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DOPO L'OSCURAMENTO IL RINASCIMENTO NUCLEARE
by cittadino dormiente Sunday September 28, 2003 at 05:28 PM mail:  

Rinascimento nucleare

I paesi industrializzati verso un nuovo piano energetico
di Paolo Fornaciari
da http://www.opinione.it/4.attualita/archivio_attualita/2002/15-04_21-04/19-04-02_fornaciari.htm
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Sta ritornando, dopo diversi anni, un nuovo e crescente interesse, anche a livello internazionale, per l’impiego dell’energia nucleare nella produzione di energia elettrica. Nel Marzo 2001 infatti, su proposta degli Stati Uniti, 9 Paesi Industriali, e precisamente Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Giappone, Francia, Korea, Sud Africa, Brasile e Argentina (assenti Germania e Italia), hanno firmato a Parigi il “Nuclear Pact” per il rilancio di questa importante fonte di energia. Lo ha fatto anche il Presidente USA George W. Bush, sollecitato dalla crisi petrolifera internazionale e dai “blackouts” in California, presentando, il 17 Maggio 2001 a St. Paul, Minnesota, il nuovo Piano Energetico Nazionale. Il Piano prevede infatti, dopo 30 anni, la ripresa degli ordini di nuove centrali nucleari negli Stati Uniti. Decisione subito seguita, il 25 Giugno 2001, da analoga dichiarazione del Premier UK Tony Blair:

Il Regno Unito prevede di realizzare nei prossimi dieci anni 10 centrali nucleari di tipo AP600 o AP1000, avendo acquisito recentemente la Società USA Westinghouse tramite BNFL. Infatti le riserve di gas del Mare del Nord stanno esaurendosi e il Paese dovrebbe dipendere pesantemente dall’importazione dall’estero, subire la volatilità dei prezzi e non potrebbe rispettare gli impegni del Protocollo di Kyoto. Sono attese nei prossimi mesi decisioni per la costruzione di nuove centrali nucleari non solo negli USA e nel Regno Unito, ma anche in Finlandia, Brasile, Sud Africa, Francia, Giappone e Cina. A Londra, il 6 Settembre 2001, al Simposio Annuale della WORLD NUCLEAR ASSOCIATION, si è parlato di “Rinascimento nucleare. Ci sarà bisogno d’energia, di molta energia in futuro. Secondo il Consiglio Mondiale dell’Energia (WEC): “La domanda energetica mondiale aumenterà del 50% nei prossimi venti anni” ed ha ribadito che “Tutti i Paesi industriali ritengono che la diversificazione delle fonti energetiche per la produzione di energia elettrica, significhi semplicemente usare più nucleare e più carbone e nessuna fonte deve essere cancellata per arbitrarie ragioni politiche”.

E noi che facciamo? Nei mesi passati si é diffuso un vasto convincimento anche nel nostro Paese che il completamento del processo di liberalizzazione e di privatizzazione del settore energetico avrebbe potuto consentire la riduzione delle bollette di elettricità e gas, così come é avvenuto in Spagna, Germania e Regno Unito. Lo aveva affermato Confindustria, lo aveva sostenuto il Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e il Commissario Europeo alla Concorrenza Professor Mario Monti, in una intervista a “La Stampa” aveva affermato che “la via da seguire è l’accelerazione del processo di liberalizzazione”. Anche il Ministro delle Attività Produttive, On. Antonio Marzano, in un articolo comparso su “Il Messaggero” dell’8 Agosto 2001 dal titolo: “Elettricità: così sbloccheremo le centrali”, dichiarava: “Qui apriamo l’offerta di energia e ciò non può che andare nella direzione di una riduzione graduale della bolletta elettrica che è uno degli obiettivi principali che mi propongo di raggiungere” e il DPEF 2002-2006 afferma: “l’obiettivo di affrontare adeguatamente la concorrenza internazionale verrà perseguito accelerando il processo di liberalizzazione e di sviluppo concorrenziale”.

Ma non è vero! Le bollette non scenderanno. Se si continuano ad usare i combustibili più cari i cui prezzi si sono triplicati in pochi anni, che sia il privato o il pubblico a gestire, poco importa. Ciò che occorre fare più che “privatizzare” é “diversificare” le fonti per la generazione di energia elettrica, usando più carbone e, in futuro, tornare al nucleare. Eppure a Bruxelles, e non solo, si continua a sostenere che “la mancata liberalizzazione del settore dell’energia costa alle imprese e alle famiglie europee 15 miliardi di euro all’anno” e che questa, secondo Romano Prodi, deve essere la grande priorità del Vertice dei leader Ue che si tiene a Bruxelles. Questa opinione é condivisa dal Vice Presidente Ue Loyola De Palacio, dal Commissario Ue Mario Monti e, da noi, dal Presidente di Confindustria Antonio D’Amato, dal Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, dal Presidente della Antitrust Tesauro e dal Ministro On. Antonio Marzano. Tuttavia, a parte e indipendentemente dalle esperienze negative sopra ricordate, si dimenticano due aspetti:

1. Se si continua a generare energia elettrica bruciando i combustibili più cari, che sia il privato o il pubblico a gestire, poco importa. Val la pena di ricordare che, in conseguenza della crisi petrolifera del 1973, tutti gli altri Paesi industriali, specialmente quelli europei, hanno sostituito il petrolio con carbone e nucleare, che oggi contribuiscono alla produzione di elettricità per il 77%: la Francia ha ridotto il consumo di petrolio dal 45% al 2%, la Germania dal 23% all’1.5%, la Svezia dal 19% al 3%, il Belgio dal 78% al 15%. Noi invece siamo passati dal 61% al 71% includendo anche il gas!

2. L’energia elettrica è un bene molto particolare: deve esser generata nello stesso istante in cui è richiesta, è difficile da immagazzinare, richiede tempi lunghi per la costruzione delle centrali e delle linee di trasporto e distribuzione con investimenti rilevanti e a redditività differita. Il privato investe se ha la sicurezza di vendere il proprio prodotto a “clienti certi”. Non casualmente gli imprenditori privati ante Enel - ingenerosamente definiti 50 anni fa “baroni elettrici” - si erano ripartiti il territorio nazionale in zone di competenza, evitando accuratamente di farsi concorrenza tra loro in una stessa Regione. Di questo stato di cose gli USA sono pienamente consapevoli. Lo è molto meno l’Unione Europea, dominata solo dall’illusorio convincimento della Commissione che il nostro costo dell’energia dipenda più dal grado di concorrenza interna che dalle condizioni della dipendenza esterna.

Il Libro Verde della Commissione Europea infatti, anche per la presenza determinante dei Verdi per gli equilibri politici in molti Governi dell’Unione, classifica il nucleare, come “undesirable and in doubts”, all’ultimo posto per competitività nella produzione di energia elettrica, anche dopo quella eolica, seppur sovvenzionata, mentre la stragrande maggioranza dei più autorevoli e affidabili Rapporti internazionali sostiene il contrario. Nel frattempo peraltro il Parlamento Europeo con deliberazione del 16 Novembre 2001, sconfessando sonoramente il Libro Verde della Commissione, ha confermato la necessità di: “keep nuclear power at the heart of Europe’s energy mix”. La storia non sembra averci insegnato molto. C’è gande fiducia nel libero mercato, nella competitività e nel miglior rendimento delle moderne centrali elettriche a gas e ciclo combinato.

Si dimentica peraltro che non solo il prezzo del petrolio, ma anche quelo del gas è più che raddoppiato in soli tre anni (da 2.40 a 4.88 dollari per mille piedi cubi per il gas e da 10 a 35 $/B per il petrolio, tra il 1998 e il 2001) e che il costo di generazione elettrica da fonte nucleare, pari a quello da carbone, é il più economico (negli USA 18 mills/kWh per il nucleare contro 35 per il gas a ciclo combinato e in Francia 15 mills/kWh per il nucleare e 39 per il gas). E le nostre tariffe elettriche, come ha osservato recentemente l’AD dell’Enel Dott. Franco Tatò, a causa delle “scelte scellerate” sui combustibili, sono triple di quelle di altri Paesi europei: “Possiamo fare tutto, promuovere la concorrenza e il mercato - ha detto - ma non arriveremo mai a costi come quelli, ad esempio della Francia, dove produrre un chilowattora costa un terzo: 20-22 lire contro le 60-65 lire di un impianto a ciclo combinato. Una differenza abissale”.

Oggi i Monopoli pubblici sono considerati vecchi, obsoleti e inefficienti, quando invece hanno fatto - e molto bene - quello che loro era stato richiesto di fare. Ed è ingiusto e ingeneroso nei confronti dei Padri Fondatori del monopolio pubblico che 40 anni or sono vollero la nazionalizzazione del sistema elettrico italiano come condizione indispensabile per dare al Paese un “servizio pubblico” di rilevante interesse sociale, in grado di assicurare la copertura del fabbisogno, in condizioni uniformi su tutto il territorio e riducendo al minimo i costi.
Non a caso il Ministro dell’Economia francese Laurent Fabius ha affermato recentemente: “Molte privatizzazioni di aziende pubbliche e molte aperture del mercato in Europa, sono state fatte senza tenere in debito conto la clientela, tanto che sovente le tariffe e le bollette sono aumentate”.

E ancora, come diceva Luigi Einaudi: “ La gestione da parte dello Stato dei servizi pubblici assicura risultati che non si possono sempre concretare in moneta, ma sono vantaggi indiscutibili per la civiltà delle nazioni”. Inoltre la modifica dell’Articolo 117 della Costituzione, introdotta dalla Legge 3/2001, spostando la responsabilità in campo energetico dallo Stato alle Regioni, rischia di eliminare una visione strategica e creare un rischioso “Federalismo Energetico “con carenza di potenza elettrica e pericolo di “blackouts”. Pericolo richiamato recentemente con preoccupazione anche dal Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN). Pericolo forse anticipato dal Professor Alberto Clò, economista bolognese e già Ministro dell’Industria con uno splendido e contro corrente articolo dal titolo: “I Grandi Gruppi Energetici in Italia tra passato, presente e… futuro?”, pubblicato sul numero di Dicembre della Rivista Energia, e ribadito nel successivo articolo “E’ il mercato a frenare un rilancio”
(“Il Sole-24 Ore” del 23 Febbraio 2002) in cui conferma l’importanza della “certezza della domanda finale consentita dagli assetti monopolistici, nazionali e locali” e critica la “Zarina dell’Energia”, Loyola De Palacio, che, pur dichiarandosi favorevole al nucleare, vorrebbe poi smantellare il monopolio pubblico francese di EdF.

Conferma alle osservazioni del Professor Alberto Clò é venuta anche dal Vice Ministro all’Economia Mario Baldassarri in una intervista a “Il Sole-24 Ore” con la richiesta di “una pausa di riflessione” sulle privatizzazioni e sopra tutto dal Presidente del Consiglio On. Silvio Berlusconi nella Conferenza Stampa di fine anno il 21 Dicembre scorso, al Senato. Ma che cosa ha detto il Presidente Berlusconi di così importante ? Semplicemente questo: “Non credo che in questo momento il nostro Paese possa privarsi di recitare un ruolo da protagonista per quanto riguarda la fornitura e l’approvvigionamento dell’energia. Penso che nessuno con equilibrio possa pensare di privatizzare una entità fondamentale in questo settore come l’Eni. Si dovrà operare tenendo conto delle strategie globali che il Paese riterrà necessario seguire”. In precedenza aveva rilevato che il Governo intende intervenire nell’energia, visto che “l’Italia è ancora il Paese d’Europa in cui l’energia costa maggiormente”. Di qui la notizia che “è allo studio un piano per l’energia”, visto che l’Italia punta “a raggiungere l’indipendenza” in questo delicato settore.

Infine, il documento conclusivo della Commissione delle Attività Produttive presieduta dall’On. Bruno Tabacci, propone una “riflessione sul nucleare”, una fonte energetica che l’Europa sta utilizzando consistentemente. Dopo 15 anni non possiamo che rallegrarci di questa storica svolta. Tale riflessione dovrebbe portare ad un nuovo Piano energetico che preveda, sulla base dell’esperienza francese, la costruzione nei prossimi anni di un numero molto consistente di centrali nucleari. Sempre mantenendo l’economia di scala, tali centrali dovrebbero essere del tipo fornito dai diversi costruttori, per gli impianti che hanno già ricevuto le dovute autorizzazioni dagli Enti di controllo. Conseguentemente occorrerà riorganizzare, con la massima urgenza, le competenze nella SOGIN in campo nucleare, le quali sono in Italia, tutt’ora esistenti e più che adeguate.

Paolo Fornaciari



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