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La "road map" è un'illusione (di N.Chomsky)
by Christian Monday, Jun. 09, 2003 at 5:41 PM mail: .

Da "Liberazione"

Noam Chomsky commenta l'offensiva diplomatica e militare di Bush e il ruolo dell'Europa

«La road map è un'illusione»

La road map non costituisce un passo avanti nel processo di pace in Medio Oriente, anzi per molti versi ripropone gli stessi punti già sollevati dai precedenti tentativi di pace. E' quanto afferma in un'intervista esclusiva all'Adnkronos International Noam Chomsky, linguista presso il Massachusetts Institute of Technology, e intellettuale di fama mondiale.
«La road map non è una novità - ci spiega Chomsky - anche se la si è voluta presentare come tale. Nel 1992 Sharon aveva formulato un piano di pace molto simile a quello approvato in questi giorni. Solo che dieci anni fa la sua proposta poteva sembrare scandalosa, mentre oggi viene descritta come condiscendente ed equilibrata. Questo dimostra semplicemente un miglioramento delle tecniche di propaganda (...)».
Secondo Chomsky, alla base di tutte le proposte di pace degli ultimi 50 anni ci sarebbe il controllo, da parte di Israele, di almeno il 40 per cento dei territori occupati. «Tutti i tentativi di pace che ci sono stati finora si ispirano ad un piano del 1968, chiamato il "piano Allon" - spiega lo studioso - che prevedeva la cessione ad Israele del 40 per cento della West Bank, e che lasciava al controllo giordano il restante 60 per cento dei territori. Questa logica è stata perseguita da tutti i governi israeliani (...)».
Secondo Chomsky l'attuale collocazione degli insediamenti ebraici e del "muro di separazione" all'interno dei territori occupati rischia di condurre alla creazione di uno Stato palestinese diviso in tre cantoni, nettamente separati tra loro e comunque isolati da Gerusalemme Est, il centro culturale ed economico dell'Autorità Palestinese.
«Se ci si attiene alla realtà dei fatti ignorando la retorica, è evidente che Israele sta cercando di mantenere il controllo di almeno il 50 per cento della West Bank, un obiettivo ancora più ambizioso di quello perseguito a Camp David. E naturalmente quando parlo di Israele mi riferisco anche agli Stati Uniti, perchè senza gli Usa Israele non sarebbe mai in grado di esercitare tutte queste pressioni».
Secondo Chomsky (...) «gli Stati Uniti si sono opposti fin dall'inizio alla nascita di uno Stato palestinese». «Ci sono state molte risoluzioni Onu a questo riguardo, e altrettante risoluzioni dell'Assemblea Generale, ma gli Stati Uniti le hanno bloccate tutte, unilateralmente, rinnegando le posizioni della comunità internazionale. Ancora oggi Washington è sfavorevole alla creazione di due Stati nella regione» (...). «L'interesse di Washington nel tutelare Israele - spiega ancora lo studioso - è lo stesso che ha nel mantenere le sue basi a Guam. Salvo che nel caso di Israele la posta in gioco è più alta perchè c'è di mezzo il controllo delle risorse energetiche di tutto il Medio Oriente». Secondo Chomsky la politica estera degli Stati Uniti nei paesi arabi è da sempre incentrata sul concetto dei "local gendarmes", ossia degli "Stati poliziotto" in grado di proteggere le monarchie reazionarie della regione dai movimenti nazionalisti radicali. «Già negli anni '50 gli Usa si servivano della Turchia e dell'Iran per salvaguardare i loro interessi nella regione», ci spiega Chomsky. «Israele è entrato a far parte del sistema nel 1967, anche se il suo ruolo strategico si è consolidato con la caduta dell'Iran». (...)
A chi sostiene che gli Stati Uniti vogliono "ricostruire" il Medio Oriente, Chomsky risponde che la priorità assoluta dell'amministrazione Bush è «tenere sotto controllo il nazionalismo indipendente», ed evitare così che alcuni governi del mondo arabo possano uscire dalla sfera di influenza statunitense. «Prendiamo l'esempio di Baghdad», ipotizza Chomsky. «Per anni gli Usa si sono chiesti se fosse il caso di affidare agli iracheni le redini del loro paese. Un'eventualità rischiosa: cosa succederebbe se in Iraq si instaurasse una democrazia, e gli sciiti iracheni decidessero di avvicinarsi all'Iran? Washington non potrebbe mai tollerare una tale ipotesi. E infatti ha occupato militarmente il paese, il che ci porta porta al nodo della questione: gli Usa sono favorevoli alla democrazia, purchè i paesi coinvolti sottostiano alla sua visione di "ordine mondiale"». (...)
«Basti pensare alle elezioni italiane del 1948», ricorda lo studioso. «Gli Usa temevano che la popolarità del movimento della resistenza potesse determinare una vittoria schiacciante della sinistra. Il primo memorandum del Consiglio di Sicurezza dell'Onu allude proprio alle elezioni politiche del '48 in Italia, e conferisce agli Usa il diritto di intervenire - anche militarmente - nell'evento di una vittoria della sinistra». (...)
L'Europa, afferma Chomsky, può ancora scegliere da che parte stare. «Dipende dai Paesi europei», ci spiega lo studioso. «Possono decidere di rimanere subordinati agli Stati Uniti o al contrario abbracciare una politica che li renda indipendenti in materia di affari internazionali». (...) «Ecco perchè l'opposizione di Francia e Germania alla guerra in Iraq ha suscitato tanto scompiglio a Washington. Si è temuto che l'Europa potesse svegliarsi e in qualche modo "allontanarsi" dall'ordine mondiale voluto dagli Stati Uniti. Oggi Washington appoggia i Paesi dell'est europeo proprio per scongiurare questo pericolo, e tutto l'entusiasmo di Bush per Aznar e Berlusconi è dovuto allo stesso identico motivo. Durante la guerra in Iraq, i due leader europei sono stati gli unici disposti a calpestare la volontà di oltre il 90 per cento del loro elettorato per soddisfare le pressioni americane».
Il problema delle responsabilità regionali subordinate alla politica estera statunitense si starebbe riproponendo anche nel Nord-Est asiatico. «Gli Usa stanno cercando di mettere le mani sulla Corea del Nord per evitare che altri Paesi della regione - come Giappone e Cina - possano discostarsi dalla "visione statunitense" ed imboccare la strada dell'indipendenza (...)». Un'ipotesi, questa, che spiegherebbe le incomprensioni tra Usa e alcune potenze del Nord-Est asiatico proprio per quanto riguarda la Corea del Nord. Secondo Chomsky i principi che regolano la politica estera statunitense in Medio Oriente e nel resto del mondo sono gli stessi di 50 anni fa, anche se i toni espliciti dell'amministrazione Bush hanno fatto pensare a una volontà recente di "ricostruzione" del mondo arabo.
«Molti studiosi pensano che i neo-conservatori abbiano dato una svolta radicale alla politica estera americana -ci spiega Chomsky - ma le cose non stanno proprio così. E' vero, l'amministrazione Bush ha delle visioni insolitamente estremiste, che spaventano persino alcuni ambienti conservatori americani; e non ne fa segreto: la cosiddetta "strategia di sicurezza nazionale", pubblicata nel settembre dell'anno scorso, enuncia chiaramente che gli Usa intendono imporre la loro visione del mondo anche ricorrendo alla forza. Questo concetto non rappresenta certo una novità nella storia degli Stati Uniti, ma nessuno prima di Bush aveva usato toni così espliciti».
Chomsky sostiene che la guerra in Iraq è servita proprio come "esperimento" per far capire al resto del mondo che Washington può, se lo ritiene necessario, attaccare qualsiasi Paese che si dimostrasse "contrario" all'egemonia americana. «L'invasione dell'Iraq ha consentito agli Usa di insediarsi nel cuore del Medio Oriente e delle sue risorse petrolifere», conclude Chomsky. «Si tratta di una visione estremista e nazionalista, ma che non è certo senza precedenti...».

Carola Mamberto (Adnkronos/Aki)

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