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Organizzazione israeliana denuncia: «I palestinesi di Hebron costretti a emigrare»
by btselem Wednesday, Aug. 20, 2003 at 9:42 PM mail:

http://www.btselem.org/English/About_BTselem/index.asp http://www.haaretz.com/hasen/pages/ShArt.jhtml?itemNo=330856&contrassID=2&subContrassID=1&sbSubContrassID=0&listSrc=Y

19.08.2003
di red.

Centinaia di palestinesi sono stati costretti ad abbandonare le loro case a Hebron, obbligati dalle «violenze dei coloni israeliani e dal lassismo della autorità israeliane nei loro confronti e dalla violenza abituale delle forze di sicurezza israeliane», dal settembre 2000 quando iniziò la seconda Intifada dopo la “passeggiata” di Sharon nella spianata delle Moschee, considerata una provocazione dai palestinesi.Lo denuncia un rapporto pubblicato martedì da B'Tselem, un'organizzazione non governativa israeliana impegnata sul fronte dei diritti umani nei territori occupati. Secondo il rapporto, oltre il 43 per cento degli abitanti palestinesi delle tre strade principali del settore H2 di Hebron, che rappresenta l'enclave sotto controllo israeliano della città palestinese dove abitano non più di cinquecento coloni ebrei, sono stati costretti ad andarsene, oltre duemila botteghe della città vecchia sono state chiuse e tre scuole, frequentate da 1850 studenti, sono state ugualmente chiuse dagli israeliani.
Il settore H2 di Hebron, dove vivono circa 500 coloni ebrei e 35mila palestinesi, è rimasto isolato dal resto della città dopo che la stessa è passata sotto il controllo dell'Autorità nazionale palestinese a seguito degli accordi di pace. Nel settore H2 l'amministrazione civile spetta ai palestinesi, ma gli israeliani ne hanno mantenuto il controllo dal punto di vista della sicurezza. Con la connivenza delle autorità militari di Tel Aviv, denuncia B'Tselem, i coloni hanno dato origine a continui episodi di violenza nei confronti dei palestinesi. Il rapporto cita numerosi casi, rimasti impuniti. Il documento parla anche di un clima di intimidazione creato dalle forze di sicurezza con continui coprifuoco, limitazione della libertà di movimento dei residenti palestinesi, pestaggi, lancio di granate assordanti, e anche furti di denaro e di cose.

Da Gerusalemme arriva intanto un altro allarme per l'intenzione delle autorità israeliane di chiudere oltre cinquantamila palestinesi che vivono nei pressi di Gerusalemme all'interno del territorio israeliano costruendo attorno alle loro abitazioni la grande muraglia che sta chiudendo la Cisgiordania.
Lo rivela il quotidiano israeliano Haaretz secondo il quale sarebbero stati preparati migliaia di decreti di esproprio riguardanti cittadini palestinesi abitanti nel territorio sotto controllo dell'Anp nei pressi di Gerusalemme. Gli espropri serviranno a realizzare il cosiddetto muro di difesa, che la dirigenza palestinese ha dichiarato essere illegale e la cui costruzione è stata condannata anche dagli Stati Uniti. La realizzazione del muro di fatto segregherà gli oltre cinquantamila palestinesi coinvolti all'interno del territorio israeliano, ma saranno privi di cittadinanza e dunque di diritti.

Secondo il giornale, sono coinvolti nell'operazione i territori di Abu Dis, Zur Baher e Jabel Abu Ghneim (dove è stato eretto il popoloso rione ebraico di Har Homà).

La linea di sicurezza, di cui è in costruzione un tratto di 17 chilometri che circonderà Gerusalemme, penetra per parecchi chilometri in Cisgiordania per proteggere le colonie ebraiche che sorgono in territorio palestinese. I cinquantamila palestinesi andranno così ad aggiungersi ai 200 mila che già vivono nella zona sotto controllo israeliano di Gerusalemme. Ma questi ultimi hanno lo status di residenti israeliani e dunque hanno dei diritti, sia pure con mnolte restrizioni, che saranno invece negati ai nuovi abitanti forzati.

Come sia la vita di questi palestinesi costretti a subire la violenza di una deportazione senza trasferimento, lo spiega un servizio dell'agenzia di stampa France Presse che ha raccolto le testimonianze degli abitanti di Numan, che dopo l'annessione del 1967 vivono in Israele senza diritto di residenza. La loro situazione è ulteriormente peggiorata dopo la realizzazione del muro. Da allora, i 250 abitanti di Numan, vivono con la paura di un'espulsione. «Ogni notte dormiamo con la paura di essere svegliati all'alba dai bulldozer che vengono a distruggerci le case» dice Yussef Daraawi, un trentottenne abitante di Numan. «Gli israeliani non hanno esitato a distruggere le case nelle località vicine più importanti, come Waladjeh. Chi gli impedirà di farlo anche qui?» si chiede Daraawi citato dalla france Presse.

Gli abitanti di questo paesino non hanno mai ottenuto lo status di residenti di Gerusalemme per una complessa questione di stato civile. La conseguenza è a loro è sempre stato negato l'accesso ai servizi pubblici, e dal 1995 gli è stato anche impedito di iscrivere i loro figli alle scuole di Gerusalemme. In qualche modo vivevano una doppia vita, divisi tra la Gerusalemme israeliana e la vicina Cisgiordania palestinese. La costruzione del muro , che sorge a meno di un chilometro dal villaggio. «Da qualche mese le autorità conducono una vera campagna di vessazioni» spiega alla France Presse Jamal Daarawi, un trentaquattrenne che vive a Numan. Lo scorso aprile un funzionario israeliano è andato casa per casa «per avvertire gli abitanti che dovranno andarsene in ogni caso e che sarebbe meglio per loro farlo con le buone accettando gli indennizzi che gli sono stati proposti» spiega Jamal. Dopo questo avvertimento, la vita del villaggio è stata continuamente disturbata dagli israeliani. Il 1° luglio la polizia di frontiera ha fermato sei uomini del villaggio, il 22 ne hanno fermati sedici, il 31 luglio nove, e così ogni settimana.

http://www.unità.it

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conferma
by haaretz Wednesday, Aug. 20, 2003 at 9:45 PM mail:

Israel has issued land expropriation orders for its
"Jerusalem envelope" fence, which will put some
50,000 Palestinians from the West Bank on the
Israeli side of the barrier while leaving tens of
thousands of Arab residents of the capital cut off
from relatives, schools and jobs.

Most of the expropriation orders
are for land inside the West
Bank, but a few are for land
inside parts of Jerusalem
annexed by Israel.

Though the American embassy in
Israel says that Jerusalem can
take any action it believes
necessary to protect its
citizens, the administration, in conversations
with Israeli officials, says that Israel may
not enter Palestinian territories in order to
do so.
http://www.haaretz.com/hasen/pages/ShArt.jhtml?itemNo=330856&contrassID=2&subContrassID=1&sbSubContrassID=0&listSrc=Y

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SSCCC
by tutti zitti!!! Thursday, Aug. 21, 2003 at 5:28 AM mail:

tutti zitti... i filo-sionisti...

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fa caldo
by e zitti zitti Thursday, Aug. 21, 2003 at 7:11 AM mail:

ancora zitti... i filosionisti

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silenzio, please
by lines notte assorbe tutto Thursday, Aug. 21, 2003 at 8:55 AM mail:

Su bambini, continuate a sognare...

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answer
by answer Thursday, Aug. 21, 2003 at 9:01 AM mail:

Jerusalem can
take any action it believes
necessary to protect its
citizens

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buuuu
by risposta (b)anale Thursday, Aug. 21, 2003 at 9:11 AM mail:

Campione di banalità

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i filo-sionisti...
by ancora zitti Thursday, Aug. 21, 2003 at 12:12 PM mail:

<<Jerusalem can
take any action it believes
necessary to protect its
citizens>>

Va bene, ma allora visto che tutti i mezzi sono buoni, perchè ammazzate anche i giornalisti che rifiutano i vostri divieti fascisti alla libertà di stampa?

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I coloni, i rabbini, la violenza
by http://www.hakeillah.com/5_03_18.htm Saturday, Dec. 20, 2003 at 10:13 AM mail:

Israele

I coloni, i rabbini, la violenza

di Giorgio Gomel



Un giorno di febbraio del 1994 Baruch Goldstein, un medico israelo-americano dell’insediamento di Kiryat Arba, assassinava 29 fedeli mussulmani in preghiera nella Moschea di Hebron. Questo avveniva appena pochi mesi dopo la stipula degli accordi di Oslo e nel pieno della trattativa che avrebbe condotto nei mesi successivi ai primi ritiri dell’esercito israeliano da parte dei territori e al nascere di una forma, ancorché limitata, di autonomia palestinese a Gaza e in parte della Cisgiordania. Quell’episodio efferato diede avvio a un’ondata di violenza; una sollevazione di massa nei territori fu repressa manu militari da Israele con ulteriori vittime; poi gli integralisti palestinesi risposero con i primi attentati suicidi contro civili innocenti in Israele. Tra gli ebrei di Israele e della Diaspora fu forte, ma non unanime, la ripulsa per quell’atto di violenza omicida e sacrilega. Anche tra di noi, ebrei italiani, si promosse una lettera aperta, con molte firme, che rivolgeva ai rabbini un monito perché il mondo religioso ebraico esprimesse una condanna categorica di queste degenerazioni maligne dell’estremismo nazional-religioso in Israele.

La condanna non fu né ferma né unanime: in Israele, soprattutto tra i rabbini delle colonie e della yeshivoth più militanti, i sentimenti che prevalsero furono di silenzio, giustificazione, persino di compiacimento, in certi casi di aperto elogio. La tomba di Goldstein si è tramutata negli anni in un luogo di venerazione.

Un anno e mezzo dopo, l’assassinio di Rabin disvelò un humus di fanatismo, di predicazione della violenza, tra gli israeliani oppositori della pace e del compromesso con i palestinesi. L’integralismo – sottovalutato, negato anche dopo la strage di Hebron – ci si rivelò come qualcosa che abitava sotto i nostri tetti: che anche in Israele si uccideva nel nome di Dio, arrogandosi una missione trascendente; che l’idea dell’integrità della terra d’Israele, con i suoi luoghi sacri e le tombe degli avi, diventava oggetto di idolatria e che per quell’idea ogni azione, anche contro le leggi dello stato e i diritti umani, era giustificata.

Avvertivamo allora l’urgenza di esplorare più a fondo le radici spirituali di un movimento – l’estremismo nazional-religioso – molto pericoloso per il futuro democratico di Israele, di un Israele che possa integrarsi e convivere con i suoi vicini in un Medio oriente di pace. Quel movimento disprezza la democrazia, in quanto prodotto della civiltà occidentale e laica; tra essa e la legge della Torah- come loro la interpretano, – il primato va alla seconda. Non desidera un Israele in pace con i palestinesi e i vicini arabi, perché la pace comporta la spartizione della terra contesa e il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad un’esistenza nazionale, a un proprio stato indipendente.

Oggi, la forza del radicalismo religioso non sembra vinta. La disposizioni della roadmap da un lato, la decisione di costruire un muro di separazione tra Cisgiordania e Israele al fine di contenere il terrorismo dall’altro impongono di ripensare il futuro delle colonie ebraiche nei territori: congelare la loro espansione prima, poi avviarne lo sgombero e il rimpatrio dei coloni.

Il governo Sharon, dopo mille esitazioni, decide nei mesi scorsi di evacuare alcuni degli "outposts" – insediamenti illegali, anche dal punto di vista della legge israeliana, non solo del diritto internazionale – stabiliti qua e là nel corso dell’intifada. Il Consiglio dei rabbini di Yesha (Consiglio degli insediamenti ebraici in Giudea, Samaria e Gaza) definisce "immorale" l’ordine di evacuazione e esorta i soldati chiamati ad eseguire quell’ordine alla "obiezione di coscienza", ad "esaminare la moralità di ogni ordine che essi ricevono". Il 24 giugno, 500 membri dell’Unione dei rabbini per il popolo e la terra di Israele – non un gruppo marginale se annovera tra i suoi membri due ex Rabbini capo di Israele, Avraham Shapira e Mordechai Eliyahu – dichiarano che "…nessun governo ha l’autorità di abbandonare parti della terra di Israele allo straniero. Qualsiasi azione decisa a questo fine è nulla, nel nome di Dio di Israele … Gli israeliani dovranno fare tutto quanto sia possibile per impedire l’attuazione della roadmap, ma dovranno evitare violenza fisica o verbale contro l’esercito e la polizia" 1

Si dirà che i rabbini hanno libertà d’opinione in un paese che si vuole democratico. Si dirà che un’opinione rabbinica è un’opinione, che non è imposta ad alcuno, e il cui non rispetto non implica alcuna punizione. Ma allorché i rabbini usano il linguaggio della halacha e si rifanno alla parola di Dio, essi invocano un’autorità alternativa a quella dello stato di diritto e del sistema democratico di Israele. Osserva il rabbino Michael Melchior, che rappresenta alla Knesset il partito religioso moderato Meimad: "Il fare appello a tutti coloro che possono bloccare la decisione di approvare la roadmap a farlo, ad ogni costo, può essere interpretato come un codice per il "din rodef" – l’ingiunzione talmudica di fermare, uccidendo, se necessario, chiunque minacci la vita di un altro. Dopo gli accordi di Oslo, questo ordine fu inteso in alcuni circoli religiosi di estrema destra come riferito a un governo disposto a cedere i territori e fu citato da Yigal Amir per giustificare l’assassinio di Rabin."

I coloni rispetteranno le decisioni del governo, se questo premuto dagli Stati Uniti o vinto dal pragmatismo, deciderà finalmente di sgomberare almeno parte degli insediamenti? O ricorreranno alla violenza armata per opporvisi?

La destra oltranzista ostenta la sua forza con tono minaccioso: secondo Yaakov Novick, uno dei leaders di Mateh Maamatz (Quartier generale unificato del campo sionista, in ebraico), "… per ognuno dei coloni più radicali, alcune decine di migliaia, vi sono almeno due cittadini ebrei di Israele che appartengono alla destra radicale e che sono pronti a lasciare le proprie case e ad unirsi alla battaglia per la terra di Israele"2.

D’altra parte, conforta leggere che, secondo sondaggi di opinione condotti da Shalom Achshav nel luglio scorso, molti coloni sarebbero disposti al rimpatrio volontario accettando un indennizzo adeguato; nelle colonie più remote – Nablus e Hebron, Shiloh o Eli – dove si concentra il nucleo duro dell’oltranzismo religioso, solo il 40-50 per cento sarebbe disposto al ritiro. In generale, il 90 per cento dei coloni non violerebbe la legge nel caso di una decisione di sgombero: il 54 per cento vi si opporrebbe con mezzi legali, il 36 per cento non si opporrebbe, il 9 per cento potrebbe violare la legge, l’1 per cento si opporrebbe con la forza.

Inoltre, il rigore mostrato di recente dai giudici israeliani nel reprimere atti di terrorismo perpetrati da ebrei contro arabi dovrebbe suscitare un’azione dissuasiva sui potenziali istigatori alla violenza armata per opporsi al ritiro dai territori occupati e all’evacuazione delle colonie. Mentre nel 1984 le condanne inflitte a israeliani colpevoli di gravi attentati contro civili palestinesi furono assai lievi, il mese scorso il processo contro la cellula terroristica di Bat Ayin ha portato a condanne severe – fra i 12 e i 15 anni di carcere.

Comunque sia, l’atteggiamento e l’azione dei rabbini negli insediamenti e delle autorità religiose in Israele sarà di importanza capitale per evitare che l’opposizione al ritiro degeneri in forme di violenza contro i palestinesi o contro lo stesso esercito di Israele chiamato ad assicurare lo sgombero dalle colonie.

Giorgio Gomel



1 Ina Friedman, No one is obligated to accept a rabbinical opinion, Jerusalem Report, 29/7/2003.

2 Nadav Shragai, The settlers’ reserve forces, Haaretz, 28/9/2003.








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e' noto
by Certo Saturday, Dec. 20, 2003 at 12:26 PM mail:

Un po di storia biblica.
Quattromila anni fa, Abramo compro' una grotta da Ephron l'Ittita e lo pago' 400 shekel, secondo la bibbia Abramo si assicuro' l'approvazione dalla popolazione locale, i figli di heth, chiunque essi erano.
Prima della guerra del 67' gli ebrei vivevano a Hebron per secoli ma erano vilipesi e maltrattati dalla popolazione araba.
Era proibito per loro pregare alla tomba di Abramo ma potevano solo salire sette gradini non di piu'.
Nel 1929 ci fu' un grande eccidio e gli arabi ammazzarono una grande quantita' di ebrei, i sopravvissuti se ne andarono.
Dal 48 fino al 1967, agli ebrei era PROIBITO ENTRARE AD HEBRON.
Ora mi chiedo se in Israele ci sono 1,200,000 arabi perche' non ci posssono essere 400 famiglie di coloni ad Hebron?

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ma
by rome Saturday, Dec. 20, 2003 at 1:16 PM mail:

Il problema non è in sè degli ebrei che non possono stare ad Hebron. In un contesto civile, non perturbato da una lacerante guerra e da una ingiusta occupazione ci potrebbero e dovrebbero stare, se vogliono.
Ma se - per ipotesi - si pervenisse a realizzare una uno Stato palestinese indipendente e democratico in Cisgiordania e Gaza, gli ebrei di Hebron, come i 400 ebrei a Gaza a fronte di oltre 100.000 arabi, verrebbero certamente assorbiti e politicamente assimilati dalla schiacciante maggioranza arabo- palestinese.
Invece i coloni dei territori occupati, come i 'pieds-noir' dell'Algeria coloniale francese, sono una specie di enclave numericamente minoritaria ma resa sociologicamente maggioritaria dall'intervento coercitivo di uno stato 'coloniale'.

Il problema è questo, no, o facciamo finta di non capirlo?

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