Il dramma delle nigeriane
Arrivano in aereo da Cagliari il 19 febbraio 2002.
Sono cinquantuno donne fermate in diverse localita' della Sardegna durante un blitz anti-prostituzione disposto dal Ministero degli Interni. Sono quasi tutte nigeriane; solo due sono albanesi.
Vengono portate al Vulpitta, svuotato per l'occasione. Il centro fino ad allora, a parte un brevissimo periodo dopo l'apertura, non aveva mai ospitato donne.
Chiediamo di poterle incontrare per conoscere le loro condizioni di salute, il modo in cui vengono trattenute, le loro storie, ma soprattutto per poterle informare della possibilitą di chiedere protezione sociale: se decidono di uscire dal giro della prostituzione, infatti, in base all'art.18 del Testo Unico sull'immigrazione, hanno diritto ad un permesso di soggiorno.
Molte di loro arrivano in Italia credendo di poter lavorare come colf o come commesse; invece vengono costrette a prostituirsi per pagare il debito contratto con i trafficanti che puo' raggiungere anche gli ottanta milioni di lire. Queste donne, inoltre, se rimpatriate, rischiano la lapidazione, in ogni caso non viene loro permesso di risiedere nei propri villaggi; se affette da HIV vengono segregate e lasciate morire; nel migliore dei casi vengono rivendute ai trafficanti e dopo pochi mesi tornano sui marciapiedi italiani.
Malgrado le nostre pressioni, a causa di precise disposizioni ministeriali, non ci viene permesso di incontrarle. Possiamo comunicare con loro solamente attraverso il telefono.
Inizialmente sono molto diffidenti, ci credono poliziotti, usano tutte lo stesso nome: Stefania. Riusciamo a tranquillizzarle e finalmente accettano di parlare: si lamentano delle condizioni in cui sono trattenute al centro, del freddo delle celle, del cibo distribuito, per vari giorni solo panini, che si rifiutano di mangiare.
Sono arrabbiate perche' vogliono uscire da li', tornare nelle loro case in Sardegna; ma anche allegre: al telefono sentiamo le loro risa e i loro canti.
Il 28 febbraio trentaquattro di loro vengono messe su un pullman e portate a Roma per essere rimpatriate insieme ad altre centoventisei donne provenienti da Milano.
Le ragazze rimaste al Vulpitta, che hanno fatto richiesta di asilo politico, non sembrano piu' molto combattive, non hanno voglia di parlare, qualcuna piange.
Le incontriamo, finalmente, il 1 marzo, appena uscite dal centro, e scopriamo che una Stefania esiste veramente; con loro hanno valigie enormi; ci chiedono informazioni sui treni per Palermo e sulla nave per Cagliari.
Tranne una: lei ha solo un sacchetto con poche cose e, ci dice, in Sardegna non ha una casa ne' qualcuno da cui tornare. Ha schifo della vita che ha fatto, vuole restare qui e vuole trovare un lavoro. Ci chiede se possiamo aiutarla.
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