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Turchia: diritti umani in picchiata
by di Hevi Dilara Sunday, Aug. 10, 2003 at 10:09 AM mail:

Hevi Dilara - Ufficio d'Informazione del Kurdistan in Italia:

In un anno violazioni aumentate del 50%, nonostante le false promesse di riforma.

Il mare di Marmara è tranquillo attorno all'isola di Imrali, da settimane splende un sole cocente, con una temperatura costantemente attorno ai 30 gradi. Ma per le autorità turche queste condizioni atmosferiche impediscono la sicurezza dei viaggi verso l'isola carcere dove è imprigionato il presidente del Kadek, Abdullah Ocalan. E' di nuovo isolamento, da due settimane.
L'isolamento del presidente del Kadek è un tassello, forse quello finale, del mosaico di annientamento che si sta realizzando contro il popolo kurdo in Turchia.

Le altre tessere stanno componendo un disegno nel quale appare evidente la negazione di un popolo, che sta, sempre più, prendendo forma attraverso attacchi e operazioni militari nei villaggi (ad Amed, Dersim, Bingol, Mus); violazioni contro i diritti sociali, civili e politici della persona e delle organizzazioni democratiche (la repressione contro il Dehap); la legge sul pentimento (unica risposta a 5 anni di cessate il fuoco unilaterale) e nuovi piani di repressione militare contro le forze della guerriglia di stanza nel Kurdistan meridionale.

Ancora una volta la Turchia, con le sue false promesse di riforma, che si tramutano in una pratica del tutto opposta, con le sue menzogne, sta tentando di ingannare il mondo intero (la Ue, gli Usa e tutti i soggetti del mondo democratico). In nessuna delle leggi di riforma approvate è stata pronunciata la parola "kurdo/i", questa è una forma di negazione che, se fatta propria dalla Ue, come è già stato in passato nelle relazioni con la Turchia, vuol dire condividere la mentalità di non riconoscimento della identità kurda, culturale, politica, sociale. I nuovi pacchetti di riforma non propongono cambiamenti a favore della democrazia, del pluralismo, della libertà d'espressione, continuano ad ignorare una parte rilevante della società, facendo ciò non c'è possibilità di pace sociale e soluzione. Non possiamo considerare alcuna legge sul pentimento, inoltre, come un'amnistia, parziale o altro, si tratta soltanto di un informale nuovo attacco e di un inizio di ostilità che non porteranno né alla pace sociale né alla soluzione politica della questione kurda.


Esecuzioni sommarie, torture, scomparsi
Quattro giorni fa, il vicepresidente dell'Associazione per i diritti umani (Ihd) Yusuf Alatas, già avvocato di Leyla Zana, in una conferenza stampa ha presentato il rapporto dell'Ihd sui primi sei mesi del 2003. La più importante delle sue affermazioni è sicuramente quella secondo cui dall'inizio del nuovo anno le riforme tanto decantate nei confronti dell'Ue e degli altri alleati internazionali non sono ancora state applicate, in alcuni settori poi si torna al passato.

Al cambiamento delle leggi non corrisponde alcun cambiamento nella realtà del paese. Il primo semestre 2003, confrontato con quello analogo del 2002, evidenzia un aumento del 50% delle violazioni dei diritti umani in Turchia.

Voglio citare alcuni dati che sono emersi dal rapporto, così da riflettere su quale sia la situazione reale della Turchia. Centodieci persone hanno perso la vita in seguito ad esecuzioni sommarie, 14 persone per non essersi fermate all'intimazione dell'alt da parte delle forze dell'ordine; 15 persone in carcere si sono immolate, suicidate o sono decedute per malattia; 40 sono le persone scomparse; 41 le vittime e 27 i feriti in scontri con le forze armate. Settecentocinque risultano i casi di tortura, maltrattamento e trattamenti disumani perpetrati dalla polizia, di questi: 241 si sono verificati in scontri con la polizia; 42 casi sono stati certificati da referto medico; 11 casi riaperti contro 63 poliziotti, di cui 29 assolti per prescrizione, 13 liberi perché il fatto non sussiste e 8 arrestati ma subito rilasciati, del totale 13 poliziotti sono stati condannati a 65 anni e 6 mesi complessivi di pena detentiva.


Le domande senza risposta dei familiari
Possiamo dire ai parenti di Faruk Tuna, deceduto in una caserma della polizia, senza aver subito processo che la Turchia si sta sforzando di cambiare? Possiamo raccontare ai figli di Suleyman Yeter per il cui decesso un poliziotto è stato condannato ad una pena detentiva di 4 anni e due mesi, perdendo di conseguenza ogni diritto al lavoro, mentre un altro, arrestato per lo stesso motivo, è stato subito rilasciato, che la democrazia e lo stato di diritto stanno per diventare realtà? Possiamo far credere che il sistema penitenziario e giudiziario turco sia stato riformato alla moglie di Salih Karaarslan per la cui morte 3 militari sono stati condannati ciascuno a 5 anni e 4 mesi di pena detentiva?

Infine non dimentichiamoci, mi preme ricordarlo visto che proprio per una questione simile sono stata costretta a lasciare la Turchia ed a chiedere asilo in Italia, i casi di violazione della libertà d'espressione: 1321 sono i casi ancora aperti, sono state inflitte 270 condanne per 227 anni e 15 giorni di pena detentiva in carcere e a pagare pene pecuniarie di 135 miliardi di lire turche.


A tutti i democratici: rompete il silenzio
La situazione sta diventando, giorno dopo giorno, sempre più seria. Chiediamo come kurdi e kurde che lavorano per la pace e per il dialogo a tutti i compagni, a tutti i pacifisti, ai democratici di mobilitarsi contro il progetto di negazione e annientamento, che la Turchia continua in modo indisturbato a perpetrare, di non contribuire al silenzio internazionale che da decenni lascia morire i kurdi in solitudine e per cui le notizie poco fondate e pubblicate in mancanza di riflessione politica continuano ad incupire.

Con la speranza di libertà che ci contraddistingue nella lotta e nella vita, come donna e come kurda vi ringrazio.




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