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Intervista ad Antonio Peredo
by Gabriella Tuesday September 30, 2003 at 03:09 PM mail:  

Un caffé con l’opposizione Boliviana

Un caffé con l’opposizione Boliviana

Antonio Peredo, é un senatore del MAS (Movimiento al Socialismo), il partito dell’opposizione boliviano, il cui leader e’ Evo Morales, meglio conosciuto come il capo dei cocaleros (produttori di coca).
Questo partito é nato sette anni fa e da allora ha partecipato a due elezioni nazionali ed una municipale. Nelle ultime presidenziali Evo Morales era candidato come presidente e Antonio Peredo come vicepresidente. Hanno perso, ma di un solo punto percentuale (23 contro 24 %).
Fra Evo ed Antonio esiste una certa complementaritá: uno é l’elemento carismatico, quello che infiamma le folle e che si sposta quotidianamente per il Paese, dal momento che, essendo contadino ed indigeno, parla esattamente la stessa “lingua” della gente. Antonio é l’intellettuale, quello che si occupa di gestire l’iter burocratico e di spiegare le ragioni del MAS all’esterno, alla stampa, agli stranieri…a me.
Di fatto, nel partito e fra i contadini, anche Antonio é una figutra molto amata, dal momento che la sua credibilitá se l’é guadagnata sul campo, durante gli anni.
E’ in politica dal 1949, quando era sui banchi di scuola. Ha combattuto personalmente nell’esercito di Liberazione Nazionale, insieme ai suoi fratelli. Lui é stato esiliato piú volte (Argentina, Messico, Nicaragua) e per lungo tempo recluso. Ai suoi fratelli é andata peggio: uno giustiziato e l’altro desaparecido.
Oggi é un giornalista che si dedica in realtá a tempo pieno alla politica.

Per cominciare mi racconta un po’ della storia delle ultime elezioni. Della campagna politica condotta dal MAS, nella quale si dichiarava che era assolutamente necessario abbandonare il sistema economico neo-liberale, perché considerato totalmente inadeguato alla struttura economica Boliviana (attualmente i prodotti importati superano ampiamente quelli esportati ed il 70% della popolazione vive sotto la soglia minima della povertá).
Altri partiti di sinistra si limitavano a proporre una non meglio specificata riforma del sistema, mentre per il MAS é indipensabile rinunciarvi del tutto.
Come detto, il MAS perde le elezioni per un pugno di voti, per altro nel contesto di un Paese estremamente teso e costellato da proteste sociali.
Le elezioni si svolsero il 30 giugno 2002 ed in luglio, quando ancora non era insediato il presidente eletto (Gonzalo Sánchez de Lozada), si svolse un’immensa marcia indigena che richiedeva al Governo l’adozione di una serie di misure di riforma, da concordarsi mediante la creazione di un’Assemblea Costituente, che comprendesse anche rapprensentanti dei differenti gruppi indigeni del Paese.
In quell’occasione, l’alleanza di Governo acconsentí, ma fino ad oggi non é stata soddisfatta alcuna delle richieste di allora e la tensione nel Paese sta raggiungendo un livello insopportabile. Negli scontri della settimana scorsa ci sono stati 6 morti, piú di trecento persone sono state trattenute come ostaggi (ora tutte rilasciate) in un blocco stradale organizzato dai contadini per poter ottenere “udienza” presso il Governo.
Gli scontri di questi giorni non lasciano presagire nulla di positivo per il futuro, e per un altro verso, rappresentano uno strascico degli eventi che in febbraio di quest’anno hanno provocato ben 35 morti.
Peredo inizia a parlarmi proprio di quelle prime vittime, che, per altro, rimangono ancora senza giustizia.
Il Governo, a fine gennaio 2003, prospettó l’imposizione di un “gasolinazo”: un aumento di tutti i carburanti, che costituiva, di fatto, una dissimulazione di un’imposta che avrebbe gravato indiscriminatamente su ogni fascia della popolazione boliviana.
Il malcontento nel Paese era evidente e giá si minacciava di scendere in piazza, con dimostrazioni massicce.
Il Fondo Monetario Internazionale, che in quel momento stava valutando la situazione della Bolivia per procedere evenutalmente alla concessione di ulteriori finanziamenti, investito della questione, suggerí ai governanti che non imponessero l’inviso “gasolinazo”, ma che procedessero con un “impuestazo”.
La gente non accettó, soprattutto sapendo che la misura finanziaria, come sempre, avrebbe lasciato esenti da tasse le filiali delle multinazionali presenti nel Paese. La polizia entró in sciopero. La gente scese in piazza e l’esercito fu incaricato di garantire la sicurezza. Numerosi edifici pubblici furono incendiati e ben presto la situazione non fu piú controllabile.
Attualmente, per testimonianze dirette dei membri delle forze armate coinvolti, si sa che furono posti dei cecchini, con armi pesanti, a “vegliare” sulle manifestazioni. Di fatto vi furono 35 morti e piú di 200 feiriti, tutti per colpi d’arma da fuoco.
Il Fondo Monetario Intrernazionale, dopo la tragedia, accettó, per un anno, la situazione anomala della Bolivia, senza imporre nessun’ ulteriore imposta o tassa: di fatto 35 vite umane valgono un’imposta, pare capire.
Restano dubbi circa cosa accadrá allo scadere dell’anno, quando il problema si ripresenterá puntualmente.
Dei militari coinvolti negli “incidenti” di febbraio, 4 sono sotto processo e si sta seriamente considerando l’ipotesi di investire della causa il foro militare, cosa che corrisponderebbe a garantire l’impunitá completa. Un giudice al quale é stata presentata la questione si é dichiarato contrario, mentre il presidente della Repubblica dichiara di appoggiare questa possibilitá. Non solo. É stato nominato Ministro della Difesa Carlos Sánchez Berzaín, personaggio con trascorsi politici che non lo rendono certo immune da sospetti di legami con la ex dittatura militare e non celebre per essere un democrata illuminato e tollerante.
Nell’agosto del 2003 é stata varata la “Ley de Seguridad Ciudadana”, che inasprisce la pena per chi, come forma di protesta, adotta il blocco stradale: da 2 a 8 anni di carcere. Dai tre agli otto anni per chi provoca l’interruzionedi pubblici servizi come erogazione di acqua e gas.
Di fronte all’annuncio di nuovi, imminenti ed imponenti blocchi della strada, il Governo ha risposto inviando l’esercito a presidiare le strade.
Secondo Peredo, questo non puó che denunciare apertamente una strategia repressiva, che non lascia sperare nulla di buono per il futuro.
Mi racconta anche dei suoi timori per le sorti degli studenti del Colegio Ayaucho. La vicenda di questi ragazzi é legata ai fatti di febbraio. Quando la gente scese in piazza, anche loro vollero prendere parte alle manifestazioni. Iniziarono a lanciare sassi verso il palazzo di Governo e dell’Assemblea Legislativa. La polizia, che avrebbe avuto a tutti gli effetti la competenza in merito a reati di questo genere, non poteva intervenire, perché in sciopero. Intervennero allora i militari, arrestando i ragazzi e accusandoli di sovversione.
Dopo alcuni giorni, furono liberati, e testimoniarono di maltrattamenti e percosse.
I militari, ben consapevoli di non aver agito in modo conforme alle procedure, rinunciano a sporgere denunce e per ora non ci sono procedimenti aperti contro gli studenti. Per Peredo peró ogni giorno potrebbe essere buono per scatenare nuove tensioni e dice di essere certo che il Governo sia pronto a procedere contro i ragazzi nel momento in cui le manifestazioni contrarie nel Paese divenissero troppo minacciose.
Incuriosita da questa tencnica di “bloqueos”, ovvero blocchi della strada con barricate e pietre, gli chiedo come e quando sia nata, e perché si sia deciso di ricorrere proprio a quella.
Mi spiega che é la tecnica propria dei contadini, da sempre. I contadini non possono scioperare come un minatore o un ferrotramviere: possono solo bloccare la strada o rifiutarsi di consegnare i prodotti agricoli. Il piano di questi giorni é esattamente quello. Isolare La Paz, fare sí che non ci si possa spostare e che nei mercati non arrivino né frutta né verdura. I contadini (che nella maggior parte dei casi sono anche leader indigeni) chiedono che il Governo mantenga le promesse fatte al momento delle elezioni. Chiedono la creazione dell’Assemblea Costituente e chiedono che la questione del gas non venga trattata senza ascoltare le loro voci.
In realtá, alla base, chiedono semplicemente di essere ascoltati in generale.
Cosa che il Governo Lozada non pare praticare assiduamente: da 10 giorni, 10 donne aymara, stanno sedute nel bel mezzo di La Paz, all’adiaccio, mangiando solo quello che viene portato loro dalla gente. Sono donne anziane, in precarie condizioni di salute: nessun rappresentante politico ufficiale si é nemmeno lontanemente degnato di chiedere cosa vogliano.
Circa la “questione del gas”, che pare rivestire importanza primaria nell’agenda politica del Paese cosí come nelle rivendicazioni dei piú umili, chiedo qualche maggior spiegazione e la posizione ufficiale del MAS.
In Bolivia sono stati scoperti ingenti giacimenti di gas. Pare che potrebbero rendere il Paese una potenza e rivestire un’importanza strategica nella politica economica regionale.
Il Governo attuale intende siglare quanto prima un contratto con gli Stati Uniti per vendere il gas: l’unica questione in sospeso, non aveno la Bolivia un accesso diretto al mare, sarebbe quale via prescegliere per fare passare le tubature. Cile o Perú.
Anche il Messico chiede di poter partecipare alla “sparitizione della torta”.
Il MAS e sostanzialmente buona parte della popolazione povera del Paese, sostengono che non si debba precipitarsi a svendere la risorsa naturale. Soprattutto quando buona parte del Paese é senza acqua, luce e riscaldamento. Si ritiene, insomma, che sia piú importante usare prima le risorse per sé e poi decidere a chi e come vendere.
Ovviamente la posta in gioco, economicamente parlando, é estremamente alta.
E, per inciso, ci sono giá mezzi accordi presi direttamente dal Governo che sará ben difficile vengano ritirati per il volere popolare…
Una domanda che non si puó non porre a Peredo riguarda ovviamente la questione “coca-cocaina” nel Paese.
In Bolivia la produzione della foglia di coca é una tradizione antichissima. Si produce per usi domestici, per il thé, per questioni rituali.
Il narcotraffico é qualcosa che é subentrato solo piú tardi e che si sta (ed il MAS in questo é concorde) tentando di debellare. Analisti statunitensi ammettono che in tutta l’America Latina la Bolivia é il Paese che piú ligiamente ha compiuto con le disposizioni del governo nordamericano. Ma riconoscono anche che la strategia é insostenibile se non supportata da interventi di aiuto concreto finanziario: nel 2002 la Bolivia ha perso 300 milioni di dollari per aver combattuto il narcotraffico. Perso. Non c’é altro verbo.
E proprio nel fatto che non ci sia nulla a controbilanciare questa perdita netta, si basano i reclami dei cocaleros ed il fatto che nessun coltivatore di coca sia realmente incline ad abbandonare le connessioni con il narcotraffico: é ovvio, se vogliamo. Perché guadagnare 80 dollari al mese quando se ne possono guadagnare almeno 150 (non é molto, ma é quello che prende il produttore… gli introiti, quelli seri, non sono in Bolivia, ma nel Paese di destinazione delle partite di droga).?
Questa é la situazione: un Paese stretto nella morsa della fame e con tensione alle stelle. Il caffé con Peredo l’ho preso a La Paz, sabato 13 settembre e la nostra chiacchierata si é conslusa in modo piuttosto concitato, perché iniziavano ad arrivare le prime notizie di scontri seri fra polizia, esercito e contadini.
Io ho lasciato la Bolivia lunedí 16 settembre, per tornare in Perú, dove mi trovo ora: la strada che da La Paz conduce all’aeroporto di El Alto, era letteralmente invasa dall’esercito.
Gli scontri ci sono stati. La Paz é rimasta isolata dal resto del Paese per 10 giorni: 6 morti, 300 ostaggi in un blocco stradale, liberati tutti solo ieri.
La COB ed il MAS dichiarano che non si intendono fermare ora. Chiedono le dimissioni del Presidente e preannunciano nuovi scioperi, nuovi blocchi.
In Ecuador, tre giorni fa, l’esercito (!!!) ha chiesto che il presidente venga deposto. Perú, Bolivia ed Ecuador, sono tra loro legati a doppio filo (a prescindere dal fatto che non amino riconoscerlo). Anche a Lima, dove le proteste contro il Governo Toledo sono quotidiane, stanno iniziando a richiedere che venga deposto.
Ci sono due sondaggi, che io credo lascino pensare e facciano presagire il caos che abita questi stupendi Paesi: in Bolivia il 70% degli intervistati ha dichiarato che é tanto esasperato della situazione, che non disapproverebbe un’eventuale guerra civile, pur di cambiarla. In Perú, il 30 % degli intervistati dichiara che sarebbe assolutamente favorevole al ritorno di Alberto Fujimori, celebre violatore dei diritti umani, scappato in Giappone quando le cose si mettevano male qui.
Durante la mia ora del caffé con Peredo ho capito molte cose…ma leggendo questi dati, e constatandoli di persona nel parlare tutti i giorni con la gente, ci sono cose che proprio continuo a non capire. E che riescono solo a preoccuparmi.
Gabriella, Lima, 29 settembre 2003

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