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storia della Marcia della Pace
by zaro Thursday October 09, 2003 at 09:24 AM mail:  

storia della Marcia della Pace di Capitini

Ad una marcia della pace pensavo da anni e una volta ne detti anche l'annuncio, d'accordo con Emma Thomas, tanto che l'”Essor” ginevrino pubblicò la notizia. Ma l'idea non si concretò per varie difficoltà. Quando, nella primavera del '60, feci a Perugia insieme con amici un bilancio delle iniziative prese e di quelle possibili, vidi che l'idea della marcia, soprattutto popolare e regionale, piacque. Ma solo nell'estate essa prese un corpo preciso in riunioni apposite, che portarono alla fon-nazione di un comitato d'iniziativa. La mia intenzione era che il gruppo di iniziativa non fosse preminentemente di persone di partito. Sono un sostenitore dei lavoro di aggiunta a quello dei partiti, che ritengo certamente utili in una società democratica, ma non sufficienti. E sono sempre "indipendente" (un indipendente disciplinato) appunto per promuovere iniziative di aggiunta.

[...]

Le prime circolari di annuncio della Marcia sono dell'estate del 1960.(...) ebbi pronte adesioni come quella del maestro Gianandrea Gavazzeni; passarono mesi di spedizione di circolari e di lettere personali; dall'on. Pietro Nenni ebbi nel novembre 1960 una lettera molto favorevole. Ma debbo dire che oltre quel primo carattere, di iniziativa non dei partiti, che avrebbe dovuto assicurarmi una più facile adesione da tutte le persone e associazioni operanti in Italia per la pace, io tenevo sommamente ad un secondo carattere, che anzi era stato il movente originario del progetto: la marcia doveva essere popolare e, in prevalenza, regionale. Avevo visto, nei dopoguerra della mia vita, le domeniche nella campagna frotte di donne vestite a lutto per causa delle guerre, sapevo di tanti giovani ignoranti ed ignari mandati ad uccidere e a morire da un immediato comando dall'alto, e volevo fare in modo che questo più non avvenisse, almeno per la gente della terra a me più vicina. Come avrei potuto diffondere la notizia che la pace è in pericolo, come avrei potuto destare la consapevolezza della gente più periferica, se non ricorrendo all'aiuto di altri e impostando una manifestazione elementare come è una marcia? (...)

Fermo nell'idea di raggiungere la popolazione più periferica della regione, dovevo chiedere l'aiuto di altri per l'annuncio e per il trasporto stesso delle persone dai luoghi lontani. Sapevo bene che gli aiutanti (anche se d'accordo su certe condizioni) e i partecipanti non sarebbero stati in gran parte persuasi di idee nonviolente; lo sapevo benissimo, ma, e questo è il terzo carattere dell'iniziativa che voglio mette in rilievo, si presentava un'occasione di parlare di "nonviolenza" a "violenti", di mostrare che la nonviolenza è attiva e in avanti, è critica dei mali esistenti, tende a suscitare larghe solidarietà e decise noncollaborazioni, è chiara e razionale nel disegnare le linee di ciò che si deve fare nell'attuale difficile momento.

Forse da secoli in Italia non era stato parlato cos¡ apertamente della "nonviolenza" in modo popolare, dopo che i supremi insegnamenti di Gesù, dei primi cristiani, di San Francesco, sono stati avvolti, temperati o sottoposti ad altri insegnamenti di legittima difesa, di grandezza della patria, di sottomissione all'autorità e perfino di guerra coloniale, enunciati dall'altare. (...) il quarto carattere dell'iniziativa: la scelta di Assisi, come meta della Marcia che non poteva che muovere da Perugia, per ragioni organizzative. Se la Marcia doveva essere regionale e popolare, dato anche che nell'Umbria non vi sono basi o fabbriche di guerra, quale meta migliore di Assisi, ad una distanza sopportabile da Perugia, in una zona popolarissima, con un luogo elevato di eccezionale bellezza di paesaggio (lo stesso veduto da San Francesco), e di accesso indipendente dalla chiesa del Santo? Assisi è cara al cuore degli umbri, e lo resta anche se essi non sono credenti cattolici, per la centralità, la bellezza rara, il carattere entusiasta, amorevole, sereno, popolare, del santo, per quella celebrazione della "fanúliarità" a cui tanto tiene la gente di questa regione. Per questo mi parve bene che la meta fosse Assisi, ripetendo ciò che noi del Centro per la nonviolenza avevamo fatto altre volte, ma questa volta movendo quanto più popolo fosse possibile.

Ci sono state critiche e rifiuti perché la meta era Assisi, come se noi facessimo concessioni al potere cattolico o compromessi con la religione tradizionale. Collegare San Francesco e Gandhi (avvicinamento che in Oriente si fa molto spesso) voleva dire sceverare l'orientarnento nonviolento e popolare dei due dalle circostanze e dagli atteggiamenti particolari; ed era anche uno stimolo a far penetrare nella religione tradizionale italiana, come è sentita dal popolo e soprattutto dalle donne, l'idea che la "santità" è anche fuori del crisma dell'autorità confessionale: la Marcia doveva anche servire a questa "apertura" (e difatti il nostro Centro ha diffuso il giorno della Marcia tremila copie di un numero unico su Gandhi); quando tra il popolo più umile, e tanto importante, dell'Italia si arrivasse a mettere il ritratto di Gandhi in chiesa tra i santi, avremmo quella riforma religiosa che l'Italia aspetta dal Millecento, da Gioacchino da Fiore.

Questi quattro caratteri della Marcia mi sono stati chiarissimi fín dal 1960:
1) che l'iniziativa partisse da un nucleo indipendente e pacifista integrale (Centro di Perugia per la nonviolenza)

2) che la Marcia dovesse destare la consapevolezza della pace in pericolo nelle persone più periferiche e lontane dall'informazione e dalla politica;

3) che la Marcia fosse l'occasione per la presentazione e il "lancio" dell'idea del metodo nonviolento al cospetto di persone ignare o reluttanti o avverse;

4) che si richiamasse il santo italiano della nonviolenza (e riformatore senza successo).

(...)

Messici al lavoro cercando di avvertire e stimolare quante più persone si potesse, si vide che quanto alla data della Marcia, si doveva rinunciare al proposito di farla presto, e così, dopo aver fissato varie scadenze, si arrivo a quella del 24 settembre 1961, che il risultato ha dimostrato molto felice. Nei mesi fino a tutto il giugno 1961 non si può dire che le adesioni e gli impegni di partecipazione (nelle cedolette aggiunte alla circolare d'invito) fossero molti. (...) Così da luglio, terminati i miei impegni di insegnamento, mi accinsi ad un lavoro intensissimo - ormai il "parto" era prossimo, e non si poteva tomare indietro - perché la notizia si diffondesse. Chi è stato alla Marcia ed ha visto quale varietà di persone vi fosse, delle minoranze religiose e pacifiste (forze per la prima volta insieme), non pensa che io speravo in un numero maggiore, e in una quantità di nostri cartelli molto più rilevante. Anche questo indica che la Marcia Perugia-Assisi è stata il suscitamento di un pacifismo integrale e nonviolento molto maggiore e più dinamico di quello che c'era prima: oggi si può contare su più persone, su migliore volontà, su notevole prontezza di attività; è segno che la Marcia l'ha fatta emergere, l'ha polarizzata; il pacifismo di prima era frammentario, talvolta sedentario e lontano da un contatto con moltitudini che possono diventare pacifiste integrali (c'erano donne che avevano le lacrime agli occhi per la commozione al passare della nostra Marcia; ho visto contadini levarsi il cappello). (...) Le accuse, prima della Marcia, erano alquanto varie: chi disse che io ero "manovrato" dai comunisti, chi ci accusò di fare la marcia dei "vegetariani"-. "Il Borghese" del 14 settembre 1961 terminava l'articolo sulla Marcia scrivendo che: "Ripensandoci, a conti fatti, tra vegetariani e baluba preferiamo i secondi".

Questi quattro caratteri della Marcia mi sono stati chiarissimi f¡n dal 1960:

1) che l'iniziativa partisse da un nucleo indipendente e pacifista integrale (Centro di Perugia per la nonviolenza)

2) che la Marcia dovesse destare la consapevolezza della pace in pericolo nelle persone più periferiche e lontane dall'informazione e dalla politica;

3) che la Marcia fosse l'occasione per la presentazione e il "lancio" dell'idea del metodo nonviolento al cospetto di persone ignare o reluttanti o avverse;

4) che si richiamasse il santo italiano della nonviolenza (e riformatore senza successo).


Il prefetto di Perugia aveva mandato alle amministrazioni comunali e provinciali una circolare proibendo di portare alla "Marcia della pace" i gonfaloni della città.

Come le gerarchie ecclesiastiche avevano dato ordine al clero di non partecipare, e nelle chiese era stato detto che quella era una marcia comunista e paracomunista da evitare; e tuttavia quando i marciatori incontrarono ecclesiastici, non un’offesa, non un fischio si levò; cosi, mentre il prefetto aveva preso quell’iniziativa contro la volontà dei consigli comunali e provinciali ed aveva mobilitato un numero ingente di forze di polizia all’inizio, lungo la Marcia e sul prato, nulla, proprio nulla accadde, e non certamente perché c’erano quelle "forze", ma per autodisciplina dei partecipanti, per fiducia negli organizzatori e perché un entusiasmo e una fede potevano esprimersi in un modo così semplice e chiaro, senza la soggezione e l’inferiorità che il popolo sente nei congressi. I giovani stessi, e la Marcia era piena di giovani, seppero frenarsi.

I frati di Santa Maria degli Angeli erano impressionati la mattina (così dissero ad una signora) dell’arrivo di tanta gente "rossa": quando videro quei popolani visitare i luoghi, interni al convento, dove visse San Francesco, e alcuni anche ascoltare la messa, si tranquillizzarono. Non vi fu un ubriaco. (...)

La Marcia ebbe i due momenti più alti quando, in quel luogo così ampio sotto la cupola di un cielo che impallidiva lentamente, Arturo Carlo Jemolo parlò della benedizione divina che certamente scendeva su quell’assemblea di pace, e quando io chiesi due minuti di silenzio per ricordare i morti nelle guerre o per causa delle guerre, e tutti si levarono in piedi, qualcuno si inginocchiò, e mi è stato detto che tutti gli appartenenti alla polizia si misero sull’attenti. Avevo scritto nel periodico mensile "Umbria d’oggi", prima della Marcia (nel numero distribuito alla Marcia, con la data 30 settembre 1961): " ... La Marcia è una decisione pratica, che si prende dopo aver pensato e parlato, come al sommo di un momento importante, è una celebrazione di solidarietà impegnata. Proprio settecento anni orsono da Perugia partirono quelle processioni religiose dei ‘Laudesi’ che, al sommo di una tensione religiosa, manifestavano un sentimento ‘dal basso’ che era maturato in decenni di alta spiritualità dalla predicazione francescana. Ma la nostra Marcia ha qualche cosa di festoso e non di contrito, e di aperto perché unisce persone di idee diverse, accomunate da un unico orizzonte universale. Non dimentichiamo che questa Marcia non è per la pace ‘nell’Umbria’, ma nel mondo intero, per le trattative tra i blocchi, per il superamento dell’ostilità fredda e calda. Con questa Marcia gli umbri si pongono su un piano universale, si affratellano ai popoli di tutti i continenti, alzano la loro voce di amicizia, e tutti coloro che conoscano anche di sfuggita la nostra regione, sentiranno accresciuta la loro simpatia per questa terra che, manifestando tali esigenze universali, dimostra di avere abitanti all’altezza di un compito importante".

Realmente la Marcia è stata un’altra prova (e non sarà la sola) di quell’insieme di apertura religiosa umana e di esigenza di trasformazione sociale che fu così vivo in Umbria nel Duecento e Trecento, in grandi movimenti e grandi lotte. C’è stato chi ha scritto che si è sentito "qualche cosa di nuovo" nella Marcia. lo credo sia soprattutto questo insieme sociale e religioso che ritorna per allargarsi nella nostra storia attuale. Ecco che, a fatto avvenuto, si possono vedere le ragioni profonde della Marcia.

Essa è stata un atto importante, forse una svolta nel nostro paese. Alcuni giornalisti hanno paragonato il fatto a quello del luglio 1960, quando "dal basso" una manifestazione antifascista arrestò l’orientamento del governo a destra. La Marcia è stata una manifestazione "dal basso", che ne ha cominciate tante altre, per isolare i nuclei militaristici e reazionari. Con l’unione stabilita tra i pacifisti e le moltitudini popolari, si è presentato un metodo di lavoro non più minaccioso di violenza, e nello stesso tempo si è avviata un’unità che è la massima che si può stabilire in Italia: quella nel nome della pace. Si è avviato un moto degli strati più profondi e dei sentimenti fondamentali del popolo italiano, un moto che non è senz’altro politico o di classe, ma è la premessa e l’addentellato per ogni lotta ed ogni educazione che voglia svolgersi in Italia per contrastare il patriottismo scolastico diffuso dai nuclei nazional-militari, e, insieme, il borghesismo edonistico che si ritrae da ogni lotta civile e sociale per la fruizione del benessere promesso dal neocapitalismo. La lotta per la difesa e lo sviluppo della pace porta preziosi elementi di coesione dal basso contro l’individualismo e il conformismo e per di più associa di colpo le donne, le famiglie, prima delle lotte politiche. E con l’accento posto sul superamento dei metodi violenti, sull’apertura e sul dialogo, non solo sollecita la nostra democrazia, e qualsiasi altra, ma preme sulle religioni esistenti, e particolarmente su quella tradizionale, perché sia messo in primo piano il rapporto nonviolento con tutti gli esseri.

Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della Marcia, durante la quale abbiamo distribuito tremila copie di un pieghevole di quattro pagine sulle idee e il lavoro del Centro per la nonviolenza. Non dico che tutto sia chiaro e acquisito, ma è certo che ora ci sono larghi gruppi di italiani che sentono che la nonviolenza ha una sua parola da dire. Con l’aggiunta della nonviolenza all’opposizione abbiamo dato vita a un fermento interno, ad uno scrupolo, ad un’autocritica; il risultato sarà che metteremo sempre meglio in luce ed isoleremo i gruppi reazionari, i loro sforzi crudeli e vani nel mondo, la loro irreligiosa difesa di una società sbagliata. Tanto più dopo gravissime denunce del pericolo di una distruzione atomica, l’impostazione di un altro metodo di lotta, quello nonviolento che mantiene il dialogo, la libertà di informazione e di critica e non distrugge gli avversari, diventa urgente; ed io credo che anche nelle scuole bisognerà insegnare il valore e le tecniche del metodo nonviolento. La resistenza alla guerra diventa oggi tema dominante, perfino con riferimenti teorici, filosofici, religiosi.

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