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[cronologie di guerra] 07.04.03 diciannovesimo giorno
by blicero Tuesday April 08, 2003 at 02:57 PM mail:  

[cronologie di guerra] 07.04.03 diciannovesimo giorno si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.


07 aprile 2003 : diciannovesimo giorno
[fonti : quotidiani del 8 aprile 2003]


"Bombe, missili e incursioni dei marines Battaglia nella capitale
irachena Case bombardate, decine di vittime Morti nelle strade, ospedali
nel caos Gli americani nei palazzi di Saddam Il regime: qui non c'è
alcun tank americano Inglesi a Bassora: «Ucciso Ali il chimico» Bush e
Blair trattano sulla conquista Gli Usa: i prigionieri li processiamo
noi" [MAN]

"Equivoci
Chi governerà l'Iraq: gli Usa, l'Onu, gli Usa con l'Onu, mezza Onu e
mezzi Usa? Mi avevano spiegato che la guerra serve per esportare la
democrazia e la democrazia significa che il popolo vota e sceglie il suo
governo. Non si erano spiegati loro o avevo capito male io? Deve esserci
stato un equivoco (jena)" [MAN]

"Si combatte nel cuore di Baghdad
I marines «conquistano» un palazzo di Saddam. Il ministro al-Sahaf: «Non
ci sono infedeli americani in città». Morti nove civili iracheni
M.M.
Altra giornata di scontri accaniti dentro Baghdad, mentre le truppe
anglo-americane controllano la maggior parte del resto dell'Iraq anche
se «sacche di resistenza» non consentono ancora di proclamare urbi et
orbi la «liberazione» del paese. Difficile carpire qualche piccola parte
di verità fra il cumulo di menzogne che le due parti sparano
quotidianamente nei loro bollettini di guerra. In ogni caso, anche se il
ministro dell'informazione iracheno Mohammed Seed al-Sahaf, nel fumo
degli incendi e nel rumore delle bombe, alza il tono e annuncia dalla
sua postazione al ministero dell'informazione di Baghdad, «la vittoria
sull'America», è del tutto evidente che intorno alla capitale - e quindi
al regime di Saddam - il cerchio si stringe. Il portavoce militare
inglese al Comando centrale del Qatar, il capitano Al Lockwood,
sparacchia a sua volta che «il regime è finito e la liberazione è
arrivata». Entrambi mentono, anche se non in eguale misura. Ma è
evidente che Saddam e i suoi sono sempre più alle strette, anche se è
meno evidente azzardare i tempi e i modi del crollo del suo regime.

Ieri uomini e mezzi americani - carri armati e caccia bombardieri -
hanno martellato Baghdad, dopo avere completato l'accerchiamento.
Scontri ravvicinati e scambi di artiglieria sono continuati per tutto il
giorno e la città ha vissuto la sua seconda notte di coprifuoco - dalle
18 alle 06 del mattino successivo. Gli americani hanno sfondato in varie
parti e sono riusciti a penetrare anche in altri due palazzi di Saddam,
fra quello della Repubblica, il principale. Su cui hanno issato anche la
bandiera a stelle e strisce posando per le fotografie di rito. Il
portavoce Usa al CentCom del Qatar, generale Brooks, ha affermato ieri
che il regime iracheno ha perso «una parte del controllo« di Baghdad.
Probabilmente è vero anche se il generale al-Sahaf sostiene il contrario
e ha poi ribattuto che «non ci sono infedeli americani a Baghdad» e ha
invitato i giornalisti stranieri a fare un (frettolosamente rientrato)
giro per la capitale così da verificare le sue affermazioni. La Tv
irachena ha mostrato ieri un'altra volta le immagini di un Saddam
sorridente e rilassato che presiedeva una riunione del vertice iracheno,
fra cui si riconoscevano il figlio Qusay, il vicepremier Tarek Aziz e il
vicepresidente Taha Yassin Ramadan (dati anch'essi più volte per morti o
feriti dalla contro-propaganda anglo-americana).

Adesso è il turno di un altro della «sporca dozzina» dell'entourage più
stretto di Saddam a essere dato per «probabilmente» morto. Si tratta del
generale Hassan al-Majeed, detto anche «Alì il chimico» in quanto
ritenuto l'uomo che nell'88 diede l'ordine di massacrare con il gas
nervino la popolazione civile kurda a Habalya: secondo informazioni date
dagli inglesi, che controllano Bassora, ci sono «forti indicazioni» che
sarebbe morto nell'attacco sulla grande città del sud.

Come per Baghdad, anche le altre città irachene conquistate nel corso
dell'avanzata dal sud sono date tutte per cadute, ma solo in parte,
nonostante l'infinità di offensive e attacchi finali (e l'annunciata
entrata in azione di 700 oppositori iracheni armati, portati dagli
americani in Kuwait). A Nasiriya, Nayaf, Karbala si segnalano ancora la
presenza di sacche di resistenza e di gruppi di fedayn che non si
arrendono, mentre la popolazione civile si ostina a non accogliere
ancora i «liberatori» con rose e fiori.

Nella capitale intensi combattimenti si sono registrati intorno
all'hotel al-Rashid, non lontano dal palazzo della Repubblica di Saddam
conquistato dai marines. Alcuni ministeri, quello dell'informazione,
degli esteri e della difesa, sono ancora sotto il controllo degli
iracheni. La resistenza viene data per accanita in certe zone - come in
alcuni ponti sul Tigri - o scarsa in altre zone.

Non si capisce se l'avanzata degli aggressori nel cuore di Baghdad sia
la spallata finale o sia solo, come sostengono ufficialmente, «una prova
di forza» - «simbolica», come la conquista dell'aeroporto e del palazzo
della Repubblica - così da asfissiare Saddam e il suo regime lentamente.

In ogni caso lo scontro è sempre più sanguinoso mano a mano che si
avvicina a quello che appare il suo punto finale. Sia per la popolazione
civile in fuga, sia per i combattenti. Domenica il micidiale e
precisissimo «fuoco amico» ha distrutto una colonna di peshmerga kurdi e
forze speciali americane nel nord e il convoglio che portava in Siria la
rappresentanza diplomatica russa (ieri, arrivato a Damasco,
l'ambasciatore Vladimir Titorenko, lui stesso lievemente ferito, ha
escluso che si sia trattato di un tragico errore e ha affermato che gli
americani hanno sparato «deliberatamente»).

Due giornalisti sono morti, uccisi da un missile iracheno cha ha colpito
un comando Usa una quindicina di km a sud di Baghdad. Julio Parrado, era
inviato del quotidiano spagnolo el Mundo, aveva 33 anni ed era figlio
dell'ex segretario di Izquierda unida Julio Anguita. Christian Liebig
era tedesco, inviato del settimanale Focus. Entrambi erano al seguito di
una divisione di marines fin dalla sua entrata dal Kuwait. Nella stessa
occasione sono morti anche due soldati americani. Missing anche due
giornalisti polacchi, Marcin Firlej e Jacek Kaczmarek, fermati da
«iracheni armati» a un check poin vicino a Hilla, 130 km a sud di
Baghdad. A Baghdad missing anche due medici di Medici senza frontiere.
Altri due marines sono morti negli scontri intorno a uno dei ponti sul
Tigri. E tre soldati inglesi nei combattimenti per la conquista di
Bassora. Aleno nove civili iracheni sono rimasti uccisi da un missile
americano caduto su el Mansur, sobborgo meridionale di Baghdad.

Non riportate, ma quantificate in «centinaia» dagli alleati, i morti
iracheni.

Sul fronte nord i peshmerga kurdi continuano la loro cauta avanzata
verso Mossul, bombardata quotidianamente dagli americani, e su Kirkuk.
Qualche chilometro al giorno, ma in attesa degli eventi. Perché c'è
sempre

, appostati dall'altra parte del confine, perdano la pazienza" [MAN]

"Sull'orlo della catastrofe
Baghdad divisa dall'occupazione. Un missile fa una strage nel quartiere
di Al Mansour. Situazione terribile negli ospedali senz'acqua e
medicinali. La gente fugge ha paura e fugge, o si rifugia nelle moschee
GIULIANA SGRENA
INVIATA A BAGHDAD
Ibombardamenti ci hanno abituati a non dormire la notte e domenica sera
i caccia che volavano bassi su di noi avevano anticipato l'allarme, ma
quello che è scoppiato ieri mattina al termine di una notte tormentata
anche da una tempesta di sabbia, poco prima delle 6, quando era ancora
buio, è stato un vero inferno. I colpi di cannone, le bombe, il fuoco e
il fumo che vedevamo sull'altra riva del Tigri, proprio dove il fiume fa
un' insenatura, lasciavano intendere che la battaglia per la conquista
di Baghdad era cominciata. Si sparava anche da questa parte del fiume e
i colpi rimbombavano persino sulle nostre pareti. Dai piani alti si
potevano vedere le sagome dei carri armati, due più un blindato. Erano
gli operatori con le telecamere a scoprire che erano americani, che
avanzavano sull'altra sponda del Tigri. Inseguivano gli irakeni, da qui
se ne sono visti qualche decina, alcuni si arrendevano e, nonostante
questo, secondo quanto mostrato da alcune riprese, due sono stati
freddati. Un'altra inquadratura invece mostrava un irakeno fatto
prigioniero. Altri sono scappati, alcuni buttandosi nel Tigri, mentre
gli americani sparavano loro addosso, nell'acqua. Per coprirsi la fuga,
gli irakeni - alcuni erano anche senza armi - hanno dato fuoco a un
deposito di petrolio che ha immediatamente offuscato tutto lo scenario
con una cortina di fumo che si è mischiata a una sorta di nebbia che era
scesa sul Tigri (o forse era l'inquinamento degli aerei?), rendendo
l'aria ancora più irrespirabile. Ieri, all'odore di petrolio si è
aggiunto quello della polvere da sparo, effetto dei bombardamenti. Nel
pomeriggio un cielo grigio, coperto da dense nubi, non permetteva
nemmeno di vedere i caccia che sentivamo sfrecciare sopra di noi,
numerosi.

Primo obiettivo degli americani: l'occupazione di uno dei palazzi di
Saddam, Al Sarjut, quello che si trova sulla riva del Tigri di fronte al
nostro albergo, e che ha su una delle porte di entrata una cupola d'oro.
Ma il palazzo era, naturalmente, vuoto.

Un abitante del quartiere Al Dora, nella zona meridionale della città,
ci ha raccontato di aver visto l'arrivo dei carri armati sulla strada di
Kerbala: erano coperti nella loro avanzata da F-16, F-18 e Apache che
hanno ingaggiato una feroce battaglia per sbaragliare le forze irakene
così da permettere ai tank di procedere verso il ponte Al Jadria,
passare vicino all'università di Baghdad e arrivare fino nel quartiere
che ospita i ministeri, ora parzialmente occupato dalle truppe
americane. Anche se da questa riva del fiume non si riesce a capire
l'entità delle forze americane presenti, si vedono solo due carri armati
che stazionano davanti al palazzo di Saddam. Il ministero
dell'informazione che, secondo la tv del Qatar Al Jazeera, sarebbe stato
occupato dagli americani, invece è ancora sotto il controllo irakeno.
Almeno ieri mattina lo era. Per dimostrarlo, dopo che il ministro
dell'informazione Mohammed Said Al Sahaf si era scagliato contro
l'emittente del Golfo accusandola di essere al servizio degli americani,
siamo stati portati sul posto dai funzionari del press center. Il
ministero, così come la stazione degli autobus e dei taxi ad Al Alwia
che portano fuori città, che pure ieri mattina veniva data da alcuni
media internazionali - al seguito delle truppe alleate - nelle mani
degli americani, invece non lo sono. Per verificarlo abbiamo dovuto
attraversare il ponte Rashid e avvicinarci all'omonimo hotel, senza però
riuscire a raggiungerlo, tutt'intorno abbiamo trovato i segni di una
pesante battaglia. Che sarebbe ripresa nel pomeriggio, quando i militari
hanno abbandonato le postazioni riconquistate la mattina.

A fine mattinata comunque giravano per la città strombazzando macchine
della polizia con la bandiera irakena e il ritratto di Saddam. Arrivati
davanti all'hotel Palestine, approfittando della presenza di centinaia
di giornalisti, hanno cominciato a sparare in aria decine di proiettili
per festeggiare la loro «vittoria», dicevano di aver danneggiato 14
carri armati americani e di aver combattuto senza nessuna protezione,
mentre inneggiavano al rais: «Bush ascoltaci, noi amiamo Saddam», prima
di concludere con un «Allah Akbar», Dio è grande.

La presenza americana - noi però gli americani non li abbiamo ancora
visti in faccia, abbiamo solo osservato le loro sagome su scala
ridottissima al di là del fiume - è ancora limitata e riguarda la riva
destra del fiume. Dalla stessa parte in cui si trova anche il quartiere
presidenziale Al Mansour dove ieri pomeriggio, sulla via principale,
piena di negozi ora chiusi, è stato lanciato un missile contro un
edificio. Quattro le case completamente distrutte, compreso il
ristorante Assadaha, spesso frequentato anche dai giornalisti. Il
missile ha lasciato un cratere enorme, profondo dieci metri. Le vittime
rimaste sepolte sotto il cumulo di macerie sono almeno nove, diversi i
feriti. E non si può certo parlare di un errore.

Non si tratta delle prime vittime civili provocate dall'invasione
americana di Baghdad, di alcune abbiamo già parlato così come di altre
abitazioni distrutte proprio nello stesso quartiere Al Mansour,
particolarmente bersagliato. Altre vittime sono delle ultime ore, alcune
sono ricoverate nell'ospedale Al Kindy. Militari e civili, il numero dei
feriti è impressionante anche se è difficile avere delle cifre, nemmeno
la Croce rossa riesce a tenere il conto. Ma le condizioni in cui versa
l'ospedale sono «terribili», secondo la descrizione di alcuni
rappresentanti del Comitato internazionale della Croce rossa che vi
hanno avuto accesso. Medici e infermieri lavorano ininterrottamente da
24 ore e sono esausti. Manca peraltro materiale chirurgico e anestetici.
Gli ospedali rischiano il collasso. La mancanza di elettricità e, di
conseguenza, di acqua rende la situazione drammatica: finora si è
supplito con l'utilizzo dei generatori, molti dei quali sono stati
forniti proprio dalla Croce rossa. Mentre il «Ponte per Baghdad» ne ha
forniti agli ospedali di Bassora. Ma se l'affluenza dovesse continuare a
questi ritmi, ed è probabile che con la battaglia per l'occupazione di
Baghdad sia destinata ad aumentare, e notevolmente, la catastrofe è
assicurata.

Gli americani hanno messo piede a Baghdad anche se non è ancora chiaro
se intendono rimanerci e avanzare oppure fermarsi e poi riprendere
l'avanzata. Comunque la popolazione è spaventata. Ieri mattina la città
sembrava tramortita: ancora più spettrale del solito, strade vuote,
l'unica presenza era quella dei militari, dei miliziani del partito
Baath e qualche giovane in borghese con kalashnikov. Per la strada
autoambulanze, macchine della polizia e autobotti dei pompieri, gli
autobus e le vetture sono sempre più rare e anche i taxi. Negozi tutti
chiusi, non siamo riusciti nemmeno a trovare del pane, il forno era
aperto ma il pane era andato a ruba. Anche le farmacie sono chiuse e
comunque vendevano ormai solo Valium e altri tranquillanti, persino per
i bambini. Ai distributori di benzina si formano le code per gli ultimi
rifornimenti. La gente ha paura e scappa, con ogni mezzo, anche a piedi,
con poche cose, spesso solo con un fagotto in testa. E chi non scappa si
rifugia nelle moschee. Particolarmente affollata la più grande moschea
sciita di Baghdad, quella di Al Khadimiya. «Allah Akbar», gridano tutti,
fedeli e combattenti, che hanno optato per il Jihad, la guerra santa. "
[MAN]

"Bassora, né festa né ostilità
I parà britannici girano nella città vecchia, a piedi. Solo in una
piccola zona resta una resistenza dei miliziani, già uccisi a decine.
MARINA FORTI
Sono entrati nelle viuzze della città vecchia, di primo pomeriggio:
circa 700 parà britannici, con armi leggere e appiedati, coperti da
elicotteri Cobra americani che sorvolavano a bassa quota. Ma non hanno
avuto bisogno di sparare un solo colpo, non hanno trovato opposizione
nel centro di Bassora. La 7a divisione corazzata britannica ormai
controlla quasi per intero la seconda città irachena, le diverse fonti
concordano. Sono arrivati allo Shatt el-Arab. Sono entrati nel palazzo
presidenziale, costruzione imponente sulle rive del fiume, che avevano
cannoneggiato in precedenza: l'hanno trovato perfettamente vuoto. Il
luogotenente-colonnello Hugh Blackman ha affermato alla France Presse
che «tra 70 e 80% della città sono ormai sicuri». Secondo il
corrispondente della tv satellitare araba Al Jazeera appena il 20% della
città resta sotto controllo di forze irachene che stanno opponendo una
certa resistenza: le notizie coincidono. Secondo il militare britannico,
in totale 4.000 soldati, 200 carrarmati e alcune centinaia di blindati
leggeri hanno preso posizione in città. Blackman afferma che «un punto
problematico» è stato l'Università, al cui interno erano asseragliati
miliziani iracheni: là c'è stata nbattaglia, e i giornalisti dell'Afp
podo hanno visto decine di cadaveri di miliziani in abiti mezzo militari
mezzo civili, con kalashnikov e lanciagranate. Un altro «punto
problematico», espugnato già domenica, è un grande complesso scolastico
accanto alla strada che va verso la periferia sud: ieri una colonna di
blindati con la Croce rossa sono andati a prelevare i corpi dei Fedayyin
Saddam che vi hanno trovato la morte («li abbiamo neutralizzati», dice
alla Reuter il maggiore Chris Brannigan dei Reali Dragoni Scozzesi,
parte della 7a brigata). Non ci sono notizie precise sul numero di
miliziani iracheni «neutralizzati» nella presa di Bassora.

«Come un film western»

Le immagini riprese dalle tv al seguito dei mezzi militari nostrano
passanti che salutano mentre le truppe avanzano in città. Salutano senza
interrompere le proprie faccende: chi trasporta un frigorifero, chi un
ventilatore a pale, scatoloni, roba sottratta a magazzini e sedi di
partito. Il traffico è ripreso, e il vai e vieni per andare a procurare
provviste fresche in campagna.

In Bassora, la scena descritta ieri dai diversi reporter è di una città
sospettosa, incerta, ma tranquilla. Ogni incrocio è controllato da
almeno un carrarmato, ma nella città vecchia i militari erano a capo
scoperto, senza elmetti (questione d'immagine: devono «conquistare i
cuori e le menti» della popolazione, ripetono ogni giorno i portavoce
militari). La Reuter parla di un'accoglienza tiepida. Al Jazeera ripete
che non ci sono dimostrazioni di gioia e neppure ostilità. L'agenzia
britannica descrive ragazzini eccitati «come se guardassero un film di
guerra western». Dietro, uomini, anziani, donne avvolte in scialli neri
guardano i soldati con aria grave, tra le strade impoverite della città.
«Pongono domande da cui traspare tutta la frustrazione della guerra:
`che genere di liberazione è questa? Non abbiamo elettricità. le scuole
sono schiuse. le banche sono chiuse. Non abbiamo acqua'».

Domenica un ragazzo era arrivato ferito, sul retro di un furgoncino, a
uno dei posti di blocco delle truppe britanniche fuori città: mentre lui
e i cugini se ne stavano andando da un quertiere zona di combattimenti i
miliziani gli hanno sparato, dice, per costringerli a restare e
combattere. Scene del genere si sono ripetute. Molti cittadini
stramaledicono i miliziani che si piazzano nelle loro case, attirandogli
addosso il fuoco britannico.

Ma lo lo scetticismo resta forte. «Nessuno parla davvero perché tutti
hanno paura», dice un uomo citato sempre dalla Reuter: «Gente come
Saddam è arrivata al potere ammazzando gente in silenzio e comprando
altri. E' la nostra vita, non ci fidiamo. Non mi fido neanche di voi».
Commenti amari. «Cosa succede ora, senza governo? Chi ripetterà in
funzione l'acqua e gli ospedali?». «Siamo contenti che siano arrivati (i
britannici), ma non ci piace come hanno fatto. Ci hanno tolto
l'elettricità e i telefoni», dice un guidatore di taxi citato sempre
dalla Reuter. Sono simili le interviste volanti raccolte dal
corrispondente di Al Jazeera: «Sono contento che siano entrati», «Che il
regime sia finito va bene. Ma non vogliamo un'occupazione straniera».

Bassora è presa, o quasi, ma dove sono i gerarchi del regime? Ieri
mattina fonti britanniche affermavano di aver trovato il corpo di Ali
Hasan al-Majid, cugino di Saddam Hussein e governatore della regione
militare meridionale: detto Ali il chimico per aver ordinato l'attacco
contro villaggi kurdi nel 1988 con gas letali.

Dov'è Ali «il chimico»?

La sua villa era stata bombardata sabato, tra le vittime era stata
riconosciuta una sua guardia del corpo. Ma poi nel pomeriggio il
portavoce del Comando centrale ha rifiutato di commentare: non abbiamo
elementi per affermare che al Majid sia stato ucciso.

Pochi rimpiangeranno il regime del Baath a Bassora, ma cosa succede ora?
Ci sarà un governatore militare britannico? Nessuna voce di riferimento
si è ancora fatta sentire, tra le forze organizzate sciita - né un imam,
né una qualche autorità morale o politica. Da Tehran un portavoce del
Supremo consiglio della rivoluzione islamica in Iraq (Sciri) afferma che
il leader del movimento, ayatollah Mohammad Bakr al-Haqim, ha deciso di
tornare a casa dopo 23 anni di esilio. Non ha annunciato date. Lo Sciri
aveva accettato di partecipare alle riunioni dell'opposizione irachena
organizzate all'inizio dell'anno con l'inviato dell'aministrazione Usa
Zalmay Khalilzad. Ma va ripetendo che non accetterà un governo
d'occupazione." [MAN]

"ARMI CHIMICHE
Iraq, George Bush l'alchimista
Gli Usa: trovate ogive al sarin. No «sono pesticidi»
TOMMASO DI FRANCESCO
Sulle presunte «armi chimiche di distruzione di massa», volevano fare
proprio il colpo grosso ieri gli americani, nello stesso giorno della
morte annunciata a Bassora - ma ancora non verificata - di Ali Hassan Al
Majid, «Ali il chimico», responsabile della strage di kurdi gasati ad
Halabja nel 19988 e cugino di Saddam Hussein; e nello stesso giorno in
cui l'esercito inglese invece ha dato ordine ai suoi militari di
dismettere le tute anti-guerra chimica perché «l'allarme era cessato». E
invece niente: queste maledette armi, che poi sono «semplicemente» il
motivo della guerra unilaterale anglomaericana contro l'Iraq, non si
trovano. Anzi. In mattinata i servizi segreti delle forze armate Usa
avevano infatti annunciato la «scoperta» a Chilcote, vicino Baghdad, di
circa 20 missili Bm-21 a media gittata, «provvisti di testate contenenti
due micidiali aggressivi chimici, il sarin e l'iprite», «pronti per il
lancio». A scoprire i missili sarebbero stati i fanti da sbarco Usa
della 101ma Divisione aviotrasportata, che ha accelerato l'avanzata
sulla capitale dopo la conquista dell'aeroporto.

Invece, in tarda serata, è arrivata l'ennesima smentita: non erano armi
chimiche di distruzione di massa, ma probabilmente sostanze pesticide
quelle rinvenute dalle forze americane a Chilcote. Lo ha indicato il
generale Benjamin Freakly intervistato dall'emittente tv satellitare
Cnn. Freakly ha chiarito che, sebbene gli esami fatti in un primo
momento avessero alimentato il sospetto del rinvenimento di composti per
la guerra chimica, test ripetuti hanno dato esito «negativo». Hanno anzi
mostrato «bassi tassi» di presenza di elementi che fanno pensare, ha
insistito Freakly, a materiale industriale, forse anche legato a vernici
o altri materiali tipici del settore edile. Pare che il sospetto fosse
stato avvalorate da malori accusati da 13 soldati arrivati al sito di
Chilcote. Ma era solo affaticamento e disidratazione, con «arrossamento
della pelle» risultato poi «uno sfogo da caldo». Poverini! Altra sorte è
toccata ai soldati iracheni letteralmente inceneriti dalle bombe
sganciate dai «coraggiosi» cacciabombardieri americani.

Insomma, le armi di distruzione di massa non si trovano. Ma prima o poi,
va da sé che le «troveranno».

Per questo, facendo infuriare i capo-ispettori Blix e El Baradei che
hanno rivendicato di essere i soli legittimati a farlo - ma chi si
ricorda più di loro? - l'Amministrazione Usa ha deciso di appaltare la
ricerca delle armi di distruzione di massa in Iraq ad una ditta privata
che, incredibile a dirsi, ha assunto - se li sono comprati, visto che
con l'Onu non trovavano quello che Bush voleva - proprio alcuni
ispettori della missione Unmovic. Nessun timore dunque. Prima o poi le
troveranno."[MAN]

"Gli Usa: processo ai prigionieri? Sarà affar nostro
Gli Stati uniti processeranno direttamente gli iracheni accusati di
crimini di guerra, senza consegnarli ai tribunali internazionali.
Ritengono infatti di «avere il diritto e la sovranità per agire contro
gli abusi perpetrati dagli iracheni, compresi quelli contro il personale
americano». E il discorso è diretto in primo luogo a Saddam Hussein e ai
suoi figli. Lo stesso diritto viene riconosciuto agli alleati della
coalizione. L'annuncio è venuto ieri da funzionari del Pentagono e del
Dipartimento di stato, una volta tanto all'unisono. W. Hays Parks,
assistente speciale dell'Avvocato generale dell'esercito, ha parlato di
commissioni militari Usa, di corti marziali o di tribunali civili
federali come entità giudicanti. E ha già accusato il governo iracheno
di tre specifiche violazioni della Convenzione di Ginevra e delle leggi
di guerra a questa collegate.

Pierre Richard Prosper, ambasciatore per i crimini di guerra, ha detto
che le pene andranno dal carcere alla pena di morte. «Siamo convinti che
non sia necessario rivolgersi a un tribunale internazionale per gli
abusi commessi dagli iracheni» ha aggiunto il diplomatico, secondo il
quale l'unica istituzione esistente, la Corte penale internazionale non
ha la giurisdizione necessaria perché non è riconosciuta dagli Usa e
neppure dall'Iraq.

«Abbiamo già cominciato a catalogare i numerosi abusi, passati e
presenti, commessi dal regime iracheno» ha continuato Prosper «Le nostre
truppe hanno ricevuto il compito aggiuntivo di trovare e preservare la
documentazione sui crimini di guerra e sulle atrocità che riusciranno a
scoprire». Per la prima volta, dunque, anche dei soldati inquirenti. A
domanda in proposito, è stato risposto che non ci sono piani per mandare
anche i nuovi prigionieri a Guantanamo. " [MAN]

"KUWEIT
Chalabi, l'agente americano
Le «forze dell'Iraq libero» a Nasiriya, prove di regime
MA.FO.
Gli abiti del combattente sembrano improbabili addosso a Ahmad Chalabi,
l'ex banchiere discendente di una ricca famiglia sciita irachena
accreditato a Washington come oppositore di Saddam Hussein. Eppure è
proprio nelle vesti di condottiero che Chalabi è arrivato domenica a
Nasiriya, nell'Iraq meridionale. La notizia viene da Kuweit City e da
Washington. Secondo il quotidiano arabo Asharq al Ausat Chalabi è
arrivato a Nasiriya con un centinaio o due di reclute della Free Iraqi
Forces, «Forze dell'Iraq libero», uomini reclutati dagli Stati uniti tra
emigranti ed exilés iracheni (addestrati nei mesi scorsi in un apposito
centro in Ungheria). AWashington un comunicato del Congresso Nazionale
Iracheno (Cni, la sigla creata da Chalabi) afferma invece che si tratta
di 700 combattenti. Precisa che serviranno sotto il comando del generale
Tommy Franks, comandante in capo delle forze Usa, e «aiuteranno a
sconfiggere le forze residue» del regime. «Parteciperanno anche alla
distribuzione di aiuti umanitari agli iracheni e a mantenere legge e
ordine nelle zone già liberate». La portavoce del Cni afferma che già
«la gente di Nasiriya accorre presso il contingente del Cni a chiedere
di ripristinare pubblici servizi come l'acqua o l'elettricità». Se è
vero, vorrà dire che i cittadini iracheni hanno percepito questo
messaggio: i militari americani sono il nuovo potere e questi signori
sono i loro agenti di tramite, così tocca rivolgersi a loro.

La presenza di Chalabi nell'Iraq meridionale potrebbe anche dare
un'indicazione sul prevalere dei progetti del Pentagono su quelli del
Dipartimento di Stato Usa sul corso dell'immediato dopoguerra. L'ex
banchiere ha avuto una relazione travagliata con Washington. Chalabi,
già condannato in contumacia negli anni `80 in Giordania per frode
bancaria e storno di fondi, non ha mai avuto nessuna base politica in
Iraq. Perfetto sconosciuto fino al '91, dopo l'invasione irachena in
Kuweit aveva trovato ascolto presso alcuni senatori repubblicani, tra
cui Richard Perle, e nel `92 ha fondato il Congresso nazionale iracheno.
Nel loro libro L'enigma Saddam Hussein (1999), Andrew e Patrick Cockburn
sostengono con molti dettagli che Chalabi allora fu reclutato dalla Cia.
A metà degli anni `90 però aveva perso credibilità (tra l'altro
sospettato di aver intascato parte dei fondi versati dalla Cia al Cni: e
la cosa si è ripetuta, pochi mesi fa è stato di nuovo messo in questione
per l'uso di 4,3 milioni di dollari di un nuovo aiuto finanziario
accordato al Cni). Con l'amministrazione Bush, sono stati i falchi del
Pentagono a «recuperarlo», dopo che Richard Perle l'ha introdotto presso
il vicesegretario alla difesa Paul Wolfowitz. La sua credibilità presso
la Cia resta bassa. E quella presso gli iracheni è zero. " [MAN]

"La guerra parallela dell'informazione
Gli obiettivi «politici» dell'incursione Usa a Baghdad, la paura dello
scontro casa per casa, le stranezze irachene
FRANCESCO PATERNO'
Lo show bellico dato ieri mattina dagli americani nel cuore di Baghdad è
stato più mirato - e probabilmente molto più efficace - di qualsiasi
arma intelligente. Perché fa parte di quella guerra dell'informazione
che, almeno dal conflitto del Golfo del 1991, ogni esercito sa di dover
condurre parallelamente a quella sui campi di battaglia. Ormai
l'informazione crea la realtà, modifica il consenso e influenza le
decisioni sia per chi attacca sia per chi difende. La propaganda è la
vera arma segreta del nostro tempo. L'incursione americana alla luce del
sole potrebbe avere avuto diversi obiettivi.

1) Paradossalmente, il primo messaggio di forza non è stato tanto per
l'esercito iracheno o per la Guardia Repubblicana. Le truppe regolari di
Saddam Hussein non sembrano avere opposto una resistenza davvero tenace
di fronte all'accelerazione del conflitto imposta dagli americani
nell'ultima settimana. Questo per una sproporzione di mezzi che però ha
fatto il paio con strani eventi, strategicamente rilevanti quanto per
ora inspiegati: l'avanzata degli Abrams sui ponti del Tigri e
dell'Eufrate ha avuto un vero stop soltanto quando uno di questi ha
ceduto sotto il peso del mezzo. In una guerra che parte delle forze
irachene ha trasformato in guerriglia, non si è avuta notizia di un
ponte fatto saltare per rallentare l'avanzata nemica. Né parrebbe che le
piste del principale aeroporto di Baghdad siano state minate a dovere,
se è vero che un C-130 è atterrato l'altro ieri, cioè poco dopo la presa
dell'area da parte degli americani. E né (sempre che la notizia sia
vera) si permettono decolli e atterraggi se nel raggio di diversi
chilometri non si ha la certezza che il nemico sia cancellato; non sono
necessarie tecnologie sofisticate per tirare giù un aereo da trasporto a
bassa quota. 2) La dimostrazione di forza americana dentro Baghdad
dovrebbe dunque avere avuto come destinatari le truppe irregolari di
Saddam Hussein - forse più disposte a morire per il regime di quanto
siano i soldati - e soprattutto lo stretto entourage politico-militare
che circonda ancora il rais. Perché la speranza del Pentagono è sempre
la stessa, coltivata dal primo giorno di guerra: un tradimento, una
fuga, una delazione ai danni di Saddam. E una capitolazione negoziata
con un «nuovo» vertice. 3) L'incursione americana è efficace (dal loro
punto di vista) perché mostra forza e nasconde il fatto che la
coalizione non ha in realtà ancora i numeri per circondare e controllare
davvero una città enorme. Anche senza doversi battere con intere
divisioni irachene, ognuna delle quali viene stimata forte di 8000
uomini, gli americani rifuggono il combattimento casa per casa, troppo
rischioso per le proprie truppe e politicamente pericoloso perché
allungherebbe inevitabilmente i tempi della guerra, rendendola più
impopolare di quanto dicano i sondaggi. 4) I marines che filmano i
palazzi vuoti di Saddam hanno un effetto di relazioni esterne sul mondo
mediatico di grande impatto. La guerra sta per finire - no, non è vero
frenano i generali dal comando centrale e da Washington - e mentre ci si
interroga sul senso di questi stop and go, intanto lo si fa un po'
credere e le borse risalgono, il clima di attenzione forse un po' cala e
il missile che cade sui civili fa meno notizia. Torniamo
all'informazione che crea la realtà. In fondo anche Saddam Hussein ci
prova, con continue apparizioni televisive: solo che la maggior parte
degli abitanti di Baghdad non ha più l'elettricità per vederlo.

Fin qui i possibili obiettivi dell'incursione americana dentro Baghdad.
Ma la guerra dell'informazione ha tanti buchi difficilmente riempibili
sia dai 600 giornalisti embedded, cioè aggregati con le truppe, sia da
chi sta a Baghdad o dai free lance in giro per l'Iraq. Quanti sono stati
finora, per esempio, i soldati iracheni uccisi in battaglia? Saddam tace
per motivi ovvi, il Pentagono fa sapere circa 2300 - benché poi parli di
«divisioni annientate». L'altro giorno il Financial Times ha aperto del
«fuoco amico» su come gli embedded stanno raccontando la guerra, così
influenzati - dice il quotidiano inglese - da quel che i comandi
militari dicono o vogliono sapere da incappare in «notizie» cancellate
nel giro di poche ore. Un giudizio che probabilmente può essere agitato
in qualsiasi guerra moderna, tale è l'attenzione che gli strateghi
militari dedicano ormai allla gestione dei media sul campo di battaglia
e oltre. Ma le maglie, per fortuna, non sono ancora chiuse. E' stato un
giornalista a raccontare una strage di civili iracheni da parte dei
marines, impegnati poi a nascondere l'avvenimento. Uno del Washington
Post, un quotidiano schierato a favore della guerra." [MAN]

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