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Quando la tutela diventa l' eccezione
by Avv. M.Fezzi da Liberazione Saturday, Jun. 07, 2003 at 3:41 PM mail:

DIETRO LE LEGGI DEL GOVERNO DI CENTRODESTRA LA VOLONTA' DI RENDERE IL LAVORO DELL' UOMO SEMPRE PIU' UNA MERCE.

liberazione 07.06.03

QUANDO LA TUTELA DIVENTA L' ECCEZIONE
M. Fezzi avvocato del lavoro

Tante sono le buone ragioni per votare sì al referendum del 15 giugno, ma ce n'è una fondamentale che è rimasta sinora troppo in ombra. Per capirla è necessaria una premessa.
Il diritto del lavoro, vale a dire non una disciplina astratta, ma la tutela dei diritti dei lavoratori, è ad una svolta e ad una svolta non secondaria, ma fondamentale.
Con la legge n. 30/2003 che è stata recentemente approvata dal nostro Parlamento (e con il disegno di legge delega 848-bis che è in via di approvazione) l'intero diritto del lavoro viene stravolto: dalla tutela del lavoro si passa alla istituzionalizzazione del precariato. Il rapporto che era stato privilegiato dall'ordinamento, quello a tempo indeterminato, diviene l'eccezione, mentre la regola è rappresentata dal lavoro precario e privo di garanzie.
Il lavoro dell'uomo viene trattato alla stregua di una merce che si cede, si affitta, si chiama volta per volta solo quando serve, si somministra. Sono state cancellate norme fondamentali (L. 1369/60, sul divieto di intermediazione di mano d'opera) che imponevano principi elementari di civiltà, introducendo come normale, e non più solo come temporaneo, il ricorso all'affitto di persone.
Non bisogna dimenticare che i contenuti della legge delega n. 30/03 si accompagnano al D. Lgs. 368/01, con il quale è stata abrogata la legge 230/62 sul contratto a termine, la cui disciplina è stata integralmente modificata attraverso una liberalizzazione generalizzata di questo tipo di contratto. Mentre fino all'entrata in vigore di questa legge, il rapporto di lavoro a termine era comunque ancora soggetto a una serie di rigorose condizioni, con l'art. 1 del D. Lgs. 368 si stabilisce che "è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo". E quindi, in una parola, senza limiti.

Collocamento pubblico smantellato

La legge 30/2003 contiene tante succose novità: innanzitutto viene completata l'opera di smantellamento del sistema del collocamento pubblico e viene affidata ogni attività di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro a soggetti privati, seguendo la logica che se un istituto pubblico non funziona, non si cerca di porvi rimedio facendolo funzionare, ma lo si affida ai privati.
Viene abrogata la legge 1369/60 e viene sostituita con una disciplina che riconosce e autorizza la somministrazione di mano d'opera. In sostanza il lavoratore diviene una merce liberamente commerciabile (la somministrazione è pensata nel codice civile per lo scambio di merci, non di persone) e si riconosce la liceità del trarre profitto dal lavoro altrui, attraverso una vera e propria attività di interposizione che potrebbe anche essere permanente. Nasce così per via legislativa una nuova professione: quella del commerciante in lavoro altrui.
Viene poi modificato il regime del trasferimento d'azienda (art. 2112 c. c.), stabilendo che il requisito dell'autonomia funzionale non deve più essere preesistente al trasferimento, ma deve sussistere al momento del trasferimento. ciò significa che qualunque pezzo di un'azienda, sia o non sia autonomo, può essere ceduto all'esterno - insieme con i relativi dipendenti - senza possibilità di opporsi alla cessione: è sufficiente creare 5 minuti prima del trasferimento un gruppo di persone e dare loro una definizione organizzativa aziendale. Prima era necessario che il ramo d'azienda ci fosse e ci fosse realmente e fosse anche autonomo funzionalmente, molto prima della cessione: ora sarà facilissimo creare "rami d'azienda" da cedere, creandoli appositamente, un attimo prima della cessione.

Sempre più flessibili

Viene modificato il part time: la legge attuale prevede una serie ben precisa di limiti alla richiesta di lavoro straordinario o supplementare. La legge n. 30/2003 prevede invece l'agevolazione del ricorso al lavoro supplementare nel part time orizzontale e a forme flessibili ed elastiche di lavoro a tempo parziale nel part time verticale e misto. Viene anche prevista l'estensione delle forme flessibili ed elastiche ai contratti a part time a tempo determinato.
Vengono poi introdotte nuove tipologie di lavoro; ad esempio il lavoro a chiamata. Viene introdotta con questa nuova figura, che richiama il caporalato, una nuova specie di lavoratore: quello discontinuo o intermittente, a scelta non sua, ma del datore di lavoro. Il lavoratore deve restare a disposizione per l'eventualità che il datore di lavoro abbia bisogno di lui. Gli verrà pagato solo il lavoro effettivamente prestato, mentre potrà percepire una modesta indennità di disponibilità per il tempo in cui rimane a disposizione in attesa di essere chiamato.
Viene poi previsto che per coprire le quote obbligatorie di lavoratori disabili si possa ricorrere al lavoro interinale e a tempo determinato. Vengono introdotti i "buoni lavoro", ammettendo prestazioni di lavoro occasionale e accessorio, attraverso la tecnica di buoni corrispondenti a un certo ammontare di attività lavorativa.
I contratti di collaborazione coordinata e continuativa potranno essere legati a uno o più progetti o fasi di essi, eliminando così il problema delle scadenze predefinite, come almeno avviene oggi.
Viene ancora introdotta la "Certificazione" del rapporto di lavoro. Per evitare che un co. co. co chieda al giudice di accertare che il suo rapporto di lavoro non era affatto autonomo, come dovrebbe essere un cococo, ma era invece subordinato sotto ogni profilo (con il rischio di dover regolarizzare la posizione, anche dal punto di vista contributivo), si introducono speciali commissioni davanti alle quali il datore di lavoro può portare il lavoratore, prima di assumerlo, per fargli giurare, in una sede pubblica, che il rapporto che si va ad instaurare è proprio di lavoro autonomo e non subordinato. E questo con effetti determinanti sulla possibilità, alla fine del rapporto, di fare causa. Il lavoratore naturalmente potrebbe rifiutarsi di andare a giurare ("certificare"), ma semplicemente non verrebbe assunto e il datore ne troverebbe un altro che va a fare il giuramento.

Pronto l'assalto all'art. 18

Dietro l'angolo c'è anche il disegno di legge delega 848-bis che contiene la sospensione dell'efficacia dell'art. 18 per una serie di categorie, e l'arbitrato in materia di lavoro (cioè non più i giudici dello Stato, ma giudici privati, che devono decidere le cause di lavoro e quindi valutare, tra le altre cose, i licenziamenti, applicando non più la legge, ma l'equità).
Per finire bisogna aggiungere che in questi anni la maggior parte delle imprese ha attuato le cosiddette esternalizzazioni, mantenendo all'interno solo quello che viene chiamato core business e spostando all'esterno tutto il resto. Tutto ciò è avvenuto in larga misura creando piccole imprese, solo apparentemente autonome, che fanno, ciascuna, solo una piccola parte del processo produttivo e organizzativo, che prima si faceva all'interno. Queste nuove piccole aziende hanno quasi sempre meno di 15 dipendenti, per consentire il massimo di flessibilità in un panorama che già più flessibile di così è difficile immaginare. Ecco allora la necessità di intervenire per ridurre almeno gli effetti di questi scorpori fittizi. L'introduzione dell'art. 18 nelle piccole imprese paralizzerebbe o quantomeno ridurrebbe questo fenomeno odioso.

Votare Sì per fermare la flessibilità selvaggia

Ed ecco allora l'importanza fortemente simbolica dell'art. 18. Lo scorso anno la battaglia sull'art. 18 era anche allora solo una battaglia di carattere simbolico, scarsamente rilevante sul destino dei lavoratori dipendenti: se il lavoro dipendente diviene precario per effetto delle nuove disposizioni contenute nella legge delega, l'applicazione dell'art. 18 diventa solo residuale. Non c'è più bisogno di licenziare. Basta lasciar scadere il contratto e non rinnovarlo. E' sufficiente porre termine al contratto di lavoro interinale. Basta fare uno scorporo di ramo aziendale.
Basta non rinnovare il contratto di cococo. Eccetera. Insomma, nel panorama attuale i sistemi per liberarsi dei lavoratori che non piacciono o non vanno bene o non si sono sufficientemente integrati o non sono disposti a subire di tutto, sono moltissimi e semplicissimi: non c'è alcun bisogno di ricorrere a un licenziamento che può portare alla sua impugnazione giudiziale. Questa cosa era ben chiara l'anno scorso a Cofferati, che aveva compreso perfettamente che la vera minaccia era la legge delega, non tanto la sospensione dell'art. 18. Tuttavia serviva un simbolo semplice, efficace e diretto, immediatamente comprensibile dalla gente, e la battaglia è stata così condotta sull'art. 18. Oggi la situazione non è cambiata.
Sarebbero sicuramente necessari interventi per dare garanzie ai lavoratori cd "atipici"; sarebbe urgente trovare forme di tutela per tutto l'esercito dei lavoratori con partita Iva, e per tutti i tipi di precariato. Non condivido affatto l'idea che sia meglio ridurre un pochino le garanzie di chi è già protetto per darne un po' a chi non ne ha affatto, perché penso che si finisca solo per allargare l'esercito dei non protetti, ma capisco il senso dell'affermazione. Ma il problema è che non è questo in discussione oggi: non siamo chiamati il 15 giugno a dire se vogliamo maggiori garanzie per i cococo e meno per i garantiti dall'art. 18. Non è di questo che si parla.
Siamo invece chiamati a dare un segnale forte e chiaro a questo governo su quella che è la sua politica di diritto del lavoro: un'affermazione del no o il mancato raggiungimento del quorum rappresenterebbe una sostanziale accettazione di quanto è stato fatto in questa materia. Solo, invece, una vittoria del Sì rappresenterebbe un'aperta sconfessione dell'operato del governo e un tentativo di arrestarlo nella sua corsa sfrenata alla flessibilità selvaggia.

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Titolo Autore Data
s s Saturday, Nov. 22, 2003 at 7:05 PM
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