve ma esplicito messaggio alla popolazione:
«Colpite il nemico con forza con le armi di cui disponete». Per Saddam
Hussein era importante dimostrare a tutti di essere ancora vivo e in
salute in queste ore in cui la battaglia finale, quella per la conquista
di Baghdad, potrebbe cominciare da un momento all'altro. E se non si
tratta di un filmato registrato. quello che si vede nelle immagini è in
affetti un Saddam Hussein in piena forma. In divisa, accompagnato da
alcuni militari, il rais viene ripreso mentre visita alcuni quartieri
periferici della capitale. Si tratta inequivocabilmente di zone colpite
dai missili della coalizione, con sullo sfondo lunghe colonne di fumo
nero che si alzano verso il cielo. Il rais appare tranquillo. La folla,
molte persone sono armate di kalashnikov, lo circonda, urla slogan
contro il presidente Bush, tende la mano per stringere quella di Saddam.
A un certo punto qualcuno porge anche un bambino a Saddam che lo prende
in braccio, prima di salire sul tetto di una macchina e arringare da lì
la folla.

Immagini vere o false? Il balletto delle interpretazioni comincia
immediatamente ma almeno un paio di punti sembrano certi. Il primo è che
le scene che si vedono sono sicuramente state girate dopo il 20 marzo,
giorno di inizio della guerra. Il secondo è che nel suo messaggio
televisivo il rais ha fatto un riferimento preciso all'abbattimento di
un elicottero Apache avvenuto il 24 marzo scorso.

Intanto per Baghdad anche quella di ieri è stata una giornata di attesa
snervante. L'assedio ormai non è più solo psicologico. Dopo una giornata
in cui la ripresa massiccia dei fuochi e soprattutto del fumo
sprigionato dal petrolio che brucia nelle trincee intorno alla città e
l'avvolge in una nube che rende l'aria irrespirabile, la mancanza della
luce ha fatto aumentare il panico. Tanto più che per tutto il giorno i
caccia avevano sganciato bombe sulla città e anche i cannoni, che si
erano accaniti sulla zona dell'aeroporto, erano ben udibili dal centro
dove ci troviamo. E continuano ad esserlo perché non sono mai cessati.
La zona dell'aeroporto, strategicamente importante per la pista, è anche
disseminata di strutture militari oltre che di residenze presidenziali.
Mancanza di elettricità vuol dire anche mancanza d'acqua, proprio mentre
comincia a scoppiare il caldo che fino ad ora era stato incredibilmente
rinviato. Una coincidenza in più: l'elettricità è venuta meno proprio
sul far della sera ed è scemata lentamente proprio in una notte senza
luna. Un contesto favorevole ad un assalto dei marine o più congeniale
agli iracheni che conoscono il terreno? Ci vengono inevitabilmente alla
memoria le mitiche fughe di Osama bin Laden a cavallo in notti senza
luna per non essere intercettato dai raid americani, suggerite
dall'amministrazione Usa. Ma i ricordi afghani non calzano molto con
l'Iraq. L'Iraq non è l'Afghanistan. Comunque ieri fonti Usa parlavano di
un commando paracadutato nel centro di Baghdad, approfittando del buio,
e asserragliato in alcuni edifici. Forse si tratta dei 25 marine,
appartenenti alle forze speciali, che gli iracheni dicono di aver preso
a Raduniya. Il panico per la mancanza della luce non ha comunque eluso
una domanda: chi ha fatto saltare l'elettricità? La centrale più grande
che rifornisce Baghdad si trova a 25 chilometri dalla capitale non è
stata distrutta dalle bombe, lo dicono tutti. Nemmeno quella più piccola
e più vicina al centro, dove sono dislocati gli human shields è stata
danneggiata, anche se uno di loro sostiene che funziona solo
parzialmente. Allora una bomba graffite? Oppure un oscuramento deciso
dal regime iracheno? La domanda non ha trovato risposta in tutta la
giornata, e i più scettici sono gli iracheni, anche perché nel
pomeriggio l'elettricità è tornata in una parte residenziale della
città, quella via Arasat che non è più la stessa strada della moda e dei
ristoranti con vino e birra di un mese fa. La guerra ha cambiato le
abitudini degli iracheni, anche dei più ricchi. E i frequentatori
stranieri presenti qui, quasi esclusivamente giornalisti, non hanno più
tempo e voglia di svaghi, devono arabattarsi a trovare un caricatore di
batterie, a cercare di far funzionare il telefono o a recuperare casse
d'acqua che è diventato il bene più prezioso. Quanto durerà questa
agonia? Cosa farà tutta la gente di Baghdad, soprattutto quella che non
ha potuto fare scorte di cibo e di altri beni di prima necessità? La
fame, mentre la mancanza d'acqua con il caldo potrebbe provocare presto
delle epidemie. La catastrofe umanitaria finora solo preconizzato dai
piani di previsione delle organizzazioni dell'Onu potrebbe presto
trasformarsi in realtà.Tutta la città appariva ieri in ostaggio, vuota
come non mai, i negozi naturalmente chiusi, nemmeno la giornata di festa
e la preghiera alle moschee facevano superare i timori del peggio. Da
una delle più prestigiose moschee di Baghdad, quella dello sheikh
Abdulkhader al-Gailani, l'imam Baker Abdelrazaq al-Samarray ha ribadito
l'appello al jihad (guerra santa), un dovere per tutti i musulmani. La
paura, il panico per la prima volta si respiravano nell'aria grigia,
nelle strade vuote, l'unica presenza è quella dei militari o dei
miliziani del partito Baath sempre più numerosi agli angoli delle
strade, agli incroci o dietro i mucchi di sacchetti di sabbia o intenti
a montare le mitragliatrici anche dentro le aiuole che si trovano lungo
i viali che attraversano la città. Immancabili e insistenti anche le
cannonate a distanza e i caccia che volano bassi. Il boato dei cannoni
rimbomba fino qui da noi, i colpi sembrano tutti diretti verso
l'aeroporto, i combattimenti sono ancora in corso, ci dicono. Gli
americani e i britannici si sono rincorsi tutto il giorno nel dare
notizie contrastanti sul controllo del Saddam (anche l'aeroporto
naturalmente è dedicato al rais), la sera, durante la conferenza stampa
quotidiana, il ministro dell'informazione Mohammed Said al-Sahaf, non ha
smentito, anche perché alcuni Apache erano stati ripresi da una
televisione greca. Anzi. Secondo il ministro, i marine sono stati
volutamente lasciati entrare nell'aeroporto, poi sono stati loro
tagliati i collegamenti e nelle prossime ore - da ieri sera - ha
promesso che se non si arrenderanno saranno attaccati con armi non
convenzionali. La domanda allarmata è stata immediata: armi chimiche?
«No, non armi di sterminio, ma martiri». Guerriglia e kamikaze? Sono già
6.000 gli arabi entrati in Iraq, provenienti da diversi paesi, per
combattere il jihad. Sono arrivati volontari per combattere anche da
altri paesi, ne abbiamo incontrati alcuni: bulgari, russi, kazhaki,
serbi, persino un canadese. Ma il regime iracheno è rigido: sono ammessi
al jihad solo i musulmani provenienti dai paesi arabi, gli altri possono
fare gli scudi umani, ma alcuni di loro delusi, ripartono. La battaglia
dell'aeroporto è comunque dura e ha già provocato numerose vittime.
L'accesso ai luoghi della battaglia e ai villaggi vicini non è
consentito, comunque, in due ospedali, al-Kindy e soprattutto a
al-Yarmuk, il più importante di Baghdad al-Khark, la parte nuova, sono
stati ricoverati centinaia di soldati feriti, alcuni gravi. La gente che
abita in quella zona è fuggita terrorizzata: famiglie intere a bordo di
camion e di ogni mezzo disponibile si sono dirette verso il centro della
città per cercare un riparo presso familiari. Ma c'è chi cerca di
fuggire anche dalla capitale, ieri sulla strada di Rashdiya, che va
verso nord-est in direzione dell'Iran, si sono formati chilometri di
coda. Numerosi i check point che impediscono l'esodo dei profughi,
ufficialmente per motivi di sicurezza. Molti sono già fuggiti prima, ora
sono tutti in trappola, l'unica via praticabile sembrava quella
iraniana, anche perché la frontiera è più vicina. Sulla strada per
Damasco è già stato bombardato un autobus, e quella per Amman non viene
ritenuta tanto sicura. Anche in questo caso è difficile verificare le
notizie. Non si è saputo più nulla, almeno qui, dei bus degli human
shields bombardati, ieri si diceva che sarebbe stato distrutto un ponte
a 30 chilometri da Baghdad, ma le verifiche ormai si fanno solo con chi
arriva, sempre più raramente, dal confine." [MAN]

"Fuoco sull'aeroporto
320 soldati iracheni morti, distrutte le piste di decollo
R. ES.
«Metteremo in atto un'azione non convezionale, non useremo armi chimiche
ma operazioni di martirio. Faremo qualcosa che sarà di grande esempio
per questi mercenari». Le minacce che il ministro dell'informazione
iracheno Mohammed Said Sahaf lancia contro le truppe americane che da
ieri mattina controllano l'aeroporto internazionale di Baghdad, sono
l'annuncio di un attaco in massa di kamikaze che potrebbe trasformare
quella per il controllo dello scalo iarcheno in una delle battaglie più
sanguinose del conflitto. Fin da ieri mattina violenti combattimenti si
sono succeduti intorno all'aeroporto per la conquista del quale fino a
questo momento sarebbero morti, secondo il portavoce del comando
americano in Qatar - generale Richiard Brooks - 320 soldati iracheni
mentre altri 2.500 miliziani della Guardia repubblicana si sarebbero
arresi alle forze della coralizione. Tra le fila dei marine, invece, ci
sarebbero stati due morti, un ufficiale e un sergente del Genio, a cui
va aggiunta la morte di un giornalista americano al seguito delle
truppe. A vantaggio delle forze irachene sempre secondo Sahaf - ci
sarebbe il fatto che le truppe americane si troverebbero asserragliate
all'interno dell'aeroporto, circondate dalle forze irachene che le
terrebbero sotto il tiro dell'artigliera. Ma una ulteriore minaccia per
i soldati americani potrebbe nascondersi in una serie di gallerie
scoperte all'interno dello scalo e che potrebbero essere una via di
accesso per i soldati di Saddam. Per evitare brutte sorprese, ieri gli
americani hanno cominciato un'operazione di bonifica delle gallerie.

Nel frattempo le piste dello scalo sono state rese inutilizzabili dai
marine che sperano in questo modo di impedire ogni tentativo di fuga da
parte di Saddam Hussein. " [MAN]

" Il «fronte nord» si scalda
MARINA FORTI
Rimasto un po' fuori dalla scena, secondario rispetto alla marcia delle
truppe anglo-americane verso Baghdad, il «fronte nord» si scalda. Negli
ultimi giorni i bombardamenti si sono intensificati: attorno alle città
petrolifere di Mosul e Kirkuk, sulle postazioni dell'esercito iracheno
lungo il confine dei distretti semi-autonomi controllati dai partiti
kurdi. I guerriglieri kurdi, detti peshmerga, avanzano verso le due
città, prendendo posizioni abbandonate dall'esercito iracheno (ritirata
strategica per difendere le città?). Ieri pomeriggio hanno preso un
ponte a ridosso della località di Khazer, a una trentina di chilometri
da Mosul, postazione strategica sulla strada tra Arbil (in territorio
kurdo) e la città petrolifera, ed è il risultato di un'azione cominciata
giovedì: a quanto descrive un'inviata dell'Afp ha coinvolto circa 200
militari iracheni e 120 kurdi, con l'appoggio delle forze speciali Usa
sul terreno che chiamano il sostegno aereo quando è il caso. Appena
cominciato il bombardamento, i militari iracheni si sono ritirati,
esplodendo obici per coprirsi la fuga: chiamarla battaglia è esagerato.
«Molti soldati di Baghdad sono fuggiti nella direzione opposta alla
ritirata del loro esercito, rifugiandosi nelle zone kurde», riferisce il
quotidiano arabo Al Hayat: «In serata abbiamo incontrato molti anziani
arabi, genitori di soldati fuggiaschi, che venivano a chiedere
informazioni. Il villaggio di Kalak, arabizzato negli anni `70, è stato
evacuato dagli abitanti, insieme alla ritirata dell'esercito, nel timore
di vendette kurde». Intanto le difese di Mosul e di Kirkuk sono sotto il
bombardamento sistematico dei B52 americani. «Non c'è dubbio, l'azione
militare si è intensificata», ci dice al telefono da Arbil Giuseppe
Renda, delegato del Comitato internazionale per la Croce Rossa: «Da un
paio di giorni sentiamo i bombardamenti fin da qui, vibrano le
finestre». L'organizzazione umanitaria internazionale si occupa della
popolazione civile vittima di conflitti, e quello di Arbil è uno dei
suoi tre uffici in Iraq (gli altri sono a Baghdad e a Bassora).
Dell'avanzata dei peshmerga verso Mosul e Kirkuk Giuseppe Renda teme in
primo luogo le mine e gli ordigni inesplosi: «La strada su cui avanzano
è disseminata di mine anticarro: abbiamo visto alla televisione di qui
che ne hanno raccolte camion pieni». Le hanno distrutte? Pare di no.
Pronte da riusare... Sono state usate anche bombe a grappolo? «Non so,
non abbiamo indicazioni precise in merito. Ma in generale, tra il 15 e
il 25 per cento degli ordigni lanciati durante un conflitto resta
inesploso. In termine tecnico si chiamano remnants of war, rimanenze di
guerra. L'altro giorno qui un bravo cameraman della Bbc è morto su una
mina. E sarà un problema devastante nell'immediato futuro: non oso
pensare a quando la popolazione ricomincerà a muoversi. Se dovessimo
vedere sfollati riversarsi dalle città verso nord, sarà come fuggire su
un territorio minato».

Nell'immediato, dal punto di vista dell'operatore umanitario, la
situazione nei distretti kurdi non è preoccupante. Ci sono sfollati
kurdi che hanno lasciato le zone sotto controllo di Baghdad per
rifugiarsi nel territorio autonomo: per paura dei bombardamenti e paura
del regime, le milizie del partito Baath: tutti qui ricordano la
catastrofe del 1991. Ma è stato un movimento di alcune migliaia,
soprattutto persone che sono andate presso parenti o amici nei villaggi
sulle montagne: «Per il momento abbiamo il materiale e il personale per
provvedere ai bisogni della popolazione qui», insiste Renda. «Quello che
davvero ci preoccupa sono le città di Kirkuk e Mosul. Non sappiamo quale
sia la situazione della popolazione civile, e sulla base di ciò che
abbiamo visto a Bassora o a Hilla abbiamo motivo di preoccuparci».
Nessuno può dire se ci siano vittime tra la popolazione - l'episodio
riferito giorni fa da Al Jazeera, di un villaggio (a maggioranza
cristiana) bombardato a ovest di Mosul, fa temere. Nessuno sa per certo
se l'approvvigionamento d'acqua potabile ed elettricità continua, se gli
ospedali sono riforniti del materiale chirurgico e medicinali necessari.
«Non abbiamo informazioni di prima mano». Il Comitato internazionale
della Croce Rossa ha chiesto alle autorità irachene accesso a Kirkuk e
Mosul? «Abbiamo lavorato su tutti i fronti per avere accesso alle zone
critiche. Nei giorni passati delegati del Icrc sono andati a vedere lo
stato degli ospedali a Hilla, appunto, o in altre località a sud di
Baghdad. Ma ormai da Baghdad è difficile uscire, molti ponti sono
saltati. Anche da qui, non saprei garantire la sicurezza dei nostri
delegati. La preoccupazione maggiore è ciò che non sappiamo». " [MAN]

"HOON
Londra: «Cluster bomb essenziali»
Smentiti i militari. Volantini di Blair agli iracheni: «Governerete
voi». Straw: «No, prima gli alleati»
ORSOLA CASAGRANDE
LONDRA
L'uso delle bombe a grappolo è assolutamente giustificato perchè le
cluster rendono il campo di battaglia molto più sicuro per le nostre
truppe». Parola di Geoff Hoon, ministro della difesa britannica che ieri
ha confermato quello che da giorni i generali britannici smentivano e
cioè appunto l'utilizzo delle micidiali cluster bombs. Pur accettando
che questi ordigni comportano dei rischi, Hoon ha aggiunto che «bisogna
fare i conti con i rischi che correrebbero le nostre truppe se non
utilizzassero questo tipo di armi». E se ancora qualche deputato ai
Comuni, dove ha fatto la sua dichiarazione sull'uso delle bombe a
grappolo, non avesse afferrato fino a che punto il ministro era disposto
a spingersi nella sua difesa delle cluster, Hoon ha concluso dicendo di
essere preoccupato per le vittime che queste armi possono
inevitabilmente provocare, ma non si può ignorare il fatto che «le
cluster bombs sono a volte l'arma più idonea». Le critiche al governo
per l'uso di queste bombe sono giunte sia dalla sinistra Labour che
dalle associazioni umanitarie. La sinistra laburista accusa la
coalizione di violare le leggi di guerra con l'utilizzo delle cluster
bombs. Ma i militari cercano di difendersi dicendo che le bombe non
vengono usate nei centri abitati (in particolare i britannici fanno
riferimento al centro di Bassora). Sotto accusa anche il fatto che fino
a giovedì i militari abbiano negato di aver fatto uso di cluster bombs.
Sconfessati prima da un generale di stanza in Kuwait e quindi dal
ministro della difesa, i vertici delle forze armate britanniche nel
Golfo hanno dovuto capitolare. Non senza sottolineare che il «margine di
errore non è poi così ampio», che tradotto significa che delle 49
mini-bombe che vengono rilasciate dalla bomba madre, molte non esplodono
rimanendo sul terreno nascondendo gli stessi micidiali effetti delle
mine anti-uomo quando vengono toccate e quindi fatte esplodere. Piccole
come una lattina di qualsiasi bevanda e gialle attirano soprattutto
l'attenzione dei bambini.

Dire una cosa e il suo esatto contrario sembra essere diventata ormai
una costante a Londra. Dopo le frecciate a distanza con gli uomini
dell'amministrazione Bush sul futuro dell'Iraq post-Saddam Hussein, ieri
è tornato sull'argomento il ministro degli esteri Jack Straw. «Un
governo di transizione controllato dalle forze anglo-americane è
inevitabile - ha detto il ministro - ma sarà comunque molto breve». Il
premier Tony Blair aveva invece assicurato la Camera dei Comuni sul
ruolo centrale dell'Onu in qualunque governo transitorio. E ieri Downing
street ha fatto sapere che sessantamila copie di una lettera indirizzata
personalmente da Blair al popolo iracheno verrà distribuita in questi
giorni. Nel testo del volantino (che comprende anche una foto del primo
ministro) si legge che «non appena il regime di Saddam Hussein cadrà,
comincerà il lavoro per costruire un Iraq libero e unito». Blair
continua dicendo che «Un Iraq pacifico e ricco sarà governato da e per
il popolo iracheno. Non dagli Stati uniti, non dalla Gran Bretagna, non
dalle Nazioni Unite - anche se tutti noi vi aiuteremo - ma da voi, il
popolo iracheno». Il piano di Blair è dunque questo: «Le forze della
coalizione renderanno il paese sicuro e lavoreranno con le Nazioni unite
per rimettere in piedi l'Iraq. Continueremo a fornire aiuti umanitari e
vi aiuteremo con progetti a lungo termine». Quindi una promessa: «Le
nostre truppe lasceranno il paese non appena possibile. Non rimarranno
nel vostro paese un giorno in più del necessario». Certo una lettera dai
toni assai diversi da quelli usati dall'amministrazione Bush che invece
ha già pronto il piano per un governo ad interim post Saddam Hussein
tutto targato Usa e che non ha nemmeno accennato ai tempi della sua
provvisorietà. In Kuwait sono già arrivati alcuni dei futuri componenti
di questo governo transitorio." [MAN]

" Il Congresso paga il conto di Bush
Stanziati gli 80 miliardi di dollari chiesti per «combattere e vincere
la guerra». Comminate le prime «punizioni»: le compagnie di Francia,
Germania e Russia bandite dai fondi della ricostruzione" [MAN]

"«La Siria è contro gli alleati»
Dal Qatar il generale Brooks accusa Damasco, Powell «ridimensiona».
Israele - impegnata in guerra nei Territori occupati - punta
sull'iniziativa militare contro Siria e Iran. Violenta protesta al Cairo
contro la guerra all'Iraq
MICHELE GIORGIO
GERUSALEMME
Gli Stati Uniti puntano di nuovo l'indice contro la Siria, che sostiene
il diritto alla resistenza del popolo iracheno. Ieri il portavoce del
Comando Centrale americano in Qatar, generale Richard Brooks, ha detto
che alcuni rapporti indicano che in Siria ci sono persone che «lavorano
contro la coalizione guidata dagli Usa». Un avvertimento molto chiaro.
La Siria pagherà cara la sua indifferenza verso coloro che aiutano
centinaia di volontari arabi ad entrare in Iraq per combattere le forze
di occupazione americane e britanniche. Qualche ora dopo Colin Powell
ha, in parte, ridimensionato l'ammonimento. «Sappiamo che hanno armi di
distruzione di massa, ma non cerchiamo guerre, il presidente Bush non è
alla ricerca di posti dove poter inviare le sue forze armate», ha detto
alla tv tedesca smentendo l'esistenza di piani militari contro Siria e
Iran. Smentite sono giunte anche da Tony Blair che a Bbc World ha detto
che gli Stati Uniti non hanno intenzione di attaccare Damasco e Teheran.
In contrasto, però, con le notizie e le indiscrezioni dei media
israeliani. Sinora Israele ha mantenuto un atteggiamento di basso
profilo ma, è noto, vedrebbe con favore l'apertura di nuovi fronti di
guerra o almeno l'inizio di pressioni più forti su Siria e Iran. Secondo
Haaretz, dopo l'Iraq gli Usa «affronteranno il problema» di altri regimi
«radicali» in Medio Oriente. Sarebbe questo il messaggio che il governo
Usa ha trasmesso a Israele nei giorni scorsi. Il giornale ha aggiunto
che Bush non nutre illusioni di un ritorno a un processo politico, ma
mira a una più «realistica» gestione del conflitto israelo-arabo. Per
questo in Israele hanno giudicato positivamente il discorso di Powell ai
ministri degli esteri europei, durante il quale ha affermato che la
«road map» (il piano per il Medio Oriente di Usa, Ue, Russia e Onu) non
può essere imposto alle parti. Significa che se Israele deciderà di
rifiutarlo allora verrà modificato o cestinato. La destra israeliana (e
non solo) in questa fase non pensa altro che ad incassare i benefici
della distruzione dell'Iraq da parte americana. Non ha alcuna intenzione
di riprendere il negoziato, ha già realizzato alcuni dei suoi sogni
storici: sconfitta dei palestinesi, mondo arabo ridimensionato e
bastonato, incapace di sottrarsi al controllo americano. Shalom
Yerushalmi ha scritto su Kol Hazman, l'inserto settimanale del
quotidiano Maariv, che il ministro delle finanze Benyamin Netanyahu si
attende risultati molto positivi della guerra e facendo due conti ha
stabilito che la probabile apertura dell'oleodotto tra l'Iraq e Haifa,
via Giordania, dopo la caduta di Saddam Hussein, farà delle raffinerie
di Haifa un punto strategico del Medio Oriente e darà la spinta alla
ripresa economica di Israele.

Il legame tra Washington e Tel Aviv si fa più stretto e ieri Maariv ha
scritto che gli americani hanno chiesto a Israele «suggerimenti» su come
combattere i kamikaze. Per il giornale il governo Sharon ritiene che la
comprensione di Washington e Londra per il pugno di ferro di Israele nei
Territori occupati palestinesi aumenterà alla luce della minaccia di
attacchi suicidi e agguati che le truppe di occupazione dovranno
affrontare in Iraq, e che gli Usa più che affidarsi all'esperienza che
fecero a Mogadiscio, preferiscono seguire i consigli di «esperti»
israeliani come il ministro della difesa Shaul Mofaz che nella sua
permanenza al «Washington Institute» offrì varie consulenze. Abbagliati
dal sogno di vittorie militari devastanti, americani, britannici e
israeliani non riescono ad immaginare le conseguenze dell'ingiustizia,
della frustrazione, della disperazione per milioni di palestinesi e
arabi, messi di fronte a un mondo dove il diritto internazionale non ha
più alcun valore.

Ieri è stata un'altra giornata di rabbia e manifestazioni contro
l'attacco all'Iraq. Delle due manifestazioni programmate al Cairo, una,
non autorizzata, alla moschea di Sayeda Aisha, è stata impedita con la
forza da migliaia di agenti di polizia che hanno arrestato 150 persone.
L'altra manifestazione, alla moschea di Al-Azhar, con circa 10 mila
persone, si é svolta nel tempio circondato da centinaia di poliziotti.
L'imam di Al-Azhar, Mohamed Sayed Tantawi, ha riaffermato «il diritto
del popolo iracheno alla resistenza contro l'occupazione». «L' Iraq come
la Palestina, i bambini e le donne di Najaf e Baghdad come quelli di
Jenin», sono stati gli slogan delle manifestazioni. Raduni e marce in
sostegno dell'Iraq si sono svolte anche in altre capitali arabe, come
Amman, e nei Territori occupati palestinesi. A Gaza city, Khan Yunis e
Nablus migliaia di persone hanno scandito slogan contro Usa e Gran
Bretagna. Ieri Israele ha annunciato di aver terminato «l'operazione»
nel campo profughi di Tulkarem dove oltre mille palestinesi erano stati
arrestati, caricati su autocarri e portati in altre località per
«consentire i rastrellamenti». Potranno ora tornare a casa ha assicurato
il portavoce militare." [MAN]

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