Indymedia e' un collettivo di organizzazioni, centri sociali, radio, media, giornalisti, videomaker che offre una copertura degli eventi italiani indipendente dall'informazione istituzionale e commerciale e dalle organizzazioni politiche.
toolbar di navigazione
toolbar di navigazione home | chi siamo · contatti · aiuto · partecipa | pubblica | agenda · forum · newswire · archivi | cerca · traduzioni · xml | classic toolbar di navigazione old style toolbarr di navigazione old style toolbarr di navigazione Versione solo testo toolbar di navigazione
Campagne

CD GE2001 - un'idea di Supporto Legale per raccogliere fondi sufficienti a finanziare la Segreteria Legale del Genoa Legal Forum


IMC Italia
Ultime features in categoria
[biowar] La sindrome di Quirra
[sardegna] Ripensare Indymedia
[lombardia] AgainstTheirPeace
[lombardia] ((( i )))
[lombardia] Sentenza 11 Marzo
[calabria] Processo al Sud Ribelle
[guerreglobali] Raid israeliani su Gaza
[guerreglobali] Barricate e morte a Oaxaca
[roma] Superwalter
[napoli] repressione a Benevento
[piemunt] Rbo cambia sede
[economie] il sangue di roma
Archivio completo delle feature »
toolbarr di navigazione
IMC Locali
Abruzzo
Bologna
Calabria
Genova
Lombardia
Napoli
Nordest
Puglia
Roma
Sardegna
Sicilia
Piemonte
Toscana
Umbria
toolbar di navigazione
Categorie
Antifa
Antimafie
Antipro
Culture
Carcere
Dicono di noi
Diritti digitali
Ecologie
Economie/Lavoro
Guerre globali
Mediascape
Migranti/Cittadinanza
Repressione/Controllo
Saperi/Filosofie
Sex & Gender
Psiche
toolbar di navigazione
Dossier
Sicurezza e privacy in rete
Euskadi: le liberta' negate
Antenna Sicilia: di chi e' l'informazione
Diritti Umani in Pakistan
CPT - Storie di un lager
Antifa - destra romana
Scarceranda
Tecniche di disinformazione
Palestina
Argentina
Karachaganak
La sindrome di Quirra
toolbar di navigazione
Autoproduzioni

Video
Radio
Print
Strumenti

Network

www.indymedia.org

Projects
oceania
print
radio
satellite tv
video

Africa
ambazonia
canarias
estrecho / madiaq
nigeria
south africa

Canada
alberta
hamilton
maritimes
montreal
ontario
ottawa
quebec
thunder bay
vancouver
victoria
windsor
winnipeg

East Asia
japan
manila
qc

Europe
andorra
antwerp
athens
austria
barcelona
belgium
belgrade
bristol
croatia
cyprus
estrecho / madiaq
euskal herria
galiza
germany
hungary
ireland
istanbul
italy
la plana
liege
lille
madrid
nantes
netherlands
nice
norway
oost-vlaanderen
paris
poland
portugal
prague
russia
sweden
switzerland
thessaloniki
united kingdom
west vlaanderen

Latin America
argentina
bolivia
brasil
chiapas
chile
colombia
ecuador
mexico
peru
puerto rico
qollasuyu
rosario
sonora
tijuana
uruguay

Oceania
adelaide
aotearoa
brisbane
jakarta
manila
melbourne
perth
qc
sydney

South Asia
india
mumbai

United States
arizona
arkansas
atlanta
austin
baltimore
boston
buffalo
charlottesville
chicago
cleveland
colorado
danbury, ct
dc
hawaii
houston
idaho
ithaca
la
madison
maine
michigan
milwaukee
minneapolis/st. paul
new hampshire
new jersey
new mexico
new orleans
north carolina
north texas
ny capital
nyc
oklahoma
philadelphia
pittsburgh
portland
richmond
rochester
rogue valley
san diego
san francisco
san francisco bay area
santa cruz, ca
seattle
st louis
tallahassee-red hills
tennessee
urbana-champaign
utah
vermont
western mass

West Asia
beirut
israel
palestine

Process
discussion
fbi/legal updates
indymedia faq
mailing lists
process & imc docs
tech
volunteer
- guerreglobali -
[Cronologie di guerra] 09.04.03 ventunesimo giorno di guerra
by blicero Sunday April 13, 2003 at 04:37 PM mail:  

[Cronologie di guerra] 09.04.03 ventunesimo giorno di guerra si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.

09 aprile 2003 : ventunesimo giorno
[fonti : quotidiani del 10 aprile 2003]

"Baghdad è caduta, le truppe Usa occupano la città Il regime iracheno sparisce, mistero sulla sorte di Saddam Abbattuta la statua-simbolo, saccheggi nelle strade Cautela dei comandi militari: «Non è ancora finita» Cheney scatenato: «L'Iraq è nostro» Dopo 20 giorni e migliaia di morti civili e militari" [MAN]

"Il gran giorno: la liberazione americana di Baghdad
Si aspettava una guerra lunga, ma ieri la resistenza irachena svanisce e i marines arrivano in centro senza colpo ferire, grazie forse a un accordo con la Guardia repubblicana. Bandiera Usa sulla statua di Saddam, poi abbattuta. E la popolazione fa festa
M.M.
Quando alle 12 e 32 di ieri, le 14 e 32 in Italia, i carri armati americani sono arrivati alla piazza al-Fardus e si sono piazzati davanti all'hotel Palestina che martedì avevano bombardato senza pensarci su e senza scusarsi, si è capito che la battaglia di Baghdad era finita. Solo 24 ore prima sembrava che le truppe Usa fossero di fronte a un'ancora lunga e sporca guerra quartiere per quartiere, casa per casa, tanto che per tutta la notte avevano continuato a bombardare la città dagli aerei e dai carri armati, e gli iracheni avevano continuato a opporre resistenza.

Alle prime luci dell'alba echeggiavano ancora i colpi. Poi, come d'incanto, più nulla. La resistenza irachena svanita. Secondo al Jazeera, che ha citato fonti dei servizi segreti russi, la Guardia repubblicana avrebbe raggiuno un accordo con gli anglo-americani per la resa di Baghdad in cambio della libertà. Un accordo che avrebbe compreso anche, soprattutto, la fuga di Saddam Hussein.

Poco prima delle 7 di ieri mattina i giornalisti della Bbc dalla città segnalavno che per la prima volta dall'inizio dell'attacco anglo-americano, potevano muoversi liberamente (ancorché pericolosamente) per vie e piazze del centro, fra carcasse fumanti e cadaveri sparsi, senza avere più al fianco gli angeli custodi iracheni. Scomparsi, come i combattenti iracheni.

Un altro segnale di conferma veniva un'ora più tardi, poco dopo le otto, quando gli abitanti di Baghdad hanno cominciato a saccheggiare tutto quello che gli capitava sotto mano - a cominciare dalla sede dell'Onu e dall'edificio del Comitato olimpico, il cui capo era Uday Hussein, figlio maggiore del Rais - senza che ci fosse segno di uniformi dell'esercito o della polizia nelle strade.

Infine la conferma definitiva: centinaia di persone che salutavano e applaudivano i carri dei marines che avanzavano da est verso il centro di Baghdad, gridando slogan per i «liberatori» e contro «il tiranno».

A quel punto gli unici scambi a fuoco sembra siano stati fra i saccheggiatori iracheni e i proprietari iracheni dei negozi presi d'assalto che difendevano le loro cose.

Dal Comando centrale del Qatar, il portavoce militare britannico, capitano Lockwood, cercava di calmare gli entusiasmi dicendo che «era ancora troppo presto per affermare che il regime iracheno era crollato». Idem il portavoce militare americano, capitano Torpe, che consigliava la cautela perché «potrebbero esserci ancora giorni di combattimenti a venire».

In realtà, nonostante qualche sporadica sacca di resistenza qua e là, ma più ad opera delle milizie del Baath e dei Fedayn che di una Guardia repubblicana tanto temuta quanto vanificata, le colonne dei tank Usa alle 10 e mezzo prendevano già posizione intorno alla piazza Tahir, nel centro di Baghdad, sulla sponda orientale del Tigri.

I «liberatori» avanzavano senza problemi da ogni lato: da ovest, da est, dal sud-est, dal nord-est. Passando sui ponti che non sono stati minati. Senza traccia di quelle armi chimiche che erano servite da pretesto per scatenare l'aggressione e che si temeva Saddam, nel momento in cui si fosse trovato con le spalle al muro, avrebbe usato. Su entrambe le sponde del Tigri, verso il cuore fumante di Baghdad che giace fra le due rive del fiume.

Alle 12 e 32 le colonne americane sono arrivate a piazza al-Fardus. Davanti agli occhi delle centinaia di giornalisti ancora spaventati e malconci (anche quelli sopravissuti) dopo il tiro al bersaglio di martedì, e a centinaia di baghdadis che gridavano la loro felicità ai «liberatori» e alla «libertà» o almeno alla caduta del tiranno. Il bersaglio più ovvio era l'immensa statua imperiale alta 7 metri di Saddam, al centro della piazza. Inaugurata due anni fa in occasione dei 65 anni del Rais. Da soli i baghdadis non ce la facevano a tirarla già e allora ci ha pensato un blindato americano. Un marine si issa fino alla cima e fissa una grossa fune intorno al collo di Saddam - un gesto altamente simbolico - perché il blindato possa farla cadere dal piedistallo, gli copre la faccia con una bandiera a stella e strisce. Alcuni dei festanti iracheni presenti si mettono a piangere (di rabbia, non di gioia, sembra di capire), scrive l'inviata del madrileno el Mundo vedendo le stars and stripes. Il marine ha commesso una gaffe - non sarà l'ultima del nuovo «Iraq per gli iracheni» promesso dal due Bush & Blair - e gli dicono che è meglio togliere la bandiera. Compare allora una bandiera irachena, bianca, rossa e nero, messa intorno al collo del tiranno, come la fune. Poi il blindato innesta la marcia indietro e la statua, con qualche fatica, cade, pur rimanendo attaccata per i piedi al basamento. L'era di Saddam è finita. All'inviato del Washington Post la scena «ricorda la caduta del Muro di Berlino». Mezz'ora dopo che la scena ha fatto il giro di tutte le tv del mondo, Tony Blair, il maggiordomo inglese, dice di essere «estasiato» da quello che ha visto. A Baghdad e nel resto dell'Iraq. Subito dopo la notizia, data dalla Croce rossa, del ritrovamento del cadavere di uno dei suoi uomini - si chiamava Vatche Arslanian, canadese -, dato per disperso nei cruenti scontri del giorno prima, passa del tutto inavvertita. La liberazione ha i suoi costi. A Saddam City, il quartiere povero sciita, finalmente può esplodere la gioia, senza più timori.

Che accadrà ora? Il portavoce americano al quartier generale del Qatar, il generale Brooks, dice che i fedelissimi di Saddam potrebbero essersi arroccati a Tikrit, città natale di Saddam, 150 km a nord di Baghdad, e che «i combattimenti là potrebbero essere simili a quelli che abbiamo visto in tutte le altre città del paese». Forse, ma pochi sembrano crederlo e le sue parole suonano come quelle che fino a martedì sparava ogni giorno il portavoce militare iracheno, il generale Mohammed Saeed al-Sahaf («stiamo vincendo su tutti i fronti», «l'Iraq sarà la loro tomba»...). Ma al-Sahaf ieri è sparito nel nulla, come tutti gli altri da Saddam in giù - come mai? dove sono? - e gli americani hanno «liberato» Baghdad." [MAN]

"BAGHDAD
Spari sulla Croce Rossa, ucciso un operatore
Il Comitato internazionale per la Croce Rossa ha deciso ieri mattina di sospendere temporaneamente le operazioni umanitarie a Baghdad: la situazione è «caotica e imprevedibile», dice un comunicato, «spostarsi da un posto all'altro comporta un rischio incalcolabile». Il portavoce del Cicr a Baghdad ha spiegato che le loro ambulanze si sono trovate in diverse occasioni sotto il fuoco incrociato, durante i combattimenti in città. Sotto il fuoco incrociato si è trovato martedì un convoglio di due veicoli della Croce Rossa internazionale che andavano a distribuire aiuti urgenti, «chiaramente identificabili da grandi bandiere», ha riferito il portavoce del Cicr a Baghdad, Roland Huguenin-Benjamin: in quell'episodio alcuni degli operatori dell'organizzazione umanitaria sono riusciti a fuggire ma uno è rimasto sul terreno, «era gravemente ferito ma per ore non è stato neppure possibile avvicinarsi al luogo». Solo ieri il suo corpo è stato recuperato, ormai senza vita: è Vatche Arslanian, 48 anni, canadese. Era addetto alla logistica presso la delegazione di Baghdad. Nello stesso episodio sono morte altre 12 persone.

Il portavoce del Cicr denuncia: le strade di Baghdad sono disseminate di feriti mentre i combattimenti infuriano, «si vedono feriti sulle strade, su alcuni ponti, ma non è possibile neppure avvicinarsi. ... Non è possibile neppure rimuoverli e portarli in ospedale». Il ritardo nel soccorso ovviamente risulterà fatale in molti casi. Il portavoce del Cicr non accusa l'una o l'altra parte. «Il problema non è la mancanza di medicine negli ospedali. Il problema è la mancanza di rispetto per le ambulanze né per le vittime». Il Comitato internazionale per la Croce Rossa è stato l'unico organismo internazionale a mantenere il proprio personale (anche stranieri) in Iraq durante la guerra. " [MAN]

"Tank e saccheggi, la città si arrende
Una colonna di Abrams avanza nel cuore della città senza incontrare resistenza, un blindato americano trascina a terra la statua di Saddam in piazza Paradiso, i marines sono padroni della città. Baghdad si arrende, cominciano i saccheggi, sparano e fuggono gli ultimi feddayn. Mai la fine di una dittatura è stata così triste
GIULIANA SGRENA
INVIATA A BAGHDAD
La statua del rais ha un cappio intorno al collo. Il blindato americano la trascina, il metallo ondeggia, si torce, infine si spezza e piomba sul selciato della piazza Firdaus (paradiso). Al suo posto, sulla colonna di cemento, sventola una bandiera irachena. Il grande ritratto di Saddam sulla facciata dell'hotel Palestine viene dato alle fiamme, rischiando di incendiare anche l'esposizione di tappeti che si trova lì sotto. Gli spettatori della capitolazione sono in gran parte giornalisti. Baghdad non ha festeggiato l'arrivo dei carri armati americani. Questo non vuol dire che non abbia provato sollievo per la fine del regime oppressivo. Ma mai la fine di una dittatura è stata così triste. Qualcuno ha anche salutato e applaudito l'avanzata degli Abrams verso il centro della città, a Saddam city c'è stato chi ha urlato viva Bush, ma erano gli stessi giovani che stavano assaltando e saccheggiando edifici pubblici e depositi di cibo.

Qualche donna piange, silenziosamente. La città appare per ora indifferente, la maggior parte della popolazione è rimasta in casa, come nei giorni scorsi quando piovevano le bombe. Questa gente, dopo due guerre e dodici anni di embargo, è stremata, non ne voleva sapere di un'altra guerra, potrebbe persino tirare un respiro di sollievo per la fine dei bombardamenti se non fosse così orgogliosa da non poter permettere che un paese come l'Iraq diventi una colonia.

Ovunque ci giriamo troviamo carri armati, qualcuno con la bandiera americana, uno invece sul cannone porta la scritta «I love Bush». Quando i marines hanno fatto irruzione nel nostro albergo sbattendo le porte, e con poco tatto, sono stati accolti dall'ultima resistenza di quel che resta degli scudi umani: «Yankee go home». Ma l'impressione è che qui ci resteranno, e per molto. Dopo aver controllato le stanze fino al quinto piano i marine se ne sono andati, ma tanto stazionano fuori sulla strada. La sera i mezzi militari si sono ridislocati sulla piazza e una colonna è entrata dentro il recinto fin sulla porta del Palestine. Forse è un altro avvertimento alla stampa internazionale che si trova a Baghdad senza l'avallo Usa. Ma c'è già chi si è adattato: il venditore di bibite piazzato sul marciapiede di fronte all'albergo ieri sera chiedeva il prezzo della Pepsi in dollari.


L'avanzata americana nella parte orientale della città è stata veloce, non ha incontrato resistenza. Evidentemente le migliaia - non si hanno cifre di fonte irachena, ma sicuramente centinaia di cadaveri sono stati visti negli ospedali - di soldati morti per impedire l'occupazione della parte occidentale della città deve avere sfiancato l'esercito. Ieri mattina per strada non si vedevano più soldati iracheni, restava qualche miliziano del partito, e gruppi di feddayn vestiti di nero - provenienti per lo più da paesi arabi - che hanno preso di mira altri giornalisti, ma nessuno in grado di contrastare il potente esercito americano. Gruppi di arabi si sono visti in giro, dicono di essere lavoratori rimasti senza impiego, ma non vogliono dare il loro nome, sono senza soldi e non sanno dove andare. In Siria, dicono, ma sono stati bloccati dagli americani. Ieri sera bivaccavano sul marciapiede del Palestine.

Non ci aspettavamo che i marines potessero avanzare senza colpo ferire, anche se già da martedì la scarsa presenza di militari in città non lasciava prefigurare una grande battaglia. Potrebbe essere stata una scelta, forse è stata data una possibilità di fuga. E dov'è finito Saddam, che tre giorni fa sarebbe sfuggito al missile che ha distrutto quattro case nel quartiere al Mansour? Comunque tutti i ministri, dirigenti e funzionari ieri avevano abbandonato ministeri, edifici governativi e uffici della polizia, anche quelli che si trovano da questa parte del fiume e che non erano stati bombardati. Abbiamo visto le ultime partenze di pick up dal ministero dell'educazione.


Almeno così è stato evitato un bagno di sangue. Anche le bombe e i cannoni avevano taciuto per tutta la notte, fino al mattino alle sei, permettendoci finalmente di dormire. E la ripresa dei bombardamenti non era stata massiccia durante la giornata. Qualche botto più forte in serata, mentre scriviamo. Solo qualche colpo di coda? Comunque la posizione americana potrebbe non essere del tutto consolidata, la sensazione è che la guerra non sia finita nemmeno per Baghdad mentre continua nel resto del paese.

Poca gente per le strade, poche macchine, quelle che circolano espongono un pezzo di stoffa bianca in segno di resa o perlomeno di non ostilità, gli americani sono sospettosi, temono i kamikaze, meglio non rischiare. Anche quando, poco prima dell'irruzione nel nostro albergo, avevamo raggiunto i marine sulla strada proveniente da al-Kut (questa era la colonna arrivata martedì da sud-est, mentre un'altra è arrivata da Kerbala, sud-ovest) la nostra maggiore preoccupazione era quella di farci riconoscere. Non che l'essere stampa occidentale a Baghdad sia di per se una garanzia per gli americani che martedì hanno colpito l'hotel Palestine uccidendo due giornalisti. Sulla Qanat street, una fila di carri armati Abrams, anfibi e altri mezzi, a perdita d'occhio. I marine, tanti, che non controllavano la situazione dall'alto dei loro mezzi, erano accucciati per terra sotto le palme. Un gruppo controllava la strada e gli arrivi. Alcuni con il viso rigato di nero. Tutti giovani, tra i 21 e i 23 anni, per molti la prima esperienza di guerra. Perché siete venuti qui? Adam sembrava avere la risposta pronta, imparata a memoria: «Sono venuto per i miei due figli, perché Saddam costituisce una minaccia per il mondo, con le sue armi chimiche...». Però voi di armi chimiche non ne avete trovate, facciamo notare. «Questo non è il mio lavoro, io sono venuto per combattere, per uccidere Saddam e tutti i suoi soldati» afferma senza esitare. José, di origine spagnola, invece dice di essersi meravigliato di non aver incontrato resistenza, solo un po' alla periferia della città, pensavano fosse molto peggio. Prima di andarcene, gli facciamo notare che l'altro giorno gli americani hanno ammazzato due giornalisti all'hotel Palestine. «Noi non ne sappiamo niente», taglia ncorto il soldato Jose. Sembra che non sappia nemmeno di cosa parliamo, cos'è il Palestine, chi ha ammazzato chi.


La mattina eravamo andati a cercare i marines, ma non li avevamo trovati. Ci eravamo invece trovati in mezzo a ingorghi provocati dai saccheggi in corso. Giovani, alcuni armati con pistola o kalashnikov, davano l'assalto a ministeri ed edifici pubblici. Prima avevamo visto l'irruzione nel Comitato olimpico presieduto dal figlio di Saddam, Uday. Uno degli edifici aveva subito anche un bombardamento. Buttate giù le cancellate per poter entrare negli edifici, subito dopo i giovani uscivano con quel che avevano trovato: sedie, termosifoni, ventilatori, condizionatori, tavoli, schedari, scaffali, di tutto. Ammassavano la refurtiva su furgoncini e via strombazzando. C'era molta eccitazione, chi alzava le dita a V e urlava, con il rischio che partisse qualche colpo dalle loro armi. Poi il ministero dell'irrigazione, stesse scene, esagitate. Il timore del nostro autista era che si volessero rifare anche su di noi occidentali. Poi via verso Saddam city, l'esplosivo quartiere povero sciita della periferia est della capitale, dove si diceva nei giorni scorsi che ci sarebbe stata una rivolta contro i miliziani del partito Baath, ma non avevamo avuto conferme. Il quartiere è noto per la forte opposizione al regime di Saddam, qui ci sono ben pochi ritratti da abbattere. Dopo aver superato la piazza della Mustansiriya, con l'università ad un lato e al centro della piazza la statua di Saddam a cavallo, la presenza del regime iracheno era completamente sparita. Tutti gli edifici governativi, della polizia e depositi alimentari venivano saccheggiati. C'era chi scappava con uno scatolone, chi con un materasso, chi trascinava via un divano. Sembrava più una vendetta che una necessità. Anche se in questo quartiere la povertà non è certo un pretesto.

Allontanandoci, vedevamo spingere le macchine in mezzo alla strada. Come mai tante auto in in panne? Forse saranno senza benzina, avevamo pensato, ma no, anche le macchine venivano rubate, preso d'assalto soprattutto il parcheggio della polizia. Alcune venivano rimorchiate con una corda, altre con un fil di ferro, altre ancora persino con un filo spinato. Come diceva un iracheno scherzando: è la storia di Ali Baba e dei quaranta ladroni." [MAN]

"Il Kurdistan per ora festeggia. Ma poi?
Giubilo a Sulemainiya e Arbil. Kirkuk e Mossul sono più vicine ma ancora ... lontane
S.D.Q.
Il Kurdistan a nord e le città già predentemente «liberate» dagli anglo-americani nel sud sciita, a cominciare dalla seconda del paese: Bassora, hanno celebrato la caduta di Baghdad nelle mani degli americani. Nel nord già fin dalla prima mattina, quando è cominciata a circolare la notizia della scomparsa della resistenza irachena nella capitale, migliaia di persone sono scese per strada a Sulemainyya e Arbil, le capitali dei due principali movimenti kurdi, l'Unione patriottica del Kurdistan e il Partito democratico del Kurdistan. La felicità è giunta al suo apice dopo che la tv ha mostrato i carri americani nella piazza al-Fardus di Baghdad e la stratua di Saddam abbattuta. Uomini, donne, peshmerga inneggiavano alla caduta del regime iracheno. Molti sventolavano bandiere americane e inglesi e si gettavano ad abbracciare e baciare gli uomini delle Forze speciali che in questi mesi li hanno «aiutatati» ad aprire quello che è stato definito «il secondo fronte». Molti innalzavano i ritratti dei due leader storici kurdi, Jalal Talabani (Upk) e Massud Barzani (Pdk). Molti gridavano: «E domani a Kirkuk e Mossul».

Ma questo è tutto un altro discorso. Finora l'avanzata degli americani e dei peshmerga verso le due gemme petrolifere dell'Iraq è stata cautissima. Perché ci sono almeno 60 mila uomini dell'esercito turco pronti dall'altra parte del confine. Che temono la nascita di un Kurdistan indipendente sulla spinta della «liberazione» americana dell'Iraq e, anche loro, di perdere l'opportunità storica di mettere le mani (o di rimetterle se ci si rifa all'impero Ottomano) sulle immense ricchezze petrolifere di Kirkuk e Mossul.

Kirkuk e Mossul sono ancora nelle mani delle forze di Saddam e anche se l'avanzata di special forces-peshmerga conquista ogni giorno qualche chilometro o qualche postazione strategica (ieri le montagne di Maqlub, che dominano Mossul), in realtà il «secondo fronte» è fermo e si aspetta la prima vera mossa. A meno che, come a Baghdad, anche le guarnigioni saddamiste di Mossul e Kirkuk (bombardate dall'inizio della guerra) non decidano che può bastare e si arrendano o se ne vadano a casa.


Come sembra sia capitato con la divisione corazzata che teneva la città di Amara, nel sud-est, a una quarantina di km dal confine iraniano. Gli americani hanno affermato di essere entrati in città e di avere preso il controllo, ieri mattina, del quartiere generale, dei tanks, degli armamenti e delle munizioni senza colpo ferire. Quel che restava dei 15 uomini della divisione o se n'erano già andati a casa o si sono arresi. Un'altra città non lontana da Amara, Diwaniyah, 160 km a sud di Baghdad, sarebbe caduta nello stesso modo: con le special forces che hanno «aiutato» i capi e le locali milizie tribali a prenderne il controllo.

Il consolidamento delle posizioni americane nell'est-iracheno sembra facilitare il prossimo congiungimento con le truppe inglesi che hanno occupato - anzi «liberato» - il sud, ciò che aprirebbe il vitale corridoio per i rifornimenti verso Baghdad. I portavoce britannici tuttavia hanno riconosciuto che ci vorranno ancora «alcuni giorni» perché il controllo di Bassora, ufficialmente «liberata» martedì, sia totale. Per questo hanno chiesto a un capo tribale sciita locale di fungere ( o di fingersi) come «sindaco»." [MAN]

"La scomparsa di Saddam
Mistero sul leader iracheno sparito, mentre crolla il regime. Per i servizi segreti americani è morto, per Al Jazeera sta trattando con la Cia, per la tv libanese si è rifugiato nell'ambasciata russa (Mosca smentisce), per israeliani e oppositori iracheni è da giorni a Tikrit (o in Siria)
FRANCESCO PATERNO'
Il marine che in diretta mondiale tv si arrampica sulla statua di Saddam Hussein a Baghdad e mette la bandiera Usa sulla faccia del rais è forse la migliore rappresentazione di quel che sta accadendo in queste ore convulse intorno alla figura del dittatore iracheno. Scomparso, forse morto, nel dubbio meglio nasconderlo alla vista in attesa che, come la statua, crolli definitivamente. Ma dove è Saddam Hussein? Alcune fonti americane lo danno per incenerito dalle bombe oppure catturato dai reparti speciali della Delta Force; i servizi segreti inglesi lo danno vivo ma non più a Baghdad; i servizi israeliani lo segnalano da giorni in Siria o a Tikrit, sua città natale a 180 chilometri dalla capitale; la televisione satellitare araba Al Jazeera lo dà in trattative non precisate con la Cia citando «altissime fonti russe» - diciamolo, sarebbe lo scenario più succulento; l'opposizione irachena insiste che il rais avrebbe lasciato Baghdad già da giorni e riparato a Tikrit; la tv libanese sostiene che si sarebbe rifugiato nell'ambasciata russa ancora aperta. Una massa di voci, tracce e suggestioni che vale la pena ricostruire. Se non altro perché nessuna esclude un colpo di scena.

Di sicuro, la presa della capitale irachena, ieri, è coincisa con un collasso del centro di comando politico del regime. «Non c'è nessuno del governo con cui parlare», ha detto il generale Buford Blount, comandante della terza divisione di fanteria statunitense, piazzando la sua bandiera nel cuore di Baghdad. Una constatazione sconsolatamente più politica che militare. Il resto può essere letteratura o - se si guarda alla misteriosa scomparsa di Osama bin Laden - un nuovo giallo internazionale.

Inglesi contro americani

Lunedì sera, Saddam Hussein con i sui fedelissimi sarebbe andato a cenare in un bunker dentro o dietro il ristorante al-Mansour - così ci ha raccontato la Cia, come fosse un dopo teatro a Brooklyn - e lì quattro bombe di 9 tonnellate ciascuna lo avrebbero seppellito. Citate ieri dal Washington Post, fonti dei servizi americani sostengono che il rais è morto in questa occasione, «la Cia è in uno stato di euforia». Ufficialmente, però, a Washington nessuno conferma; forse, visto le bombe utilizzate, potrebbe essere difficile trovare un granello di resti umani attraverso cui rilevare il dna del dittatore iracheno. Ma i servizi segreti inglesi smentiscono i loro colleghi americani: Saddam avrebbe lasciato il ristorante un attimo prima dell'inferno. Eppure, rispondono gli Usa, tra la segnalazione della sua presenza e il bombardamento sono passati soltanto 12 minuti. Troppi?

Il Washington Times, giornale statunitense considerato vicino ai servizi, scrive invece che i commandos della Delta Force e della Cia lo hanno già sotto mano. Per farci che?

Movimenti russi

La causa irachena è molto popolare in Russia, più dell'80 per cento degli interpellati nei sondaggi televisivi speravano in una vittoria militare dell'Iraq contro i marines. Il rais si sarebbe rifugiato nell'ambasciata russa di Baghdad, accolto dai dodici dipendenti rimasti a presidiare la sede. La notizia della tv libanese viene però precipitosamente smentita dal governo russo. Poi c'è un altro capitolo. L'ambasciatore Vladimir Titorenko è stato bombardato dagli americani in circostanze non chiare mentre lasciava il paese, domenica scorsa. Ma siccome il suo autista è stato ferito gravemente, lui torna indietro e come se niente fosse, si ferma a 50 chilometri da Baghdad presso Fallujah, dove c'è un ospedale iracheno e dove è ricoverato il suo connazionale. Poi riparte. Contemporaneamente, domenica sera arriva a Mosca - cioè poche ore dopo le pallottole americane contro il convoglio diplomatico russo - il consigliere per la sicurezza nazionale americano Condoleezza Rice. E' lei la massima esperta di relazioni Usa-Russia: ma non si ferma nemmeno 24 ore, lunedì sera è già dal suo capo a Belfast per il vertice con Tony Blair. Di che ha parlato con i vertici russi? Non si sa: né il Dipartimento di stato, né la Sicurezza nazionale forniscono dichiarazioni ufficiali. Come è prassi.

Israeliani e iracheni

Debkafile è un sito internet israeliano collegato esplicitamente con i servizi segreti e con i vertici militari. Sulla guerra ha fatto molta controinformazione, con qualche verità sparsa qua e là. Per loro, Saddam ha lasciato Baghdad una settimana fa, «forse è a Tikrit, forse è in Siria». Di sicuro, affermano, il rais ha osservato un totale silenzio radio nelle comunicazioni interne da sabato 5 aprile. Ciò spiegherebbe la sua non intercettazione, bombe ad al-Mansour a parte.

Della stessa idea sono gli iracheni oppositori del Congresso nazionale. Secondo il suo portavoce, Saddam si sarebbe rifugiato a Tikrit da tempo. Haitham Rashid Wihalb, capo del cerimoniale di Saddam poi fuggito a Londra, racconta che il suo ex datore di lavoro disponeva di «almeno 5000 case dove poteva spostarsi a piacimento» e precisa: «Ha lasciato Baghdad per Tikrit nel momento in cui ha capito che gli americani e gli inglesi si stavano avvicinando». Cioè alla fine della settimana scorsa.

Tikrit ieri è stata bombardata pesantemente dagli americani. E' il luogo dell'Iraq più monitorato del mondo, ricco di bunker; quelli trovati dagli americani vicino all'aeroporto di Baghdad avrebbero dimensioni labirintiche, con strade larghe fino a 12 metri su cui spostarsi a tutta velocità. Tikrit è piena di montagne intorno. Sembra l'Afghanistan. " [MAN]

"Terroristi a milioni
Una lista di «potenziali terroristi» è stata compilata dal governo americano ed è a disposizione di tutte le agenzie di sicurezza interna. La «madre di tutte le liste» contiene 13 milioni di nomi di stranieri" [MAN]

"Che fare dei prigionieri?
Le forze americane hanno catturato almeno 7.300 prigionieri di guerra, e decideranno a breve il loro futuro legale. Le strutture destinate ai prigionieri, a Umm Qasr, possono ospitarne fino a 50mila" [MAN]

"La fredda soddisfazione di Bush
La Casa Bianca accoglie apparentemente senza festeggiare la caduta di Baghdad: «Siano ancora nel mezzo di una guerra guerreggiata, ci sono ancora molti pericoli», dice il portavoce Ari Fleischer. E il sottosegretario agli esteri Bolton avverte: «Iran, Siria e Corea del Nord imparino dall'Iraq»" [MAN]

-----
MEDIA
-----

"Al Jazeera, una giornata surreale
Il funerale del giornalista ucciso, l'invettiva della vedova, l'intervista al marine
FARID ADLY
La giornata di mercoledì, 21esimo giorno di guerra come segna il calendario dietro lo speaker, comincia con le immagini del funerale di Tareq Ayoub, ucciso ieri l'altro da un missile americano lanciato sulla sede della tv araba a Baghdad e si conclude con un «benvenuto sugli schermi di Al Jazeera» a un marines degli Stati uniti, intervistato dal corrispondente Maher Abdallah nei giardinetti dell'Hotel Palestine, ormai occupato senza sparare un colpo dalle truppe Usa. Tra i due momenti sono passate le immagini dei saccheggi delle sedi governative nel centro di Baghdad, la manifestazione di gioia di un numero limitato di cittadini iracheni e lo spettacolare abbattimento della statua di Saddam Hussein in piazza Firdous (paradiso). Ma sono passate anche le frecciate ai militari americani che non vorrebbero testimoni indipendenti e neutrali all'occupazione di Baghdad. O l'invettiva di Dima Ayoub, vedova del corrispondente ucciso: «Il mio messaggio è che l'odio fa crescere altro odio», ha detto al telefono da Amman. Scordate il sogno americano: «ha portato sangue, distruzione, vite stroncate».

L'emittente accusata dall'amministrazione Bush e da media americani di aver messo in onda le immagini dei loro morti e prigionieri, ha mostrato un grande savoir fare. Nessuna reazione scomposta alla notizia dell'uccisione del proprio giornalista, ma non ha ceduto alle pressioni. Nella tarda serata di martedì, mentre il direttore Ibrahim Hilal decideva di ritirare giornalisti e tecnici da Baghdad, «per garantire la loro incolumità», il presidente dell'emittente Hamad Bin Thamir-al Thani sosteneva senza mezzi termini: «Non abbiamo nessuna certezza che sia stato un attacco premeditato, ma vorrei ricordare che il nostro ufficio a Kabul era stato colpito due anni fa». Le richieste di chiarimenti su quell'episodio avanzate dal governo del Qatar non hanno avuto finora risposta da Washington.

Al Jazeera si presenta come un esempio di giornalismo democratico senza precedenti nei paesi arabi e per questo ha qualcosa di «rivoluzionario». Molti regimi l'hanno boicottata e hanno fatto forti pressioni sull'emiro del Qatar per allontanare giornalisti che intervistavano oppositori. Tra i più arrabbiati Arabia Saudita e Kuwait, dove un gruppo di avvocati si è specializzato in cause contro Al Jazeera.

«Possiamo capire che la nostra capacità di entrare nelle case di 35 milioni di arabi raccontando le due facce delle notizie, mai una sola opinione, come dice il nostro motto, abbia dato fastidio ai regimi arabi: ma che questo ci venga rinfacciato da chi pretende di portare la democrazia sui cannoni dei carri armati è troppo», commentava ieri l'emittente, sulle immagini del funerale di Ayoub.

Durante il conflitto l'emittente del Qatar ha riportato notizie e opinioni delle due parti belligeranti. Certo, nel linguaggio si percepisce la solidarietà con il popolo iracheno sottoposto ai bombardamenti, ma senza proclami ideologici, né nazionalisti né fondamentalisti islamici. «Quel che ha dato più fastidio agli americani - sostiene l'analista palestinese Mu'tasam Hamadeh, direttore di Al Hourriah - sono quelle immagini a forte impatto umano che hanno documentato la sofferenza della popolazione civile entrando nelle case arabe».

Ma l'emittente non ha fatto nessuno sconto al regime di Saddam Hussein. Quando il ministro dell'informazione iracheno, Mohammed Said Sahhaf, ha bloccato il lavoro di due corrispondenti di Al Jazeera, la direzione dell'emittente ha deciso di trasmettere solo immagini senza audio. «O lavorano tutti i nostri giornalisti, o nessuno» hanno risposto da Doha, e Baghdad ha dovuto tornare sui suoi passi. Nei bar del Cairo adesso circola una battuta: «La Cnn? Ah, la Al Jazeera degli Stati Uniti!». Il segno dei temp" [MAN]

---------
ITALIETTA
---------

"Imbarazzo e cautela a palazzo Chigi
Frattini chiede aiuto all'opposizione, Buttiglione difende il ruolo politico dell'Onu, il premier tace
G. P.
ROMA
Da palazzo Chigi assicurano che si tratta di una scelta meditata, che il premier ha semplicemente voluto mantenere il low profile assunto nei giorni passati. Peccato che nel frattempo la guerra sia finita e il silenzio di Silvio Berlusconi, mentre leghisti e nazionalleati si scatenano offrendo tricolori in cambio di bandiere arcobaleno e attaccando «le profezie nefaste di chi parlava di una guerra lunghissima», si faccia di ora in ora più assordante. Anche perché l'improvvisa cautela pare essere contagiosa, come dimostrano le poche frasi di circostanza, quasi strappate dai giornalisti, del ministro degli esteri. Persino la «soddisfazione per la fine del regime sanguinario di Saddam», nelle dichiarazioni di Franco Frattini, viene subito smorzata dall'invito «a non indulgere negli entusiasmi e trionfalismi». In realtà era stato proprio il titolare della Farnesina a spiegare, in mattinata, l'imbarazzo che attanaglia il governo Berlusconi. La fine dei bombardamenti su Bagdad, se non dei combattimenti in Iraq, riapre i giochi in Europa e chi ha scelto di stare sia di quà che di là ora non sa più che pesci prendere. «Il presidente del consiglio mi ha chiesto di mantenere uno stretto rapporto di coesione con i francesi - raccontava così Frattini a palazzo Madama, dopo il breve dibattito in aula - La volontà del governo italiano è di non prescindere dalla coesione europea». Compito ingrato, visto che ancora oggi Francia e Germania puntano in realtà a rinsaldare il fronte di chi la guerra non l'ha voluta, e per questo volano a San Pietroburgo per discutere con Vladimir Putin. Ma anche a Bruxelles in realtà tira una brutta aria per chi, come il governo italiano, ha cercato di tenere assieme, ambiguamente, filoatlantismo e non belligeranza. Soprattutto sui compiti da affidare, da domani, alle Nazioni unite. Come dimostrano le dichiarazioni di Rocco Buttiglione, che tra martedì e mercoledì ha incontrato per l'appunto i vertici del parlamento e i dirigenti della commissione europea.


«Le scene di giubilo degli iracheni dimostrano che esiste un forte potenziale democratico - dice infatti, dopo il colloquio con Neil Kinnock, il ministro per le Politiche comunitarie - Non bisogna sprecarlo, ma condurre la fase di transizione nella massima trasparenza e garanzia. Per questo è fondamentale il ruolo dell'Onu». Ruolo politico dunque, e non, come ripetono a destra e a manca gli uomini di George Bush «vitale» ma solo sul piano della logistica degli aiuti umanitari. Del resto Rocco Buttiglione non è l'unico a pensarla così, visto che anche il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica dichiara che «Le nazioni unite avranno in ogni caso un ruolo strategico nella ricostruzione dell'Iraq, che sarà politica, istituzionale, economica e sociale». Aggiungendo, forse consapevole di aver detto qualcosa di poco gradito a Washington, che bisogna stare attenti a non «assumere un ruolo antagonista nei confronti degli Stati uniti».

Ma se oggi per il governo è difficile sbrogliare la matassa così ben aggrovigliata dalle continue oscillazioni del suo premier, domani sarà ancora peggio. Dal primo di luglio infatti, e per un intero semestre, toccherà all'Italia presidere l'Unione europea. Un appuntamento atteso con trepidazione, prima della guerra in Iraq, da Silvio Berlusconi e che ora potrebbe trasformarsi in un tormento. Tanto che quello rivolto ieri mattina alle opposizioni da Franco Frattini più che un invito appariva un appello disperato. «Bisogna guardare tutti insieme al futuro del popolo iracheno - aveva detto il ministro a palazzo Madama - E bisogna farlo con coesione e unità nazionale». Per sentirsi rispondere dal diessino Angius che il problema è capire cosa mai voglia un governo che oggi è «privo di strategia»." [MAN]

versione stampabile | invia ad un amico | aggiungi un commento | apri un dibattito sul forum 
Ci sono 1 commenti visibili (su 1) a questo articolo
Lista degli ultimi 10 commenti, pubblicati in modo anonimo da chi partecipa al newswire di Indymedia italia.
Cliccando su uno di essi si accede alla pagina che li contiene tutti.
Titolo Autore Data
manifesto pupo Sunday April 13, 2003 at 04:46 PM
©opyright :: Independent Media Center
Tutti i materiali presenti sul sito sono distribuiti sotto Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0.
All content is under Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 .
.: Disclaimer :.

Questo sito gira su SF-Active 0.9