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arrestato leader disoccupati di Forza Nuova e boss camorrista per compravendita posti
by il boss fu giàarrestato x la strage di Natale Wednesday, May. 28, 2003 at 1:28 PM mail:

SALVATORE LEZZI E' DI FORZA NUOVA. IL BOSS MISSO E' STORICAMENTE LEGATO ALL'ESTREMA DESTRA, CONDANNATO PER STRAGE DEL TRENO 904.


Tangenti sulla disoccupazione
Fermato il leader dei senza lavoro

NAPOLI — Salvatore Lezzi, uno dei leader dei disoccupati napoletani, è stato fermato ieri dalla polizia. Nell'ambito della stessa indagine sono stati fermati dai carabinieri anche alcuni esponenti della camorra. Sugli sviluppi dell'inchiesta vi è uno stretto riserbo. Lezzi è attualmente uno dei leader della lista Disoccupati uniti per il lavoro.
Insieme con Salvatore Lezzi sono stati fermati dalla squadra mobile, su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, altri due iscritti alla lista di disoccupati. Per questi ultimi l'accusa formulata dai pm sarebbe di associazione camorristica, mentre per Lezzi la contestazione sarebbe di estorsione aggravata dalla finalità di favorire una associazione camorristica. A quanto si è appreso anche il fermo del boss del rione Sanità Giuseppe Misso, accusato di associazione camorristica, è collegato con la vicenda che ha coinvolto Lezzi. Secondo indiscrezioni, tra i punti centrali dell'inchiesta vi è anche il pagamento di somme di denaro da parte di disoccupati per l'iscrizione a cooperative in prospettiva dell'ottenimento del posto di lavoro.
Nel dicembre del 2001 nei confronti di Salvatore Lezzi il pm della Dda Maria Di Addea emise una informazione di garanzia nell'ambito dell'inchiesta sulle presunte tangenti pagate da disoccupati per entrare nelle coop per l'avviamento al lavoro nel settore della raccolta differenziata dei rifiuti. La camorra, dal canto suo, avrebbe imposto l'iscrizione di numerosi soci nelle cooperative.
L' indagine della Dda si riferisce in particolare all' immissione in servizio di oltre quattrocento disoccupati. Due anni fa furono indagati anche altri esponenti della variegata galassia dei movimenti dei disoccupati napoletani. Non si conoscono i motivi che hanno indotto la procura a firmare un decreto di fermo. Lezzi è consigliere circiscrizionale nel quartiere Montecalvario, eletto nella lista di An e passato poi a Forza Nuova. Misso sarebbe stato fermato sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e di una serie di intercettazioni telefoniche. Dagli elementi raccolti dagli inquirenti emergerebbe sia il pagamento di tangenti, di svariati milioni di lire, per l'inserimento nelle liste di disoccupati e l'iscrizione alle coop, sia il pagamento di parte delle mazzette alla camorra. In particolare, in una conversazione telefonica tra due gestori delle coop - fermati dalla polizia insieme con Lezzi - si farebbe riferimento a 150 milioni delle vecchie lire da consegnare a Misso.
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IL PERSONAGGIO / 1

GIUSEPPE MISSO
Lo urlò con quanto fiato aveva in corpo: «Io non faccio stragi, non ammazzo nessuno, tantomeno quel ragazzo che ho cresciuto. Non c’entro niente con la bomba sul treno di Natale». Gli anni ’80 stavano per finire. Si celebrava uno dei tre processi nei quali Giuseppe Misso (Missi, per amore di precisione anagrafica, per un mero errore di trascrizione) era imputato.
Quell’accusa che gli piombò da Firenze, firmata dal pm Pierluigi Vigna proprio non riusciva a digerirla. E si difese, forse come non mai. L'accusarono di aver fatto collocare in stazione a Napoli l'ordigno che il 23 dicembre del 1984 esplose sul rapido 904, diretto a Milano. Costò la vita a 15 persone quell'attentato, 117 i feriti. Il nome di Misso lo fece un informatore della polizia, un certo Carmine Esposito.
Raccontò tutto prima a un cronista, scambiandolo per poliziotto, e poi finalmente alla Digos. Quella fuga di notizie costò l'arresto a due giornalisti. Il teorema era questo: l'omicidio del giovane Carmine Lombardi, avvenuto a porta San Gennaro, è stato ordinanto da Misso perché Lombardi era quello che aveva sistemato la bomba.
Evidentemente gli inquirenti, sulla base di quanto già avevano tra le mani, gli credettero, tanto è vero che Misso fu arrestato con l'accusa di strage e omicidio di Carmine Lombardi. L'inchiesta era un mix di camorra ed eversione di estrema destra della quale, secondo l'accusa, Misso faceva parte. Processi a Firenze. La moglie, Assunta Sarno, che il boss ha sempre tenuto fuori da queste vicende, non perdeva un'udienza. L'accompagnava il fidato amico Alfonso Galeota e anche Pirozzi e la moglie. Di ritorno da un'udienza, oramai alle porte di Napoli, il gruppo era atteso da un un commando di assassini.
Era il 14 marzo 1994. Si salvarono soltanto Giulio Pirozzi e la moglie, che caddero, feriti. I killer li credettero morti. Misso fu assolto dalle accuse. Non così per le due rapine miliardarie, quella al Banco dei Pegni del Banco Di Napoli e alla gioelleria Pane, al corso Umberto I.
Era quella la vera attività di Misso: la rapina. Utilizzando soprattutto la via delle fogne che, si dice, conoscesse meglio delle squadre di manutenzione del comune. Una leggenda racconta che a Forcella, durante la guerra esplosa tra Misso e i Giuliano, i leader della famiglia si fossero fatte blindare le fogne.

IL PERSONAGGIO / 2
Salvatore Lezzi ha 42 anni, quasi la metà dei quali trascorsi da protagonista del pianeta delle cosiddette «liste», microformazioni di destra estrema che hanno l’instabilità come caratteristica fondamentale: nascono, muoiono, cadono in sonno, risorgono con leader diversi e con un bioritmo legato a quello delle vertenze su pacchetti di posti di lavoro. Nel ’98, quando il nome di Lezzi venne alla ribalta per scontri, disordini e tensioni, sul tappeto c’erano duemila posti per la raccolta differenziata.
Il cartello del quale Salvatore Lezzi viene considerato fondatore, Forza Lavoro Disponibile - sigla molto nota alle cronache di questi giorni - non ha oggi più nulla a che fare con lui che «scende» (nel gergo di piazza sta per «manifesta») sotto la sigla Cdo, Comitato disoccupati organizzati. Ed anche questa etichetta ha una recente evoluzione: Cartello disoccupati uniti per il lavoro.
La sola cosa certa è che il pianeta liste, oggi, è diviso fra lui e Giuseppe Sollazzo, attuale portavoce di Forza Lavoro Disponibile; e tra i due l’amicizia di un tempo è robusta avversione. Strade separate, unico punto in comune fra i due l’area di riferimento, la destra. Salvatore Lezzi viene considerato un estremista e leader di varie formazioni estremiste, tra le quali le cosiddette liste di ex detenuti, venute alla ribalta alla fine degli anni ’80, periodo in cui la formazione di riferimento di Lezzi era Civiltà Nuova III; momento storico convulso in cui subì anche una gambizzazione.
Consigliere circoscrizionale negli anni per vari partiti, Lezzi non tradisce mai la vocazione d’orgine che, dal Msi ad An passando un periodo per Forza Italia, lo porterà circa un anno fa all’adesione a Forza Nuova, formazione neofascista. Ultimo mandato, al consiglio circoscrizionale di Montecalvario dove si è dichiarato indipendente.
Nel ’99 viene arrestato con altri leader di piazza ed un altro consigliere della circoscrizione Mercato. Le liste protagoniste delle lotte per i duemila posti part-time nella raccolta differenziata dei rifiuti - vertenza che scatenò giornate roventi in città - sono nel mirino della magistratura: le accuse blocco stradale, violenza, minaccia. Fatti scatenati, fu l’accusa, «secondo una precisa strategia».
c.gr.

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Tafferugli e proteste show: la criminalità organizzata si infiltra nel disagio sociale
Posti di lavoro ottenuti in cambio di soldi. Tangenti versate in nome di un bisogno che spinge anche a mettere mano al portafogli, pur di assicurarsi il futuro. Eccolo, lo scenario più inquietante che emerge da due indagini della magistratura. Con un particolare che aggiunge inquietudine all’inquietudine: l’ombra della camorra, grande burattinaia di un «affaire» che mobilita le piazze e introita denaro.
La verità - sostiene l’accusa - è tutta nei tredici faldoni depositati ieri nella cencelleria del giudice per le indagini preliminari Pierluigi Di Stefano, che stamattina dovrà decidere se convalidare in arresto il fermo di Giuseppe Misso. Tredici faldoni: migliaia di cartelle, piene zeppe di conversazioni. Tante. Il lavoro degli inquirenti comincia da molto lontano. Misso, scarcerato nel 1999, ritrova la libertà in un regime di sorveglianza speciale. Ma carabinieri e polizia lo tengono d’occhio. Sospettano di lui: lo ritengono comunque una pedina fondamentale nel complesso gioco di equilibri e di alleanze camorristiche. Mettono sotto controllo le sue utenze telefoniche. Ascoltano. Registrano. Aspettano.
E oggi, a quasi quattro anni dal suo ritorno nella casa di Largo Donnaregina, tirano la rete che - sostiene la Procura - sarebbe piena di elementi che inchioderebbero l’uomo sospettato di essere a capo di un potentissimo clan di camorra. Accuse dalle quali stamattina dovrà difendersi Giuseppe Misso, nel corso dell’interrogatorio che è fissato alle 9,30 nel carcere di Poggioreale.
Ma non è tutto. Perché, a suffragare il portato accusatorio questa volta interverrebbero anche le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Almeno due i pentiti che farebbero il nome di Misso a proposito della complessa vicenda degli aspiranti all’avviamento al lavoro nella raccolta dei rifiuti. Un «business» sul quale da tempo polizia e carabinieri (oltre che la Dda) nutrivano dubbi e sospetti. È ancora fresca nella memoria dei napoletani l’immagine delle proteste di piazza inscenate con assalti a edifici pubblici, incendi di pullman e cassonetti. Oggi la Procura segue una traccia precisa: a organizzare quelle liste, condizionandole pesantemente, anche a costo di imporre vere e proprie estorsioni, ci sarebbe stata la mano della camorra.
Secondo gli investigatori, negli ultimi anni Misso avrebbe riconquistato un posto di primo piano nel mondo della criminalità, nonostante il prezzo di sangue pagato dalla sua organizzazione nello scontro con i rivali storici dell’Alleanza di Secondigliano. Nel dicembre 2001 il pm della Dda di Napoli emise nei confronti di Lezzi e altri 12 persone informazioni di garanzia. Oggi il leader dei disoccupati è accusato di estorsione aggravata dalla finalità di favorire una organizzazione mafiosa. La camorra avrebbe imposto l’inserimento nelle coop di persone segnalate dai clan.
giu.cri.

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LAVORO
E RICATTI
GIUSEPPE CRIMALDI
Le mani della camorra sul mondo del lavoro. Riesplode con gli effetti di una deflagrazione devastante questa ipotesi inquietante, all’indomani della notizia del fermo di Giuseppe Misso e Salvatore Lezzi.
Due diversi filoni di indagine sull’avviamento al lavoro per la raccolta rifiuti e che coinvolgono ben cinque sostituti della Direzione distrettuale antimafia: i pubblici ministeri Maria Di Addea, Filippo Beatrice, Aldo Policastro e Alfonso D’Avino. Due filoni separati, quelli che vedono indagati Misso e Lezzi (quest’ultimo fermato insieme con altri due iscritti alle liste dei disoccupati), ma che inevitabilmente finiscono col sovrapporsi nel momento in cui il comune denominatore diventa quell’ampia zona grigia che raccoglie sigle e movimenti dei senzalavoro. Indagine dai contorni ancora tutti da definire. Sulla quale è calato il più stretto riserbo da parte degli inquirenti: per tutta la giornata di ieri si sono susseguite voci e indiscrezioni che non trovano - al momento - nessuna conferma ufficiale.
Quel che si sa è che il fermo di Misso risalirebbe a lunedì pomeriggio, quando sono entrati in azione i Cacciatori di Calabria, un reparto speciale dei carabinieri, di rinforzo a Napoli per l’operazione «Alto impatto». Alle 16,30 il blitz nell’abitazione di Misso, in Largo Donnaregina. I militari gli hanno notificato il decreto di fermo firmato dal pool di magistrati, nel quale si ipotizza il reato di associazione per delinquere di stampo camorristico. Poi hanno eseguito una lunga perquisizione, durata fino a notte fonda.
Tra le accuse contestate a Misso figurerebbe anche quella di aver svolto un ruolo nella complessa vicenda (già oggetto di numerose indagini svolte dalla Squadra Mobile di Napoli) dei posti di lavoro da destinare alla raccolta dei rifiuti. Un contesto nel quale sarebbe coinvolto anche il leader storico dei disoccupati napoletani, Salvatore Lezzi, e gli altri due fermati.
Secondo l’accusa, Misso avrebbe conseguito indebiti vantaggi economici anche in questo contesto. I particolari sarebbero contenuti in alcune intercettazioni telefoniche (il quadro indiziario sul quale è chiamato a pronunciarsi il gip Pierluigi Di Stefano è imponente, viste le decine di faldoni depositati in cancelleria). Secondo l’accusa, Lezzi - al quale viene contestato il reato di estorsione aggravata dalla finalità di favorire una associazione camorristica - sarebbe stato il destinatario di somme di danaro pagate da disoccupati per ottenere l’inserimento nelle liste. Per questa vicenda Lezzi venne anche ascoltato dalla magistratura, negando ogni addebito.
È nelle intercettazioni telefoniche il cuore di queste indagini delicate e complesse. Misso, scarcerato nel 1999, venne sottoposto a regime di sorveglianza speciale, che ha sempre rispettato. E proprio dalle intercettazioni telefoniche, oltre che dalle accuse mosse da alcuni collaboratori di giustizia, emergerebbe un’accusa specifica rivolta a Misso. Nel colloqui registrati i due interlocutori farebbero riferimento ad una somma di danaro, associata proprio al nome di Peppe Misso.
Il decreto di fermo nei suoi confronti - che dovrà essere convalidato stamattina dal giudice Di Stefano, al termine dell’interrogatorio di garanzia nel carcere di Poggioreale - viene motivato con l’esigenza di prevenire il pericolo di fuga. Per i magistrati dell’Antimafia, Misso - che godrebbe di una rete di assistenze e complicità articolate - per la posizione rilevante che ricoprirebbe all’interno dell’organizzazione criminale potrebbe darsi alla latitanza da un momento all’altro. Di qui l’esigenza di privarlo della libertà personale. Sia l’inchiesta che coinvolge Misso, sia quella che vede indagati Lezzi e gli altri due rappresentanti dei movimenti dei disoccupati sono state aperte nel 2001.

Luglio 2001, denuncia di dodici disoccupati: ci hanno chiesto quindici milioni, non abbiamo pagato e siamo finiti fuori elenco
CHIARA GRAZIANI
Anno 1979, pieni anni di piombo, Napoli siede sulla bomba di mezzo milione di disoccupati. In questo scenario fioriscono le cosiddette «liste di lotta», si inventano le cooperative, ed i lavoratori socialmente utili - trecento la prima pattuglia - iniziano a ricevere dallo Stato, tramite le amministrazioni locali, un fisso mensile.
È l’inizio di una stagione in cui le liste, in mille modi ribattezzate e guidate, diventano protagoniste della piazza assieme ai movimenti, principalmente il Movimento di lotta per il lavoro che arriva, però, da altre esperienze ed altra storia. La vertenza lavoro non abbandonerà mai Napoli e sarà periodicamente sospettata di infiniti inquinamenti, incluse le infiltrazioni della camorra e le clientele di partito.
I fatti che oggi la magistratura mette sotto lente risalgono, a quel che si apprende, al periodo ’97-’98. Fu il periodo del cosiddetto bando Rastrelli quando l’allora presidente della Regione - agli ultimi giorni di un mandato interrotto dalla sfiducia che portò Andrea Losco a palazzo Santa Lucia - preparava un provvedimento per i disoccupati. Riguardava duemila posti part-time per la raccolta differenziata dei rifiuti, da assegnare a quattro categorie di disoccupati, tra i quali i soci di cooperative. Furono ribattezzate «corsie preferenziali» e quella per i soci di cooperative portava dritto a 425 posti di lavoro, la fetta maggiore essendo riservata ai lavoratori socialmente utili.
La piazza si accese, in quei giorni. Disordini, auto bruciate, blocchi stradali, contestazioni quotidiane. Rastrelli, proprio alle ultime ore da presidente della giunta, andò fino a Roma dal ministro-sindaco Antonio Bassolino a parlare del decreto. Salvatore Lezzi, arrestato ieri, era uno dei più presenti, certo non il solo, sulle barricate. Secondo le cronache di quei giorni, dichiarò pubblicamente: «Una parte di quei posti spetta alle cooperative. Se Bassolino vuole la guerra dei poveri, noi siamo disposti».
Di quella stagione di tensione, delle sue cause e dei suoi responsabili, dirà la magistratura. Le cooperative finirono sotto inchiesta. La prima denuncia ci fu nel ’98, la bomba scoppiò il 25 luglio del 2001 quando vennero affissi negli uffici del collocamento i 425 nomi dei soci di due cooperative, sulle tredici in corsa, che avrebbero imboccato la benedetta «preferenziale». Dodici soci della cooperativa «Progetto occupazione» si videro esclusi e fecero denuncia alla Digos: «siamo stati tagliati fuori - accusarono - perchè non abbiamo pagato. Ci hanno chiesto cinque milioni prima e dieci dopo l’assunzione».
Alcuni poi ritrattarono (procurandosi una denuncia per calunnia), altri tennero duro, altra carne è andata al fuoco come i documenti sequestrati dalla Digos nelle sedi delle cooperative, tra i quali gli elenchi degli iscritti. Fu un passaggio cruciale. Venne fuori, infatti, che gli elenchi erano scomparsi dal collocamento e gli originali servirono a dar corpo a quel che lamentavano i denuncianti. La scomparsa, all’ultimo minuto, dalla lista di alcuni nomi, avvenuta in un’operazione di «travaso» di iscritti fra cooperative escluse dal bando agli elenchi delle due vincitrici.
Un intrico che, non risolto, probabilmente ancora avvelena la piazza e la vita civile. Un po’ di chiarezza restituirebbe legittimità alle legittime proteste contro la piaga, ed il dramma autentico, della disoccupazione.

Quel furto al Collocamento

Tra i retroscena più inquietanti dell’affaire raccolta rifiuti, il furto negli uffici del collocamento in via Marina. Un episodio che trovava conferma nei fascicoli del commissariato Vicaria-Mercato. Nella notte tra l’11 ce il 12 luglio del 2000, un anno prima della pubblicazione della graduatoria definitiva dei disoccupati aventi diritto al posto di lavoro, scomparivano i due faldoni con i nominativi degli iscritti alle cooperative. La lista venne poi «ricomposta» sulla base delle copie esibite dai presidenti delle coop




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